Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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2006
651
Kristol De StefaniGalaad nell’Aquilon de Bavière
121
2006
Peter Wunderli
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Galaad nell’Aquilon de Bavière Un Deus ex machina e la memoria 0. Il soggetto Riflettendo su questo tema, ho incontrato problemi che per lungo tempo mi parevano quasi insormontabili. Come trattare del fenomeno del Deus ex machina, di quello dell’innovazione e allo stesso tempo del topos della memoria? Ma una notte mi sono svegliato di un salto: avevo la soluzione e si trovava - come già parecchie volte - in quella fonte inesauribile che costituisce il romanzo franco-italiano del Marmora (o Raffaele da Verona) conosciuto (da ben pochi, è vero) sotto il titolo di Aquilon de Bavière. L’episodio di Galaad nell’ultimo libro offre tutte le qualità richieste: Galaad vi assume la funzione di Deus ex machina, la sua introduzione in un’epopea in fondo cavalleresca è un innovazione assolutamente inaspettata e mette in azione due livelli della memoria che sono indispensabili per la comprensione corretta della fine del romanzo. 0.1 L’Aquilon de Bavière L’Aquilon de Bavière è l’ultimo testo originale della tradizione franco-italiana. Scritto da Raffaele da Verona (città chiamata Marmora nella tradizione dell’epopea franco-italiana) fra il 1379 e il 1407, costituisce un esemplare unico di quella lunga serie di testi epici che caratterizza la letteratura dell’Italia settentrionale dalla metà del Duecento fin agli inizi del Quattrocento: è scritto in prosa e suddiviso in libri e capitoli (e non in lasse assonanzate o rimate), ed è munito di una cornice in lingua italiana che consiste di un prologo in ottava rima e di due epiloghi, il primo in ottava rima ed il secondo in forma di sonetto 1 . Quanto al contenuto del testo 2 , racconta la storia del quinto e ultimo figlio del duca Naimes de Bavière, battezzato Aquilon per ricordare suo nonno, eroe famoso ma non di primo piano dell’epopea francese. Dopo la sua nascita gli astrologhi scoprono segni stellari assai inquietanti che annunciano che il neonato sarà un grave pericolo per tutta la cristianità e che correrà il rischio di una sconfitta totale nella lotta contro i musulmani. Il padre, Naimes, decide di far uccidere il fanciullo, ma l’intervento violento della madre gli fa adottare una soluzione più mite del problema: il fanciullo sarà mandato a Gerusalemme per esser allevato lontano dalla patria da suo zio Girard, patriarca della città santa. 1 Cf. Wunderli 1982: vii, xxxs. 2 Cf. Wunderli 1982: xxxiis. Vox Romanica 65 (2006): 50-65 Galaad nell’Aquilon de Bavière 51 Accompagnato dal fedele Anichin e da sua moglie, Aquilon intraprende il pericoloso viaggio in Oriente. Durante il tragitto sul Mediterraneo, una terribile tempesta trascina la nave a Cartagine dove i Cristiani sono obbligati a rifugiarsi nel porto. La moglie dell’ammiraglio di Cartagine (fin’adesso senza figli) convince il suo marito a rapire il piccolo Aquilon che già a quest’età mostra tutti i tratti di un futuro eroe e ad allevarlo come un figlio. Il consigliere Dalfin approva questo piano che è messo in opera; Aquilon sarà chiamato d’ora in poi Hanibal in memoria del grande Annibale dell’Antichità. In seguito scoppia una grande guerra fra l’ammiraglio di Cartagine (e i suoi alleati) ed i Cristiani; le battaglie hanno luogo all’inizio ed alla fine in Europa, ma tutta la parte centrale è collocata in Africa e in Oriente. I protagonisti dalle due parti sono nominalmente l’Amiral e Carlomagno, ma in verità lo sono Hanibal e Roland (e un numero impressionante di grandi eroi a loro «subordinati»). Dopo lunghi anni e vicende che favoriscono alternativamente l’una e l’altra delle due parti, i Cristiani - grazie all’aiuto divino - escono vincitori dall’ultima grande battaglia davanti a Cartagine. Dopo la sottomissione dell’ammiraglio e la conversione di Hanibal tornano in Europa dove devono prima combattare la ribellione dei Maganzesi e degli Spagnoli. Ma anche i pagani non sono ancora definitivamente vinti. Il re etiope Balduc organizza, con l’aiuto di suo fratello Malduc, una spedizione in Europa per vendicare la morte dei suoi figli (e soprattutto di Candiobras) davanti a Cartagine 3 . Ed è in questo quadro che l’autore inserisce l’episodio di Galaad. 