eJournals Vox Romanica 62/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2003
621 Kristol De Stefani

Paolo Gresti, Il trovatore Uc Brunenc. Edizione critica con commento, glossario e rimario, Tübingen (Niemeyer) 2001, xlviii + 150 p. (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie 309)

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2003
P.  Allegretti
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323 Besprechungen - Comptes rendus I due Repertori, entrambi organizzati per ordine alfabetico, sono di agile consultazione, e danno al lettore tutte le informazioni desiderate: il che è qualità primaria per un’opera che, come osserva Anna Ferrari nella Premessa, ha una «primaria funzione di consultazione» (vii). Nelle schede del Repertorio per trovatori sarebbe forse stato opportuno inserire i rinvii alle schede del Repertorio per manoscritti, visto che non sono trascritti gli incipit dei componimenti, ma solo il riferimento al numero della BdT: il che ostacola non di poco il reperimento del testo che si sta cercando. D’altra parte, anche nel Repertorio per manoscritti avrei aggiunto, accanto al numero progressivo di ogni scheda, il rinvio, magari in corpo minore, alle altre schede «gemelle», per facilitarne la ricerca. I sondaggi effettuati, abbastanza numerosi, hanno permesso di constatare l’elevata precisione in un lavoro nel quale, dato il cospicuo numero delle schede inventariate (1005 per ognuna delle due parti del Repertorio), la presenza di alcuni errori sarebbe comunque da considerare fisiologica; dal Repertorio per manoscritti segnalo un paio di inesattezze. Le schede 34 e 901, che si riferiscono a Aquest terminis clars e gens di Guiraut de Bornelh (BdT 242.12), non sono complete: in 34 manca il ms. Q nell’intestazione della scheda, mentre il ms. O manca sia nella colonna di sinistra di 34, sia nella colonna di destra di 901, pur essendo presente nell’intestazione della prima scheda; e infatti, secondo la testimonianza della BdT (ma cf. anche la recente edizione a cura di R. V. Sharman, Cambridge 1989: 104) il ms. O non trasmette questa lirica. Si aggiunga che questa canzone è trasmessa anche dal ms. Sg (f. 66v°-67r°), che però non compare in nessuna delle due fiches del Repertorio di Pulsoni (ma la mancanza è spiegabile: il ms. in questione è fantasma sia nella scheda della BdT, sia nelle edizioni del trovatore). Il secondo caso è analogo: nella colonna di destra della scheda 429 (Anc mais nuls hom no fon apodertaz di Pistoleta, BdT 372.2) manca la menzione del ms. G, nel quale il testo figura anonimo; il codice risulta invece correttamente nell’altra scheda relativa al componimento, la 300. P. Gresti H Paolo Gresti, Il trovatore Uc Brunenc. Edizione critica con commento, glossario e rimario, Tübingen (Niemeyer) 2001, xlviii + 150 p. (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie 309) L’edizione critica che qui si recensisce è costruita nel modo seguente: Bibliografia (ix-xxiv), Introduzione che si articola in 1. Notizie biografiche (xxv-xxxiii), 2. Metrica (xxxiii-xl), 3. La tradizione manoscritta (xl-xlviii), e canzoni di cui si presentano partitamente la tradizione (manoscritti, edizioni, schema metrico, ordine delle strofe, esame dei luoghi critici), il testo e il commento: i Ab plazer receup et acuoill (BdT 405,1: 3-23), ii Ara.m nafront li sospir (BdT 405,2: 24-40), iii Coindas razos e novellas plazens (BdT 405,3: 41-55) la cui melodia è riportata nel paragrafo Canzone III . Melodia (130-31), iv Cortesamen mou en mon cor mesclanza (BdT 405,4: 56-77), v Puois l’adrechs temps ven chantan e rizen (BdT 405,7: 78-104), vi Lanquan son li rozier vermeil (BdT 405,6: 