Vox Romanica
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2004
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Kristol De StefaniAspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice italiano-dialetto: un’indagine a Torino
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2004
Massimo Cerruti
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Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice italiano-dialetto: un’indagine a Torino 1. Introduzione L’attenzione e l’interesse dei linguisti per il discorso bilingue e per i fenomeni di plurilinguismo e contatto linguistico sono cresciuti in maniera esponenziale nel corso degli ultimi due decenni, conducendo non solo ad un consistente accumulo di descrizioni empiriche ed ipotesi interpretative, ma anche all’elaborazione di tipologie e proposte teoriche tese a classificare e dare spiegazione della svariata casistica concernente la mescolanza fra sistemi linguistici ed il comportamento delle varietà in contatto (cf. Berruto 2001: 263). Un ruolo di primo piano, nel contesto di tale fervore di ricerche e pubblicazioni, hanno dunque assunto gli studi sulla commutazione di codice, diventando per molti aspetti uno dei temi centrali del dibattito scientifico internazionale sul bilinguismo (cf. Milroy/ Muysken 1995: 1-10). Gli interessi e i percorsi di ricerca che ruotano attorno ai fenomeni di code switching sono, com’è noto, fortemente eterogenei e spaziano dalle componenti socio-pragmatiche e dal valore interazionale della commutazione di codice alle restrizioni grammaticali e alla struttura morfosintattica delle produzioni bilingui (cf. Myers-Scotton 2002: 10-11 e 44-45). Il presente contributo si pone chiaramente in una prospettiva pragmatico-funzionale, avendo come interesse principale quello di fornire ulteriori esempi del ruolo svolto dal code switching nella realizzazione di particolari strategie discorsive e nella costruzione del significato sociale di un’interazione verbale. Si seguirà, per lo più a fini espositivi e in maniera del tutto flessibile, il tipo di approccio proposto da Auer (in Auer 1995 e 1998), a cui si riconduce tra l’altro una serie di lavori anche in ambito italo-romanzo (si veda, in particolare, Alfonzetti 1992a), fondato sulla dicotomia tra commutazione di codice connessa ai partecipanti e commutazione di codice connessa al discorso. L’esame delle interazioni riportate in trascrizione 1 fornirà poi, attraverso l’analisi dei valori funzionali attribuiti al discorso bilingue, alcuni spunti di riflessione in merito a temi quali la reversibilità della direzione del cambio di codice (e le conseguenti implicazioni circa la maggiore o minore appropriatezza di varietà di lingua specifiche a determinati topics 1 È sembrato sufficiente, vista l’assenza di finalità fonetiche, adottare una trascrizione semplificata delle produzioni dialettali, seguendo il più possibile le norme ortografiche dell’italiano standard. Per ogni conversazione è poi riportata in nota (preceduta dalla sigla Trad.: ) la traduzione in italiano degli interventi in dialetto. Per una descrizione completa dei criteri per il trattamento delle interazioni trascritte si rimanda comunque al termine del presente contributo. 95 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice o intenzioni espressive), i meccanismi che guidano le scelte di lingua e i criteri adottati per l’interpretazione delle scelte stesse. Nei lavori italiani relativi alla situazione italo-romanza i fenomeni di commutazione di codice sono generalmente studiati in funzione del contributo che portano all’indagine dei rapporti sociolinguistici tra dialetto e lingua nazionale (cf. Berruto in stampa). Si farà spesso anche qui riferimento alla situazione sociolinguistica della comunità parlante in oggetto, ma ci si limiterà per lo più a qualche accenno, rimandando per gli eventuali approfondimenti, ove necessario, a Cerruti 2003. Il presente lavoro può infatti considerarsi una sorta di integrazione di quest’ultimo, in quanto entrambi poggiano sul medesimo corpus di parlato spontaneo 2 e prendono le mosse da un unico rilevamento 3 . È doveroso a questo punto fare un’ultima precisazione, questa volta di carattere terminologico, prima di iniziare l’analisi. Se da una parte, infatti, sussiste un completo accordo in merito alla «sostanza» dei fenomeni linguistici etichettati come code switching, generalmente definiti come «the juxtaposition within the same speech exchange of passages of speech belonging to two different grammatical systems or subsystems» (Gumperz 1982: 59) o, in maniera ancor più sintetica, «the alternative use by bilinguals of two or more languages in the same conversation» (Milroy/ Muysken 1995: 7), dall’altra si confrontano opinioni contrastanti in merito alla pertinenza della distinzione tra commutazione di codice interfrasale e intrafrasale. A fronte di posizioni favorevoli all’impiego di cover terms entro i quali far confluire le due diverse accezioni (cf. Myers-Scotton 1998a: 106-07), pare qui ragionevole, invece, mantenere la distinzione tra code switching (o commutazione di codice) e code mixing (o enunciazione mistilingue). Questo in ragione sia delle peculiarità di una situazione di lingua cum dialectis del tipo italiano, sia del valore pragmatico-funzionale veicolato (in genere) dal primo termine e non dal secondo (cf. Berruto 1985: 59 e 2001: 267). 2. Code switching connesso ai partecipanti Gli episodi di commutazione di codice a cui pertengono i casi di code switching connesso ai partecipanti interessano in primo luogo «il problema interazionale di effettuare e negoziare una scelta linguistica che, oltre a tener conto di criteri di adeguatezza situazionale, contemperi le esigenze di tutti i partecipanti» (Alfonzetti 1992a: 36). Un ruolo fondamentale viene dunque ad esercitare il sistema delle 2 Circa undici ore di registrazioni condotte a microfono nascosto in un quartiere di Torino, il borgo Vanchiglietta. 3 La ricerca condotta per la mia tesi di laurea (della quale il presente contributo vuole essere un completamento, approfondendo alcuni spunti di riflessione e proponendone di nuovi). La tesi, dal titolo Il ruolo del dialetto nel tessuto sociolinguistico urbano. Indagine in un quartiere di Torino, svolta sotto la direzione del prof. G. Berruto, è stata discussa all’Università di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, nella sessione straordinaria dell’anno accademico 2001/ 02. 96 Massimo Cerruti preferenze del singolo individuo in relazione alla condotta linguistica dei propri interlocutori e a specifiche strategie conversazionali interpersonali, inteso non tanto in riferimento alla particolare disposizione psicologica e alle competenze linguistiche del parlante, «but rather in the more technical, conversation-analytic sense of an interactionally visible structure» (Auer 1995: 125). Rientrano pertanto all’interno della categoria di code switching connesso ai partecipanti, in linea generale, tutti quei casi di commutazione di codice in cui il passaggio da una varietà di lingua ad un’altra sia motivato da ragioni di preferenza linguistica, dal grado di competenza di un codice, e da strategie di convergenza e divergenza interpersonale. 2.1 Ragioni di preferenza e strategie di convergenza/ divergenza Stando alle conversazioni che compongono il nostro corpus di parlato spontaneo, è possibile verificare l’occorrenza di due tipi differenti di scelta di lingua e di commutazione di codice legate a motivi di preferenza: da una parte il passaggio da una varietà ad un’altra realizzato tra turni di parlanti diversi 4 , in ragione di «divergent language choices, in which each one uses his or her own preferred code» (Alfonzetti 1998: 185), e dall’altra i fenomeni di code switching vero e proprio verificatisi nelle produzioni verbali di uno stesso parlante, sia all’interno di un unico turno che tra turni successivi. Si consideri, in proposito, la seguente interazione tra due interlocutori legati da rapporti di natura familiare: [1] 5 1 M58: tutto bene te, cosa fai? . . . sempre . . . 2 F29: sì, tutto bene . . . 3 M58: t a stüdi sampi . . . anche ti 4 F29: eh, guarda, questo . . . questo semestre è stato un continuo, perché c’ho fatto tutti gli esoneri 5 M58: ah, ecco . . . 6 F29: cioè adesso devo iniziare la sessione esami ma . . . non è ancora finita quella prima . . . 7 M58: eh già, eh già, ades a giügn pø, a giügn pø . . . 8 F29: sì, poi quest’anno iniziano prima . . . è già dall’ultima settimana di maggio . . . sì però comunque non ho ancora interrotto gli esami, quindi . . . è semplicemente un continuare . . . 9 M58: eh . . . ah è düra co par vuia c , varda . . . 10 F29: e va bè, ma a me va bene che/ se va . . . tutto bene non ho esami a settembre . . . 11 M58: a ba . . . 4 L’alternanza di varietà di lingua tra turni di parlanti diversi può essere solo impropriamente considerata commutazione di codice; si è tuttavia deciso di tenere in considerazione tale fenomeno in base al significato interazionale della divergenza nella scelta del codice. 5 Trad.: «3 (M58): studi sempre . . . anche tu | 7 (M58): adesso a giugno poi, a giugno poi | 9 (M58): è dura anche per voialtri, guarda | 11 (M58): a bè | 15 (M58): li dai adesso . . . e bè, bene, bene». 97 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice 12 F29: faccio poi un mese in più . . . 13 M58: sì, se te li togli prima . . . 14 F29: avendone dato già metà ad aprile . . . 15 M58: avendone dato metà ad aprile . . . sei già/ ah ecco . . . già, t i dai ades . . . e ba , ba , ba La dimensione informale, rilassata, dello scambio verbale ed i rapporti familiari tra gli interlocutori paiono stimolare comportamenti linguistici di carattere preferenziale, favorendo l’impiego congiunto di italiano e dialetto all’interno della conversazione. Si segnalano infatti, oltre alle alternanze italiano-dialetto tra turni di partecipanti diversi (es. turni 2, 3 e 4 6 ), frequenti interventi in commutazione di codice, sia all’interno dei singoli contributi di uno stesso parlante (t15) che tra turni successivi del medesimo interlocutore (es. t1 in italiano, t3 in dialetto e t5 nuovamente in italiano). I contributi dialettali di M58 non paiono dunque imputabili né a motivazioni riguardanti la migliore conoscenza di uno dei due codici, né a particolari intenzioni espressive, quanto, piuttosto, a ragioni di preferenza legate al ruolo di lingua materna esercitato dal dialetto, al grado di rilassatezza e confidenzialità della situazione e ad abitudini comportamentali (linguistiche) intrafamiliari. La condotta linguistica di entrambi i parlanti dimostra dunque di osservare e mantenere, nel corso dell’intero scambio verbale, scelte di lingua preferenziali parzialmente divergenti, ad eccezione di isolati momenti di convergenza in occasione di turni strettamente legati tra di loro dall’azione di coppie adiacenti (t1 e t2), joint productions (t12 e t13) o ripetizioni (t14 e t15). All’utilizzo esclusivo della lingua nazionale da parte di F29 corrispondono, infatti, gli estesi e pressoché generalizzati interventi dialettali di M58. La pressione all’accomodazione, operante in particolar modo nei confronti delle produzioni dialettali dell’interlocutore adulto, non pare in grado di stimolare un’efficace spinta all’adeguamento né da parte di M58 né, tanto meno, da parte di F29. D’altro canto, le differenze generazionali nelle consuetudini comunicative e nelle preferenze linguistiche dei parlanti non favoriscono il raggiungimento di un accordo che preveda l’adozione del dialetto quale linguaggio comune per l’interazione, dal momento che una convergenza di questo tipo presupporrebbe un accantonamento dell’italiano da parte della partecipante più giovane, difficilmente ipotizzabile visti gli atteggiamenti linguistici tipici dei membri di questa classe d’età. Tali scelte divergenti, d’altra parte, apparentemente in contrasto con la negoziazione del buon andamento dello scambio verbale, dimostrano di non costituire affatto fonte di tensione per gli interlocutori, in quanto il carattere confidenziale dell’episodio di discorso ed i rapporti familiari che legano F29 e M28 contribuiscono in maniera decisiva alla definizione della comunicazione asimmetrica quale scelta non marcata (cf. Alfonzetti 1992b: 177 e Myers-Scotton 2002: 43). Dal momento che «there are no restrictions such as situation . . . or interviewer . . . strong 6 Da ora in poi: t seguito dal numero di turno corrispondente (ad esempio t2, t3 e t4). 98 Massimo Cerruti enough to impose a main language on the exchange» (Moyer 1998: 230), le circostanze informali dell’interazione consentono quindi per lunghi tratti una conduzione dello scambio verbale «in maniera bilingue asimmetrica» (Berruto 1985: 61), scevra da alcuna intenzione o proposito d’accordo in merito alla condivisione di un linguaggio comune. Altri casi di interazione bilingue asimmetrica, non riconducibili esclusivamente a ragioni di preferenza linguistica, paiono invece richiedere un’interpretazione più «forte», in termini di vere e proprie strategie di dissociazione. Il dissenso nei confronti del proprio interlocutore, così come, all’opposto, la sottolineatura della forte solidarietà tra posizioni affini, trovano frequente attestazione in tutto il corpus d’indagine veicolate dalla messa in atto di tecniche di divergenza e convergenza. Si consideri, ad esempio, il seguente episodio di discorso 7 : [2] 8 1 M55: dobbiamo capirci tra persone, il discorso è sempre tra persone . . . e poi tutto va bene . . . se chiel a l a ntensiu ad fela/ suma andà/ grazie a Luca . . . MI LU PAG FIN 3 ANT IN 3 SOLD PIÚ L DISTORB D L’AUTRA SEIRA . . . perché io son di principio, eh, c a guarda che MI FAS PERDE SOLD A GNÜN 3 . . . CHIEL A L É VNÍ, MI/ l’autra seira vuria paghelu 2 M40: no ma . . . no ma io non ho mica bi/ mica questo problema, eh [. . .] no perché non funzionava proprio, cioè . . . avevo proprio un problema che non funzio/ non mi funzionava 3 M55: va bi . . . allora lasciamo stare 4 M40: non sentivo niente, non sentivo niente . . . 