Vox Romanica
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0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniElena Weber Wetzel, Il dialetto di Casale Corte Cerro. Contributo alla conoscenza delle parlate del Cusio, Alessandria (Edizioni dell’Orso) 2002, 322 p. (Lingua, Cultura, Territorio 31)
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F. Spiess
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manca l’occasione di qualche retrodatazione (per es., cronico detto di malattia, finora attestato avanti 1729, risale almeno al 1677). M. Skubic, «Calques syntaxiques slavo-romans» (351-58), discute tre casi di influenza delle lingue slave sulla sintassi romanza: la scelta del tempo verbale nelle subordinate, laddove il romeno non rispetta la concordanza dei tempi normale per le lingue romanze, che presenta alcuni casi anche nell’area italo-romanza al confine o in sovrapposizione con l’area slavofona (goriziano, istroromanzo, ecc.); la forma analitica della costruzione della frase relativa col sintagma relativizzato oggetto diretto (qui però la cosa andrà trattata con estrema cautela, essendo le costruzioni analitiche - con ripresa clitica - della frase relativa ampiamente diffuse nelle varietà substandard e dialettali delle lingue romanze); la presenza della doppia negazione in contesti con gnente, gnanca, ecc., dove le varietà italo-romanze la escluderebbero. A. Stefenelli, «Die lexikalische Dynamik der jüngeren italienischen Literatursprache» (371-84), tratta il rapporto fra i termini di coppie sinonimiche come tirare/ trarre, porre/ mettere, giungere/ arrivare, fanciullo/ ragazzo, gettare/ buttare, rammentare/ ricordare, ecc. sulla base dei dati dei dizionari di frequenza. P. Stein, «Au milieu du gué: Quelques réflexions à propos de l’origine et de l’avenir des langues créoles» (385-96), nota come «les créoles se trouvent donc à la croisée des chemins entre la réintégration dans la langue européenne respective et l’autonomie, c’est-à-dire la stabilisation au milieu du gué» (394); poiché vi sono ragioni che spingerebbero sia nell’uno che nell’altro senso, e dato che le lingue creole si trovano a vivere in situazioni con connotati linguistici e socio-demografici ben diversi, quale delle due rive del guado verrà toccata e in quanto tempo «dépendra de la situation particulière de chacune d’entre elles» (395). Su queste parole salomonicamente rivolte al futuro chiudiamo la nostra rassegna. Al termine della quale, ci accorgiamo di aver privilegiato i lavori vertenti sull’italianistica. Ma non è certo questione di maggior pregio o più alto interesse dei contributi alla Festschrift Ernst di tema italo-romanzo, è semplicemente a causa dell’unilateralità e della limitatezza delle competenze di chi scrive . . . Non v’è dubbio, in ogni caso, che questa Festschrift si inserisce con pregio e pieno merito nell’eccellente serie di miscellanee con la quale la romanistica tedesca sta festeggiando il ricambio generazionale nelle leve degli studiosi, così fitto in questi anni a cavallo del Terzo Millennio. G. Berruto ★ Elena Weber Wetzel, Il dialetto di Casale Corte Cerro. Contributo alla conoscenza delle parlate del Cusio, Alessandria (Edizioni dell’Orso) 2002, 322 p. (Lingua, Cultura, Territorio 31) La pubblicazione qui segnalata colma una grave lacuna nella conoscenza dei dialetti prealpini della fascia fra Toce e Sesia. Se si fa astrazione dall’inchiesta svolta per l’AIS a Nonio sulla riva occidentale del Lago d’Orta, il territorio sopraccitato è una delle poche zone rimaste bianche sulle carte dialettologiche lungo il pendio meridionale delle Alpi. Il lavoro intrapreso dall’autrice è quindi da considerare di per sé meritevole, e la sua tesi di dottorato presentata all’Università di Zurigo rimarrà un’opera di consultazione indispensabile per chiunque vorrà informarsi sulla situazione dialettale del Cusio. Meritevole è inoltre il fatto che l’autrice non si sia limitata a dare una descrizione della fonetica storica del dialetto, ma che tratti anche la morfologia, elementi di sintassi e la formazione delle parole. Completano la presentazione un lessico etimologico di ben 140 p. e una ricca raccolta di toponimi. Come sempre quando ci si muove su terreni inesplorati, una certa insicurezza sulla scelta della via da percorrere era inevitabile. 