Vox Romanica
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0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2003
621
Kristol De StefaniVincenzo Orioles (ed.), Idee e parole. Universi concettuali e metalinguistici. Roma (Il Calamo) 2002, viii + 621 p. (Lingue, Linguaggi, Metalinguaggio)
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2003
D. Pirazzini
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244 Besprechungen - Comptes rendus l’andamento intonativo delle due classi principali di relative è nettamente diverso, legato nel caso della modificazione semantica e slegato nel caso della integrazione informativa; e, quando la relativa modifica un contenuto del tipo Comment, l’intonazione riesce addirittura a discriminare la lettura identificativa e la lettura denotativa. Il quadro di riferimento per l’aspetto intonativo-informativo dell’analisi è l’ipotesi sulla natura e l’interpretazione del parlato presentata da E. Cresti nei volumi intitolati Corpus di italiano parlato (Firenze, 2000), che mostra così la sua indubbia utilità esplicativa. Come si diceva all’inzio, il merito del volume della Scarano, al di là delle informazioni nuove e complete che esso ci fornisce sulle clausole relative, sta anche nel mostrare le qualità di un approccio che fa interagire sintassi, intonazione, semantica e pragmatica integrata, partendo da dati riguardanti la superficie linguistica e proponendo una soluzione basicamente funzionale, in cui i fenomeni sintattici e intonativi vanno visti come sintomi-guida nell’individuazione dei valori semantico-pragmatici di base. Un approccio irrinunciabile, che in generale deve tuttavia prestare grande attenzione a non appiattire un livello sull’altro: mettere al primo posto, tanto dal punto di vista descrittivo che esplicativo, l’architettura semantico-pragmatica di un costrutto non significa dover necessariamente ricondurre «iconicamente» ad essa tutti gli altri livelli linguistici. Il libro di Antonietta Scarano offre materiale prezioso anche per affrontare quest’ultima, cruciale, problematica. A. Ferrari H Vincenzo Orioles (ed.), Idee e parole. Universi concettuali e metalinguistici. Roma (Il Calamo) 2002, viii + 621 p. (Lingue, Linguaggi, Metalinguaggio) Su iniziativa di Vincenzo Orioles (Università di Udine) è nata questa pubblicazione che è espressione di un progetto di ricerca finalizzato alla costituzione di un Dizionario generale plurilingue del lessico metalinguistico (DLM) fruibile on-line. Obiettivo primario dei ventisette contribuiti che costituiscono l’opera è un’indagine sulla terminologia usata dai linguisti per motivare e spiegare le scelte metodologiche che stanno alla base delle loro pubblicazioni scientifiche. «Il motivo animatore dell’intero programma» - scrive Orioles - «risiede proprio nel convincimento dell’esistenza di un nesso ineludibile tra termine tecnico e modello di analisi che gli soggiace: lungi dall’essere neutra, ogni scelta nomenclatoria è inseparabile dal paradigma che l’ha ispirata» (6). L’analisi del metalinguaggio preso in esame nei diversi contributi è oltremodo varia e riflette non soltanto la complessità di questo oggetto di ricerca, ma fa intravedere anche le diverse concezioni e i diversi interessi che sono alla base dei singoli approci di ricerca. Gli oggetti dell’analisi si possono ricondurre a due linee di interesse parallele ma indipendenti. Il primo filone di indagini esplora alcune delle matrici terminologiche che un singolo autore ha adottato in una sua opera ben specifica. Il secondo filone prende in considerazione, invece, definizioni di termini generali date nel corso di un’epoca. Al primo filone appartiene l’analisi dettagliata del promotore dell’opera Vincenzo Orioles. Nel suo contributo dal titolo «Il costrutto della regressione linguistica in Benvenuto Terracini» (495-508) l’autore mette in primo piano che «tra gli studiosi italiani Terracini è il primo a far suo il dispositivo della regressione» (502). Il concetto di ‘regressione’ che Gilliéron (1907) usa a proposito di alcuni esiti dialettali e che con l’opera di Dauzat (1922) entra stabilmente a far parte dell’apparato esplicativo della geografia linguistica, costituisce in Terracini una particolare focalizzazione di un’ampia gamma di fenomeni che sarebbero stati denominati ‘iperurbanismo’ e ‘ipercorrettismo’. Nel seguito Orioles analizza