5 M55: eh . . . ha ragione però quan c a dime lunedì alle tre e me/ non facciamo questioni . . . alura, c am aspiega . . . tra duma e saba, se a pøl avnì chiel am diz n’ura, c aba pasiensa . . . dopo mezz’ora se chiel a i è ne io telefono a un altro . . . poi tramite Luca MI I PAG TÜT AL SO DISTURBO . . . perché io son di principio, il . . . il rapporto è sempre tra persone, c aba pasiensa 6 M40: . . . no ma . . . ha perfettamente ragione . . . io non posso . . . dirle altro che ha ragione 7 M55: eh ma sì c a i ø razu [. . .] . . . c aba pasiensa . . . chiel è prezentase in un modo PÍ CHE DA AMIZ, ma adesso io non capisco più in che modo m cunsidera, c a scüza . . . mi cunos nen chiel, chiel a cunos ne mi, è giüst o no? e nduma tramite n amiz anlura parlumse tra persone civili, tra piemunteiz, ANLURA PER PIEZÍ . . . TRA DUMAN 3 E SABA QUAN C A PØL AVNÍ? e a che ura? 8 M40: alura . . . chiel duma a/ a che ura . . . pøl evsie? 7 Già riportato e commentato in Cerruti 2003, a cui si rimanda per una discussione più estesa dell’intero episodio. 8 Trad.: «1 (M55): se lei ha intenzione di farla/ siamo andati/ . . . IO LA PAGO FINO ALL’UL- TIMA MONETA (FINO A UN SOLDO) PIÙ IL DISTURBO DELL’ALTRA SERA . . . guardi che IO NON FACCIO PERDERE SOLDI A NESSUNO . . . LEI È VENUTO, IO/ l’altra sera volevo pagarla | 3 (M55): va bene | 5 (M55): quando mi ha detto lunedì . . . allora, mi spieghi . . . tra domani e sabato, se può venire, lei mi dice un’ora, abbia pazienza . . . dopo mezz’ora se lei non c’è io . . . IO LE PAGO TUTTO IL SUO DISTURBO . . . abbia pazienza | 7 (M55): ma sì che ho ragione . . . abbia pazienza . . . lei si è presentato . . . PIÙ CHE DA AMICO . . . in che modo mi considera, scusi . . . io non conosco lei, lei non conosce me, è giusto o no? ci conosciamo (andiamo) tramite un amico allora parliamoci tra persone civili, tra piemontesi, ALLORA PER PIACERE . . . TRA DOMANI E SABATO QUANDO PUÒ VENIRE? e a che ora? | 8 (M40): allora . . . lei domani a/ a che ora . . . può esserci? ». 99 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice I protagonisti di questa conversazione telefonica sono un tecnico informatico (M40) ed un suo cliente (M55). Come si può notare, M40 oppone ai ripetuti interventi dialettali del suo interlocutore (generati per lo più da un forte trasporto emotivo) un impiego costante dell’italiano. Tale decisione non sembra imputabile né alla mancanza di una competenza dialettale attiva, né, tantomeno, ad uno scarso coinvolgimento personale, quanto, piuttosto, alla ferma intenzione di manifestare il proprio dissenso nei confronti del punto di vista (e delle lamentele) di M55, (anche) attraverso una scelta di lingua divergente. Nei passaggi conclusivi dell’interazione, però, in seguito al parziale mea culpa di M40 (t6: no ma . . . ha perfettamente ragione . . . io non posso . . . dirle altro che ha ragione), l’uso del dialetto da parte di M55 pare funzionare ora quale vera e propria strategia di convergenza, finalizzata al raggiungimento di un’intesa con il proprio interlocutore sulla base di un richiamo esplicito ad un comune retroterra etno-culturale (t7: anlura parlumse tra persone . . . civili, tra piemunteiz). L’iniziale divergenza (non solo linguistica) tra i due, sembra poi definitivamente risolversi, e sanarsi, con l’adeguamento finale di M40 alla scelta linguistica di M55 (t8: alura . . . chiel duma a/ a che ura. . . pøl evsie? ) (cf. Auer 1998: 9-10). L’uso della commutazione di codice funzionale a strategie di convergenza e divergenza interpersonale si rivela particolarmente diffuso all’interno della conversazione ordinaria, ma non è necessariamente legato a situazioni (come la precedente) caratterizzate da un grande coinvolgimento e da una forte contrapposizione tra gli interlocutori. Si consideri in proposito l’episodio di discorso riportato qui di seguito, raccolto tra due amici (M50 e M55) in circostanze informali: [3] 9 1 M50: ’na cosa fantastica . . . difatti, è stranissima difatti mi/ nui n uma vistna sinquantamila ma cume quella . . . ecco . . . ed è in Trentino, in pratica . . . in Trentino 2 M55: boia, t sei andà fi ant i Trenti ? 3 M50: sì, sì . . . sima andà sü, abbiam fatto . . . ma veramant, vada, mac par diti . . . vinni vau parti, nui giobbia d saria a øt e meza i au ncu na bità davanti na camiza, cioè savu na lu c fè 4 M55: madona, t ai pasà la nø c anlura . . . 5 M50: per dirti/ noo . . . ma, no ma si prepara una valigia, quando si va via [. . .] . . . e anlura sima andà sü lì . . . pø da lì sima andà a vughi, pirchè i avu stüdià, eh . . . che di lì partiva la Val Vestino, si chiama Val . . . Vestino, no? . . . ed è una valle con i/ all’incima . . . si chiama . . . Top de Cima Rest . . . la Cima Rest, no? ed è/ ha una caratteristica di costruzioni che si chiamano in effetti fienili . . . e sono costruiti con tetti di paglia, ma sono . . . casette, in pratica 9 Trad.: «1 (M50): io/ noi ne abbiamo viste cinquantamila ma come quella | 2 (M55): perbacco, sei andato fino in Trentino? | 3 (M50): siamo andati su, abbiamo fatto . . . ma veramente, guarda, solo per dirti . . . venerdì volevamo partire, noi giovedì sera alle otto e mezzo non avevamo ancora preparato (messo davanti) una camicia, cioè non sapevamo cosa fare | 4 (M55): madonna, hai passato la notte allora | 5 (M50): e allora siamo andati sù di lì . . . poi da lì siamo andati a vedere, perché avevamo studiato, eh . . . che di lì . . . proprio che alla maggioranza proprio . . . se ne frega . . . capisci | 6 (M55): no bisogna proprio essere degli amatori | 8 (M55): vanno . . . i soliti posti | 9 (M50): se/ se chiedi a un italiano dice ma scusi ma lei è matto». 100 Massimo Cerruti [. . .] in un posto sperduto, no? propi che a la magiuransa propi . . . s na frega . . . cioè non va proprio, no? capisi . . . 6 M55: no anta propi esi di amatori 7 M50: e ss/ bà, adesso . . . mi dai dei . . . dei termini forse . . . troppo, però . . . sicuramente non da massa, ecco diciamo non . . . 8 M55: non da massa, la massa va/ a va . . . i solit post 9 M50: te li devi studiare i . . . i fienili longobardi di Cima Rest . . . sa/ sa ti ciami a n italia a diz ma scüza ma chial a l è mat . . . 10 M55: eh, cose che si sanno poco . . . Nel corso dell’interazione, a scelte di lingua convergenti, stimolate dal legame di coesione tra turni stabilito dalle coppie domanda/ risposta (t2 e t3) e dalle strutture di joint productions (t7 e t8), o in coincidenza con termini di assenso (t5: capisi . . ., t6: no anta propi esi di amatori), si alternano costantemente scelte divergenti (es. t6 in dialetto e t7 in italiano, o t4 in dialetto e la parte iniziale di t5 in italiano). La coincidenza di tali selezioni discordanti con situazioni di dissenso o di disaccordo tra gli interlocutori (es. M55: madona, t ai pasà la nø c anlura, M50: noo . . . ma, no ma si prepara una valigia, quando si va via) pare dunque ragionevolmente istituire un legame con le sopra menzionate strategie di divergenza interpersonale. L’episodio di discorso in questione rivela però un uso prettamente colloquiale, espressivo, di tali strategie di comunicazione, un impiego in qualche misura «debole» rispetto a quanto osservato nella conversazione precedente, laddove scelte di lingua divergenti riflettevano le posizioni fortemente conflittuali dei partecipanti. Nei passaggi centrali, e soprattutto in quelli conclusivi, dell’interazione (da t5 a t10), invece, l’impiego prevalente della lingua nazionale, favorito senza dubbio da un argomento di conversazione (i fienili longobardi di Cima Rest) al quale il dialetto probabilmente non riuscirebbe a fornire contributi linguistici sufficienti, pare correlato ad una sorta di contrapposizione tra il punto di vista dichiarato e condiviso da entrambi i parlanti, espresso per l’appunto in italiano (M50: te li devi studiare i . . . i fienili longobardi di Cima Rest , M55: eh, cose che si sanno poco . . .), e l’atteggiamento attribuito alla maggioranza delle persone, veicolato dall’impiego del dialetto (M50: propi che a la magiuransa propi . . . s na frega . . ., M55: la massa va/ a va . . . i solit post, M50 sa/ sa ti ciami a n italia a diz ma scüza ma chial a l è mat . . .). Secondo quest’ottica, l’utilizzo della lingua nazionale da parte di M55 verrebbe quindi a configurarsi quale strategia di convergenza verso le posizioni di M50 e, allo stesso tempo, modalità di dissociazione nei confronti della cosiddetta opinione comune, enunciata attraverso i ripetuti contributi dialettali; divergenza condivisa, anche linguisticamente, dal proprio interlocutore. Il chiaro valore oppositivo di cui pare farsi carico tale simbolica distinzione d’uso tra codici, connessa a differenti «contrasting cultural styles and standards of evaluation» (Gumperz 1982: 66), suggerisce dunque un’ipotetica analogia con quei sentimenti di appartenenza e contrapposizione intergruppale tipicamente riconducibili alla nota opposizione we-code vs. they-code. È da notare poi come in questo caso, nonostante gli 101 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice interlocutori siano entrambi dialettofoni, sia la lingua nazionale e non il dialetto ad esercitare il ruolo di we-code 10 . 2.2 Appartenenza al mondo dell’interlocutore: we-code vs. they-code L’opposizione tra we-code e they-code, avvalorata ed impiegata in maniera produttiva da una grande quantità di studi sociolinguistici, è stata, com’è noto, introdotta per la prima volta in letteratura da J. Gumperz (cf. Gumperz 1982). Dal momento che i termini we-code e they-code risultano tendenzialmente riferiti, rispettivamente, alla varietà di lingua propria di un gruppo minoritario di parlanti interno alla comunità, e al linguaggio ufficiale della società nella quale tale gruppo è inserito 11 , tale distinzione pare dunque veicolare sfere di significato riconducibili ad un concetto più generale di identità, per lo più connesso a differenziazioni di natura etnica. Nonostante la suddetta dicotomia si dimostri verificata e dotata di un forte potere esplicativo nei confronti di particolari realtà sociolinguistiche (cf. tra gli altri Milroy/ Wei 1995: 140-46 e Jacobson 1998: 44-47), nella situazione qui in indagine (specchio della lingua cum dialectis nazionale) essa non permette di legittimare un’opposizione tra dialetto e italiano fondata su sentimenti d’appartenenza a gruppi etnici differenti. Se da una parte l’esperienza ormai consolidata e fatta propria di abitudini e stili di vita prettamente urbani induce gran parte dei membri della comunità linguistica di Vanchiglietta, per lo più originari di nuclei familiari un tempo emigrati dalle campagne circostanti o da altre regioni d’Italia 12 , e che quindi ancora conservano modelli di riferimento comportamentali e ideologici tipicamente rurali, a condividere una sorta di duplice identità socio-culturale, dall’altra non si notano sentimenti conflittuali di appartenenza ad uno specifico gruppo etno-linguistico in contrapposizione ad altri identificati dall’uso della lingua nazionale. Il dialetto, dunque, rimane senza dubbio il codice preferito nelle conversazioni ordinarie tra interlocutori che condividono un comune retroterra etnoe socio-culturale, ma di certo non legittima una rigida distinzione d’uso volta ad opporre all’italiano, linguaggio ufficiale della maggioranza, il dialetto, quale varietà di lingua identificativa di una minoranza: «speakers act in a world which is entirely without ethnic conflict» (Alfonzetti 1998: 197). 10 Lo stesso Gumperz, del resto, ricorda come «this association between communicative style and group identity . . . does not directly predict actual usage» (Gumperz 1982: 66). Si veda anche, a questo proposito, Sebba/ Wootton 1998: 263-64. 11 «The tendency is for the ethnically specific, minority language to be regarded as the ‹we code› and become associated with in-group and informal activities, and for the majority language to serve as the ‹they code› associated with the more formal, stiffer and less personal out-group relations» (Gumperz 1982: 66). 12 Per una panoramica più generale sulla situazione sociolinguistica e sulla composizione sociale della comunità di riferimento, si veda Cerruti 2003 e Noi di Vanchiglietta 2000. 