105-22). Seguono Appendice: Planh di Daude de Pradas per la morte di Uc Brunenc Ben deu esser solatz marritz (BdT 124,4) (123-29), Rimario (132-35), Index verborum (136-47), Indice degli autori antichi citati nel commento (148-50). Ex professo l’editore affronta il problema della sequenza delle canzoni in un paragrafo intitolato «L’ordine delle canzoni» (§3.2: xliv-xlvi). Se « . . . non sembra agevole stabilire, sulla base della tradizione manoscritta e del contenuto, quale potesse essere l’ordine del canzoniere di Uc in origine, ammesso che l’autore lo abbia in qualche modo voluto organizzare.» (xliv), dove si ammira, come altrove in questo lavoro, la ragionevolissima prudenza, non si dichiara però esplicitamente che l’ordine adottato nell’edizione è di tipo «cro- 324 Besprechungen - Comptes rendus nologico» e non coincide con quello di nessun testimone, mentre quello di Appel, Bartsch (e BdT) è invece, con astrazione di pari valore, alfabetico. Compromissoria è la collocazione terminale della canzone vi sulla base dei versi «Car si tot no son mei cabeil / de gai semblan ni d’orgoillos» (v. 9s. ‘Perché, sebbene i miei capelli non siano d’aspetto piacevole e ben pettinati’: 111), infatti, anche « . . . se resta il dubbio, in realtà, che si debbano caricare quei versi di un reale significato cronologico.» (xlv) e non invece moralistico, come dimostra convincentemente l’editore (119), si sceglie di lasciare « . . . la canzone in chiusura del corpus solo perché in questo senso sembra deporre la tradizione manoscritta.» (xlv N). Il compromesso tra elementi del dettato e dato paratestuale della tradizione sia pure il benvenuto (con tutti i paralogismi sottaciuti, ad esempio: che quello dell’autore sia un ordine cronologico, che i testi a coppie in più testimoni rispecchino tale sequenza), ma il caso merita un’osservazione più ravvicinata. I canzonieri che chiudono con vi Lanquan son li rozier vermeil sono IKCRGQ; IKC come ultimo testo di un corpus di sei, RGQ di cinque canzoni. Non c’è tale consenso per il testo di apertura, fatto che dimostrerebbe l’indipendenza reciproca di questa testimonianza che diventa maggioritaria e preferibile rispetto alla collocazione terminale che gli altri canzonieri accordano, via via, a ciascuno dei sei testi ritenuti autentici. In particolare, GQ(ADHTF a ) aprono con iv Cortesamen mou en mon cor mesclanza; IK(NSJ) con ii Ara.m nafront li sospir (cf. «Quand Amors venc assaillir / mon cor al comensamen,» v. 9s.); C 1 con i Ab plazer receup et acuoill (dove però CR perdono, con M che addirittura omette, ai v. 15s., la menzione di Partenopeu de Blois, elemento di datazione, almeno come terminus post quem, della lirica cf. xxvi); R(a 1 UD c ) con iii Coindas razos e novellas plazens (cf. «digam oimais et aiam bel solatz» v. 2). L’ordine strofico interno della canzone i è in C differente da quello adottato dall’editore (sulla base di ADIKNH1, cf. 8). In questo manoscritto emergono nella strofa posta in seconda posizione i versi «[Amors] pren los us e.ls autres destreing, / e cui que.l platz met en son fuoill. / Mas qui non lig so so qu’il escriu / pauc sap de l’amorosa lei» (v. 35-38) e in quella in terza «Eu sui cel que celar mi vuelh / qu’oblit so c’alz autres enseing» (v. 25s.), immagini che ci sembrano assai rilevanti: Amore che sceglie gli uni e tormenta altri e scrive in un foglio [i nomi] dei suoi diletti (per cui bisognerà ricordare il libro dell’Agnello di Apocalisse), quella dell’amante che legge le regole amorose (l’ovidiano «doctus amet»), e quella del poeta che possiede la scienza a proprio danno («video meliora proboque, deteriora sequor», che nella canzone v vale per la decadenza