il grande numero di concetti ai quali Terracini ha dedicato un’attenzione costante permettendone così l’entrata nella linguistica italiana: ‘varietà linguistica’, ‘italiano regionale’, 245 Besprechungen - Comptes rendus ‘lingue in contatto’, ‘prestito’. L’autore conclude il saggio rispondendo al legittimo quesito se e quando Terracini si sia accostato al modello interpretativo di Uriel Weinreich e se abbia avuto diretta conoscenza di Languages in Contact (1953). La risposta affermativa di Orioles tempera così la drastica formulazione di Segre che «parla di un grande incontro mancato» (505). Sempre allo spirito innovativo di Benvenuto Terracini sono dedicate molte pagine del contributo che Ilaria Morresi rivolge al concetto di ‘stile’ in: «Identità e Funzione Metalinguistica dello stile» (431-45). È il motivo che ci induce ad annoverare questo bel saggio nel primo filone di studi, sebbene la studiosa prenda in esame un’ampio ventaglio di definizioni del suddetto concetto. La nozione di ‘stile’ elaborata da Terracini esclude secondo Morresi la possibilità di considerarlo come ‘scarto’ o ‘deviazione dalla norma’. Tuttavia, la critica nei confronti del formalismo strutturalista non va intesa come rifiuto pregiudiziale, dato che Terracini pone in primo piano la funzione di ‘dialogo’ riconducendo in tal modo lo ‘stile’ alla «forma che esso assume nella coscienza che ciascun parlante possiede della propria lingua» (436). Il dialogo tra lingua, istituzioni e codificazioni letterarie fa sì che lo scrittore non si rapporti mai alla ‘langue’ intesa come sistema astratto bensì ai diversi linguaggi delle tradizioni letterarie. Terracini introduce così in alternativa a ‘scarto’ la categoria di ‘punto distinto’ intesa come «traccia esplicita e diretta del valore simbolico di cui tutto il complesso espressivo è sinteticamente portatore» (436). Ad un altro divulgatore di cultura linguistica in Italia, Bruno Migliorini viene dedicata una approfondita ricerca compilativa da parte di Massimo Fanfani nel saggio: «Sulla terminologia linguistica di Migliorini» (251-99). L’autore mette in evidenza che solo una parte delle proposte terminologiche dovute a Migliorini ha avuto una qualche fortuna, sopravvivendo nell’uso dei linguisti ancor oggi. In particolare risultano assai vitali ‘prefissoide’ e ‘sufissoide’ che una ventina di anni fa sono serviti da modello per coniare ‘affissoide’ (297). Altre proposte terminologiche, invece, dovute alla costante e quasi pedantesca ricerca da parte dello studioso di evitare qualsiasi termine greco o latino sono cadute in disuso. Proposte di sostituzione del tipo ‘doppione’ per ‘allotropo’, ‘unicismo’ per ‘hapax’, ‘collocazione delle parole’ per ‘topologia’ non hanno avuto alcuna fortuna. È da ricordare, tuttavia, che Migliorini è uno dei primi in Italia ad usare parole di stampo saussuriano come ‘sincronico’ - ‘diacronico’, o quella di ‘coscienza linguistica’ o di distinzione tra ‘lingua’ e ‘parola’. Fanfani passa poi in rassegna una lunga lista di parole d’autore, ossia di voci dovute all’invenzione di Migliorini, offrendoci nelle note a piè di pagina - che occupano più della metà dell’articolo - notizie storiche, riferimenti bibliografici, riflessioni teoriche che offrono una griglia utilissima per una verifica sui dati presentati nel saggio. Al metalinguaggio della prima grammatica guaranì, redatta all’incirca nel 1620 dal missionario gesuita Alonso de Aragona, è dedicata invece l’analisi di Alessandra Olevano nel contributo: «Il metalinguaggio nella prima grammatica della lingua guaraní di Alonso de Aragona» (473-94). Secondo l’autrice gli strumenti metalinguistici usati da Aragona mettono in evidenza la difficoltà e l’inadeguatezza della terminologia classica per spiegare una lingua, quella guaraní, strutturalmente diversa dalle lingue europee. Se, per esempio, i termini ‘declinacion’ e ‘conjugation’ restano solidamente agganciati ai loro ambiti referenziali classici, cioè al nome e al verbo, termini del tipo ‘composicion’ o ‘particula’ designano molti processi grammaticali caratterizzati dalla libertà relativa degli elementi, tipica del guaranì. In particolare il termine ‘composicion’ sarebbe divenuto una categoria centrale nella descrizione delle lingue indigene. Spetta quindi ad Alonso de Aragona il merito di aver contribuito con la sua terminologia a spiegare il