102 Massimo Cerruti In alcuni casi, addirittura, sono gli stessi parlanti a mostrare di voler «giocare» con elementi linguistici propri di un they-code a loro diatopicamente estraneo: [4] 13 M55: ueei! unni ti ni vai a chist’ura? non hai ancora finito di andare in girula? [5] 14 M50: ma non te lo dice mai la mamma di non fare il badola? Entrambe le produzioni verbali sopra riportate, formulate da interlocutori di origine meridionale, si segnalano dunque per un impiego a fini ludico-espressivi di lessemi tipici delle varietà dialettali piemontesi (girula e badola). Da notare poi, nell’esempio [4], come sia un passaggio in commutazione di codice dal dialetto siciliano, probabilmente la lingua madre del parlante, alla lingua nazionale (unni ti ni vai a chist’ura? non hai ancora finito . . .), a precedere il successivo inserimento di un elemento lessicale piemontese (non hai ancora finito di andare in girula? ). L’impiego più frequente di dialetto ed italiano in qualità di we-code e they-code va piuttosto correlato al legame che vincola ambiti esperienziali, conoscenze e realtà sociali di riferimento al vissuto del parlante, da cui consegue un uso differenziato dei due codici «associated with inand out-group experiences» (Gumperz 1982: 95). L’antitesi tra modelli di comportamento (o stili di vita) a cui si ritiene d’appartenere, ed abitudini, esperienze o complessi valoriali estranei o non condivisibili, risulta dunque veicolata dal ricorso a due diverse varietà di lingua. Per i parlanti dialettofoni, dunque, è di norma il dialetto, percepito come codice identificativo del proprio gruppo di riferimento (codice dell’in-group o we-code) ad istituirsi quale modalità colloquiale preferenziale per argomenti di discorso vicini ai propri domini d’esperienza, mentre è l’italiano, sentito quale codice distante dal proprio «gruppo di solidarietà» (Berruto 1995: 259), a dare espressione a temi di conversazione in qualche maniera estranei alle proprie conoscenze; ma non è raro vedere verificati i casi contrari 15 (cf. interazione 16 [3]). L’episodio seguente fornisce dunque un esempio concreto di alternanza we/ theycode in relazione a sentimenti di appartenenza e di estraneità a realtà di riferimento differenti: [6] 17 1 F73: a i era i tedesc, a i era i bumbardament, anlura balavu nt i post, viscavu l lüci, saravu . . . tüt a scüri, bütavu fi a i toc c a vughisiu na la lüce da fora . . . pirché s aie/ se i areopla eh . . . hm . . . america aisu vistni campavu giü´ l bumbi . . . e lura noi balavu lì ma tü/ e i uma 13 Trad.: «M55: dove te ne vai a quest’ora? . . . in gironzola? ». 14 Trad.: «M50: stupido». 15 «It is not possible to make a priori assumptions about which code carries the putative ‹we› functions and which the putative ‹they› functions» (Sebba/ Wootton 1998: 275-76). 16 Da ora in poi int. 17 Trad.: «1 (F73): c’erano i tedeschi, c’erano i bombardamenti, allora ballavamo in un posto, accendevamo le luci, chiudevamo . . . tutto al buio, mettevamo persino i pezzi di legna in modo che 103 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice balà beli lì però la . . . l’Angiuli a a piai tüti l so vesti c a i ava . . . faudaru büteii tü c a la scür . . . e i uma balà lì che . . . che da fora as vughisia gnënte gnënte l ciai . . . 2 M78: senti, Matteo? 3 F73: eh, s balava mac parai . . . voi oggi andate in discoteca . . . o . . . lì dove/ in un . . . in un . . . bab È da notare come proprio attraverso il dialetto, lingua materna e veicolo delle emozioni per la parlante dialettofona, si effettui la rievocazione da parte di F73 di un momento drammatico della propria vita, foriero di un grande coinvolgimento personale e di un forte trasporto emotivo. La messa a confronto di tale periodo socio-storico, vissuto in prima persona dal soggetto narrante, con un contesto contemporaneo di abitudini e momenti di aggregazione giovanili, a cui F73 sente di essere del tutto estranea (il malapropismo bab 18 può rivelarsi un indice significativo in proposito), stimolata dall’intervento di M78 (t2) volto a richiamare esplicitamente l’attenzione del nipote, trova invece espressione per mezzo di un passaggio in commutazione di codice dal dialetto alla lingua nazionale (t3: s balava mac parai . . . voi oggi andate in discoteca . . .). L’impiego distinto dei due codici da parte della stessa parlante contribuisce quindi a marcare il contrasto tra in-group experiences, a cui è associato l’uso del dialetto, e out-group experiences, a cui F73 fa riferimento in italiano. Tale passaggio alla lingua nazionale, va detto, è favorito poi dalla giovane età dell’interlocutore di riferimento e dalla possibilità di avvalersi di un code switching per segnalare il termine dell’attività narrativa, nell’intento di sollecitare l’intervento dell’ascoltatore e ripristinare il normale meccanismo di avvicendamento dei turni di parola (cf. Alfonzetti 1992a: 85-91 e Panese 1992: 57-58). Tra le funzioni riferite ai fenomeni di commutazione di codice è poi possibile ricondurre alla dicotomia we/ they code alcune strategie o consuetudini conversazionali (traducibili in una serie di opposizioni: opinione personale/ fatto generalmente conosciuto, sentimento personale/ notazione casuale, appello personale/ avvertimento generale, ecc. 19 ) facenti capo ad una distinzione di livello più generale, definita come personalization vs. objectivization, capace di rendere conto di un buon numero di casi di code switching del nostro corpus. da fuori non vedessero la luce . . . perché se gli aeroplani . . . americani ci avessero visti buttavano giù le bombe . . . e allora noi ballavamo lì ma tu/ abbiamo ballato lì però la . . . la Angiolina ha preso tutti i suoi vestiti che aveva . . . grembiuloni metterli tutti al buio . . . abbiamo ballato lì in modo che . . . che da fuori non si vedesse per niente la luce | 3 (F73): si ballava solo così». 18 La comprensione incerta ed approssimativa da parte di F73 del concetto di pub, (testimoniata dalle frequenti richieste di chiarificazione avanzate nei confronti del nipote, sollecitandone il paragone con il più familiare bar), spinge ad interpretare il termine bab alla stregua di un caso di malapropismo, risultante dall’interpenetrazione lessicale dei lessemi bar e pub (dunque un ibridismo), imputabile alla scarsa conoscenza del secondo e riconducibile all’analogia con il vocabolo più familiare bar. Tuttavia, una più semplice spiegazione nei termini di una cattiva pronuncia della parola pub può essere ugualmente plausibile. 19 Si veda in proposito Gumperz 1982: 93-94. 104 Massimo Cerruti Si veda, in proposito, l’interazione verbale qui riportata, tratta da una conversazione telefonica tra il presidente (M60) ed un socio (M50) di un cineclub torinese: [7] 20 1 M60: nel periodo de/ delle nostre lezioni, facciamo come abbiamo fatto quella sera che è venuto nostro ospite, magari i na ve u ncura, né, s ricorda che i era anche cui d le tecniche *di ri/ 2 M50: *sì sì 3 M60: ecco . . . vengono due o tre persone ci presentano così i . . . i loro lavori, perché noi non siamo proprio un cineclub . . . noi siamo proprio un . . . corso di videoripresa e montaggio . . . capito . . . [. . .] comunque se riesce a riabilitare il suo . . . il suo computer . . . c a cerca, perchè nui l uma mandaie n’e-mail ma . . . dizu già . . . apunto/ anzi fra l’aut e i eru fi a stüpì perchè pensavu apunto . . . che chiel a l aveisa ricevüla e . . . 4 M50: eh già . . . no, no, senò avrìa rispundüü´ , l avrìa rispundüü´ , no e l uma proprio fuori . . . eh [. . .] va bè 5 M60: eh . . . speru . . . nsuma che . . . eventualment al prosim ani s pøsu vüdde [. . .] comunque le . . . le ripeto se riesce a attivarlo, altrimenti c am manda chiel pøi ape a c a ries . . . 6 M50: eh 7 M60: nui ei suma anche n internet, e l uma anche l nost sito . . . eh . . . come università della terza età, poi abbiamo il sito proprio nostro, come gruppo video 8 M50: ah, e . . . e cul c a l è? vu vu vu . . . È proprio in termini di objectivization e personalization che è dunque possibile interpretare la quasi totalità degli switch in commutazione ed alternanza di codice italiano-dialetto all’interno delle produzioni linguistiche di M60; i passaggi da avvisi e comunicazioni di carattere per lo più informativo, e quindi, per così dire, neutrali (es. t1: nel periodo de/ delle nostre lezioni facciamo come abbiamo fatto quella sera che è venuto nostro ospite, t3: noi non siamo un cineclub . . . noi siamo proprio un . . . corso di videoripresa e montaggio), ad interventi ed appelli di natura personale, implicanti il coinvolgimento del parlante (es. t1: s ricorda che i era anche cui d le tecniche di ri/ , t3: c a cerca perchè nui l uma mandaie n’e-mail 21 ma . . . dizu già . . ., e i eru fi a stüpì perchè pensavu apunto . . . che chiel a l aveisa ricevüla), conoscono infatti realizzazione mediante frequenti alternanze di codice da italiano a dialetto. Va notato, dunque, come i contributi verbali legati al concetto di objectivization, di norma riconducibili a they-code passages, risultino in questo 20 Trad.: «1 (M60): ne vengono ancora, né, si ricorda che c’erano anche quelli delle tecniche di ri/ | 3 (M60): cerchi, perchè noi le abbiamo mandato una e-mail ma . . . dico già . . . appunto/ anzi tra l’altro eravamo persino stupiti perchè pensavamo appunto . . . che lei l’avesse ricevuta | 4 (M50): no, sennò avrei risposto, avrei risposto, no ce l’abbiamo proprio fuori | 5 (M60): spero . . . insomma che . . . eventualmente il prossimo anno ci possiamo vedere . . . altrimenti mi mandi lei poi appena riesce | 7 (M60): noi ci siamo anche in internet, abbiamo anche il nostro sito | 8 (M50): qual è? ». 21 Da notare, en passant, come alcuni termini tipici del gergo informatico (entrati ormai di diritto a far parte dell’uso quotidiano) siano inseriti all’interno di produzioni linguistiche in dialetto senza subire alcun adattamento fonologico (nui l uma mandaie n’e-mail, nui ei suma anche n internet, e l uma anche l nost sito, e cul c a l è? vu vu vu. . .). 105 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice caso veicolati dal ricorso alla lingua nazionale, mentre le enunciazioni di carattere personale, generalmente connesse alle funzioni di un we-code, trovino in effetti espressione tramite l’impiego del dialetto. 3. Code switching connesso al discorso Passiamo ora a considerare i fenomeni di commutazione di codice legati all’attività discorsiva (a cui si è già accennato commentando i passaggi conclusivi dell’int. [6]), riguardanti dunque l’organizzazione stessa della conversazione ed i meccanismi di successione ed alternanza dei partecipanti nel corso di un’interazione verbale; per dirla con Auer, «the use of code switching to organise the conversation by contributing to the interactional meaning of a particular utterance» (Auer 1998: 4). Appartengono a tale categoria, in altre parole, quei casi di code switching in cui l’impiego bilingue di italiano e dialetto è sfruttato dagli interlocutori per risolvere questioni «inerenti alla conduzione e alla strutturazione dell’attività discorsiva» (Alfonzetti 1992a: 59); questioni connesse, quindi, (tra le altre) all’organizzazione sequenziale della conversazione e al sistema delle prese di turno, alla marcatura del topic rispetto a sequenze marginali, all’apertura/ chiusura dell’evento comunicativo, al mutamento nella costellazione dei partecipanti, al cambiamento di argomento nel corso della conversazione e alla segnalazione di sequenze di discorso riportato. 3.1 Organizzazione, conduzione e chiusura della conversazione 3.1.1 Progressione interna e sequenze costitutive di un episodio di discorso Dagli scambi conversazionali raccolti è dunque possibile individuare impieghi discorsivi di strategie connesse al code switching, in cui la giustapposizione contrastiva di italiano e dialetto si rivela funzionale alla strutturazione dell’interazione verbale o dell’attività narrativa in sequenze costitutive e alla scansione della progressione interna di un episodio o di un aneddoto riportato. Ne è un esempio il seguente scambio verbale: [8] 22 1 M55: oh . . . ma dimi . . . 2 M50: ah . . . stasera e-eh, no rido perché . . . 22 Trad.: «1 (M55): ma dimmi | 4 (M50): stasera ho finito, ho finito un paio di lavori, no? ho detto tanto/ o ne inizi un altro o invece, no ma poi ho/ | 5 (M55): sei venuto a casa prima | 6 (M50): e allora ho/ alle cinque esco | 7 (M55): cinque, allora | 8 (M50): sono riuscito ad uscire alle cinque e dieci, allucinante . . . e poi ho detto tanto stasera vado a casa per . . . proprio per andare sui balconi, dato che . . . vado a vedermi i vasi di fiori | 9 (M55): per | 12 (M50): alle otto meno dieci è pronto». 106 Massimo Cerruti 3 M55: eh 4 M50: stasaria i ø finì, i ø finì par ad travai, no? i ø di c tant/ o t n ancami i nat o nveci, no ma pø i ø/ non avevo delle urgenze 5 M55: ah, t sei avnì a cà prüma . . . 6 M50: e anlura i ø/ a sing uri sort . . . no? *cioè co/ 7 M55: *sing uri, anlura . . . 8 M50: i ø riesì a sorti a sing e dez, allucinante, col sole alto . . . una cosa cos/ e pø i ø di c tant stasaria vag a cà par . . . propi par andè si pugiøi, dato che . . . avevo travasato i vasi di fiori domenica scorsa, vag a vugmi i vaz ad fiù . . . ma è una balla, cioè proprio solo per . . . coso 9 M55: par . . . 10 M50: e allora . . . ti dico, uscito cinque e dieci, cena sette meno un quarto . . . 