generale, cf. «Mas quecs apren so que degra oblidar / et oblida so que degra saber / e leva sus so que degra cazer / e baissa jos so que feira a levar» v. 13-16, ‘E invece ognuno impara ciò che dovrebbe dimenticare e dimentica ciò che dovrebbe sapere, e innalza ciò che dovrebbe cadere e deprime ciò che si dovrebbe elevare’: 89). Se si tratta di una scelta dell’ordinatore di C, la collocazione incipitaria (di questo tipo) della canzone i risponde ad un’esemplarità ricercata come nel caso della canzone iv, proposta invece dai manoscritti di cui sopra. Resta che l’editore è costretto ad accettare questa testimonianza solo in parte: la posizione nel corpus, ma non la sequenza strofica. Ordinamento dei testi e sequenza strofica interna sono infatti i due parametri variabili della trasmissione manoscritta occitanica che ancora attendono, per lo meno, una quantificazione generale e comparativa. Merita poi soffermarsi sul caso della «mescidanza di strofe differenti» (xli). Tale è la dicitura adoperata nella descrizione della tradizione manoscritta di iv Cortesamen mou en mon cor mesclanza e riguarda un tipo di variabilità noto anche in altri casi. Si tratta di strofi costruite con versi che per la maggioranza della testimonianza appartengono a strofi autonome e complete per proprio conto. Tale fenomeno è descrivibile con un sistema numerico, chiaro in apparenza, ma complicato dal fatto di dipendere da un sistema di paragone interno, stabi- 1 E non R, come invece sembrerebbe dal prospetto di pagina xliv. R infatti attribuisce tale canzone ad Arnaut Daniel, in una sezione del codice differente da quella dove antologizza Uc Brunenc. 325 Besprechungen - Comptes rendus lito in relazione a una scelta editoriale pregiudiziale che privilegia quasi sempre la descrizione di una contrazione del materiale derivante da due (o più) strofi rispetto alla descrizione opposta, pure possibile, di un ampliamento, in strofi distinte, di versi derivanti da una sola strofa. Nella canzone iv Cortesamen risulta così che tre testimoni hanno «strofi mescidate»: R 1 2 4 7 [3 1-4 + 5 5-7 + 6 8 ]; C 1 2 3 4 [6 1-4 + 5 5-8 ] 7 e O [3 5-8 ] 4 [6 1-4 + 5 5-8 ] 7.Anche nella canzone vi Lanquan il testimone T ha la seguente consistenza strofica 1 2 3 4 [5 1-5 + 6 6-8 ] (105). Che cosa bisogna pensare di queste figure che, stante questa descrizione numerica, parrebbero definibili come redazioni minores della canzone? Si tratta di accorciamenti che non hanno voluto sacrificare la memorabilità di alcuni versi in clausola, come per iv il v. 48 (= 6 8 ) «c’amors non viu mas de gaugz e de bes», oppure il v. 40 (= 5 8 ) «que mil maltraiz d’amor pladeia us bes»? Sono collocabili a livello autoriale o invece recensionale? Nel secondo caso, è forse rilevante che le canzoni che hanno subito tale trattamento (di regola sono le più famose) abbiano, altrove, posizione liminare? Si segnala che nella canzone vi Lanquan,T presenta una lezione singularis nel punto di sutura 5 1-5 +6 6-8 : «e cui valor si desvia / mostran brui e fellonia» (v. 46s. = 6 6 ) contro «e qi vas lor se desvia / mostron greug e fellonia» (‘e se uno si smarrisce dalle loro [dei ricchi ai quali appartengono i castelli merlati] parti, lo vessano ignominiosamente’: 115), lezione semanticamente affine a un verso della canzone v Puois l’adrechs temps che precede nel manoscritto, i v. 25s. «Enaissi ant atrastornat joven / e gaug e pretz [pretz e nom QT] e valor e boban» (‘Così hanno stravolto il joven e il gaudio, il pregio, il valore e la magnanimità’: 91). Comunque sia, due aspetti tecnici si trovano in queste canzoni di Uc Brunenc e ricorrono anche nelle strofi ‘mescidate’ delle canzoni di Jaufre Rudel (che, con