0.2 Il Lancelot en prose Il personaggio di Galaad non è un personaggio della chanson de geste, ma appartiene al ciclo bretone. Ma anche nel ciclo bretone «classico» la sua importanza è tutt’al più secondaria 4 ; nel Perceval di Chrétien de Troyes, ad esempio, questo personaggio è totalmente assente 5 . Il suo mondo è quello del Lancelot en prose come mostra la grand’edizione di Micha 1978-83 6 e particolarmente la Queste del Saint Graal 7 ; già nella Mort le Roi Artu (Frappier 1964) Galaad - morto alle fine della Queste - è ricordato soltanto tre volte molto rapidamente. Chi è Galaad? È il figlio illegitimo di Lancelot generato con Amita, la figlia del re pescatore, Pellès. Quest’origine, però, non è «normale» perché ha luogo sotto l’influenza di un filtro servito a Lancelot dalla serva Brisane che lo fa confondere la giovane principessa colla sua amante Guenièvre, moglie di re Artu - una scena 3 Cf. Wunderli 1982: xxix; Coronedi 1935: 252. 4 Cf. anche Colliot 1978: 231. 5 Cf. l’edizione di Lecoy 1973-75. 6 Cf. soprattutto i volumi 5 e 6. 7 Cf. anche l’edizione di Pauphilet 1984. Peter Wunderli 52 che ricorda chiaramente la situazione modello fra Tristano ed Isotta durante il viaggio verso la corte di re Marco. Ed anche nella seconda notte d’amore fra Lancelot ed Amite (che ha luogo qualche tempo più tardi), il filtro sembra essere un elemento irrinunciabile. La sua relazione colla regina Guenièvre e la sua avventura con Amita squalifica Lancelot come (possibile) conquistatore del Graal, benché sia il migliore rappresentante della cavalleria terrestre. Ancora meno qualificato è Gauvain che non sa approfittare delle possibilità che il destino gli offre. Rimangono, come candidati, Bohort, Perceval e Galaad. Ma Bohort è squalificato, anche lui, dal peccato carnale. Perceval è uno spirito troppo semplice ed ingenuo. Rimane dunque soltanto Galaad, che riesce a superare tutte le prove e conquista il Graal. Ma muore poco dopo la sua incoronazione e la visione del mistero 8 . Se Lancelot è il migliore rappresentante delle cavalleria terrestre, Galaad è il migliore rappresentante della cavalleria celeste 9 . 1. La struttura dell’episodio di Galaad 1.1 La collocazione dell’episodio L’episodio che ci interessa si trova nel settimo (ed ultimo) libro del romanzo di Raffaele 10 . Dopo la vittoria davanti a Cartagine, i Cristiani ritornano in Europa - un ritorno che, però, non è senza problemi. Sbarcati in Spagna, devono prima affrontare Marsilio ed i suoi alleati che sono insorti contro Carlomagno. In una battaglia sanguinosa i ribelli vengono vinti e prestano un nuovo giuramento di fedeltà. Dopo queste vicende l’esercito è spartito in due: la prima parte, sotto il commando di Rainald, si mette in marcia per punire i Maganzesi e per sottomettere questa stirpe di traditori. L’altra parte, sotto il comando di Roland, parte per Roma, dove il loro capitano farà rapporto al Papa e gli restituirà le sue truppe mandate in aiuto. Gli Etiopi però non sono ancora definitivamente vinti. Il loro re Balduc, insieme con suo fratello Malduc, organizza una spedizione in Europa per vendicare la morte di suo figlio Candiobras e dei suoi quattordici fratelli nella battaglia davanti a Cartagine. Arrivato in Europa, anche questo esercito si divide in due: Balduc si mette in marcia per soccorrere Gaine ed i Maganzesi; Malduc attraversa le Alpi per affrontare Roland. Inseguito da Bonifacio di Pavia, incontra Roland (che torna da Roma) sull’Appennino. Ne nasce una battaglia crudele nella quale i Cristiani sono in chiaro svantaggio per il loro numero esiguo. L’episodio di Galaad è collocato proprio là dove i Cristiani sono quasi vinti e cominciano a soccombere agli 8 Per una presentazione più dettagliata cf. Frappier 1978: 555-64. 