11 M55: e già 12 M50: cioè/ alchè, arzillo vecchietto, a øt menu dez a l è prunt . . . È evidente come, fin dai primi scambi, M50 manifesti la chiara intenzione di prodursi nel resoconto di un aneddoto personale che, di conseguenza, riserverà ben poco spazio agli interventi del proprio interlocutore. Diventa allora necessario sospendere momentaneamente l’ordinario meccanismo di avvicendamento dei turni di parola ed «assicurarsi susseguenti brani di discorso topicalmente coerenti» (Panese 1992: 58). L’iniziale divergenza di codice (t1 in dialetto, t2 in italiano) trova quindi spiegazione nella volontà di M50 di segnalare a M55 l’inizio dell’attività narrativa. In seguito al cenno di assenso del proprio ascoltatore (t3), un cambio di codice dall’italiano (t2) al dialetto (t4) consente poi a M50 di proseguire nel racconto mantenendo la varietà di lingua più familiare ad entrambi i partecipanti. In occasione di particolari momenti dell’interazione, però, il contrasto tra il dialetto, lingua base della conduzione e dello sviluppo dell’aneddoto, e la lingua nazionale viene utilizzato dal parlante per distinguere osservazioni e commenti di carattere marginale dal regolare svolgimento degli eventi narrati. Vanno quindi intesi in tal senso quei passaggi in commutazione di codice legati alla descrizione di avvenimenti secondari, verificatisi in un tempo antecedente rispetto all’episodio riportato (t8: stasaria vag a cà par . . . propi par andè si pugiøi, dato che . . . avevo travasato i vasi di fiori domenica scorsa), o finalizzati alla messa in rilievo enfatica di specifiche caratteristiche del setting (t8: i ø riesì a sorti a sing e dez, allucinante, col sole alto . . . una cosa cos/ ) e di interventi e considerazioni particolarmente espressivi (t8: vag a vugmi i vaz ad fiù . . . ma è una balla, cioè proprio solo per . . . coso). È da notare come nelle sequenze conclusive dell’interazione sia invece l’italiano ad esercitare in qualche modo il ruolo di lingua base 23 dell’attività narrativa, scandendo la progressione interna del resoconto della storia. Dal contrasto tra il senso di autorevolezza veicolato dal ruolo di linguaggio ufficiale della comunità di riferimento (cf. Gumperz 1982: 96) e il contenuto intenzionalmente auto-ironico 23 Per lingua base s’intende qui semplicemente la varietà di lingua predominante negli scambi verbali in questione, da non confondere con la nozione di lingua matrice, non pertinente in ambito italo-romanzo (cf. Berruto in stampa). 107 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice degli enunciati in questione scaturisce poi lo spirito umoristico delle produzioni linguistiche di M50 (t10 e t12). È però ancora un cambio di codice, in direzione dialettale, a veicolare, caricandola di enfasi narrativa e di espressività, la sottolineatura del punto culminante (e conclusivo) dell’intera esposizione (t12: alchè, arzillo vecchietto, a øt menu dez a l è prunt . . .). Casi di commutazione di codice discourse-related con funzioni del tutto analoghe si ritrovano poi nell’interazione riportata qui di seguito (che ha per oggetto il resoconto di un viaggio), nella quale l’uso alternato di italiano e dialetto è però impiegato in maniera più sistematica per scandire la progressione dell’attività narrativa: [9] 24 1 M50: e allora, sima andà sü, la mattina siamo arrivati erano le . . . nove, i eru zà a Toscolano Maderno che . . . ah . . . da, da Salò, cioè le . . . le zone della Repubblica di Salò di Mussolini, per intenderci, no? [. . .] tra l’altro è bellissimo perché Maderno si divide da Toscolano con il delta del Toscolano, il fiume . . . pø sima andà s il delta . . . sima andà a vughi . . . eh . . . delle, delle costruzioni longobarde che sono lì, eccetera eccetera . . . 2 M55: hm 3 M50: poi abbiamo lasciato lì, l secund punto a l era un’abbazia che si chiama . . . l’abbazia di Montecastello, no? che è . . . a settecent/ øtsant meter strapiombante sul lago 4 M55: ah però, bello 5 M50: che t tuca fè ne/ n’escursiu p andeii nsüma 6 M55: sì, comunque dev’esi bel 7 M50: e . . . molto bello perché ha un . . . un contenuto, c’era una vista fan/ non c’era una nuvola proprio, aveva fatto bellissimo [. . .] poi dopo cena abbiamo fatto ancora una passeggiata del lungo mare/ sì . . . del . . . del lungo lago . . . e pø sima andà a dørmi . . . a . . . ündez e caicoz l era . . . e invece il giorno dopo, che era sabato, siam partiti di lì prestissimo, colazione in albergo veloce . . . e siamo andati/ perché lì è vicino al confine col Trentino, è ancora Veneto però . . . 8 M55: eh 9 M50: è già . . . verso il Trentino, no? . . . e sima andà Trenti , io avevo visto come obiettivi due cose importanti . . . cioè le cascate del Varone, che ti dicevo prima . . . [. . .] e poi di lì volevamo andare al lago di Tenno, c a i è vint, vint chilometri, che l’ata vota i eru na pas/ a i eru pasà ma a i eru na andà, no? . . . tì Paolo, uno specchietto di lago blu . . . 10 M55: eh, i era per dire cume as vug 11 M50: come sul verde, con un’isoletta in mezzo, che ti t pøri munteii e gireii nturn, a mez a l’eva, che quando c’è l’alto lago non ci vai più, adesso c’era . . . poca acqua È evidente come i frequenti passaggi in commutazione di codice, principalmente dall’italiano al dialetto, contribuiscano a definire l’organizzazione interna della narrazione e a marcare non tanto i fatti più salienti del racconto, quanto le diffe- 24 Trad.: «1 (M50): siamo andati su, la mattina . . . eravamo già a Toscolano Maderno . . . poi siamo andati sul delta . . . siamo andati a vedere | 3 (M50): il secondo punto era un’abbazia . . . ottocento metri | 5 (M50): che ti tocca fare una/ un’escursione per andarci sopra | 6 (M55): dev’essere bello | 7 (M50): e poi siamo andati a dormire . . . a . . . erano le undici e qualcosa | 9 (M50): e siamo andati in Trentino, io . . . che ci sono venti, venti chilometri, che l’altra volta non eravamo passati/ c’eravamo passati ma non c’eravamo andati | 10 (M55): stavo (ero) per dire come si vede | 11 (M50): che tu ci puoi salire e girarci intorno, in mezzo all’acqua». 108 Massimo Cerruti renti «tappe» secondo cui si è prima strutturato l’itinerario turistico a cui fa riferimento M50, ed ora si compone la relativa esposizione (es. t1: e allora sima andà sü la mattina siamo arrivati erano le . . . nove, t3: poi abbiamo lasciato lì . . . l secund punto a l era . . .). Il ricorso al code switching pare dunque trovare impiego, negli usi linguistici di M50, in relazione ad una riconosciuta «funzione di apporto allo sviluppo narrativo» (Pautasso 1990: 139). Il codice in direzione del quale si commuta (generalmente il dialetto) si limita però a segnalare la progressione delle diverse «tappe» del racconto senza permearne le intere sequenze costitutive, la cui esposizione è in genere affidata, mediante un ulteriore switch, alla lingua base della quasi totalità delle produzioni verbali del parlante, vale a dire l’italiano (es. t9: e sima andà Trenti . . . io avevo visto come obiettivi due cose importanti . . . cioè le cascate del Varone . . .). Analogamente a quanto emerso dall’interazione precedente, gli altri casi di passaggio di codice, in entrambe le direzioni, sono da riferire per lo più alla circoscrizione di considerazioni e commenti secondari rispetto allo svolgimento dei fatti riportati, talvolta legati al ricordo di eventi del passato (t9: e poi di lì volevamo andare al lago di Tenno . . . c a i è vint, vint chilometri, che l’ata vota i eru na pas/ a i eru pasà ma a i eru na andà), e alla messa in rilievo enfatica di descrizioni del setting (es. t9: l’ata vota i eru na pas/ a i eru pasà ma a i eru na andà no? tì Paolo uno specchietto di lago blu . . .). In questi casi, a differenza dei code switching connessi alla strutturazione e alla progressione interna dei passi dell’esposizione, il codice verso il quale si commuta è in genere mantenuto fino al termine della sequenza marginale, laddove un successivo passaggio interviene poi a segnare il ritorno alla lingua base dell’attività narrativa. All’interno di alcuni passaggi dedicati alla descrizione di caratteristiche del setting si verificano però occasionali interventi in commutazione di codice volti a distinguere ulteriori commenti (es. t11). È interessante notare come il code switching, nonostante risponda a strategie discorsive analoghe in entrambe le conversazioni esaminate, conosca indistintamente ora il dialetto ora la lingua nazionale quale codice in direzione del quale si verificano le commutazioni. Mentre nella prima interazione, infatti, l’orientamento degli switch è in genere rivolto dal dialetto (lingua base dello scambio verbale) all’italiano, nella seconda tale passaggio si verifica per gran parte in senso contrario. Si è osservato, inoltre, come nei casi di segmenti di discorso commutato funzionali alla progressione tematica dell’attività narrativa, l’impiego della varietà di lingua verso la quale si realizza la commutazione sia circoscritto alla marcatura dell’inizio di un nuovo momento (o «tappa») del racconto, per poi venire in seguito abbandonato a favore del codice di base dell’intero scambio verbale. Considerazioni di questo genere paiono dunque legittimamente impedire di accogliere l’ipotesi di code switching connessi all’organizzazione del discorso per i quali la direzione della commutazione di codice si direbbe motivata da ragioni di congruenza, o di maggiore appropriatezza, di specifiche varietà di lingua a determinati topics. Ora il dialetto ora la lingua nazionale, infatti, si rivelano di volta in volta strumenti delle medesime intenzioni espressive. Dal momento che è il fenomeno del 109 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice passaggio in sé a dimostrarsi significativo per la conduzione e la progressione interna di un episodio conversazionale, la direzione del cambio di codice non risulta quindi interessata da alcuna funzionalità discorsiva o valore pragmatico. Adattando alle nostre riflessioni una nota parafrasi di Auer, «the only ‹meaning› the cue has is . . . to ‹indicate otherness›. The direction of the change is irrelevant» (Auer 1995: 124). 3.1.2 Punti di svolta: cambio di argomento e chiusura dell’interazione Ci si propone ora di verificare, partendo dall’analisi del seguente episodio di discorso, l’effettivo contributo fornito dai fenomeni di commutazione di codice alla segnalazione del cambio di argomento di una conversazione e alla negoziazione tra i partecipanti del momento conclusivo di un’interazione verbale. [10] 25 1 M55: ma quindi t sei ruvà l saba d saria? 2 M50: saba d saria . . . tard 3 M55: ah . . . saba d saria tard, par pø duminica, ecco . . . 4 M50: eh sì, pø l dì d Pasqua . . . a Vial . . . due giorni intensissimi, cioè . . . cosa ne dici? 5 M55: ma menu male . . . che t ai gavati n pø da tüti si travai, e i travai cum a va ? 6 M50: bene, nel senso di .. eh, praticamant i travai i eru divisi n quat part, no? e praticamant ades finendo tutta la parte di casa sulla strada è finita la terza parte, in pratica [. . .] . . . fas pasè la canalizasiu d la televiziu , d la lantarna e tüt ansema lu fas pasè ndrinta . . . e poi tra venti giorni si fa la tinteggiatura . . . si tinteggia ed è finito in pratica . . . 7 M55: boia faus . . . 8 M50: e i ø . . . eh praticamant . . . 9 M55: e ba , ma l cozi t sai . . . dii è n cunt, pø feii . . . ma . . . ma sant an po’, ti des che t sei an di . . . a lucal . . . sø na sarà sez meter e mez par sez meter e mez, aut doi e stanta, tüt dizrisè . . . rifè a tara [. . .] secund ti gn’è basta d vint miliu ? . . . no, ma forse t diz na coglionata, né, mi sø na . . . cioè ri/ dizrisè, rifè 10 M50: Paolo, pøs ditlu prüma, prüma ad cozu . . . lo dovrei vedere . . . lu duvrìa vughi . . . [. . .] pirchè purtroppo, come tutto nella vita . . . mi . . . na cita esperiansa sia di lavoro, perché faccio ‘ste cose, e sia di esperienza di Viale me la son fatta, no, però lo dovrei vedere, capisi, perché vedendola . . . 11 M55: sì, se t ve i *par i alpini magara/ 12 M50: *tant al vintü avnima, no? 13 M55: ve i par i alpini? 25 Trad.: «1 (M55): sei arrivato il sabato sera? | 2 (M50): sabato sera . . . tardi | 3 (M55): sabato sera tardi, per poi domenica | 4 (M50): poi il giorno di Pasqua . . . a Viale | 5 (M55): ma meno male . . . che ti sei tolto un po’ da tutti questi lavori, e i lavori come vanno? | 6 (M50): praticamente i lavori erano divisi in quattro parti, no? e praticamente adesso finendo . . . faccio passare la canalizzazione della televisione, della luce e tutto insieme lo faccio passare dentro | 7 (M55): accidenti . . . | 8 (M50): e ho . . . eh praticamente | 9 (M55): e bè, ma le cose sai . . . dirle è un conto, poi farle . . . ma . . . ma senti un po’, tu adesso che ci sei dentro . . . un locale . . . non so sarà sei metri e mezzo per sei metri e mezzo, alto due e settanta, togliere tutto l’intonaco (tutto disintonacare) . . . rifare per terra . . . secondo te sono sufficienti venti milioni? . . . forse ti dico una coglionata, né, io non so . . .cioè ri/ togliere tutto l’intonaco (tutto disintonacare), rifare | 10 (M50): posso dirtelo prima, prima di coso . . . lo dovrei vedere . . . perchè purtroppo . . . io . . . una piccola esperienza . . . capisci | 11 (M55): se vieni per gli alpini magari | 12 (M50): tanto il ventuno veniamo, no? | 13 (M55): vieni per gli alpini? ». 