le canzoni Lanquan li iorn son lonc en mai BdT 262,2 e No sap chantar qui.l so no di BdT 262,3 è il primo paragone che si potrebbe ricordare per questo fenomeno): l’apertura e la ricomposizione della strofa secondo la struttura metrica fronte + sirima, e la confezione dei versi posti sui punti di sutura con materiale (semanticamente) analogo a quello di altri testi del trovatore. Sarebbe interessante stilare il regesto dei testimoni di strofi mescidate, e forse parlare di una terza forma di trasmissione dei testi accanto alle due canoniche di testo antologizzato nella sua interezza e testo sottoposto alla selezione strofica dei florilegi (che prevede, come è noto, il prelievo dell’incipit e delle sole strofi scelte). Il v. 25 di Cortesamen è uno di quei luoghi nei quali si ammira l’articolata riflessione dell’editore (57s.), e che si può trascegliere, da ultimo, per misurare l’esemplare portata critica e didattica del lavoro. Le varianti dei testimoni sono le seguenti: «Mas dompna [madompna + 1 T] sap far joi [sap joi far AJ] semblar pezansa» ANTJ, «Midons sap far de joy semblar [parer O] pezansa» CO, «Dona sap far son joy semblar pesanza» R e «Mas madompna sap far joi e pesanza» DD c GHIKMQSUa 1 , che viene accolta a testo (‘Ma madonna sa fare gioia e tristezza’: 66). Ecco l’essenziale della disamina: La presenza o meno nel verso del verbo semblar ha provocato vari adattamenti, intesi a rispettare la misura sillabica (T, con la sua ipermetria, potrebbe rappresentare il punto di partenza, la lezione erronea che ha provocato la diffrazione). Se da una parte, dunque, si elimina semblar a favore di madomna e del mas iniziale, dall’altra si conserva semblar (e mas) ma amputando madomna domna (ANJ), oppure si elimina mas, sostituendo madomna con midons (CO) o con dona (R), ed inserendo de (CO) oppure son (R) davanti a ioi. Non si può parlare con perentorietà di lezioni inferiori e superiori, però l’uso di dompna al posto di madompna al di fuori di una allocuzione diretta alla dama sembra piuttosto inusuale (si veda, per un catalogo assai succinto, Cropp 1975, 453). Quanto a mas, la sua presenza sembrerebbe segnare bene il passaggio dalla strofe precedente, ma tutto sommato si tratta di un elemento non propriamente indispensabile, e potrebbe trattarsi di errore di ripetizione e d’anticipo insieme: ripetizione dall’incipit della strofe che precede [«Mas a mi», v. 17 che precede il v. 25 tranne che in ROD c J], anticipo dal v. 29, che si apre con la medesima congiunzione [«Mas si be.m vol, en breu temps paregues»]. La lezione della maggioranza dei testimoni ci pare, d’altra parte, insoddisfacente, perché semblar è difficilmente sopprimibile in questo contesto senza provocare un deperimento contenutistico: il poeta 326 Besprechungen - Comptes rendus qui insiste molto su questa sfera semantica, cf. v. 27 semblan [«e puois semblan cortes ab son dolz rire»] e v. 28 semblanza (in rima) [«per qu’eu non sai cor jutgar a semblanza»]. La soluzione sembrerebbe a portata di mano, troppo facile, in verità, per essere vera, e ci limiteremo a suggerirla qui, senza cedere all’avventatezza di proporla a testo: «Madompna sap far ioi semblar pesanza». Un’altra soluzione [. . .] che potremmo prospettare per il nostro verso è «Mas madomna fa ioi semblar pesanza»: ma in questo caso sap non può essere eliminato perché regge anche il gandir del verso successivo [v. 26 «e son voler gandir et escondire»]. (58). Fin qui l’editore. Ci sia consentito di ampliare l’argomentazione. Indecidibilità della variante: si tratta veramente di varianti adiafore, solo perché entrambe corrette dal punto di vista grammaticale? Nella strofa seconda in tutti i