299 Besprechungen - Comptes rendus Caratteristico per il dialetto qui esaminato è indiscutibilmente il fatto di trovarsi nella zona di contatto fra l’area lombarda e quella piemontese. Che prevalga l’elemento lombardo è facile da intuire se, come nota giustamente l’autrice, la nostra zona appartenne fino al 1748 al ducato di Milano e fu annessa solo in conseguenza della guerra di successione austriaca ai domini di casa Savoia. Anche in tempi successivi e fino al periodo attuale le comunicazioni fluviali, ferroviarie e stradali più comode e meglio organizzate ebbero come conseguenza che l’area ossolana continuò dal punto di vista economico e culturale a sentirsi più vicina a Milano che a Torino. Pur essendo cosciente di questo fatto, nella sua trattazione l’autrice tende a guardare più a ovest che a est. Nella ricchissima bibliografia da essa citata, infatti, le opere concernenti il Piemonte prevalgono su quelle riguardanti la Lombardia. Colpisce soprattutto la scarsa presenza dell’abbondantissima documentazione che fa della Svizzera italiana una delle regioni dialettologiche meglio esplorate del mondo romanzo. Delle opere dell’instancabile esploratore dei dialetti ticinesi O. Keller viene ad esempio citato unicamente l’articolo sulla lingua segreta dei magnani della Val Colla 1 che meno può contribuire alla conoscenza del dialetto di Casale. Questa scarsa considerazione dei dialetti alpini lombardi porta l’autrice qua e là a sopravvalutare nel dialetto casalese tanto l’elemento piemontese, quanto quello grigione romancio. La dittongazione di e lunga in sillaba aperta si conserva ad esempio anche in buona parte dei dialetti alpini della Svizzera italiana, quali quelli di Mesocco (Camastral 1959: 116) 2 e della valle di Blenio (Vicari 1992/ 1: 38, 1995/ 2: 33 3 , dove si accenna alla situazione analoga in Leventina, Riviera e Alto Bellinzonese). Per l’evoluzione di alt a aut si veda la cartina in VSI 1: 126. Quanto alla struttura dei pronomi personali clitici, è da tenere presente il fatto che il loro elemento vocalico è essenzialmente una semplice vocale d’appoggio (cf. Spiess 1976: 204) 4 , per cui può precedere o seguire l’elemento consonantico in dipendenza degli elementi contigui (cf. VSI 1: 149). Si riducono quindi a poche le caratteristiche soltanto piemontesi o soltanto retorom. elencate nell’introduzione dell’opera qui trattata, le altre affiorano qua e là in tutta la fascia alpina centrale. Dopo queste osservazioni di carattere generale aggiungiamo alcuni appunti specifici, tentando di completare l’opera qui considerata con alcune annotazioni viste dall’osservatorio di uno studioso dei dialetti della Svizzera italiana. P. 7: L’area di arbul ‘castagno’ si estende dal Piemonte alla Valtellina (Kaeser 1932: 27) 5 ; la definizione del castagno come «albero per eccellenza» figura già in Cherubini 1840/ 2: 70 6 . P. 9: Un regno del Piemonte con questo nome non è mai esistito. Il Piemonte era il nucleo centrale del regno di Sardegna che comprendeva oltre all’isola omonima la Savoia e la Liguria. P. 10: Alla suddivisione della Romania in Romania settentrionale e Romania mediterranea lo scrivente aveva già accennato in VRom. 44 (1985): 85 7 . 300 Besprechungen - Comptes rendus 1 O. Keller, «Die Geheimsprache der wandernden Kesselflicker der Val Colla, Tessin», VKR 7 (1934): 55-81. 2 P. Camastral, «Il Vocalismo dei Dialetti della Valle Mesolcina», ID 23 (1958-59): 116. 3 M. Vicari, Valle di Blenio. Documenti orali della Svizzera italiana. Trascrizioni e analisi di testimonianze dialettali 1 e 2, Bellinzona 1992, 1995. 4 F. Spiess, «Di un’innovazione morfologica nel sistema dei pronomi personali oggetto del dialetto della Collina d’Oro», in: Problemi di morfosintassi dialettale, Pisa 1976. 5 H. Kaeser, Die Kastanienkultur und ihre Terminologie in Oberitalien und in der Südschweiz, Aarau 1932. 6 F. Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano 1839-43. 