110 Massimo Cerruti Sebbene i segmenti conclusivi dell’episodio in questione mostrino un passaggio dall’italiano (t10) al dialetto (t12), quale «strategia di contestualizzazione di un nuovo argomento» (Alfonzetti 1992a: 102), favorito anche dall’adeguamento al codice impiegato dal proprio interlocutore per introdurre il nuovo tema di discorso (t11), l’occasionalità di tale intervento non consente una sua generalizzazione all’intero scambio verbale. L’impiego del dialetto nella quasi totalità delle produzioni linguistiche di M55 non conosce infatti variazioni neppure in corrispondenza di turni interessati da cambi di topic (es. t9). Proprio il mantenimento da parte di M55 della medesima scelta di lingua (il dialetto) nel corso dell’intero scambio verbale impedisce poi di considerare eventuali divergenze di codice nei confronti dell’interlocutore (es. M50: due giorni intensissimi, cioè . . . cosa ne dici? , M55: ma menu male . . . che t ai gavati n pø da tüti si travai, e i travai cum a va ? ) alla stregua di strategie di discorso atte a segnalare a M50 la propria intenzione di cambiare argomento 26 . Il contributo della commutazione di codice alla messa in rilievo di un cambio di argomento, del tutto occasionale quindi, ed assolutamente non-sistematico, si rivela poi in alcuni casi radicalmente assente. L’interazione verbale riportata qui di seguito risulta in tal senso esemplare: [11] 27 1 F60: a l a ciamaie a Anna se . . . andava . . . ma Anna l a dime chila vøl ne al meiz d’agust, io vengo a luglio . . . agosto già le giornà su pi ne tant bele n muntagna, eh . . . 2 F65: e chila a pià na bela abitüdine a ndè lì . . . menu male che s fà da mangè da sula [. . .] 3 F60: e ma chila dopu quindes dì l è già stufia da stè là . . . pø l’autr’ani è avnüie cula lì, la tusca a / ---/ l è staita malavia . . . e chila / ---/ ancura daie / ---/ la vestalia e . . . na maia da suta 4 F65: ricordte l mie maie, né . . . 5 F60: ah . . . e perchè vøi co catemne üna mi ma . . . l’autr’ani a i eru pi ne la Liabel . . . [. . .] su nen cume custe, a sun cule c a l a al reggiseno, mi m piaz ne . . . ah, a telefunà Bruna In accordo con quanto sostenuto in precedenza, è da notare come al frequente cambiamento del tema di conversazione non corrisponda alcun passaggio di codice, né tra turni di interlocutori diversi (es. t3 e t4), né all’interno delle produzioni linguistiche del medesimo parlante (es. t5). In questo caso, dunque, le possibilità discorsive legate al code switching non solo non contribuiscono alla messa in rilie- 26 Le frequenti commutazioni di codice dal dialetto all’italiano operate da M50 al termine dei propri contributi verbali sembrano invece ancora una volta rispondere alla volontà del parlante di sollecitare l’intervento dell’interlocutore per ripristinare il normale avvicendamento dei turni di parola (es. t4: pø l dì d Pasqua . . . a Vial . . . due giorni intensissimi cioè . . . cosa ne dici? ). 27 Trad.: «1 (F60): hanno chiesto a Anna . . . Anna mi ha detto lei non vuole il mese d’agosto, io . . . le giornate non sono più tanto belle in montagna | 2 (F65): e lei ha preso una bella abitudine ad andar lì . . . meno male che si fa da mangiare da sola | 3 (F60): e ma lei dopo quindici giorni è già stufa di stare là . . . poi l’altr’anno è venuta quella lì, la toscana / ---/ è stata malata . . . e lei / ---/ ancora dato / ---/ la vestaglia e . . . una maglia di sotto | 4 (F65): ricordati le mie maglie, né | 5 (F60): e perchè voglio anche comprarmene una io ma . . . l’altr’anno non c’erano più la Liabel . . . non sono come queste, sono quelle che hanno il reggiseno, a me non piace . . . ha telefonato Bruna». 111 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice vo dei ricorrenti cambi di topic, ma sembrano conoscere un impiego del tutto limitato e privo di valore pragmatico (ad eccezione di isolate citazioni; t1: ma Anna l a dime chila vøl ne al meiz d’agust io vengo a luglio . . .), a favore di un uso quasi esclusivo della varietà di lingua più familiare, il dialetto (cf. Cerruti 2003: 77-80). Stando a quanto emerso dai due episodi in oggetto, l’intervento di passaggi in commutazione di codice finalizzati alla sottolineatura di un cambio di argomento si dimostra dunque tutt’altro che sistematico. È in corrispondenza di un altro, più forte, punto di svolta dell’interazione verbale, connesso alle ordinarie sequenze di chiusura (e pre-chiusura) di un evento comunicativo, che il contributo del code switching si fa invece più intenso e ricorrente. La soluzione del momento conclusivo di un episodio di discorso è un passaggio che, com’è noto, richiede una buona cooperazione tra gli interlocutori. La questione fondamentale da risolvere, quindi, giunti al termine di uno scambio verbale, riguarda proprio la negoziazione tra i parlanti dell’epilogo armonico dell’interazione, in maniera da scongiurare l’eventualità di attriti o incomprensioni tra gli stessi: «nel concludere una conversazione, i partecipanti devono essere d’accordo sul fatto che non vi sia nient’altro di cui parlare, altrimenti uno dei partecipanti si sentirebbe . . . congedato in modo eccessivamente brusco» (Duranti 2000: 229). Di conseguenza, sebbene nella maggior parte dei casi il compito di decretare il termine dell’evento comunicativo sia in genere affidato ad una coppia di saluti (cf. Berruto 1985: 62 e Pautasso 1990: 132), è conveniente giungere alle circostanze di commiato «in modo fluido e gradevole» (Duranti 2000: 229). L’esigenza di coordinare in pieno accordo la sospensione del meccanismo di avvicendamento dei turni di parola, allo scopo di giungere simultaneamente alla concertazione del momento conclusivo dell’attività conversazionale, conosce quindi, di frequente, compimento e realizzazione per mezzo di opportuni interventi in commutazione di codice volti a marcare gli enunciati di pre-chiusura, i saluti finali, o le intere sequenze terminali di un episodio di discorso. Sono qui riportati i passaggi conclusivi di tre interazioni verbali, tutte condotte fino a quel momento interamente in dialetto: [12] 28 1 F77: e ba , anlura magara stasaria . . . quan c as cugia ai dag al Bisolvon 2 M55: e daii l Bisolvon . . . 3 F77: va bene . . . 4 M55: va ba , va ba , fuma parai, okey 5 F77: anlura, vardè da ste ba vuia c che sei giuvu, noi ormai . . . 6 M85: ciau 7 F77: ciau né nlura . . . ciau, ciau 8 M55: ciau 28 Trad.: «1 (F77): e bè, allora magari stasera . . . quando si corica gli dò il Bisolvon | 2 (M55): e dagli il Bisolvon | 4 (M55): va bene, va bene, facciamo così | 5 (F77): allora, guardate di stare bene voialtri che siete giovani | 6 (M85): ciao | 7 (F77): ciao né allora . . . ciao, ciao | 8 (M55): ciao». 112 Massimo Cerruti [13] 29 1 M55: ma a l è pusibil che dui impiegati c a riesu mai a avai na minüta, c a sia . . . è na roba impusibil . . . 2 M60: eh, ma sì . . . eh que t øri ndè dì, t vughi nan che . . . sai ei su tant trighi, tant . . . tant cazi 3 M55: facciamo così allora? ti devo per forza lasciare . . . il telefono . . . 4 M60: va ba va ba va ba 5 M55: allora rimaniamo d’accordo e ci sentiamo la metà di un’altra settimana per conferma 6 M60: quindi prenot i tre per il trentü e ti l dudes . . . 7 M55: tre per il trentü e pø dop con il . . . dudes che sima . . . ci vediamo noi 8 M60: va ba va ba , facciamo così e pø s fuma ancura na parola 9 M55: ciao Giulio saluta tutti, eh 10 M60: va ba , ciao [14] 30 1 F55: tüti i dì fuma l gir, s va a vugghi e . . . parei, fin c as la gavu da lur due, via . . . 2 F50: eh lo so pru, lu sø pru . . . 3 F55: t sai mai 4 F50: infatti . . . 5 F55: mah, va bè 6 F50: va bè ti saluto, eh 7 F55: altrettanto 8 F50: grazie, eh, ciao 9 F55: ciao ciao Nel primo caso, la definizione dell’epilogo della conversazione è affidata alla realizzazione da parte di F77 di un enunciato di pre-chiusura (t3), marcato da un passaggio di codice dal dialetto (t1) all’italiano (t3). Gli interventi successivi di M55 (t4), che non realizza l’adeguamento al cambio di lingua operato dall’interlocutrice, e di F77 (t5 31 ) conducono poi agli scambi conclusivi dell’interazione, realizzati interamente in dialetto (t6, t7 e t8). Dal momento che la sequenza finale dell’epi- 29 Trad.: «1 (M55): è possibile che due impiegati che non riescono mai ad avere un minuto, che sia . . . è una cosa impossibile | 2 (M60): cosa vuoi dire (andare a dire), non vedi che . . . sai ci sono tanti problemi, tanti . . . tanti casini | 4 (M60): va bene va bene va bene | 6 (M60): prenoto i tre per il trentuno e tu il dodici | 7 (M55): tre per il trentuno e poi dopo con il . . . dodici che siamo | 8 (M60): va bene va bene . . . e poi ci diciamo ancora qualcosa (ci facciamo ancora una parola) | 10 (M60): va bene». 30 Trad.: «1 (F55): tutti i giorni facciamo il giro, si va a vedere e . . . così, finchè se la cavano loro | 2 (F50): eccome, lo so eccome | 3 (F55): non sai mai». 31 È interessante notare, al di là degli obiettivi specifici del presente paragrafo, come l’antitesi tra la situazione personale della parlante, rappresentativa di una sfera d’esperienza più generale connessa all’in-group della classe d’età d’appartenenza, e la condizione attribuita al proprio interlocutore, in quanto membro di un’altra categoria generazionale (out-group), conosca realizzazione espressiva per mezzo del contrasto tra due codici differenti (t5: anlura vardè da ste ba vuia c che sei giuvu, noi ormai . . .). A dispetto della dialettofonia di F77, è però l’italiano, nell’enunciazione specifica, ad esercitare le funzioni tipiche di un we-code, mentre è proprio il dialetto ad agire quale they-code (cf. int. [3]). 113 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice sodio, nella quale trovano espressione i saluti di congedo, conosce il ritorno alla varietà di base dell’intera conversazione, il contributo del code switching risulta quindi limitato alla messa in rilievo del solo enunciato di pre-chiusura. Nell’interazione successiva, invece, all’enunciato di pre-chiusura di M55 (t3), rispondente all’intenzione di preannunciare, ed anticipare, la sospensione dello scambio in corso, fa seguito il cenno d’intesa del proprio interlocutore (t4) e un secondo enunciato di pre-chiusura in italiano da parte di M55 (t5), analogo al primo, che ha l’effetto di generare la serie conclusiva di scambi in dialetto (t6, t7 e t8) volti al riepilogo di quanto stabilito nel corso dell’interazione, in vista dell’imminente chiusura della conversazione. Al momento di congedarsi, infine, interviene ancora un cambio di codice (t9) a marcare i saluti conclusivi. Nell’ultimo episodio, infine, una volta intervenuto uno switch a segnalare la prechiusura dell’interazione (t4), la scelta del codice in direzione del quale avviene il passaggio è poi mantenuta per l’intera sequenza conclusiva. La scelta del dialetto da parte di F50, funzionale alla marcatura della pre-chiusura, è infatti corrisposta dall’interlocutrice (t5) ed è poi seguita da entrambe le parlanti nel corso dei segmenti conclusivi dell’interazione (t6, t7, t8 e t9), contenenti formule di saluto ed espressioni di cortesia. Il contributo fornito dalla commutazione di codice al raggiungimento di un’intesa tra i partecipanti in merito alla negoziazione dell’epilogo di un episodio di discorso, dimostra dunque di esercitare un’importanza fondamentale nel marcare i passaggi terminali di uno scambio verbale, al fine di scongiurare le possibili incomprensioni tra gli interlocutori generate dal mancato accordo sul termine della conversazione. Al contrario, il ruolo svolto dal code switching nel segnalare i cambiamenti di argomento, rivelatosi marginale all’interno di produzioni linguistiche rivolte per lo più ad un medesimo ascoltatore, pare conoscere ben altra diffusione e vitalità d’impiego in relazione alle ordinarie strategie di autoed etero-selezione operanti nelle interazioni tra tre o più interlocutori. 3.2 La costellazione dei partecipanti Una conseguenza importante del carattere sociale, collettivo e distribuito di ciascun atto linguistico e della dimensione di scambio e reciprocità connessa ad ogni episodio conversazionale è legata, naturalmente, all’alternanza dei parlanti all’interno di un evento comunicativo. Il più comune tipo di interazione nella pratica quotidiana non si compone quindi di singole produzioni linguistiche, ma è costituito da sequenze di enunciati realizzati da interlocutori differenti (cf. Duranti 2000: 220) in base a regole di partecipazione ed accordi interpersonali più o meno condivisi. La successione regolamentata ed ordinata dei parlanti nel corso di uno scambio verbale, per lo più negoziata col procedere della conversazione, e strettamente interrelata all’organizzazione sequenziale del discorso, implica dunque continui mutamenti nel sistema dei ruoli via via assunti dai partecipanti nell’arco del- 114 Massimo Cerruti l’interazione e, dal punto di vista degli stessi interlocutori, un costante «cambiamento nella posizione che assumiamo nei nostri confronti e in quelli degli altri presenti, espresso nel modo in cui affrontiamo la produzione e la ricezione di un enunciato» (Goffman 1987: 180). Dal momento che tale «cambiamento di footing è in genere legato a fatti linguistici» (Goffman 1987: 180), ci si propone ora di verificare in che modo e con quale frequenza la commutazione di codice intervenga a regolare l’alternanza tra i partecipanti, agendo sugli ordinari meccanismi di assegnazione dei turni di parola. 