funzionamento di queste lingue. Al modello morfologico di P ninœi dedica l’attenzione Tiziana Pontillo in: «La prima ricezione del modello morfologico di P ninœi nella linguistica occidentale: il caso dello zero» (535-87). La studiosa presenta il modello descrittivo impiegato da P ninœi per de- 246 Besprechungen - Comptes rendus scrivere i diversi fenomeni che sinteticamente sono stati definiti come «il problema zero in linguistica». Il modello di P ninœi, che la studiosa considera «forse ispiratore delle prime attestazioni di ‘zero’ in morfologia» (574), risulta essere sempre più distante dalle successive interpretazioni ed elaborazioni di tale concetto. In una succinta indagine l’autrice ripercorre le tappe fondamentali della nozione di ‘zero’ in Saussure (1879), Meillet (1903) e Bloomfield (1933) spiegando in maniera dettagliata, attraverso l’analisi dei termini indiani e delle loro traduzioni, il perché della distanza dal modello di P ninœi. Si deve probabilmente alla traduzioni di lopa come ‘elisione’ o ‘scomparsa’ e agli opposti giudizi su l’opera di P ninœi se si può arrivare alla conclusione che il termine ‘zero’ inaugurato da Saussure nel 1879 non riconduca direttamente a P ninœi. L’indagine di Pontillo conduce a individuare la culla del termine ‘zero’ nella Germania del 1876-79, nella particolare elaborazione dei modelli di studi differenti disponibili in quell’ambiente per l’allora studente Saussure (574). Ad un autore latino Marcus Terentius Varro è rivolta l’analisi di Emanuela Marini in: «La sistematica dei tecnicismi grammaticali nel De lingua Latina di Varrone» (397-445). L’ipotesi di lavoro che ispira questo contributo è di dimostrare che la sistematicità caratterizza il lessico tecnico grammaticale varroniano. L’impegno di Varrone nell’attività definitoria è evidenziato da Marini attraverso un lungo elenco di termini che la studiosa riporta nel saggio e che discute in maniera dettagliata proponendo una gradualità degna di nota. I termini della prima sessione sono da considerare termini tecnici, mentre quelli della seconda e della terza sezione, che sono impiegati per designare una certa nozione grammaticale, «lo sono ad un grado inferiore e in misura decrescente» (426). Alla terminologia di Hegel sono dedicate le riflessioni di Ruggero Morresi in «Preistoria e Storia del linguaggio in Hegel» (447-71). L’autore passa in rassegna attraverso un’analisi dettagliata alcune considerazioni hegeliane sul linguaggio dimostrando che esse anticipano alcune teorie linguistiche contemporanee. Le considerazioni di Hegel sull’arbitrarietà del segno, per esempio, inteso «nella forma del suo esistere determinato quanto indipendente ed indifferente riguardo al referente rappresentativo» (457), o quelle sul rapporto tra grammatica e logica, o tra segno e memoria stanno alla base di molte discussioni teoriche contemporanee. Interessante è anche l’aspetto fondamentale che Hegel coglie nel rapporto lavoro-linguaggio in quanto «l’uno e l’altro possono riconoscersi come caratteri fondamentali dell’uomo perché nell’uno e nell’altro si verifica non solo la produzione di qualcosa che serve per le esigenze immediate del vivere, ma anche la capacità di intervenire sui prodotti già elaborati e sui mezzi di comunicazione precedentemente utilizzati» (453). Più in ambito psicolinguistico è da situare il saggio di Alejandro Marcaccio sulla nozione di ‘meccanismo’ in Gustave Guillaume dal titolo: «Nota storica sulla nozione di meccanismo nella Psychomécanique du langage di Gustave Guillaume» (373-96). Marcaccio sottolinea che «la terminologia ha un ruolo guida per la ricostruzione delle strategie cognitive sottese alla delimitazione del campo di evidenze, che costituisce oggetto di scienza per le diverse scuole in periodi differenti» (373). I linguisti, tuttavia, non si avvalgono solo di termini tecnici, poiché accanto al lessico specialistico si fa ricorso spesso a prestiti dalle altre discipline. L’uso della nozione di ‘meccanismo’ è un caso esemplare. Il termine prelevato dalla fisica o più precisamente dalla meccanica classica si sposta dalla fisiologia articolatoria alla sfera dei fenomeni psichici. La riflessione guillaumiana intorno ai meccanismi mentali sottesi all’attività linguistica, permette cosí di individuare le forze che interagiscono nella formazione e trasformazione dei sistemi linguistici