7 F. Spiess, «La sintassi dialettale: Un capitolo a torto trascurato della dialettologia», VRom. 44 (1985): 77-86. P. 11 e 31: La lunghezza vocalica con funzione distintiva in sillaba finale è effettivamente un elemento essenziale dei dialetti lombardi. Si cf. ad es. soldaat ‘soldato’ con avocatt ‘avvocato’. Ogni singolo dialetto utilizza però la possibilità di distinguere mediante la lunghezza vocalica in un modo del tutto indipendente. Se a Casale nei verbi in -are la -a breve caratterizza il participio passato e la a lunga l’infinito, a Mendrisio e, come fa rilevare l’autrice in una nota, a Milano, la situazione è diametralmente opposta: cantà è l’infinito, cantaa il participio passato (cf. Lurà 1987: 172) 8 . Per i plurali metafonetici è tuttora fondamentale l’articolo di Salvioni 1886: 188-260 9 . P. 13: Colpisce che per indicare specificatamente la luce elettrica a Casale, in contrasto con altri dialetti lombardi, sia stato introdotto il termine it. luce al posto del pur esistente indigeno lüs. La spreconsonantica non palatalizzata non è necessariamente dovuta a una regressione; nella Svizzera italiana è infatti presente anche in dialetti pronunciatamente conservatori, quali quelli di Poschiavo e dell’Alto Luganese (cf. il Supplemento al VSI 1990: 72,78). P. 26: La n velare non è soltanto un allofono di n dentale in fine di parola. I due fonemi possono avere una funzione distintiva, sia lessicale, sia morfologica, come risulta dagli esempi citati alle p. 31, 36, 197: culín ‘colino’, culinn ‘colline’; pulín ‘tacchino’, pulinn ‘tacchine’; bon ‘buono’, bunn ‘buone’; galinn ‘galline’. La n dentale in fine di parola non è quindi soltanto un fonema distinto da quello velare, ma anche il morfema del femminile plurale. P. 38: Il diverso comportamento delle vocali toniche finali seguite da -l corrisponde in buona parte alla situazione osservabile nella Collina d’Oro (Spiess 1968: 278) 10 e nel Mendrisiotto (Lurà 1987: 80), dove però la -l si conserva solo nei casi in cui la vocale è breve. L’ipotesi dell’autrice di riconoscere in questi casi (cell, müll, vell ‘cielo, mulo, velo’) resti di un antecedente raddoppiamento ipercoretto attraverso questo parallelismo acquista verosimiglianza. P. 41: La caduta della r finale negli infiniti dei verbi e nel suffisso -ariu è comune a gran parte della Lombardia. Colpisce comunque (cf. anche p. 49) che a Casale la -r di -ariu sembra cadere solo nei nomi dei mestieri, ma non in altri casi (murnè ‘mugnaio’ ma pulèr ‘pollaio’). Nei casi di l r in alcune voci isolate si tratta di rotacismo preconsonantico, che è particolarmente presente nella parte occidentale, e cioè di quella più vicina all’Ossolano, della Svizzera italiana (VSI 1: 90). P. 42: Il dileguo della n davanti a consonante fricativa trova una conferma nella situazione della Svizzera italiana: Musciaràn ‘Monte Cerrano’ (citato anche a p. 104) corrisponde a Moscendro ‘Monte Ceneri’ (cf. Keller 1943: 131, N1) 11 , brisciul ‘ginepro’ alle frequenti forme sinonime del Locarnese (cf. VSI 2: 921). In quanto alla tardiva degeminazione della -rnell’Italia settentrionale si può qui richiamare lo studio di Sganzini 1943 12 , dal quale risulta chiaramente che nei dialetti ivi considerati si constatano ancora regolarmente due articolazioni ben distinte di -r-, l’una delle quali risalente a -r-, l’altra a -rr-. P. 43: L’evoluzione di a davanti a consonante nasale preconsonantica corrisponde all’analoga tendenza constatata da Merlo 1932: 264-67 13 per i dialetti orientali del Sottoceneri (cf. anche Lurà 1987: 37). La diversa evoluzione di au u in puria ‘paura’, ma ò in tòla ‘latta’ è 301 Besprechungen - Comptes rendus 8 F. Lurà, Il dialetto del Mendrisiotto, Mendrisio 1987. 9 C. Salvioni, «Saggi intorno ai dialetti di alcune vallate all’estremità settentrionale del Lago Maggiore», AGI 9 (1886): 188-260. 10 F. Spiess, «Einige Betrachtungen zur Mundart der Collina d’Oro», VRom. 27 (1968): 275-88. 11 O. Keller, «Die präalpinen Mundarten des Alto Luganese», VRom. 7 (1943-44): 1-213. 12 S. Sganzini, «Degli esiti e della qualità di r in alcuni dialetti lombardi», RH 20 (1943): 717-36. 13 C. Merlo, «Della vocale A seguita da consonante nasale in alcuni dialetti del Sottoceneri», ID 8 (1932): 264-67. presumibilmente dovuta al fatto che nel primo caso l’accento nel dittongo cadeva sulla u e nella seconda sulla a (cf. it. paùra di fronte a tàvola). P. 45: Per al au si veda quanto si è già detto a proposito di alt aut. Il lavoro di T. Rupp citato indirettamente in questo contesto meriterebbe di esser elencato nella bibliografia. P. 46: Per quanto concerne la storia di alnicea ‘ontano’, un accenno alla minuziosa trattazione del termine redatta da Sganzini s. v. alna in VSI 1: 88 potrebbe essere utile. I participi passati del tipo nacc, dacc, stacc ‘andato, dato, stato’ si trovano nella stessa misura nel Malcantone (cf. Spiess 1988: 1004) 14 e si sono estesi a tutti i participi passati in -are nell’Onsernone, valle