eJournals Vox Romanica 63/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2004
631 Kristol De Stefani

Sabine Heinemann/Gerald Bernhard/Dieter Kattenbusch (ed.), Roma et Romania. Festschrift für Gerhard Ernst zum 65. Geburtstag, Tübingen (Niemeyer) 2002, viii + 428 p.

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2004
G. Berruto
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Concordanose insieme li auctori che a li scugliati mai si debia togliere sangue da la matrice, excepto per superchia et extrema necessità, imperoché perderono grandissima parte del calore con li testicoli. [. . .] Ma li stalloni, quando son prohibiti dal montare, se dice spesse volte cecarse se non se sagnaranno da la matrice (98r.26-98v.5) Non è dubbio, insomma, che in tutte le ricorrenze succitate la matrice designi la vena giugulare, appunto come la matrix di Pelagonio e Vegezio 32 . V. Formentin ★ Sabine Heinemann/ Gerald Bernhard/ Dieter Kattenbusch (ed.), Roma et Romania. Festschrift für Gerhard Ernst zum 65. Geburtstag, Tübingen (Niemeyer) 2002, viii + 428 p. Le Festschriften risultano di solito dei volumi poco meno che disperanti per un recensore, per via ovviamente della programmata eterogeneità e occasionalità dei contributi che contengono; ma bisogna dire che hanno sempre due atouts che le rendono molto preziose. In genere, sono infatti dei sostanziosi volumi con bella rilegatura, con sovracoperta, con assetto tipografico ben curato, il che li rende assai gradevoli già come oggetti; ma quel che conta è che, proprio in virtù della loro eterogeneità, dalle Festschriften c’è sempre molto da imparare: qualche cosa di impreveduto, di importante, di originale, qualche scavo in settori trascurati o marginali, qualche suggerimento di nuova sistemazione teorico-metodologica si trova sempre, qualunque sia l’angolo disciplinare da cui muove il lettore. Questa miscellanea in onore del romanista di Regensburg Gerhard Ernst non sfugge alla regola, tutt’altro. Vi compaiono, assieme alla bibliografia del festeggiato (3-14), trenta contributi di linguisti, romanisti, storici della lingua, italianisti attivi in università tedesche e italiane, ma anche austriache (H. Goebl, M. Iliescu) e slovene (M. Skubic), disposti in ordine alfabetico. I temi spaziano dal romanesco antico, ai manuali di lingua francesi del Seicento, alla morfologia derivazionale, alla sintassi romena, alla terminologia del violino, alla storia della lingua italiana e francese, alla lessicologia, allo spagnolo del Nuovo Messico, alle lingue creole, a fatti fonetici in sincronia e diacronia, e via discorrendo; e dànno ben conto della gamma degli interessi del festeggiato. Qui ci limiteremo a segnalarne in maniera più dettagliata una scelta, del tutto obbediente alle idiosincrasie di chi scrive; si fa così certamente torto ai non menzionati, che perdoneranno la mancanza. G. Bernhard, «Uvulares [r]: Synchronisches und Diachronisches zu einem rätselhaften Laut» (15-22), prende simpaticamente lo spunto dalle difficoltà che secondo il suo istitutore Héroard (studiato com’è noto dal festeggiato) il piccolo Luigi XIII ebbe ad imparare la pronuncia alveolare della [r] per tracciare le linee della diffusione in Francia della realizzazione normale uvulare della vibrante. P. D’Achille, «Il romanesco nei manualetti scolastici degli anni Venti» (47-62), esamina il tipo di dialetto presentato nei manuali scolastici del terzo decennio del secolo scorso sulla scorta del metodo gentiliano «dal dialetto alla lingua», per ricavarne interessanti documentazioni di usi dialettali e della loro percezione presso gli autori dei manualetti, e per proporre anche un paio di retrodatazioni di romanismi in italiano: fiumarolo e tintarella (datati rispettivamente 1958 e 1942 dal GRADIT di T. De Mauro) sono già presenti, e commentati, nel manuale di N. Angelucci (1928-29). 297 Besprechungen - Comptes rendus 32 J. N. Adams, Pelagonius and Latin Veterinary Terminology in the Roman Empire, Leiden-New York-Köln 1995: 422-23; si veda inoltre lo stesso Glossario di A., s. v. matricale (396), dove si ricorda l’uso di matrix ‘vena giugulare’ in Teoderico da Cervia (XIII sec.), spiegato correttamente come un vegezismo. M.