che appaiono subito secondo una polarizzazione obbligata: meccaniche/ psicologiche (377). I sistemi linguistici si evolvono quindi secondo leggi riconducibili ad una ‘meccanica’ da ricercare nel dominio della psicologia. In termini di analisi linguistica, ‘l’articolo’ in particolare fornisce a Guillaume l’esempio più calzante di una parte del discorso in cui trova iscrizione linguistica il più ele- 247 Besprechungen - Comptes rendus mentare tra i meccanismi psichici: il movimento dall’universale al particolare e la sua replica dal particolare all’universale (382). Alle caratteristiche metodologiche e terminologiche dell’opera di George Lakoff sono dirette le analisi di Elisa Bianchi in: «La metafora della lingua: Analisi linguistica e analisi dei concetti nell’opera di George Lakoff» (61-79). La studiosa parte dal ruolo che le due funzioni fondamentali del linguaggio, quella del comunicare e quella dell’interpretare, rivestono all’interno della scienza cognitiva di Lakoff. Secondo Lakoff ogni lingua naturale è «una vera e propria operazione di codifica del sistema concettuale, organizzato per la maggior parte secondo principi metaforici» (63). Essa diviene quindi il mezzo per lo studio empirico dei sistemi di pensiero con la conseguenza che il dato linguistico non è analizzabile in termini solo formali ma è motivato dalla struttura concettuale di fondo di cui si avvalgono tutti i sistemi linguistici. In questo modo la metafora esce dalla sfera puramente linguistica per diventare una figura di pensiero facendo cadere la distinzione tra ‘significato letterale’ e ‘significato figurato’. A Jakobson ed una delle voci centrali del metalinguaggio della fonologia vanno le considerazioni di Paola Bonucci in: «Sul metalinguaggio fonologico: La nozione di feature» (97-113). La studiosa esamina il valore assunto dal termine feature nei Fundamentals of Language di Jakobson e Halle (1956) passando in rassegna i principali contesti d’occorrenza della voce e analizzando le definizione fornite dagli autori allo scopo di dimostrarne la complessità. La Bonucci conclude che la nozione di feature in Jakobson e Halle acquista in definitiva un valore inclusivo quasi «una sorta di frame per l’intera analisi fonologica» e propone uno schema in cui è possibile riconoscere in maniera chiara ed univoca la gerarchia di implicazioni teoriche legate a questa voce (110). L’analisi che Francesca Santulli dedica alla terminologia di Hermann Paul in: «Il nome della scienza: analisi quantitativa e qualitativa della terminologia epistemologica pauliana» (589-610) parte dall’idea di applicare strumenti elettronici di analisi al trattato di Hermann Paul. Tra le opportunità offerte dall’esame elettronico appare la possibilità di ordinare le occorrenze che facilmente possono sfuggire alla lettura tradizionale. Tuttavia la conoscenza profonda del testo rimane per Santulli indispensabile. La studiosa sintetizza la carriera scientifica di Paul con queste parole: «in principio fu la filologia e da essa nacque il bisogno di capire la teoria» (609). Nel concetto pauliano di Sprachgeschichte la Santulli individua un importante filone operativo; nell’opera di Paul, tuttavia, è l’agire concreto il vero punto di partenza e «una storia dell’azione linguistica che si affianchi a quella del pensiero non potrà non portare risultati significativi» (609). Un lavoro prettamente statistico viene offerto da Ilaria Senatore in: «Form: dati metalinguistici da Language (1921) di Edward Sapir» (611-21). Il contributo, realizzato in base al materiale raccolto durante la schedatura dei termini metalinguistici di Language (1921), ci informa, per esempio, che nel testo compaiono 418 ricorrenze della radice ‘form’. Una misura, secondo Senatore, «decisamente imponente considerata l’avversione dell’autore nei confronto degli orientamenti linguistici sostenitori della form for form’s sake» (611). Anna de Meo rivolge l’attenzione a: «Eugene Nida e il metalinguaggio della morfologia. Alcune considerazioni» (187-219). Dato che non ci è possibile riportare qui la ricchezza di informazioni e di considerazioni che questo articolo contiene, ci limiteremo alle attente osservazioni che l’autrice rivolge all’opposizione tra process of analyzing a language e description of a language. Nida è cosciente che il prodotto della descrizione di una stessa struttura, elaborato