confinante con l’Ossola. Sull’evoluzione dei participi passati in -atu, l’ampio articolo non cit. di Keller 1943: 588-623 15 è di importanza fondamentale. P. 48: La sostituzione della desinenza -è della 2 a persona plurale dei verbi in -are con -í è dovuta all’influsso delle analoghe forme delle altre classi di coniugazione; -ì tende nello stesso modo a diventare anche nei dialetti ticinesi una desinenza unificata per tutti i verbi. Merita una particolare segnalazione la conservazione delle forme lavevì, lavessì per le 2 e persone del plurale di imperfetto indicativo e congiuntivo di fronte alle forme lombarde moderne lavavof, lavassof. P. 49: Un esempio lampante per il triplo esito di -ariu in nomi di mestieri è il caso di boteghèe, botegár, butegari in VSI 2: 832, nel quale ognuna delle tre forme si inserisce in una serie parallela. La forma genuina del suffisso -èe si presenta ad es. in legnamee ‘falegname’, bechee ‘beccaio’, quella semidotta -ár in calzolár ‘calzolaio’, macelár ‘macellaio’, la forma dotta emerge in segretari ‘segretario’, comissari ‘commissario’. P. 51: La forma ba ‘bene’, usata come rafforzativo in al vol ba gnì ‘sono sicuro che verrà nonostante tutto’, corrisponde perfettamente in forma e significato al ba della Valle Verzasca, trattato con acribia da Keller 1938: 525-41 16 . P. 58: Detto in modo più semplice: in pídria la í sarà da attribuire a una monottongazione di un trittongo iéi sorto dalla dittongazione di e éi e dallo sviluppo di pl- pi-. P. 55: Nella forma trüta truita tructa si è conservato l’esito di un’evoluzione di -ct-, già presente nell’antico lombardo e tuttora normale nel Poschiavino (lait ‘latte’). Nei dialetti ticinesi coesistono d’altronde uno a fianco all’altro l’aggettivo frücc, frücia ‘usato, logoro’ e il sostantivo früta ‘frutta’. P. 59: La ü in prüm ‘primo’ si ritrova nell’engadinese ed è da confrontare anche col bleniese prumastì primu aestivu ‘prealpe’ (Vicari 1995: 139). L’elemento sciüma ‘cima’ è presente anche nel nome locale Sciümadera ‘Cimadera’ in Valcolla. L’influsso di una consonante labiale precedente anziché successiva ha agito sulla ì nel caso diffuso di bücér ‘bicchiere’. P. 63: L’evoluzione del gruppo finale -lli -i, che porta alle forme di plurale del tipo bei ‘belli’, cavái ‘cavalli’, è di vasta diffusione, tanto che altrove per analogia trascina con sé anche voci semidotte quali apòstoi ‘apostoli’, ròtoi ‘rotoli’ d’un lato, e müi ‘muli’ dall’altro. Questo secondo caso è un ulteriore argomento che può confermare l’ipotesi affacciata dall’autrice a p. 38, secondo la quale nella -l finale di müll, cell, vell è da riconoscere il resto di un precedente raddoppiamento ipercorretto. P. 67: La provenienza di barnazz da un lat. prunaceu non può esser considerata sicura. La presenza della forma barnask in più punti occidentali della Svizzera italiana (cf. VSI 2/ 1: 212) sembra infatti parlare a favore dell’etimo longobardo brunask o brennask, pro- 302 Besprechungen - Comptes rendus 14 F. Spiess, «Il Malcantone, un angolo del Luganese che guarda verso occidente», in: Miscellanea di studi romanzi offerta a Giuliano Gasca Queirazza, Alessandria 1988. 15 O. Keller, «Biologie einer Verbalendung. Die Partizipien auf -tu im Tessin mit besonderer Berücksichtigung von -atu», RH 20 (1943): 588-623. 16 O. Keller, «Aktionsart oder periphrastisches Perfekt», ZRPh. 58 (1938): 525-41. posto in Gamillscheg 1935: 137 17 . Come avviene spesso in casi di etimologie contestate, saranno parzialmente attendibili ambedue le ipotesi. Due termini foneticamente simili e di uguale significato si saranno sovrapposti e hanno finito col fondersi completamente. P. 68: La a prostetica che facilita la pronuncia di gruppi consonantici divenuti iniziali per effetto della sincope di vocali protoniche, presente a Casale come esito del prefisso re- (arsentà recentare ‘risciacquare’), appare in Vallemaggia in un maggior numero di situazioni, come ad es. in awdè ‘vedere’, alwá ‘levare’, awdéll ‘vitello’ (cf. Moretti 1988: 23) 18 . La -a atona finale presente in voci indeclinabili non sostituisce altre vocali apocopate, ma è una specie di desinenza avverbiale molto diffusa nei dialetti lombardi. P. 70: Le consonanti sonore divenute finali non possono esser indicate col termine «sonora tesa», poiché in esse la desonorizzazione è completa. Esse sono da definire più correttamente «sorde lenizzate» (cf. Spiess 1968: 281 