-D. Gleßgen, «Die Philologie im Werk von Gerhard Ernst» (95-113), si sofferma con un’accurata disamina sui lavori filologici del festeggiato, vedendo come una Grundkonstante dell’intera opera di Ernst una «äußerst präzise Abgrenzung zugrundegelegter sprachlicher Daten» (106). S. Heinemann, «Zur funktional-semantischen Heterogenität von ital. -one unter besonderer Berücksichtigung der Adverbbildung» (135-50), tratteggia i molteplici valori del suffisso -one/ -oni (di baffone, amicone, bambinone, polentone, mangione, birbone e di carpone, pendolone, bocconi, ginocchioni) con particolare attenzione alla formazione di avverbi, rilevando come sia sempre presente un rimando all’originaria funzione individualizzante del valore del suffisso. D. Kattenbusch, «Computervermittelte Kommunikation in der Romania im Spannungsfeld zwischen Mündlichkeit und Schriftlichkeit» (183-99), affronta un tema che ha cominciato da poco ad attirare l’attenzione dei linguisti ma che promette di diventare assai alla moda; e sulla base dei tratti salienti dei testi di posta elettronica, chat, newsgroups, ecc., propone l’aggiunta nello spazio della classica opposizione fra scritto e parlato in termini di graphischer Kode e phonischer Kode un lalischer Kode, nuova categoria che rappresenta un ibrido tra codice grafico e codice iconografico; non manca altresì di sottolineare la grande varietà linguistica di forme e testi che viene realizzata sullo schermo del computer. L. Lorenzetti, «Sulla grammaticalizzazione di dice nell’italiano parlato» (211-21), propone un bell’esercizio di analisi della forma più o meno nettamente desemantizzata dice come marca di discorso diretto (è una bambina molto timida dice e questa timidezza dice signora se la porterà . . .), precisando con buoni argomenti come la costruzione vada considerata un tratto dell’italiano parlato colloquiale più che specificamente dell’italiano popolare (come era stata sinora caratterizzata dalla più parte degli autori che l’avevano incidentalmente segnalata). M. Mancini, «Una testimonianza di Consenzio sul numerale ‹trenta› in latino volgare» (223-35), cesella con convincente argomentazione, partendo dal riesame di un passo del grammatico latino Consenzio, sulla vexata quaestio dei numerali delle decine nelle lingue romanze e mostra come all’origine della trafila della retrazione dell’accento e delle conseguenti forme regolarmente sviluppatesi debba esserci stata una «configurazione del significante trejénta come tréjenta (da intendersi secondo la fonologia standard / 'tri g inta/ , con la prima i ‘acuta’)» (233). E. Radtke, «Eine Bologneser Buchhaltungsnotiz aus der ersten Hälfte des Trecento? » (263-68), riferisce della scoperta fra i lasciti di una famiglia bolognese di una scritta da un libro di conti presumibilmente (essendo la caratterizzazione paleografica non sicura) da ricondurre alla prima metà del quattordicesimo secolo, e con alcuni tratti linguistici «strani» (come memuoria nel senso di ‘attestazione’, la sonorizzazione della velare in porgo ‘porco’, ecc.). L. Renzi, «‘Tu’ e ‘voi’ in italiano antico: da Dante, Paradiso (xv e xvi) al corpus elettronico TLIO» (269-85), schizza la situazione degli allocutivi nell’italiano due-trecentesco, in cui la scelta fra tu, che risulta peraltro la forma di gran lunga più frequente e non marcata («quella cioè che viene usata se non c’è una buona ragione che giustifichi il voi», 273), e voi appare legata fondamentalmente a parametri sociali (nobili vs. popolo) e non alla distanza e confidenza reciproca; tale considerazione del voi come «nobiliare» spiega bene come nel canto xvi del Paradiso Dante passi dal tu al voi rivolgendosi all’antenato Cacciaguida. W. Schweickard, «Die Textgrundlagen der historischen Lexikographie» (323-35), produce una rassegna ragionata, che tiene conto degli aspetti sia contenutistici che metodico-filologici e tecnici, dei problemi e dello stato della documentazione testuale su cui lavora la lessicografia storica. L. Serianni, «Popolarismi e tecnicismi in un chimico modenese secentesco» (337-49), esamina il linguaggio degli scritti del chimico modenese