da parte di linguisti diversi, finisce per divergere a causa di scelte molto soggettive, regolate non tanto da differenti posizioni teoriche quanto piuttosto dal gusto estetico individuale. Il linguista descrittivista, quindi, non deve né dar conto delle tendenze evolutive né discutere l’accettabilità sociolinguistica di una certa forma, ma limitarsi a prendere atto delle fluttuazioni delle forme e farle rientrare nel sistema. Nella prima fase del lavoro, 248 Besprechungen - Comptes rendus quella dell’analisi, la variazione deve essere identificata e registrata, ma successivamente nella fase descrittiva, la variazione deve essere ricondotta ad una class e riconosciuta sulla base di precise relazioni individuate tra le varie forme alternanti. Il secondo filone di indagine analizza invece le matrici terminologiche generali. Anna- Maria Bartolotta in: «Generativismo e cognitivismo: teorie grammaticali a confronto» (9- 42), per esempio, discute i metodi di analisi della moderna teoria generativa e il tentativo di reinterpretare la natura e la funzione dei processi di formazione delle categorie linguistiche. Partendo da un esempio concreto la studiosa ci offre una lettura del fenomeno secondo il modello generativo arrivando alla conclusione che il caso da lei esaminato, ossia la natura della duplice sintassi di un verbo del greco antico, è comprensibile soltanto nell’ottica di una prospettiva che, contrariamente ai principi generativi, consideri i fatti linguistici all’interno di un continuum morfologico-sintattico-semantico (27). Gli strumenti della grammatica cognitiva, a differenza di quelli della grammatica generativa permettono di formulare una plausibile ipotesi di spiegazione del fenomeno esaminato. Simonetta Battista dedica il suo contributo a: «I verbi della cultura scritta in antico nordico» (43-60). L’autrice prende in considerazione i verbi della cultura scritta in norreno e i diversi contesti in cui occorrono al fine di trarre alcune considerazioni tra mondo antico e Europa continentale (43). La doppia terminologia per gli ambiti semantici relativi alle attività di lettura e scrittura è segno della coesistenza di due tradizioni di riferimento per l’apprendimento e la diffusione della pratica scrittoria. Attraverso l’analisi semantica dettagliatissima delle occorrenze dei verbi della letteraturizzazione, quali per esempio ríta, skrifa (l’autrice ne analizza molti altri) vengono definite le funzioni linguistiche coperte da ciascun lemma, nonché di contestualizzare la cultura islandese medievale rispetto a quella europea contemporanea, dalla quale essa accoglie sia i mezzi tecnici sia le istanze concettuali, facendole proprie e differenziandole attraverso il filtro della riflessione metalinguistica. Più in ambito cognitivo è da situare il saggio di Margherita Castelli: «Unità discrete e continuum concettuale in linguistica cognitiva» (115-33). L’autrice parte da un dilemma che pervade gran parte del pensiero linguistico del Novecento e si chiede «se la dimensione del continuum sia presente nel mondo esterno al parlante, nella concettualizzazione o nel significato delle espressioni linguistiche» (130). Secondo Castelli la questione trova una soluzione radicale nella prospettiva cognitivistica. «Poiché l’universo sul quale opera il linguaggio è quello percepito e l’universo percepito è il complesso risultato dei processi di percezione e concettualizzazione, il continuum se esiste sarà un continuum cognitivo, di cui è comunque inutile ricercare un eventuale equivalente nel mondo reale» (130). Uno studio centrale sulla linguistica di contatto è costituito senza dubbio dal saggio di Raffaela Bombi dal titolo: «La linguistica del contatto e il suo posto nella Bibliographie Linguistique» (81-95). L’autrice ci fornisce un prezioso contributo e si sofferma su alcuni problemi che emergono dall’ analisi della tassonomia della Bibliographie Linguistique che costituisce uno strumento insostituibile per l’aggiornamento scientifico nei sempre più numerosi settori della ricerca linguistica. Bombi mette in evidenza che la Bibliographie Linguistique disponibile ora on line presso il sito www.kb.nl./ kb/ blonline esclude per esempio dall’area Sociolinguistics and Dialectology «opere di grande spessore teorico e metodologico sulle inferenze linguistiche e che nel repertorio sono collocate in sezioni che non permettono un loro agevole e immediato reperimento» (89). Lo schema classificatorio della Bibliografia è quindi per Bombi non del tutto soddisfacente perché ci si trova in una condizione di notevole disparità tra ricerca e suo recepimento nei repertori. Coloro che si misurano quotidianamente con le tematiche della linguistica di contatto avvertono pertanto l’utilità di una revisione della griglia classificatoria e l’esigenza di una riformulazione delle nozioni e dei relativi tecnicismi. 