9 Cf. Frappier 1978: 538. 10 Cf. Wunderli 1982: xxviii-xxix. Galaad nell’Aquilon de Bavière 53 Etiopi ed ai giganti che li accompagnano. Echi di questo evento si troveranno fino alla battaglia finale contro Balduc ed i Maganzesi. 1.2 Galaad L’episodio di Galaad ha una specie di prologo: quando i Cristiani devono affrontare gli Etiopi sull’Appennino, vengono informati che i Lombardi inseguono il nemico che così sarà obbligato a combattere su due fronti. A questo punto Rolando fissa il grido di battaglia. Sarà «Galeaz, li bon chevaler! »: 1. - In nom Deu, dist li cont, gi sai ch’il sera li cont de Marmore, e tot li Marchians li veront arer. Vos troverés ch’il non insiront de les Alpes che li meterons tot al fil de li brand. Ciascun prende ses armes e sogie pros e vailant! Li nom de nos sera «Galeaz, li bon chevaler! ». (Aquilon 786/ 5-14) Questa scelta è completamente immotivata e non viene preannunciata. È proprio questo carattere sorprendente e gratuito che dà il suo peso al passaggio: una certa fatalità che orienta l’interesse del lettore verso la continuazione del testo. Abbiamo dunque a che fare con un segnale cataforico o, se si vuole, una specie di memoria anticipatrice. La seconda menzione di Galaad appartiene già al nucleo dell’episodio. La battaglia si sviluppa a svantaggio dei Cristiani che sono sull’orlo di una sconfitta. In questa situazione drammatica appare all’improviso un cavaliere misterioso e magicamente risplendente in mezzo ai nemici - una vera entrata da Deus ex machina: 2. A cist pont ogiés miracle che aparuit! In droit la mités de la schere de cestor zigant e les autres Etiopians aparuit un chevaler armés de totes armes cum une spee in man e l’eume a ses spalles. Li cival e luy estoit covert de un zendal plus blanc de une nef e avoit une cros vermoille davant e une darer; tot insimant li cival une cros vermoille da li destre lés e une da li sinistre. De li vixagie de cist chevaler insoit tante clarités che ome vivant che li gardast por forze convenoit abasser ses oilz tot insimant cum se feroit in le sol quand est sans algune novole. E ogiés grand mervoile segond che scrist Trepin, che li fu prexent e voit le miracle: Cist chevaler fist trois fois cum li brand in l’aire li segnal de la cros, e si tost cum il l’oit feit, tot cellor zigant e li Etiopians perderent la forze e lor valor e non arent ardir non solemant de ofendre li cristian, mes ancor de soi defendre. A li cristian vint tot li contrarie, ch’il non fu in tot li camp ome da cival, da piés, paixans ni Alpins a cui non ridoplast la forze e l’ardir por tel partis ch’il non ly estoit ome armés ni dexarmés a chi non dixist li cors de combatre cum tot li zigant. E por tant li Alpins comenzerent a devaler les Alpes excriant «A la mort, a la mort! ». Li cont de Clermont, quand veit li chevaler a la cros vermoile, non dist niant. Il broze Salvaze de les sperons e se mist ver li zigant cum quant li cival poit traire. Il primer ch’il incontre li fist voler li fer de la lanze darer les spales, e pois treit li brand e fiert un autre a la sumités de la teste che li mist li brand fin in le pis. Il treit li brand a soy e fiert li terz ch’il li giete li brais cum tot li baston a la terre. Li ducha de Cartagine li segui e fiert li primer ch’il incontre cum tante