testimoni, si descrive il modo in cui Amore vince e domina completamente coloro che sceglie, sottoponendoli a un terribile martirio: «que la dolor vol que si’ alegranza» (v. 12, senza varianti, ‘perché vuole che il dolore si converta in allegria’: 64). Dunque, da un punto di vista semantico sono preferibili alla lezione a testo (‘Ma madonna sa fare gioia e tristezza’: 66, cf. Petrarca, Rvf 112) le due soluzioni alternative che propongono una conformità tra la volontà di Amore e l’attitudine di madonna. E non sarebbe avventato propendere per la prima lezione, oltretutto attestata anche fuori di T, perché l’oscillazione *«Madompna» «Mas dompna» («Mas madompna» + 1, «Domna . . . son», «Midons . . . de») può configurarsi come un banale problema di distinctio / coupure de mots in presenza, per di più, di una «M» iniziale strofica (e quindi maiuscola, oppure rubricata o ritoccata in altro colore, oppure circondata da un segno di paragrafo, oppure di corpo diverso, cioè su due righe, oppure fuori dello specchio della pagina). Anche al verso seguente «e son voler gandir et escondire» (v. 26 ‘e sa rendere sfuggevole e nascondere la sua volontà’: 66), non è del tutto certo che le varianti «gandir» DD c GHMQR- Sa 1 , «gardir» O, «cobrir» AN, «celar» CIJKTU, si limitino a « . . . un alto grado di sinonimicità reciproca, dunque facilmente, e tutto sommato legittimamente, interscambiabili; a sua volta, il verbo prescelto andrà a costituire una coppia sinonimica con l’escondire che chiude il verso.» (58). La sinonimicità della clausola potrebbe invece derivare da un’antinomia iniziale, dalla descrizione di un comportamento contradditorio che afferma e nega, manifesta e elude, nasconde («Et così aven che l’animo ciascuna / sua passïon sotto ’l contrario manto / ricopre co la vista or chiara or bruna: » Petrarca, Rvf 102, v. 9-11). Infine, una riflessione ultima. La canzone di Uc Brunenc che i canzonieri ADHGQTF a scelgono per aprire la silloge dei testi del trovatore di Rodez è Cortesamen mou en mon cor mesclanza (iv BdT 405,4): Cortesamen mou en mon cor mesclanza que.m fai tornar en l’amoros desire; joi me promet et aporta.m consire, qe enaissi.m sap ferir de sa lanza Amors, qi es uns esperitz cortes qui no.s laissa vezer mas per semblanz, que d’oill en oill saill e fai sos dolz lanz, e d’oillz en cor et de coratg’ en pes. 2 Nella prima strofa troviamo elencata la topica dell’Amore «esperitz cortes» (v. 5): il luogo d’Amore «en mon cor» (v. 1); la sua operazione mortale «mesclanza» (v. 1), che può valere anche per «lo strazio» (Petrarca, Rvf. 2 v. 13), e contraddittoria «joi me promet e aporta.m 2 Questa la traduzione della prima strofa fornita dall’editore: «Cortesemente divampa nel mio cuore una disputa che mi fa ricadere nel desiderio amoroso; mi promette gioia e mi porta affanno, poiché in questo modo mi sa ferire con la sua lancia Amore, che è uno spirito cortese che non si lascia vedere se non in apparenza, che salta d’occhio in occhio e scaglia i suoi dolci dardi, e dagli occhi [salta] nel cuore e dal cuore nella mente.» (63). 327 Besprechungen - Comptes rendus consire» (v. 3), ancora dichiarata da Petrarca che altrove la vanifica con il gioco ossimorico su dolce-amaro: «fra le vane speranze e ’l van dolore» (Petrarca, Rvf. 1 v. 6); il duplice bersaglio della sua percossa «que d’oill en oill saill e fai sos dolz lanz, / e d’oillz en cor et de coratg’en pes» (v. 7s., e cf., in disposizione chiastica, «tro sia.l cor ab los oillz acordanz / c’als oillz sembles c’al coratge plagues», v. 23s.), cioè il percorso fisso occhi-cuore che si legge in «per far ivi [nel cor] et negli occhi sue difese, / quando ’l colpo mortal là giù