C. Lancillotti, documentandone da un lato i caratteri settentrionali e lo scarso controllo sintattico-testuale e dall’altro l’abbondante, anche se non sempre coerente, impiego di tecnicismi e termini specialistici; e non 298 Besprechungen - Comptes rendus manca l’occasione di qualche retrodatazione (per es., cronico detto di malattia, finora attestato avanti 1729, risale almeno al 1677). M. Skubic, «Calques syntaxiques slavo-romans» (351-58), discute tre casi di influenza delle lingue slave sulla sintassi romanza: la scelta del tempo verbale nelle subordinate, laddove il romeno non rispetta la concordanza dei tempi normale per le lingue romanze, che presenta alcuni casi anche nell’area italo-romanza al confine o in sovrapposizione con l’area slavofona (goriziano, istroromanzo, ecc.); la forma analitica della costruzione della frase relativa col sintagma relativizzato oggetto diretto (qui però la cosa andrà trattata con estrema cautela, essendo le costruzioni analitiche - con ripresa clitica - della frase relativa ampiamente diffuse nelle varietà substandard e dialettali delle lingue romanze); la presenza della doppia negazione in contesti con gnente, gnanca, ecc., dove le varietà italo-romanze la escluderebbero. A. Stefenelli, «Die lexikalische Dynamik der jüngeren italienischen Literatursprache» (371-84), tratta il rapporto fra i termini di coppie sinonimiche come tirare/ trarre, porre/ mettere, giungere/ arrivare, fanciullo/ ragazzo, gettare/ buttare, rammentare/ ricordare, ecc. sulla base dei dati dei dizionari di frequenza. P. Stein, «Au milieu du gué: Quelques réflexions à propos de l’origine et de l’avenir des langues créoles» (385-96), nota come «les créoles se trouvent donc à la croisée des chemins entre la réintégration dans la langue européenne respective et l’autonomie, c’est-à-dire la stabilisation au milieu du gué» (394); poiché vi sono ragioni che spingerebbero sia nell’uno che nell’altro senso, e dato che le lingue creole si trovano a vivere in situazioni con connotati linguistici e socio-demografici ben diversi, quale delle due rive del guado verrà toccata e in quanto tempo «dépendra de la situation particulière de chacune d’entre elles» (395). Su queste parole salomonicamente rivolte al futuro chiudiamo la nostra rassegna. Al termine della quale, ci accorgiamo di aver privilegiato i lavori vertenti sull’italianistica. Ma non è certo questione di maggior pregio o più alto interesse dei contributi alla Festschrift Ernst di tema italo-romanzo, è semplicemente a causa dell’unilateralità e della limitatezza delle competenze di chi scrive . . . Non v’è dubbio, in ogni caso, che questa Festschrift si inserisce con pregio e pieno merito nell’eccellente serie di miscellanee con la quale la romanistica tedesca sta festeggiando il ricambio generazionale nelle leve degli studiosi, così fitto in questi anni a cavallo del Terzo Millennio. G. Berruto ★ Elena Weber Wetzel, Il dialetto di Casale Corte Cerro. Contributo alla conoscenza delle parlate del Cusio, Alessandria (Edizioni dell’Orso) 2002, 322 p. (Lingua, Cultura, Territorio 31) La pubblicazione qui segnalata colma una grave lacuna nella conoscenza dei dialetti prealpini della fascia fra Toce e Sesia. Se si fa astrazione dall’inchiesta svolta per l’AIS a Nonio sulla riva occidentale del Lago d’Orta, il territorio sopraccitato è una delle poche zone rimaste bianche sulle carte dialettologiche lungo il pendio meridionale delle Alpi. Il lavoro intrapreso dall’autrice è quindi da considerare di per sé meritevole, e la sua tesi di dottorato presentata all’Università di Zurigo rimarrà un’opera di consultazione indispensabile per chiunque vorrà informarsi sulla situazione dialettale del Cusio. Meritevole è inoltre il fatto che l’autrice non si sia limitata a dare una descrizione della fonetica storica del dialetto, ma che tratti anche la morfologia, elementi di sintassi e la formazione delle parole. Completano la presentazione un lessico etimologico di ben 140 p. e una ricca raccolta di toponimi. Come sempre quando ci si muove su terreni inesplorati, una certa insicurezza sulla scelta della via da percorrere era inevitabile. 299 Besprechungen - Comptes rendus