vertus ch’il li mist la lanze al cors e le urte mort cum son cival. E pois treit li brand e fiert li roi Malduc che li estoit de prés cum tante forze ch’il li caze li brand fin in les dans, e cil ceit mort. Joxafat broze li cival e fiert un de li zi- Peter Wunderli 54 gant e li mande l’arme del cors, e pois treit li brand excriant «Li Sant Chevaler! ». Adrian veit in celle part, e li primer ch’il incontre non fu mester che unches torne a la Cellee Montagne. Li marchis Belenzer, ly arcivesque, Samuel cum li convertis speronent li cival ver ceus zigant che starent come omes liges, che non soi poisent aider. E li marchis Bonifacie cum ses Lombard brozerent lor cival, les lanzes palmogiant, e allor soi ficherent in lor enemis. Li cont Bernard, quand oit cazés la lanze al cors a un de cellor zigant, treit li brand e fiert li segond por tel partis ch’il li fist voler la teste da les spales. Que vos dirogie? Li cent .l. chevaler che forent ordenés cum lor lanzes a celle jostre seguirent tot li cont de Clermont in une schere e ferent si bien che quand li cont oit mort li troy zigant, si cum li contes oit devixés avant, a cil pont tot les autres zigant soi troverent mort da li cent .l. che li aurent assautés, chi de lanze, chi de brand. (Aquilon 789/ 28-790/ 28) L’apparizione del cavaliere ed il segno della croce che fa tre volte colla sua spada rendono ai Cristiani il coraggio e lo tolgono ai pagani. La battaglia riprende, e questa volta il vantaggio è dalla parte dei Cristiani. Il nome del cavaliere misterioso non è menzionato; viene però descritto il suo blasone: una croce vermiglia sullo sfondo bianco 11 . Tutto il passaggio è un racconto autoriale. Dopo la vittoria dei Cristiani, questi si radunano e guardano affascinati ed allo stesso tempo paurosi il cavaliere al quale devono il loro successo. Quello aveva ben la spada nuda in mano, ma non ferì un sol colpo durante tutta la lotta; la sola azione da parte sua sembra essere stato il gesto della croce fatto tre volte. Dopo la fine della battaglia, rinfodera la spada e poi fa segno a Roland di venire a parlare con lui. Quello ci va subito, accompagnato da Turpino, e viene esortato di mettersi immediatamente in cammino per soccorrere Rainaldo nella sua lotta con Balduc ed i Maganzesi. Questo brano dell’episodio finisce colla preghiera di Roland che il cavaliere gli sveli la sua identità: 3. Li cont bondist son olifant e les giant d’armes soi tirent après luy e garderent li chevaler a la cros vermoile; e non onserent de aller contre luy, tante clarités insoit de son vixagie. Quand li chevaler voit che li pagans forent cazés de camp, il mist le brand ch’il avoit in mans a le for a son sinsitre galons, e pois cum la mans fist signal al cont che soi fist avant. Le cont, quand le voit, soi giete mantinant de son cival e domande li arcivesque aprés soi. A les autres dist che demorast. E verent tot dos a piés ver li chevaler cum tante teme che a poine porent aller, por la grand clarités che de son vixagie essoit. E il vint ver lor. Li cont e li arcivesque soi jinuilent mant fois avant ch’il arivast a li chevaler, e quand li forent de prés, li chevaler li parle in tel mainere: - Cont de Clermont, al plus tost che tu pois part toi de ci cum ceste giant d’armes, e non toi demorer jor ni nuit tant che sogies in le pais del cont de Maganze. La raxon porcoy est che Rainald, ton cusin, cum sa compagnie sont asediés dedans une terre arse sans vituarie da li roy Balduc de Etiopie, frere de cist roi Malduc che est mort ci, e oit in sa compagnie Etiopie cum cent zigant e cinquant millie Etiopians. Si li est li cont de Maganze cum ce ch’il poit fer. Certemant se tu non li secores, il sont a peril o morir de fame o esre tot mort a tormant por li bastons de ceus zigant. Quand li cont intend li chevaler, non feit