N17). P. 71: Colpisce che le vocali in masc ‘maggio’, pésc ‘peggio’, in contrasto con quanto avviene in altri dialetti (cf. Spiess 1968: 283), non sono allungate o perfino dittongate (Vicari 1992: 45). Giuntà ‘congiungere’ non può essere un derivato diretto da iunctus, poiché l’esito normale di nct è nc (cf. onc ‘unto’). La t sarà da ascrivere a una dissimilazione delle due affricate alveolari (cf. il caso analogo di zenta ‘cintola’). P. 76: Non è necessario presupporre in ribambì, ribucà una caduta di m. Si tratterà come in gran parte dei dialetti lombardi del semplice prefisso re- (cf. Cherubini 4: 20-21 e una lunga serie di dizionari dialettali più recenti) e non, come in it., di re + in. P. 77 e 101: La -n epentetica, data la sua ampia diffusione e la sua regolare presenza davanti agli esiti di g’, j, dj, non può esser definita ipercorretta. Il fenomeno è stato studiato e descritto minuziosamente in Sganzini 1933: 281 19 . P. 79: Per l’etimologia di vindul non occorre risalire fino all’idg. vendh; esso può esser allacciato come l’it. guindolo al mated. ‘Winde’. P. 85: La zin zücoria si dovrà all’influsso di züca ‘zucca’ (cf. Salvioni 1884: 126) 20 . In cià! ‘su, dammi! ’ piuttosto che un relitto di un’antica pronuncia affricata sarà da riconoscere un semplice rafforzamento enfatico. P. 88: In püssè si tratta semplicemente di una monottongazione di iü ü che altrove è avvenuta, come in altri casi quali il semplice piü pü ‘più’ (cf. VRom. 24 (1965): 126). In dupi ‘doppio’ non è necessario ipotizzare un influsso it.; nell’esito normale di pl- pila i semiconsonantica divenuta finale e perciò praticamente impronunciabile è stata vocalizzata, come è avvenuto in molti casi analoghi. P. 89: In ecclesia gesa lo sviluppo di cl g è avvenuto prima della caduta della e iniziale, quindi in posizione intervocalica, viceversa nel veneto cesa l’evoluzione di cl- cè posteriore alla caduta della e. P. 91: Nel milanese le forme in -azz sono considerate urbane e moderne, le forme in -asc arcaiche e rurali (cf. già Cherubini 2: 217: giazz ‘ghiaccio’, forma della città, giasc, forma del contado). P. 92: L’allungamento della m in vindemmia, sciümmia è la fase iniziale della dissimilazione che ha portato nel milanese e nella Svizzera italiana alle forme vendembia, simbia (cf. Cherubini 4: 490,149, Lurà 1987: 82). La presenza di gumbul ‘gomito’ citato a p. 98 costituirebbe secondo le spiegazioni ivi date un caso particolare della stessa tendenza. 303 Besprechungen - Comptes rendus 17 E. Gamillscheg, Romania germanica 2: 137, Berlin-Leipzig 1935. 18 M. Moretti, La differenziazione interna di un continuum dialettale. Indagine a Cevio (TI), Zurigo 1988. 19 S. Sganzini, «Le denominazioni del ginepro e del mirtillo nella Svizzera italiana», ID 9 (1933- 34): 281. 20 C. Salvioni, Fonetica del dialetto moderno della città di Milano, Torino 1884. P. 98: Nel caso di arvià ‘avviare’ anziché di dissimilazione potrebbe trattarsi di uno scambio di prefisso ad re. In pinagia ‘zangola’ (cf. milanese penaggia, Cherubini 3: 308) sarà da riconoscere il quasi regolare indebolimento dell’a protonica nei dialetti lombardi (cf. VRom. 24 [1965]: 122). P. 100: La r di carnasc ‘catenaccio’ non è epentetica: si tratta di una dissimilazione dn > rn (cf. VRom. 27 [1968]: 277 e VSI 3: 94). P. 101: La r che si trova a volte fra il tema e il suffisso è, come si afferma giustamente a p. 143, un infisso che deriva in ultima analisi da -ariu (cf. Prati, ID 18 [1942]: 130-39). Sono quindi superflui i tentativi di spiegazione qui accampati. P. 102: La forma seva si deve a un tentativo di unificare le forme di ‘essere’ partendo da som ‘sono’, che ha provocato anche la forma sé ‘sei’. La prostesi di v davanti a vocali velari è frequentissima. Non si tratta invece di prostesi di i in iér ‘ieri’; ié è, come nell’it. ‘ieri’ e il fr. ‘hier’, l’esito normale della dittongazione di e. P. 103: L’uniscia non è l’olmo, bensì l’ontano, come è giustamente indicato a p. 109. Difficilmente avrà influito sulla vocale iniziale l’articolo femminile; sembra più convincente un ipotetico influsso di ulmu ‘olmo’ su alnicia (cf. VSI 1: 88). La spiegazione data per ösmarín ‘rosmarino’ appare alquanto macchinosa; in tutta la Lombardia üsmarín ha semplicemente subito l’influsso di üsmá ‘odorare’. Nelle forme senza vocale della preposizione ad, dell’articolo determinativo e dei pronomi personali clitici non si