3.2.1 Tecniche di assegnazione dei turni di parola: auto-selezione ed etero-selezione L’organizzazione dell’avvicendamento tra gli interlocutori è regolata sia da meccanismi di selezione etero-diretti, in base ai quali, cioè, chi detiene il turno in corso ha la facoltà di stabilire il parlante successivo mediante specificazione del destinatario (cf. Gumperz 1982: 77), che da singole iniziative di auto-selezione messe in atto dagli stessi partecipanti in corrispondenza di passaggi pertinenti per la transizione o in parziale sovrapposizione con le produzioni linguistiche dell’interlocutore precedente. Così come l’ordine dei parlanti, anche la lunghezza dei singoli interventi è dunque negoziata nel corso dell’interazione (cf. Duranti 2000: 223-24). Assumiamo come termine di riferimento specifico l’interazione verbale riportata qui di seguito, quale esempio significativo del sistema di partecipazione in indagine: [15] 32 1 F75: n a ancura dil tumatichi chial? 2 F50: sì sì . . . sì sì 3 F75: . . . le sono piaciute le/ i pomodori alla tua . . . 4 M23: credo di sì . . . sì, sì 5 F75: ce n’è ancora tanti, ma . . . non mi oso . . . 32 Trad.: «1 (F75): ne ha ancora di pomodori lui? | 7 (F75): sono una meraviglia | 8 (M80): ma guarda quello lì, poveruomo . . . aveva due figli, ma due figli . . . avranno la tua età (saranno vecchi come te), né | 10 (M80): non sono riusciti a sposarsi . . . Cesarino si era fidanzato, né | 12 (M80): quello là del sacchetto | 13 (M52): basta che rimangano delusi . . . e che non superino la delusione | 15 (M52): proprio ieri . . . eh . . . poi là fuori hai visto . . . che ne so, combinazione mi sono trovato vicino . . . la fìglia del Fulvio . . . eh bè, ho parlato dei miei/ | 17 (M52): e io dicevo va bene/ | 20 (F50): è simpatico, un burlone proprio . . . né, cioè proprio | 21 (M52): io credevo fosse quello lì che veniva a Montafia, invece è l’altro | 22 (F50): invece è l’altro | 23 (M80): e va . . . non ci va più adesso? | 24 (M52): giocano, giocano . . . giocano ogni tanto, d’estate poi . . . oi | 25 (F50): perchè era spesso insieme . . . al marito della Daniela o della Paola, che sono giocatori di bocce | 26 (M52): vuoi dire che una volta giocasse a calcio? . . . sai volevano giocare . . . coso, mah non so | 27 (M80): cosa dici? | 28 (M52): che quello lì una volta magari giocasse a calcio | 29 (F75): proprio . . . ha novant’anni va bene? | 31 (F75): è andata su in montagna è stata là . . . è stata bene in montagna? . . . io sto benone là | 32 (M80): è mica che le ha già raccolte le carote? | 33 (F50): sì, le ha raccolte tutte . . . le ha raccolte perchè ha seminato insalata e / ---/ spinaci | 36 (F75): molti giorni, no? . . . sempre a . . . non fai così tu, muovi il braccio». 115 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice 6 M23: eh bè poi glieli diamo, adesso . . . sì sì . . . 7 F75: se li chiami, chiamale adesso perché so/ a su na meravia . . . adesso le ho lì, tutte verdi . . . 8 M80: ma varda chial lì, povrom . . . a i ava doi fiø, ma doi fiø . . . a sara vei pai ti, né . . . 9 M52: sì 10 M80: a i a na truvasi mariè . . . Cesari l era suciasi, né . . . 11 F75: chi? 12 M80: cul là d il sacat 13 M52: a basta c a stagu delüz . . . e c a süperu na la deluziu 14 F75: ah . . . sì sì 15 M52: propi saria . . . eh . . . pø là fora t ai vist . . . si che sø, cumbinasiu i ø truvami tacà . . . la fìa dil Fulvio . . . Enza . . . eh be , i ø parlà d i me/ è stato interessante perché . . . musiche del millecinque millesei, in genere queste musiche / ---/ di tipo classico sono . . . milleotto, no? eh . . . quindi trovarle millecinque millesei . . . 16 F50: musiche medievali anche . . . 17 M52: e mi diva *va ba / 18 F50: *poi ha fatto tutta la storia . . . dei vari strumenti . . . 19 M23: hm hm 20 F50: è simpatic, ü batür propi . . . né, cioè propi . . . 21 M52: eh, mi cardiva fisa s lì c avniva a Muntafia, nveci è l’at . . . 22 F50: eh, inveci a l è l’at . . . [. . .] 23 M80: e va . . . e va pi na ades? 24 M52: sì sì a giøgu, a giøgu . . . a giøgu ogni tant, d’istà pø . . . øi . . . 25 F50: pirchè era tant a sema . . . a l om d la Daniela o d la Paola, c a su giugadur da boci . . . 26 M52: eh . . . e ieri sera, e ieri sera, momento, sua moglie, la . . . Michela, era a vedere . . . lì, la . . . ’somma la ro/ il concerto . . . [. . .] t vøri dì che na vota giügaisa al balu ? . . . t sai, a vürivu giøghi . . . cozu . . . mah, sø na . . . 27 M80: que t dizi? 28 M52: che chial lì na vota magara giügaisa al balu . . . 29 F75: guarda che . . . guarda che la Visenti a . . . NON HA IL BASTONE, NON HA NIEN- TE, propi . . . a i a nuant’agn va ba ? 30 M23: sì 31 F75: è ndaia sü muntagna è stata là finchè sono stati loro . . . venuta giù e tutto, è staita bi an muntagna? benone, mi stagu benone beli là . . . [. . .] 32 M80: è pà c a già gavaii l caroti? 33 F50: sì, a gavaii tüti . . . a gavaii perchè a sëmnà insalata e / ---/ spinas . . . 34 F75: ADESSO IO SONO ESENTE DA . . . DA TAGLIARE LE CAROTE . . . e lo fa lui . . . 35 M23: perché? 36 F75: perché io sono andata di seguito vari dì, no? . . . sempi a tagliare le carote . . . e io la carota . . . la taglio faccio così . . . t fai na parai ti, t bugi l bras . . . È evidente come alcuni dei partecipanti alla conversazione 33 in possesso di una competenza dialettale attiva, in maniera particolare F75, e per lo più in corrispondenza di punti favorevoli all’avvicendamento degli interlocutori, ricorrano ad alternanze di codice, al termine del proprio turno di parola, per segnalare e selezionare il parlante successivo. A partire dai passaggi iniziali dello scambio verbale riportato in trascrizione è dunque possibile riconoscere, proprio nelle produzioni 33 L’interazione verbale è stata raccolta durante una cena in famiglia: F75 ed M80 sono i genitori di M52, M52 ed F50 sono marito e moglie, M23 è loro figlio. 116 Massimo Cerruti linguistiche di F75, un impiego differenziato di italiano e dialetto finalizzato alla specificazione del destinatario e, di conseguenza, volto a stimolare l’intervento del parlante selezionato. Le prime sequenze dell’interazione mostrano infatti un uso alternato di dialetto e lingua nazionale a seconda dell’interlocutore di riferimento, dove l’individuazione del ricevente, in particolar modo per quanto riguarda gli enunciati rivolti al parlante più giovane, sembra passare attraverso il riconoscimento del rispettivo codice della conversazione quotidiana. Ad una prima domanda di F75 formulata in dialetto (t1), rivolta espressamente a F50 e intesa come tale dall’interlocutrice (t2), seguono infatti un paio di interventi diretti a M23 (t3 e t5), questa volta in italiano, con lo scopo di provocare la partecipazione attiva all’interazione da parte del nuovo destinatario del messaggio. Il passaggio dal dialetto, codice della comunicazione ordinaria intrafamiliare per gli interlocutori dialettofoni, in questo caso utilizzato per la conversazione con F50, alla lingua nazionale, varietà ritenuta preferita e d’impiego abituale per le classi d’età più giovani (cf. Grassi/ Sobrero/ Telmon 1997: 250), pare quindi designare esplicitamente il ricevente cui è diretto l’enunciato e concedere al parlante in questione l’opportunità di formulare il proprio turno di parola, determinando un inevitabile, seppur limitato e momentaneo, cambiamento nella costellazione dei partecipanti. In maniera del tutto analoga è possibile ritrovare all’interno delle produzioni linguistiche di F50 un passaggio con funzione di etero-selezione nel quale il code switching è questa volta operante dall’italiano (t18, destinatario M23) al dialetto (t20, destinatario M52); il primo segmento risponde al proposito di stimolare la partecipazione attiva di M23 allo scambio verbale, mentre il secondo intende ridare la parola al parlante precedentemente interrotto. È da notare, poi, come proprio l’intervento di F50 diretto a M23 (che ha causato la momentanea sospensione del discorso da parte di M52), operando una scelta discordante, a livello di codice, rispetto al contributo dialettale cui parzialmente si sovrappone (t17), sia ragionevolmente interpretabile alla stregua di un concomitante tentativo di auto-selezione, messo in atto dalla stessa parlante al fine di assicurarsi il turno di parola prima del raggiungimento di un punto pertinente per la transizione (cf. Duranti 2000: 223). Il contrasto tra le due varietà di lingua pare dunque impiegato dai partecipanti, oltre che per la specificazione del destinatario e la selezione del parlante per l’intervento verbale successivo, anche allo scopo di ottenere l’attenzione dei presenti e, una volta conseguito il diritto a realizzare il proprio turno di parola, garantirsi così la possibilità di dare espressione alle proprie produzioni linguistiche. A tale proposito, nelle sequenze conclusive dell’episodio in questione, si segnala un contributo di F75 in italiano, marcato da un aumento del tono di voce (t34), la cui scelta di lingua discordante rispetto agli scambi precedenti (t32 e t33) sembra rispondere all’intenzione di assicurarsi l’attenzione degli ascoltatori 34 e auto-sele- 34 In maniera analoga a quanto osservato da Goffman: «a tavola, durante cene con otto o più partecipanti, si riscontra spesso una marcata instabilità di partecipazione. In questi casi un parlante può ritenere necessario controllare il suo uditorio . . . per recuperare partecipanti vaganti e per incoraggiare quelli che sopraggiungono» (Goffman 1987: 189). 117 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice zionarsi per il turno in corso (cf. Goffman 1987: 180s.). Il successivo intervento di M23 (t35), in risposta all’enunciato di F75, stimola poi la parlante a proseguire nell’esposizione, operando in seguito un ulteriore code switching in occasione del momento di selezione di un diverso interlocutore (t36, destinatario F50: t fai na parai ti, t bugi l bras). Nei casi di commutazione finora analizzati, implicanti un cambiamento (autoo etero-diretto) nella costellazione dei partecipanti, lo switch determinante risulta però contribuire alla regolare progressione del discorso senza apportare concomitanti variazioni al tema di conversazione. In altri interventi, al contrario, al cambio di codice per selezione del parlante è altresì correlato un corrispondente cambio di argomento. Appartiene senza dubbio a quest’ultimo caso un’ulteriore produzione linguistica di F75 rivolta all’uditorio 35 (t29), ancora una volta marcata da un aumento del tono di voce, tesa a catturare l’attenzione dei presenti e ad inserire la stessa parlante all’interno dei ruoli attivi dello scambio verbale, fino a quel momento incentrato su un tema di discussione differente. Interrompendo l’interazione in corso tra M80 e M52, dopo il momentaneo confinamento di F75 «nel ruolo di ascoltatore, in seguito alla monopolizzazione della conversazione da parte degli altri partecipanti» (Alfonzetti 1992a: 95), la scelta di una varietà di lingua differente rispetto a quella dei turni precedenti (t27 e t28) realizza quindi due funzioni: cambio nella costellazione dei partecipanti e cambio di argomento. Analoghe osservazioni risultano valere poi per altri segmenti dell’episodio di discorso in indagine: negli scambi centrali dell’interazione, ad esempio, un intervento di M52 (t26) marcato da una divergenza di codice rispetto alla scelta di lingua dell’interlocutrice precedente (t25), si rivela funzionale all’auto-selezione del parlante per il turno di parola e, allo stesso tempo, realizza un cambiamento di topic all’interno del discorso. Ancora la medesima, simultanea, attuazione dei due «conversational loci» (Auer 1995: 120) in questione si verifica poi nei passaggi iniziali della conversazione, nelle produzioni verbali di M80 (t8); dal contrasto tra il codice impiegato dal parlante per l’elocuzione, il dialetto, e la varietà di base del turno dell’interlocutrice precedente (t7), l’italiano, consegue infatti la presa di parola da parte di M80, foriera di un naturale cambiamento nella costellazione dei partecipanti, e un contemporaneo spostamento d’argomento, accolto e, in seguito, sostenuto attivamente dall’uditorio. Stando a quanto emerso dalle produzioni linguistiche esaminate, un contributo fondamentale alla sottolineatura delle sequenze di autoed etero-selezione dei partecipanti è quindi dato sia dai passaggi in commutazione o alternanza di codice realizzati all’interno delle elocuzioni di un medesimo parlante, che dalle divergenze a livello di scelta di lingua manifestate nei confronti dell’interlocutore detenente il turno di parola precedente. È in tal senso, presumibilmente, che va dunque intesa la direzione del code switching, orientata a favore della lingua nazionale nella maggior parte dei casi presenti nell’episodio di discorso in indagine, 35 M23 è in questo caso il ricevente apparente, o falso ricevente (cf. Duranti 2000: 268). 118 Massimo Cerruti dal momento che il dialetto risulta la varietà di base dell’intera conversazione, ma allo stesso modo attestata nel verso opposto in occasione di interventi di autoo etero-selezione marcati dal contrasto nei confronti di precedenti produzioni verbali in italiano. Contrariamente poi a quanto verificato nelle interazioni tra due soli interlocutori, nelle quali, cioè, il contributo dato dalla commutazione di codice alla messa in rilievo di cambiamenti d’argomento si è rivelato marginale e del tutto limitato, gli episodi comunicativi a tre o più partecipanti dimostrano di conoscere un impiego diffuso e condiviso di strategie connesse al code switching volte a segnalare un mutamento nella costellazione dei parlanti, nelle quali il cambio di codice è allo stesso tempo veicolo di un concomitante cambio di topic discorsivo. 