a domander s’il oit dotanze e dollor, por coi in cele compagnie o Rainald estoit avoit la pluspart de ses parant. E allor dist: 11 Anche nei passaggi seguenti il cavaliere misterioso rimane ancora senza nome e viene menzionato soltanto il suo blasone; cf. Aquilon 729/ 2-9 e 791/ 13-792/ 3. Galaad nell’Aquilon de Bavière 55 - Ho angle, ho alme, ho spirit che sogiés, ho voir ome, gi voi apertemant che estes messagie de notre sire Deu. Gi vos pri por la posanze de li aut Metre, por la sapiencie de son fil e por la carités de li Sant Spirit che vos oit ci mandés a caver nos de tant peril cum estomes, s’il est possible zonse de pooir savoir chi estes, che moi dites se estes angle o autre alme mandés ci de la grand Metre; e se fustes ome al mond vivant, che moi dites vetre nome e de quel giant fu vetre ancestre. (Aquilon 791/ 13-792/ 3) A questa domanda il cavaliere risponde dando la sua genealogia (fittizia) che comincia con Giuseppe da Aramatia e finisce con Lancelot. Il cavaliere non dà il suo nome, ma incita Rolando a tirare le sue conclusioni: tutti (e soprattutto Rolando) devono sapere chi è il figlio di Lancelot: 4. Quand li chevaler oit intandus li cont parler in tel mainere, il fist cere riant e dist: - Frere Roland, de ce che ais volontés serais tost contant. Tu dois savoir che depois che Notre Signor fu clavés al ligne de la Sante Cros quarant duy ans passés, il avint che por le comandemant de Deu Joxep ab Aramatie, cil che devalla Yhesu de la cros, soi departi de Jeruxalem cum tot ceus de sa maxon por anoncier in tot part dond il alloit la passion e la mort e la rexurecion de Notre Sire e les grand miracles ch’il avoit feit in vie, e por amaistrer ciascun in la novelle loi. Cist Joxep ariva in un pais che se apelloit Saraz o estoit un roi pagan che avoit nom Evalac. Cist roi Evalac avoit guerre cum un autre roi puisant che avoit nom Tollomé, e por le consoil che dona Joxep a li roi Evalac il sotmist son enemis e fu venzor de celle guerre. Por tant e por la predicacion de Joxep il soi fist verais cristian cum tot la giant de son pais. Cist roi Evalac avoit un son sorochie maris de une soe sorelle che avoit nom Serafetan, e pois ch’il fu batezés il fu apellés Nasiens, e fu pros chevaler de son cors e plus de l’arme, ch’il fu tant logiaus servior a son Creator che Notre Sire li mostra gran partie de sa gracie avant ch’il morist. Cist Nasiens oit un fil che fu només Celidones, e fu voiremant chevaler de Yhesu Criste a fer tot ses comandement. Cist Celidons fu ome saze, e por sa sciencie cognosoit les vertus de les stoilles e de le fermamant. Cist soi parti de son pais e fu li primer roi cristian in le regname de Scocie. De cist Celidons nassi li roi Varpus che fu ome pros e vailant a mantenir Sante Glixe. Cist roi Varpus oit un fil che fu només li roi Nasiens in remembranze de son avel, e fu li plus vailant chevaler che se trovast a son tenp in tant che Deu li dona asés de sa gracie. De cist Nasiens insi li rois Elains li Gros, e cist fu tant saze che avant auroit sostenus mort ch’il aust feit zonse contre son Creator. De cist Elains nasi li rois Ysays, ome pros e logial, e unche non fist zonse contre le comandemant de son Creator. De cist Ysays nassi li roi Jonaans, bon chevaler logiaus e ardis in exalter Sante Glixe. Cist soi parti de son pais e vint a li regname de Gaules e prist la fille li roi Maroitop por coi oit tot li regne de Gaule quietemant. De cist Jonaans insi li roi Lancilot, ome vailant in armes. Cist soi parti de li regname de Gaule e vint in Ingiltere e prist a dame la fille a li roi d’Irlande, e de cist roi Lanzilot nassi li roi Band, e cist fu ome vailant e pros e molt temoit de fer contre les comandemant de son Creator. De cist roi Band nassi cil Lancilot del Lac che fist tant feit d’armes al tenp che li roi Artu tenoit la corone de li regname de Bertagne e d’Ingiltere, e cist Lancilot moi genera de une fille a ly roi Pescheor; ma mere fu estraite de la lignee de cil Joxep, de cui t’oi contés. Or pois savoir coment fui només al mond. (Aquilon 792/ 4-42) Se cerchiamo di trasporre questa genealogia 12 testuale in un albero genealogico, si presenta della maniera seguente 13 : 12 Per l’albero genealogico cf. anche Coronedi 1935: 262s., che sottolinea che questa genealogia corrisponde esattamente a quella data nella Queste del Saint Graal. 