può parlare di una caduta dell’a. L’a non è infatti nient’altro che una vocale d’appoggio, che non è necessaria quando una vocale iniziale seguente o una vocale finale precedente la rende superflua (cf. Spiess 1976: 203). La stessa cosa vale anche per la u dell’articolo indeterminativo. P. 104: La preposizione a viene assimilata e indi assorbita dalla vocale che la precede. L’assenza di ad in casi quali lacc büter (cf. il fenomeno analogo in Bregaglia) conferisce al secondo elemento il carattere di genitivo non marcato. P. 104: Per cara ti cf. in Lurà 1987: 142 cara l mè ti, cara l mè lüü e in VSI 3: 5 cara l mè om. In qua l’è ca ti fé, la l è il pronome personale soggetto obbligatorio. La formula interrogativa trattata anche alle p. 114 e 120 è normale nei dialetti lombardi; cf. gli esempi analoghi cos’è ch’a l’a dii, indova l’è ch’a l’è nai cit. in Spiess, VRom. 44 (1985): 82. In particolar modo merita di esser segnalato il raddoppiamento di n in an davanti a forme di ‘avere’ e ‘essere’. Il raddoppiamento presente in Val Calanca non è però fonosintattico, bensì regolare dopo vocali accentate (cf. Urech 1946: 110-11) 21 . Nella locuzione fà temp ‘fare in tempo’ una preposizione in in contrasto con l’it. non c’è probabilmente mai stata. Inverce in stagh a tacch la preposizione a è un elemento indispensabile della struttura della frase, che sarebbe da tradurre in it. con ‘stare a contatto’. P. 109: Per il plurale femminile in -án oltre a Salvioni 1902 sarebbero da citare i più recenti Jaberg, VRom. 12 (1951), e Urech 1946, testi nei quali questo fenomeno è presentato con la massima attenzione. P. 110: Bügaa è femminile, poiché è stato inserito nei dialetti lombardi (cf. ad es. Cherubini 1: 136, Galli 50 22 , Fiori 144 23 ) nella serie dei sostantivi in -ata esprimenti un’azione (cf. Spiess 1983: 124) 24 . P. 112: In lüi l’è püssè brau da ti l’uso di da è probabilmente un italianismo. Nei dialetti lombardi, e probabilmente anche in quello di Casale, la comparazione si esprime, come risulta dagli altri esempi citati con che anziché con da. 304 Besprechungen - Comptes rendus 21 J. Urech, Beitrag zur Kenntnis der Mundart der Val Calanca, Biel 1946. 22 E. Galli, Dizionario pavese-italiano, Pavia 1965. 23 M. G. Fiori, Dizionario tiranese, Villa di Tirano 2000. 24 F. Spiess, «Di alcuni suffissi nei dialetti della Svizzera italiana», in: Problemi linguistici nel mondo alpino, Napoli 1983. P. 113: L’è cul di vòtt ‘è l’ottavo’ è effettivamente il modo popolare per formare i numeri ordinali (cf. Spiess 1965: 121). P. 116: Per quanto concerne i pronomi personali soggetto manca ogni riferimento a Spiess 1956 25 , che è pur citato nella bibliografia. In mi m cugnuss nissün, mi è pronome oggetto e non soggetto. Soggetto della frase è nissün. P. 119: Come si è già detto per la p. 103, l’elemento vocalico dei pronomi personali clitici è una semplice vocale d’appoggio. Tutte le discussioni sulla sua origine o caduta sono quindi superflue. P. 123: La spiegazione di Rohlfs §528 26 , secondo la quale alla 2 a persona la -a della coniugazione in -are sarebbe stata sostituita dalla -e di quella in -ere e indi dalla -i di -ire non mi sembra sostenibile; -e e -i finali saranno sicuramente cadute prima di poter influire sulla -a. La t enclitica è infatti presente solo dopo la -a o, dopo avvenuto indebolimento della postonica, dopo -e, ma mai dopo -i. I dialetti, quali il locarnese, che posseggono la forma ti canti non conoscono affatto la desinenza -t. La -i in questi casi può unicamente risalire all’-as latino. Prima di T. Telmon e di O. Lurati l’affermazione che le desinenze della 1 a persona del plurale non possono esser ricondotte a -umus ma sono sorte da una posposizione di om homo, è stata espressa dallo scrivente in VRom. 24 (1965): 112. P. 126: La -í della 2 a persona del plurale dei verbi in -are non è dovuta a un adeguamento ai dialetti lombardi, ma è da ascrivere, come negli stessi dialetti lombardi, all’influsso analogico delle forme dei verbi delle altre coniugazioni. P. 128: L’uso del verbo ausiliare ‘avere’ anziché ‘essere’ nei verbi riflessivi è trattato per il Mendrisiotto da Lurà 1987: 169-71. Evidentemente in questi casi il participio si comporta secondo le regole valevoli per i verbi coniugati con ‘avere’. P. 129: L’alternanza della vocale tra forme rizotoniche e arizotoniche dei verbi era in origine panromanza (cf. per l’it. Rohlfs §538, per il fr. Wartburg 1937: 88 27 , per un dialetto lombardo Spiess 1965: 110). P. 130: La distinzione fra avegh ‘avere’ verbo indipendente e avé verbo ausiliare privo della particella enclitica gh è caratteristica dei dialetti lombardi e li distingue dai dialetti veneti, nei quali la gh è inseparabile anche nel verbo ausiliare. Per j al posto di gh è da confrontare anche Urech 1946: 61-63. P. 131: Per le forme di dare e stare cf. Schmid 1949 28 . P. 133-134: L’affermarsi delle forme pòdi e vöri di fronte a pòss e vöi si deve al fatto che esse corrispondono alla regolare formazione delle 1 e persone dei verbi mediante il radicale + -i, ormai divenuto morfema di 1 a persona singolare (cf. Spiess 1956: 101, Lurà 1987: 187). P. 139: La caduta della -r finale in -ariu -è è del tutto regolare, poiché corrisponde a quanto è accaduto nell’infinito dei verbi. P. 142: Il termine urión è inserito in Sganzini, RH 109 (1993): 93 nell’insieme delle denominazioni indicanti il mirtillo nei dialetti dell’Italia settentrionale. Completiamo questa segnalazione con alcuni appunti al glossario etimologico. Abrèl: è un falso primitivo ricavato dalla forma di plurale it. ebrei (cf. VRom. 24 [1965]: 119). Baciòca: una gamma più estesa di significati e l’etimo bacculu + -occa sono dati in VSI 2: 18. Balcàa: non cita VSI 2: 82 dove, dopo aver esaminato tutte le soluzioni proponibili, si considera l’origine della parola non ancora chiarita. 305 Besprechungen - Comptes rendus 25 F. Spiess, Die Verwendung des Subjekt-Personalpronomens in den lombardischen Mundarten, Bern 1956. 26 G. Rohlfs, Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern 1949. 27 W. von Wartburg, Évolution et structure de la langue française, Leipzig et Berlin 2 1937. 28 H. Schmid, Zur Formenbildung von DARE und STARE im Romanischen, Bern 1949. Barba: l’etimologia barba ‘peli del mento’ è insostenibile, come dimostra Zeli in VRom. 44 (1985): 87-104. Barfignón: in VSI 2: 193-94 viene ricondotto alla base gniff (REW 5914). Barlèfi: cf. VSI 2: 203. Barnazz: è di origine incerta; può derivare da un lat. pruna ‘carbone ardente’ o dal longobardo bruni ‘brace’, cf. VSI 2: 243. Barsaca: appare difficile attribuire un’origine celtica a una voce che si è diffusa durante la Guerra dei Trent’anni. Bascëia: cf. bascira VSI 2: 239. Batigàa: se si vuol ricostruire un etimo lat., si dovrebbe risalire a un *balbitticare balb- + -ittu- + -icare, per cui cf. VSI 2: 405. Batùa: cf. il disegno in VSI 2: 290, s. v. batüda Biciolàn: cf. VSI 2: 434, secondo cui deriverebbe da buccella. Bisa: la vasta diffusione della voce sui due versanti delle Alpi non consente di attribuirle un’origine fr.; potrebbe essere un elemento onomatopeico del tipo *bis- (cf. VSI 2: 487). Böcc: l’etimologia proposta da Salvioni in AGI 16 (1902-05): 291 è contestata con argomenti validi in VSI 2: 556. Bògia: l’etimo botulu ‘intestino’ è poco probabile (cf. VSI 2: 588). Bòta ‘polpaccio’ sarà da ricondurre a un onomatopeico bott- (VSI 2: 824). Bòtt ‘tocco di campana’ risale alla stessa base onomatopeica bott; l’etimo franc. botan è insostenibile (cf. VSI 2: 843). Brascaròla: il suffisso non è -eola, bensì -ariola (VSI 2: 897). Brica: per motivi fonetici non può essere allacciato al semplice gallico briga senza immistione di un altro elemento difficilmente determinabile (VSI 2: 951). Bricòla: cf. VSI 2: 952. L’etimologia proposta in Devoto-Oli 1982: 373 appare poco probabile. Bugùur: corrisponde a bügadoo (VSI 2: 1139); il suffisso non è -atoriu, ma semplicemente -oriu, la -dormai caduta faceva parte della base del tipo bügada. Burchèt: risale a bifurcu (VSI 2: 298). Burlàa, burlatàas, burlón corrispondono a borelá (VSI 2: 718), borlatá (VSI 2: 739), borlón (VSI 2: 741). Buscaröl: il suffisso è -ariolu. Buscín: per i problemi etimologici è da vedere VSI 2: 759 s. v. bosc 2 . Bütàa: l’etimo germanico è insostenibile, deve trattarsi di un onomatopeico *butt (VSI 2: 1261). Büza: per possibili spiegazioni etimologiche cf. VSI 2: 1278-79. Calàa: un legame semantico con calare sembra difficile da stabilire; si tratta di un derivato di callis ‘strada’ (VSI 3: 171). Calastar: secondo VSI 3: 185 non è necessario postulare un *calastulu, data la frequenza di -repentetica in analoghi contesti fonetici da un lato, e la possibilità di un adeguamento dell’uscita rara -asta alla serie più produttiva di -aster dall’altro. Camùs: non può risalire