discese» (Petrarca, Rvf. 2, v. 6s.), che è delineato con ineluttabilità preposizionale, memorabile nel sistema «Di pensier in pensier, di monte in monte» (Petrarca, Rvf. 129 v. 1). Accanto ad un ritratto che, come ci è sembrato giusto sottolineare qui, è ancora riconoscibile, con opportuni contemperamenti, proprio ad apertura del Canzoniere di Petrarca («ove sia chi per prova intenda amore» Petrarca, Rvf. 1 v. 7), si noti pure la comparsa, invece esclusivamente duecentesca, della «lanza» come arma di Amore. Al v. 4, «qe enaissi.m sap ferir de sa lanza», l’editore ricorda Gaucelm Faidit «qe.m nafret gen al cor, ses colp de lanssa», Albertet «que.l dieus d’amor m’a nafrat de sa lansa» e Folquet de Marselha «e.l dieus d’amor a.m nafrat de tal lansa» (72). Tale arma inusitata e enorme però si spiega con un paragone adoperato da Bernart de Ventadorn sulla scorta dell’ovidiano «vulneris auxilium Pelias hasta tulit» (Ovidio, Remedia amoris v. 48, cf. D. Scheludko, «Ovid und die Trobadors», ZRPh. 54 (1943): 129-74 p. 141s.). La lancia di Peleo, che ha la proprietà di ferire e anche quella di risanare l’immedicabile ferita, ed è l’unico possibile rimedio della piaga che apre, «così od’ io che soleva la lancia / d’Achille e del suo padre esser cagione / prima di trista e poi di buona mancia» (Dante Alighieri, Inferno 31 v. 4-6), nella tradizione lirica successiva non sarà più messa in mano a Amore e l’«Achilleo . . . more» (Ovidio, Tristia I v. 100) sarà proprietà diretta della «lingua» (Dante), ovvero degli «occhi» (cf., ad abundantiam, Petrarca, Rvf.). In questa stessa strofa si noti poi ancora il verso «qui no.s laissa vezer mas per semblanz,» (v. 6) che l’editore non traduce bene, a mio parere, con l’espressione equivoca, e non ulteriormente chiarita, «non si lascia vedere se non in apparenza» (63, cf. l’errore in rima di GQTUa 1 «per semblanza»: 60). Il problema della consistenza immateriale di Amore, che genera una ben nota accademia in tenzoni nella lirica duecentesca in lingua di sì (almeno fino al Cavalcanti), è qui risolto con la formula paolina sull’esperienza delle realtà spirituali «nunc videmus per speculum in enigmate», all’origine dell’impostazione analogica della conoscenza 3 .Tanta autorità, o medietà, magistrale è riconosciuta a Uc Brunenc già nel planh di un contemporaneo, Daude de Pradas: «Amors, morta es vostra crida / que ditz que vos etz esperitz / cortes, e ver dizia» (BdT 124,4 v.11-13: 125), e, appunto, da alcuni canzonieri antichi che la sottolineano anche con elementi paratestuali: collocazione e decorazione. Nel canzoniere A (Roma, B.A.V., lat. 5232) la lettera incipitaria di Cortesamen è decorata con la miniatura che « . . . raffigura, come si legge nella didascalia, ‘j. maistro in carega’: questa onoreficenza spetta solo, per quanto riguarda almeno il ms. in questione, nientemeno che al ‹maestre dels trobadors›, Guiraut de Bornelh.» (xli N). P. Allegretti H 3 Per l’ispirazione scritturale (e la vida provenzale annota che «fo clerges et enparet ben letras»: xxviii) si confrontino almeno i seguenti luoghi: «Qui gaug semena, plazer cuoill» (canz. i v. 9), «Al fol fai cujar follatge / et al nesci nesïes, / et al entenden apres / eing ab bels digz son pessatge» (canz. ii v. 37-40), «Lo cor avetz e.l poders vos es datz: / si no.i vedetz mentre.l lums es ardens, / gardatz vos i, qe.l temps es tenebros / e no.i veiretz pois qe.l lums er rescos» (canz. iii v. 15-18), «c’Amor no venz menaza ni bobanz, / mas gens servirs e precs e bona fes» (canz. iv v. 15s.), «E puois no.m part de sa bona esperanza» (canz. iv v. 33), «qe cor non pot pensar ni boca dire / l’amor qe.ill teing e la gran amistanza» (canz. iv v. 35s.).