3.3 Il discorso riportato: le citazioni L’ultima delle funzioni connesse al discorso svolte dal code switching delle quali è nostra intenzione rendere conto nel presente lavoro, fa capo alla messa in rilievo mediante cambio di codice, in genere sotto forma di discorso diretto, di enunciati realizzati dal parlante stesso o da altri emittenti in circostanze contestuali e temporali distinte dalla situazione in atto. In letteratura, il termine a cui di norma si fa ricorso nel riferirsi alla marcatura di sequenze riportate, altresì definita come «the setting off of reported speech against its surrounding conversational (often narrative) context» (Auer 1995: 119), è, com’è noto, quello di citazione. Già le interazioni verbali considerate nei paragrafi precedenti hanno rivelato un impiego ricorrente di passaggi in commutazione finalizzati alla segnalazione di enunciati riportati in discorso diretto. A tali conversazioni e ad altri episodi non ancora analizzati si farà quindi riferimento nel corso dell’esposizione, nel tentativo di contribuire a far luce sui principali criteri osservati nei casi di code switching per citazione; criteri che ad un primo sguardo paiono decisamente correlati al principio di fedeltà alla varietà di lingua usata dall’emittente originario. Tale intento «mimetico» trova allora opportuna esemplificazione nel seguente scambio verbale, la cui trascrizione risulta costituita quasi per intero di citazioni: [16] 36 1 F70: t ai razu . . . ma . . . des, varda . . . varda des taiuma cürt . . . luntes, luntes s a m asmìa i telefun cul tizio là, voti mai am mulaisa poc ma . . . a fà rii, sti pastigli c a i a dami . . . l me medic 36 Trad.: «1 (F70): hai ragione . . . ma . . . adesso, guarda . . . guarda adesso tagliamo corto . . . lunedì, lunedì se mi sembra telefono a quel tizio là, vuoi mai che mi mollasse un po’ ma . . . fa ridere, queste pastigle che mi ha dato . . . il mio medico | 3 (F70): dice signora . . . e io . . . è troppo . . . troppo potente, allora ho fatto un giorno sì . . . faccio un giorno sì . . . io gliel’ho detto allora dico | 4 (M50): e lui . . . e lui cosa ti dice? | 5 (F70): e lui dice . . . bò, lui mi ha detto così . . . ho detto al Pino dì pure a quel Borghetto che vado giù . . . c’è già Giovanni là . . . che mi aspetta, mi ha detto Rina guarda che hai lasciato là la tosse . . . e devi anche lasciare là quella cosa lì, né . . . poi è proprio l’a- 119 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice 2 M50: eh 3 F70: a diz signora deve prenderla un giorno sì un giorno no, e mi . . . un giorno sì un giorno no è trop . . . trop putant, anlura i ø fa c un giorno sì e . . . fas un giorno sì e due no . . . [. . .] . . . e mi i ø diilu nlura dig ma neanche la giornata dopo non . . . mi, mi prende di nuovo è più forte ancora 4 M50: e chial . . . e chial que at diz? 5 F70: e chil a diz eh fosse la pomata magari è un’altra cosa, ma non c’è in/ ancora in Italia . . . bò, chial a dimi parai . . . [. . .] . . . i ø dii au Pino dii püra a cul Borghetto c a vag giü´ . . . a i è già Giovanni là . . . c a m aspeta, a dimi Rina guara che t l as lasà là la tus . . . e t devi co lasè là lu lì, né . . . [. . .] . . . pø è propi l’aria . . . cozu . . . pirchè t vughi custa qui che . . . eh, la me amiza lì c a telefunà . . . la . . . cozu, la dona d Giovanni, chial/ chila co a dimi? mi se su sì mia gamba a marca l vent, a marca la piøva, a marca/ se su a Borghetto sei pì nen che la gamba al l’abbia . . . Il criterio rispettato da F70 per gli switch con funzione di citazione pare dunque rispondere al sopra menzionato principio di fedeltà al codice impiegato per la formulazione originaria del messaggio. È plausibile, infatti, che la scelta della lingua nazionale per il resoconto dello scambio verbale avuto con il dottore, dove al verbum dicendi realizzato in dialetto segue immediatamente una commutazione in italiano (es. t3: a diz signora deve prenderla un giorno sì un giorno no . . . e mi i ø diilu nlura dig ma neanche la giornata dopo non . . . mi mi prende di nuovo è più forte ancora), per lo più limitata all’estensione del discorso riportato (es. t5: e chil a diz eh fosse la pomata magari è un’altra cosa ma non c’è in/ ancora in Italia . . . bò, chial a dimi parai), volta a dar voce all’interazione vera e propria, corrisponda in effetti al comportamento (non marcato) realmente messo in atto nella situazione originaria, in quanto una conversazione di media formalità di questo tipo si rivela in genere favorevole all’uso della lingua nazionale 37 . Sempre in ossequio al suddetto criterio di fedeltà è poi plausibile interpretare le successive scelte linguistiche di F70, dal momento che l’impiego del dialetto per le citazioni, ora esteso al verbum dicendi (t5: i ø dii au Pino dii püra a cul Borghetto c a vag giü´ . . . a i è già Giovanni là . . . c a m aspeta), intende probabilmente rispettare la condotta linguistica osservata in origine, tipica delle interazioni di carattere confidenziale con interlocutori dialettofoni conosciuti. Tale intento «mimetico» pare addirittura stimolare il tentativo di riprodurre, all’interno del discorso riportato, alcuni dei tratti peculiari della varietà dialettale torinese, (presumibilmente) caratterizzante le elocuzioni verbali degli individui a cui si riferiscono le citazioni realizzate dalla parlante nel corso dei passaggi conclusivi dell’esposizione (t5: Rina guara che t l as lasà là la tus . . . e t devi co lasè là lu lì né . . . mi se su sì mia gamba a marca l vent a marca la piøva a marca/ se su a Borghetto sei pì nen che la gamba al l’abbia). ria . . . coso . . . perché vedi questa qui che . . . eh, la mia amica lì che ha telefonato . . . la . . . coso, la moglie (la donna) di Giovanni, lui/ lei cosa mi ha detto? io se sono qui la mia gamba segna il vento, segna la pioggia, segna/ se sono a Borghetto non so più di averla la gamba». 37 «The doctor is indeed a speaker with a high level of education, interacting with an unknown person in the official role-relationship of doctor-patient, during work time» (Alfonzetti 1998: 200). 120 Massimo Cerruti La rusticità del dialetto di F70, definita dalla presenza di alcuni attributi specifici dell’alto piemontese, quali l’allargamento dell’occorrenza della centrale [a] in senso anteriore (mulaisa, putant, chial, parai, ba ) (cf. Berruto 1974: 35), l’aggettivo possessivo femminile me 38 (la me amiza), le forme tipiche di prima e seconda persona singolare del verbo avere (t ai razu , i ø fa c , i ø diilu, i ø dii) (cf. Telmon 2001: 70) e la palatalizzazione del nesso consonantico latino -CT (i ø fa c ) (cf. Telmon 2001: 71), mostra infatti di perdere i suoi connotati più caratteristici, a favore dei corrispondenti torinesi 39 , in occasione degli ultimi segmenti di discorso riportato. Proprio la realizzazione in dialetto torinese, all’interno delle citazioni conclusive, dei medesimi tratti linguistici sopra menzionati, quali la diffusione dell’anteriore [e] in luogo della centrale [a] (vent, sei pì ne ), la distinzione del paradigma femminile per gli aggettivi possessivi (mia gamba), le forme di seconda persona singolare di avere (t l as lasà), ed alcune peculiarità lessicali (guara invece del precedente varda), induce quindi ad ipotizzare l’esecuzione da parte di F70 di una sorta di commutazione di codice da una varietà dialettale rustica, lingua base delle produzioni linguistiche della parlante, al torinese, codice presumibilmente impiegato dal locutore del messaggio originario. È interessante notare, quindi, come la competenza di più di una varietà dialettale, acquisita in seguito all’esperienza di emigrazione, permetta alla parlante in questione di produrre dei passaggi di codice tra tre varietà differenti: la lingua nazionale, il dialetto d’origine e il dialetto urbano torinese. In altri casi di code switching per citazione, però, il criterio di fedeltà al codice impiegato dal locutore originario non sembra costituir una spiegazione plausibile del comportamento bilingue dei parlanti. I passaggi seguenti, ad esempio, richiedono un tipo di interpretazione differente: [17] 40 F70: am dizìa se io dovessi stare con un/ con sua sorella, con . . . con ‘ste gambe, cume farìa a fè i pia ? [18] 41 F50: eh, eh eh infatti . . . menu i ø di c uarda, se non altro . . . e quindi dato sa/ sta, sta faccenda qui, suma na be que che, que che faruma [11] 42 F60: a l a ciamaie a Anna se . . . andava . . . ma Anna l a dime chila vøl ne al meiz d’agust, io vengo a luglio . . . agosto già le giornà su pi ne tant bele n muntagna, eh . . . 38 Tratto in realtà caratteristico dei dialetti monferrini (cf. Berruto 1974: 34 e Telmon 2001: 74). D’altra parte, molti dei fenomeni linguistici considerati tipicamente alto-piemontesi risultano appartenere anche ad altre varietà subregionali (si rimanda, in proposito, a Telmon 2001: 71s.). 39 Si veda, per una disamina più dettagliata dei tratti caratteristici del dialetto torinese e delle varietà pedemontane rustiche, Telmon 2001: 55-72. 40 Trad.: «F70: mi diceva se io . . . come farei a fare i piani? ». 41 Trad.: «F50: almeno ho detto guarda, se non altro . . . non sappiamo bene quello che, quello che faremo». 42 Per la traduzione si veda la nota 27. 121 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice [19] 43 F77: i ø dii . . . finii il ferie Mario? . . . eh, l ei finii, e l ginui? . . . fa sempre mal . . . fa sempre na volta pì mal, grazie . . . eh, eh . . . cume dì, grasie che t ai ciamà nutisie, ma . . . È importante notare come nei contributi in questione l’estensione dei passaggi in code switching non coincida in maniera regolare né con i confini della sequenza citata, né con la marcatura del verbum dicendi introduttivo. In un caso, infatti, ad un primo cambio di lingua volto a definire l’inizio dell’enunciato riportato (F70: am dizìa se io dovessi stare con un/ con sua sorella), segue poi un’ulteriore commutazione di codice interna alla citazione stessa e il conseguente ritorno alla varietà precedente (con . . . con ‘ste gambe cume farìa a fè i pian? ); in un altro è un passaggio solo ad occorrere all’interno del segmento citato, mantenendosi quale scelta linguistica per il prosieguo di parte dell’esposizione (F50: i ø di c uarda, se non altro . . . e quindi dato sa/ sta, sta facenda qui . . .); in un altro ancora è un doppio switch, inizialmente dal dialetto all’italiano e in seguito dall’italiano al dialetto, a verificarsi entro i limiti del discorso riportato (F60: ma Anna l a dime chila vøl ne al meiz d’agust, io vengo a luglio . . . agosto già le giornà su pi ne tant bele n muntagna), e, in un ultimo caso, la commutazione è di fatto circoscritta al vocabolo che conclude la citazione (F77: e l ginui? . . . fa sempre mal . . . fa sempre na volta pì mal, grazie). L’analisi degli enunciati trascritti pare dunque ragionevolmente confermare l’inaccettabilità di una spiegazione formulata in termini di preservazione di autenticità e mimesi nei confronti della varietà di lingua del messaggio originario. Risulta del tutto improbabile, infatti, che la decisione del parlante di operare un cambio di codice in occasione di determinati punti del discorso possa coincidere con un corrispondente intervento in code switching eseguito già in origine dall’emittente cui è riferita la citazione (cf. Alfonzetti 1998: 200-02). Per quanto riguarda le produzioni verbali in cui una o più commutazioni hanno luogo all’interno delle sequenze riportate, è quindi plausibile che tali switch, anziché rispondere ai criteri di fedeltà di cui sopra, soddisfino particolari intenzioni espressive (es. la messa in rilievo di istanze contrastive: chila vøl ne al meiz d’agust, io vengo a luglio . . .) o contribuiscano alla realizzazione di specifiche strategie narrative, quali, ad esempio, l’identificazione di segmenti marginali o la sottolineatura enfatica di momenti culminanti dell’esposizione (fa sempre mal . . . fa sempre ‘na volta pì mal, grazie). Nei casi in cui, invece, ad un primo passaggio di codice, sia che questo segnali l’inizio della citazione o che si limiti a circoscrivere il verbum dicendi, segua un ulteriore code switching entro i confini del discorso riportato (es. i ø di c uarda, se non altro . . .), o, più semplicemente, la varietà in direzione della quale avviene la commutazione non risulti corrispondere, in base a ragioni di appropriatezza situazionale e deduzioni legate ad atteggiamenti lin- 43 Trad.: «F77: gli ho detto . . . finite le ferie Mario? . . . le ho finite, e il ginocchio? . . . fa sempre male . . . fa sempre più male, grazie . . . come dire, grazie che hai chiesto notizie, ma . . . ». 