249 Besprechungen - Comptes rendus Uno studio centrale sul concetto di ‘interlingua’ è costituito dal saggio di Marina Chini dal titolo: «Interlingua (Interlanguage, Interlangue, Lernersprache)» (135-47). La studiosa illustra dapprima l’accezione originaria di interlingua quale è stata proposta all’interno della linguistica applicata alla fine degli anni ‘60, rimandando anche a termini sinonimici concorrenti. Passa quindi a spiegare come si sia sviluppata e approfondita la riflessione scientifica e metalinguistica sul fenomeno interlingua e come il riferimento a nozioni di linguistica generale quali langue/ parole, sistema, compétence, continuum sia stato profiquo per una migliore comprensione del concetto, il cui interesse scientifico permane ancor oggi. Più in ambito metodologico è da situare il saggio di Jean-Marie Comiti «Le Corse: Une langue polynomique en devenir. Aspects méthodologiques d’une recherche» (150-63). Comiti passa in rassegna le varietà linguistiche della lingua corsa postulando la necessità di definirlo ‘langue polynomique’ dal momento che «les Corses ne hiérarchisent pas les différentes variétés corses, que ces dernières ne servent pas de support à une quelconque discrimination sociale et que la vision d’une norme plurielle est bien une réalité» (163). Descrive poi il corpus che ha analizzato per la valutazione, il numero di persone interrogate, la metodologia usata e la valutazione dei locutori. Interessanti osservazioni sul tecnicismo ‘metanalisi’, coniato da Jespersen nel 1914, si trovano nel saggio di Francesco Costantini «Metanalisi: Note terminologiche» (165-86). L’autore mette in evidenza che il termine continua ad essere impiegato, soprattutto in area anglosassone, in competizione con altri tecnicismi: risegmentazione, reinterpretazione e rianalisi per designare processi di carattere morfofonologico, morfologico o sintattico. Il termine metanalisi designa quindi processi di «risegmentazione che possono differire tra loro per cause e tipologia» (185). Il meccanismo per cui, per esempio, diacronicamente da it. ‘la radio’ si ottiene it. pop. ‘l’aradio’ si presenta differente rispetto ad altri casi morfologici trattati dall’autore. Questi conclude che il processo di metanalisi può essere classificato come un fattore di mutamento conservativo, in quanto non determina la scomparsa o la creazione di nuove categorie funzionali. Il saggio di Lucia di Pace: «Aspetti del metalinguaggio della Macro-comparazione: le etichette per le Macro-famiglie» (221-50) offre un’utile griglia per un’introduzione sull’argomento. Dopo aver fatto emergere, con l’esemplificazione del gruppo dene-caucasico, l’opportunità di un’indagine che si concentri sulla coniazione dei termini che indicano le macro-famiglie linguistiche, l’autrice si sofferma sul caso del ‘nostratico’ che identifica l’ipotesi della principale fra le macro-famiglie proposte in questi ultimi anni. L’autrice mette in evidenza però che il termine ‘nostratico’ si riferisce a visioni diverse che vanno dalla semplice unione delle famiglie semitica ed indeuropea a recenti modelli che giungono ad includere anche l’etrusco e il sumerico. Alla nozione inglese di vernacular si interessa Fabiana Fusco nell’importante saggio: «Dalla dimensione dialettologica a quella sociolinguistica: la nozione di vernacular» (299- 313). La studiosa passa in rassegna in maniera acuta e dettagliata le vicende storiche del termine vernacular e le frontiere che esso ha oltrepassato dalla dialettologia alla sociolinguistica grazie anche al ruolo esercitato da William Labov. L’autrice osserva come in aderenza a tale concetto ci sia stato uno spostamento del fuoco dell’attenzione molto importante poiché i vernaculars, interpretati come varietà locali definite dalla coppia dicotomica ufficiale/ non ufficiale vengono interpretati in seguito coi termini standardizzato/ non standardizzato. Il termine rappresenta quindi un caso istruttivo di come matrici terminologiche formalmente identiche possano sviluppare valenze tra loro irriducibili se ispirate a distinti paradigmi teorici. Il saggio di Stefania Giannini «Rappresentazioni linguistiche e concettuali: una rassegna di studi» (315-40) analizza la natura e il funzionamento dei prototipi cognitivi e di quelli linguistici mettendo in evidenza di come la «base fisio-corporea individuale da cui parte 250 Besprechungen - Comptes rendus il contatto col mondo e da cui transitano i processi di categorizzazione garantisca il grado di traducibilità e di comparazione tra un sistema linguistico e l’altro» (330). I processi di categorizzazione procederebbero, quindi, per selezione primaria di differenti posizioni scelte come punti di riferimento spaziali. L’autrice passa qui in rassegna, in una sintesi succinta, le varie definizioni della teoria della categorizzazione e di quella dei prototipi date dai maggiori studiosi di linguistica cognitiva discutendone in maniera approfondita, anche nelle lunghissime note a pie’ di pagina, i pregi e i difetti. Lucia Innocente contribuisce all’opera con: «I termini per distrazione e un presunto antefatto greco» (341-52). Il termine ‘distrazione’ cela secondo l’autrice «una aggrovigliata storia terminologica, che in realtà inizia con la linguistica moderna, ma che, come tutto quanto ha a che fare con Omero, non può non cominciare coi Greci» (350). A Innocente interessa sfatare la credenza che il tecnicismo moderno ‘distrazione’ deriverebbe per calco strutturale dal greco ‘distension’, fenomeno fonetico per cui una vocale lunga prodotto di contrazione appare preceduta da una vocale breve del medesimo timbro. Franco Lorenzi nel saggio: «Introduzione e fortuna della categoria di «Ruolo tematico’ nella linguistica teorica contemporanea» (353-72) ci offre un contributo prezioso atto a spiegare i motivi che hanno portato ad introdurre questa categoria e la sua validità descrittiva ed interpretativa. L’analisi della dimensione semantica dei ruoli tematici, che secondo l’autore possono essere considerati delle costanti extralogiche in aggiunta alle tradizionali costanti rappresentate dai connettivi logici, viene sintetizzata dall’autore in forme logiche che permettono di far riferimento ad eventi denotabili ben precisi. Il titolo che Max Pfister propone per il suo saggio: «La terminologia grammaticale dell’italiano» (509-14) vuole dar conto anche delle strategie redazionali del LEI, il Lessico Etimologico Italiano, che Pfister dirige da trent’anni prima a Marburg ed ora a Saarbrücken. Le espressioni grammaticali che l’autore passa in rassegna nel suo saggio sono nove: ‘accento’, ‘accrescitivo’, ‘aggettivo’, ‘avverbio’, ‘affisso’, ‘articolo’, ‘aspetto’, ‘assimilazione’ e ‘fonema’. Tutte e nove le espressioni sono campioni di terminologia grammaticale e servono da esempio per riassumere le diverse origini che può avere una voce. Una parte del lessico grammaticale, per esempio ‘aggettivo’ o ‘articolo’, risale ai grammatici latini e si attesta nell’italiano antico in forma dotta. Una parte della terminologia, come ‘affisso’ o ‘assimilazione’ è, invece, più complessivamente europea, e entra nell’italiano attraverso forme corrispondenti o prestiti diretti verso altre lingue romanze. Pfister ci ricorda poi che le prime attestazioni dei grammatici italiani sono provvisorie e vengono rideterminate da nuove pubblicazioni. Per indicazioni solide che consentano la ricostruzione della storia della parola sono necessarie indagini approfondite come quella per la voce ‘fonema’. Il saggio di Diego Poli: «Il farsi della lingua nell’Irlanda Medioevale» (515-33) chiude i saggi del secondo filone permettendo di focalizzare l’aspetto ingegneristico della formazione della lingua. La ‘letteraturizzazione’ è secondo l’autore un processo complesso in ragione del quale la tradizione etnica viene ad essere assunta dalla cultura egemone nel laboratorio sperimentale. La descrizione tratteggiata da Poli vuol ricordare anche che l’amanuense, il grammatico, il poeta, ossia il mondo dei dotti, che ripone nei codici il tesoro del suo sapere, ha agito seguendo i dettami di una ricerca che è stata capace di sviluppare le diverse modalità della nuova Europa. A conclusione di questo viaggio attraverso Idee e Parole a cura di