a un tipo camoce, bensì a *camocsu (cf. VSI 3: 313). Caràal: non si capisce perché si debba risalire a un preidg. *karra ‘pietra’, se forma e significato possono esser ricondotti a un lat. *carrale. Carpunich: è da confrontare con la forma carpònigh del non lontano Gambarogno (VSI 4: 196). Caspi: le possibili spiegazioni etimologiche sono esaminate minuziosamente in VSI 4: 284. Giunge fin qui il confronto fra il Lessico etimologico di Casale e i fascicoli del VSI pubblicati prima della stesura della monografia qui considerata. Gli appunti fatti in questa sede, 306 Besprechungen - Comptes rendus come d’altronde le osservazioni concernenti le parti precedenti dell’opera, non intendono minimamente sminuire il valore dei risultati della ricerca della nostra autrice. Essi desiderano al contrario dimostrare quanto stimolante possa esserne la lettura per chi si avvicina da altre aree dialettali attigue a questa descrizione del dialetto di Casale Corte Cerro. Il suo grande merito rimane il fatto di essere il primo sassolino del mosaico costituito dai dialetti fra Toce e Sesia, che auspicabili ulteriori studi monografici altrettanto accurati dovranno completare. F. Spiess ★ Massimo Vedovelli, Guida all’italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo per le lingue, Roma (Carocci) 2002, 244 p. Massimo Vedovelli, L’italiano degli stranieri. Storia, attualità e prospettive, con Prefazione di Tullio De Mauro, Roma (Carocci) 2002, 226 p. Nel 1917 vengono istituiti per la prima volta in Italia, a Siena, corsi di italiano. Era la prima volta che ciò accadeva entro i confini dello Stato unitario. Da quella data, sottolinea l’Autore, la diffusione della nostra lingua fra gli stranieri appare profondamente cambiata. E da quella data prendono spunto le considerazioni di sfondo di Massimo Vedovelli, che introducono i volumi L’italiano degli stranieri, e Guida all’italiano degli stranieri, curati per i tipi di Carocci, e stampati nello stesso anno 2002. Il lucido e attento esame, fatto dall’Autore, delle linee storiche dell’insegnamento dell’italiano L2 e dell’emigrazione italiana all’estero, e delle sue vie per la diffusione della nostra lingua, precede la puntuale descrizione della situazione attuale, condizionata dai movimenti migratori che, in uno scenario mondiale, hanno interessato anche l’Italia. Tale nuova situazione ha fatto sì che l’Italia si sia trasformata da sorgente a punto di arrivo di migrazioni e che la nostra lingua si sia inserita nel circuito degli idiomi appresi da stranieri migranti. La nuova situazione, descritta con una vasta disanima di ricerche, di indagini conoscitive, di progetti e di prospettive di studio, viene obiettivamente connotata dallo stesso Autore della necessaria non completezza, in quanto universo di fenomeni che non coinvolge solo la lingua, ma vede questa, giustamente, intrecciarsi in una fitta rete di rapporti con dimensioni non solo linguistiche e culturali ma socio-economiche, di immagine del nostro paese all’estero. Quale che sia la prospettiva adottata - afferma Massimo Vedovelli, nelle introduzioni ai due volumi recensiti - l’analisi del contatto fra il nostro paese e gli stranieri «vede la lingua collocata in una posizione centrale, il più delle volte nei termini problematici della sua capacità di rendere possibili i contatti e stabilire ponti per scambi di persone, idee e beni.» (17). Il progetto dell’ Italiano degli stranieri mira quindi a due obiettivi generali: descrivere la condizione dell’italiano L2 nel mondo e in Italia e evidenziare i mutamenti dello spazio linguistico italiano come conseguenza dei fenomeni migratori. Il volume Guida all’italiano per stranieri completa il quadro tracciato dal già citato volume. La vastità dei fenomeni osservati in quest’ultimo obbliga infatti a confini che il volume Guida all’italiano per stranieri integra, nel delineare un quadro coerente di ricostruzione della situazione dell’italiano diffuso fra stranieri. Nella Guida, infatti, la condizione della nostra lingua viene affrontata in quanto parte di un sistema di processi di apprendimento e di insegnamento, con particolare attenzione ai modelli teorico-metodologici di tali processi. Essa mira a costruire un quadro interpretativo dei problemi della glottodidattica dell’italiano L2, in rapporto alle più recenti linee di politica linguistica sancite a livello europeo. 307 Besprechungen - Comptes rendus