122 Massimo Cerruti guistici non marcati 44 , alla scelta compiuta dall’emittente originario, il ricorso al cambio di lingua va riferito esclusivamente alla volontà del parlante di esplicitare e sottolineare il contrasto «between the conversational context of the quote and the reported speech itself» (Auer 1995: 119). Sebbene nella gran parte degli episodi di citazione occorsi nel corpus di interazioni in indagine il criterio di autenticità nei confronti del codice originario paia rivelarsi decisivo nell’orientare i comportamenti linguistici in questione, risulta altresì diffusa e comprovata, dunque, l’attestazione di casi in cui l’intento «mimetico» esercita di fatto un ruolo di secondo piano, mentre è il code switching in sé a dimostrarsi significativo ed esibire il proprio valore pragmatico. In queste circostanze è quindi esclusivamente la giustapposizione contrastiva di varietà di lingua differenti a realizzare intenzioni espressive specifiche o a soddisfare, per quanto possibile, l’esigenza di riprodurre il carattere polifonico del discorso, distinguendo la conversazione in atto dalle sequenze riportate, talvolta mediante l’assegnazione di codici diversi a particolari locutori (cf. Alfonzetti 1992a: 137 e Sebba/ Wootton 1998: 274). 4. Conclusioni Come accennato nel paragrafo introduttivo, lo studio dei fenomeni di commutazione di codice può fornire indicazioni utili all’interpretazione dei rapporti tra italiano e dialetto, e dunque all’indagine della situazione sociolinguistica della comunità di riferimento. Seppure non rientri strettamente tra gli obiettivi del presente contributo, è possibile ritrovare a margine di alcune riflessioni qualche traccia del ruolo esercitato da dialetto e lingua nazionale all’interno del repertorio linguistico dei parlanti osservati e qualche indizio dell’influenza di determinate variabili sociolinguistiche nell’orientare comportamenti e scelte di lingua. Com’era facilmente prevedibile, tra i fattori di maggiore importanza vi sono senza dubbio le circostanze più o meno confidenziali della conversazione (es. int. [1]), l’interlocutore cui ci si rivolge (anche mediante il riconoscimento del rispettivo codice della conversazione quotidiana, es. int. [15]) e la classe d’età d’appartenenza (i parlanti più anziani, ad esempio, sembrano preferire, soprattutto in situazioni familiari, un impiego esclusivo del dialetto piuttosto che un uso alternato alla lingua nazionale, es. int. [11]). Un peso notevole esercita poi il vissuto storico e sociolinguistico individuale: il contatto tra sistemi linguistici differenti prodottosi in seguito ai fenomeni di migrazione interna della seconda metà del secolo scorso ha infatti in certi casi condotto all’acquisizione di una seconda varietà dialettale (tipicamente il dialetto urbano torinese) e al suo impiego in commutazione di codice 44 Naturalmente, non è sempre possibile stabilire con certezza il codice impiegato per l’enunciazione originaria: «we, as researchers, cannot state exactly if the language of the quotation coincides or not with the original one, for the simple reason that the latter is unknown to us» (Alfonzetti 1998: 200). 123 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice con l’italiano e il dialetto d’origine (es. int. [16]). Proprio la percezione di solidarietà ed il carico affettivo veicolati dalla condivisione della stessa varietà dialettale, connessi naturalmente ai potenziali connotativi di cui si fa portatore il comune retroterra etno-culturale, sono poi sfruttati dagli interlocutori per soddisfare esigenze conversazionali specifiche (es. strategie di convergenza e divergenza, int. [2], o uso di un we-code vs. they-code, int. [6]). In alcuni casi, tuttavia, più che l’impiego di una particolare varietà di lingua è il cambio di codice in sé ad assumere valore pragmatico e a farsi veicolo delle intenzioni comunicative dei parlanti; la direzione del code switching è dunque in questi casi sostanzialmente reversibile. Stando alle interazioni del nostro corpus, tale affermazione è vera per la quasi totalità dei fenomeni di commutazione di codice connessi al discorso, in maniera particolare per quanto riguarda la scansione in sequenze costitutive e la progressione interna di un episodio verbale, i meccanismi di autoed etero-assegnazione dei turni di parola e la messa in rilievo del carattere polifonico del discorso (cf. int. [8], [9], [15], [17], [18] e [19]). È interessante notare, però, come anche in alcuni casi di code switching riconducibili all’opposizione wecode vs. they-code, quindi più fortemente legati a sentimenti di identità (etnica o sociale), si verifichi una certa reversibilità nella direzione dei cambi di codice, e dunque una certa flessibilità nell’uso delle varietà in gioco. Vale a dire che per i parlanti dialettofoni non è sempre il dialetto a farsi carico delle funzioni di norma associate ad un we-code, così come non è automatico l’impiego della lingua nazionale in qualità di they-code (es. int. [3] e [12]). A conclusione del presente contributo vorremmo ancora spendere due parole in merito a una questione più volte sfiorata nel corso dell’esposizione. Si è parlato spesso di uso della commutazione di codice come strategia conversazionale e strumento delle intenzioni comunicative degli interlocutori, ma va ricordato che, a parte i casi in cui è il parlante stesso a rendere esplicito il motivo (o quanto meno il fondamento) delle proprie scelte di lingua (es. int. [2]), il valore pragmatico-funzionale dei passaggi in code switching è qui definito per lo più sulla base di interpretazioni ragionate, frutto di osservazione e ricerca 45 . Riflettendo sul significato interazionale della commutazione di codice, poi, si è spesso fatto riferimento ad alcune forme di organizzazione sequenziale della conversazione e a fattori socio-situazionali. Con ciò, beninteso, non si è voluto affermare l’esistenza di un’influenza diretta di tali variabili sulle scelte linguistiche individuali. Patterns conversazionali e fattori socio-situazionali sono da intendere, piuttosto, «as a resource for making choices, not as a determinant of choices» (Myers-Scotton/ Bolonyai 2001: 23); se da una parte, infatti, essi definiscono (e dunque limitano) l’insieme dei comportamenti linguistici non marcati, dall’altra forniscono mezzi e risorse comunicative potenzialmente sfruttabili secondo le preferenze, le intenzioni e gli scopi dei parlanti. L’individuo, 45 Alcuni parlanti, del resto, hanno difficoltà non solo ad individuare il significato funzionale di una particolare commutazione di codice occorsa all’interno delle proprie produzioni verbali, ma stentano persino a riconoscere il verificarsi stesso dell’avvenuto cambio di codice (si veda, ad esempio, Sobrero 1992: 22-26). 124 Massimo Cerruti tenuto conto di tali limiti ed opportunità (e delle conseguenti alternative possibili), opterà poi per le scelte ritenute più adeguate al raggiungimento dei propri obiettivi, secondo un’attenta analisi comparativa dei costi e dei benefici (cf. Myers-Scotton 1998b: 19s. e Myers-Scotton/ Bolonyai 2001: 12s.). Nel caso in cui, cioè, vi sia completo accordo tra accettabilità sociale e scopi, intenzioni o preferenze individuali, la razionalità dovrebbe con ogni probabilità guidare il parlante verso le possibilità di scelta non marcate suggerite dal contesto (es. int. [3]), mentre nel caso in cui le due «forze» siano in contrasto l’individuo dovrà decidere se ignorare le indicazioni (o le prescrizioni) socio-situazionali, realizzando i propri obiettivi attraverso l’adozione di scelte marcate (es. int. [2]), oppure seguirle, cercando di attuare i propri intenti sfruttando le opportunità consentite. Calcoli cognitivi (consci o inconsci) del tutto analoghi, sempre basati sul confronto tra obiettivi, preferenze, costi e benefici, possono poi indurre i parlanti a ricorrere a strategie discorsive connesse all’organizzazione sequenziale della conversazione (es. int. [15]), oppure a decidere di farne a meno (es. int. [11]). Ci si basa qui, naturalmente, sul presupposto che l’individuo sia un parlante razionale. Il che non equivale, ovviamente, ad affermare che le persone siano sempre razionali nei loro comportamenti linguistici, ma significa credere che non esistano ragioni valide per negare la fondatezza di spiegazioni di scelte di lingua basate sull’assunto che i parlanti in indagine abbiano agito in maniera razionale 46 , comparando cioè attentamente i propri scopi socio-comunicativi con le conseguenze derivanti dal comportamento linguistico messo in atto (cf. Myers-Scotton 1998b: 35-36, e Myers-Scotton/ Bolonyai 2001: 24). Torino Massimo Cerruti Criteri per la trascrizione delle interazioni Visti gli obiettivi del presente contributo e l’assenza di finalità fonetiche, è parso sufficiente adottare una trascrizione larga, molto semplificata, delle parti di conversazione in dialetto, seguendo grosso modo la grafia e le norme ortografiche dell’italiano standard (non si è fatta distinzione, ad esempio, tra vocali e semivocali e la segnalazione dell’accento è generalmente limitata alla sillaba finale di parole ossitone). Fanno eccezione alcuni foni, caratteristici dei dialetti piemontesi, per i quali si è deciso di usare convenzionalmente la seguente resa grafica: ü vocale anteriore arrotondata alta (come nel fr. mur); ø vocale anteriore arrotondata medio-alta (fr. peu); ë vocale centrale media muta o indistinta (angl. about); consonante nasale velare (angl. sing). 46 «Rationality functions both as a mechanism and as an explanation. As a mechanism, it directs actors . . . to find the best action . . . As an explanation, rationality tells us why choices are made» (Myers-Scotton/ Bolonyai 2001: 14). 125 Aspetti pragmatico-funzionali della commutazione di codice Visto però che sia in dialetto piemontese sia in italiano la nasale conosce sempre realizzazione velare davanti a occlusiva velare, si è scelto di ricorrere al grafema solo nei casi in cui la pronuncia dialettale differisca da quella dell’italiano standard; ad esempio in posizione finale di parola (es. piem. bu , «buono»). All’interno dei segmenti di conversazione in dialetto si sono trascritte le fricative dentali con i caratteri s (per la sorda) e z (per la sonora); l’assenza di affricate dentali nelle produzioni dialettali riportate in trascrizione dovrebbe escludere possibili ambiguità con le norme ortografiche dell’italiano. I caratteri c e g in finale di parola presentano invece, onde evitare confusioni (e allo stesso tempo preservare caratteristiche fonetiche peculiari di alcune varietà di dialetto piemontese), l’aggiunta di un diacritico (ˇ) nel caso in cui corrispondano ad affricate palatali e non ad occlusive velari (es. piem. nø c , «notte», con l’affricata palatale sorda; roc, «roccia», con l’occlusiva velare sorda). Si è scelto di trascrivere come pronunciati in dialetto (quindi in corsivo) sia i nomi propri la cui pronuncia da parte del parlante risulti tipicamente dialettale (es. Flip, Gizep, Muncalè, Muntafia) che quelli omofoni in italiano e in dialetto all’interno di contesti frasali dialettali (es. Piera a l a dime, «Piera mi ha detto»); sono invece trascritti come pronunciati in italiano i nomi propri la cui pronuncia risulti quella della lingua nazionale (es. Filippo, Giuseppe, Moncalieri, Montafia). Per quanto concerne poi le caratteristiche più generali del trattamento delle interazioni trascritte: ogni conversazione con almeno due partecipanti presenta una numerazione continua dei turni di parola (al margine sinistro); nel corpo del testo, i turni specifici cui fa riferimento l’analisi sono riportati in forma di sigla (es. t8 per turno 8); gli interlocutori stessi sono identificati per mezzo di sigle (le quali, nella trascrizione degli scambi verbali, seguono a distanza di tabulatore il numero di turno), ottenute combinando l’indicazione del sesso e dell’età (nella maggior parte dei casi stimata approssimativamente) del parlante (es. M60, F50); i contributi dei diversi partecipanti ad un’interazione, qualora non intervengano indicazioni differenti nel corso dei commenti agli esempi, sono da intendere come realizzati per lo più in successione; le sovrapposizioni di voci meno rilevanti a fini conversazionali non sono generalmente indicate; alcuni accavallamenti nelle elocuzioni, in corrispondenza di interruzioni e/ o avvicendamenti nei turni di parola sono tuttavia trascritti indicando con un asterisco il punto in cui inizia la sovrapposizione. es. 17 M52: e mi diva *va ba / 18 F50: *poi ha fatto tutta la storia . . . dei vari strumenti . . . Altre convenzioni simboliche: [. . .] parti dell’interazione omesse nella trascrizione; / ---/ passaggi mancanti dovuti alla fedeltà carente di alcune registrazioni; , pausa di circa 1 sillaba; . . . pausa di circa 2-3 sillabe; 126 Massimo Cerruti / interruzioni, auto-correzioni; ABCD aumento del tono di voce del parlante. In una nota posta in corrispondenza del numero identificativo di ogni conversazione trascritta è data la traduzione in italiano degli interventi in dialetto, preceduti ciascuno dai rispettivi numero di turno e sigla del parlante; si trovano riportate in nota anche alcune parti di enunciati formulati in italiano già dal parlante (distinguibili dai segmenti realmente tradotti grazie alla stessa formattazione dei caratteri seguita nelle interazioni), in quanto funzionali ad una comprensione migliore della traduzione e/ o ad un più agevole reperimento all’interno dell’episodio trascritto delle produzioni dialettali cui questa è riferita. Laddove la trasposizione in italiano presenti differenze significative rispetto alla formulazione dialettale si è pensato poi di riportare tra parentesi la traduzione letterale dell’enunciato, tanto più che spesso questa corrisponde ad espressioni caratteristiche dell’italiano regionale piemontese. Bibliografia Alfonzetti, G. 1992a: Il discorso bilingue. 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