Vincenzo Orioles possiamo dire che a volte la molteplicità degli aspetti esposti ci ha indotto a pensare che non avevamo più a che fare con un unico oggetto di ricerca. Lo stesso pensiero deve averlo avuto anche il curatore dell’opera che nella «Presentazione» scrive: «Non credo affatto che ciò sia un limite. In controluce si potranno cogliere le varie predilezioni e la coesistenza di molteplici linguistiche in seno alla scuola glottologica italiana» (7). Ed in effetti numerosi sono 251 Besprechungen - Comptes rendus i lettori potenziali di questo libro. Ad alcuni studi saranno interessati i dialettologi e gli storici, ad altri coloro che seguono la linguistica cognitiva. Mancano tuttavia alcuni settori fondamentali della linguistica quali per esempio la linguistica del testo, mentre altri compaiono più volte. Come mi sembra, tutti i collaboratori a questo volume non hanno ricevuto direttive composizionali e tecniche: alcuni saggi presentano, per esempio, la bibliografia a fine pagina altri nelle note. Alcuni contributi sono privi di conclusione e di note a pie’ di pagina; altri autori discutono una buona parte delle loro teorie nelle note. Molti autori si occupano del tecnicismo anche dal punto di vista storico, altri passano in rassegna il termine nella varie epoche, alcuni si limitano all’analisi nell’opera scelta. Pochi sono i refusi. Ne abbiamo annoverati solo due: ripetizione di vsintattiche’ (p. 171, N12) e ‘lel’ invece di ‘nel’ (p. 450). Nonostante queste mie sottili critiche il libro sotto disamina rappresenta senza ombra di dubbio una ricchissima miniera di dati ed è un grande evento nella storia degli studi sul metalinguaggio. D. Pirazzini H Atlant linguistich dl ladin dolomitich y di dialec vejins, 1 a pert/ Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi, 1 a parte/ Sprachatlas des Dolomitenladinischen und angrenzender Dialekte, 1. Teil. Helga Böhmer, Silvio Gislimberti, Dieter Kattenbusch, Elisabetta Perini, Tino Szekely materialia collegerunt; Irmgard Dautermann, Susanne Heißmann, Ulrike Hofmann, Anna Kozak, Heide Marie Pamminger, Judith Rössler materialia collecta elaboraverunt; Roland Bauer, Edgar Haimerl programmata electronica excogitaverunt; Hans Goebl opus omne curavit. Bd. i-iv Introductio, Mappae 1-884 (xxix + 2 und 884 Doppelseiten); Bd. v Index alphabeticus omnium vocum, quae reperiuntur in ALD-I (x + 823 p.); Bd. vi Index alphabeticus inversus omnium vocum quae reperiuntur in ALD-I (x + 833 p.), Bd. vii Tres indices etymologici omnium mapparum titulorum, qui reperiuntur in ALD-I (x + 177 p.), Wiesbaden (Reichert-Verlag) 1998; Bauer/ Goebl/ Haimerl, CD-ROM 1: CARD, IRS, Atlante sonoro (cartine 1-216); CD-ROM 2-3: Sprechender Sprachatlas/ Atlante linguistico sonoro (cartine 1-438; 439-884), Salzburg (Institut für Romanistik)1999-2000. Der ALD umfasst einen geographischen Raum, der von S-chanf im Engadin im Nordwesten, Iseo im Südwesten, San Donà und Portogruaro im Südosten und Forni Avoltri im Nordosten reicht; im Norden ist die Abgrenzung durch das deutschsprachige Südtirol oder Österreich gegeben. Er erstreckt sich somit über verschiedene Sprachregionen: Das Ober- und Unterengadinische, die östliche Lombardei, das ganze Trentino, das Dolomitenladinische, das mittlere und nördliche Veneto und das Westfriaul. Effektiv sind nur 21 von 217 «genuin dolomitenladinische Messpunkte» (i, viii; PP 81-101), also knapp 10 %. Es handelt sich also, wie zu Recht in der Einleitung hervorgehoben wird (i, vii), um einen Interregionalatlas, der sich besonders für komparatistische Zwecke des behandelten Gebiets eignet. Dieses Gebiet wird auch durch andere Atlanten ganz (AIS), grösstenteils (Atlante linguistico italiano, ALI; ohne das bündnerische Gebiet) oder teilweise (Atlante storico-linguistico-etnografico del friulano, ASLEF) abgedeckt. Allerdings ist die Netzwerkdichte des ALD dreibis viermal grösser als diejenige der beiden erstgenannten Atlanten (cf. i, xiii). Eine Konkordanz der Messpunkte des ALD und dieser Atlanten findet sich allerdings nirgends; eine Kontrolle mit den Messpunkten des AIS ergab 26 gemeinsame Messpunkte, was etwa der Hälfte der Messpunkte des AIS für dieses Gebiet entspricht. Gemeinsame Messpunkte mit dem ALI habe ich 37 gezählt, doch werden in der entsprechenden Karte des ALI nicht alle Messpunkte namentlich aufgeführt. Hingegen wird im ALD im Kar-