13 Le frecce orizzontali significano non una vera discendenza, ma una relazione qualsiasi. Peter Wunderli 56 5. Joxep ab Aramatie → Evalac → Serafetan (suocero di E.) [= Nasiens i] ↓ Celidones (primo re cristiano della Scozia) ↓ Varpus ↓ Nasiens ii ↓ Elains le Gros ↓ Ysays ↓ Jonaans (va in Gallia) ↓ Lancilot (va in Irlanda) ↓ Band ↓ Lancilot del Lac ↓ [Galaad] All’inizio di questo albero genealogico non abbiamo a che fare con vere discendenze: la relazione fra Joxep e Evalac, Evalac e Serafetan non sono relazioni di sangue, ma relazioni casuali, cioè d’incontri più o meno gratuiti. La fine del testo n° 4 ci fornisce inoltre l’informazione che Amite, la madre di Galaad, discende direttamente da Joxep ab Aramatie, benché i membri intermedi non siano specificati; questo silenzio non ha però niente di straordinario, dato che all’epoca interessa soprattutto la discendenza dei maschi e molto meno quella delle femmine. Colla genealogia di Galaad, il colloquio fra Roland e il cavaliere misterioso non è però terminato. Roland ha ancora due domande per le quali cerca una risposta: vorrebbe sapere perché Dio ha mandato proprio Galaad ad aiutarlo, e poi chiede delle notizie sulla data della sua morte: 6. Quand li cont oit intandus li chevaler parler in tel mainere, il soi giete mantinant in ginoilons e dist: - Ai Galeaz, chevaler de Deu, quel gracie est ceste che moi oit donee l’aut Metre a fer moi degne de vos veoir? - Gi toi le dirai, dist li sant chevaler. Quand tu metogies ta giant in ordene por comenzer la bataile e clamastes li nome del canp «Galeaz, li sant chevaler! », il fu voloir de la divine possanze che venisse a toi aider avant che angle ni autre sant. E dois savoir, Roman Senator, che tot les batailes che forent faites a Montlion, senpre avogies un angle a la guarde che vos liberoit da vos enemis; autremant non seristes unches scampés de lor mans. - Gi le croi certemant, dist li cont, mes de une rien vos voil progier che moi dites, se savoir se poit. Quand sera li jor che vegne abiter e demorer in si tres belle compangie cun est la vetre in cil regne che non dote guerre ni dotanze de mort? Allor li sant fist une cerre tant clere e lucent che al cont senbloit esre in paradis, e pois li dist: Galaad nell’Aquilon de Bavière 57 - Cont de Clermont, tu li verais quand al aut Metre sera a talant. Mes avant che ce soit, tu ferais mantes zonses por exauzer le sante foi cristiane. Si toi di tant ch’il se pora aller da Paris a l’apostole de Galicie che li pagans non nos tora peagie avant che ce soit, e pois cum corone de martire verais a li regne o tant is aspetés cum plus de .xx. millie che seront de ta compagnie, tout incoronés cum roi por les mans de li aut Metre, li celestial Deu. (Aquilon 793/ 3-23) La risposta alla prima domanda è semplice: è la scelta del grido di battaglia che ha spinto Dio a mandare il conquistatore del Graal a soccorrere i Cristiani quasi già battuti. Bisogna però sottolineare un dettaglio forse significativo: nel testo n° 1 (al quale il nostro passaggio rimanda), il grido di battaglia è «Galeaz, li bon chevaler»; nel testo n° 6 l’aggettivo bon è sostituito da sant - un cambiamento forse condizionato dal fatto che soltanto dopo l’intervento di Galaad nella battaglia il suo stato di santo può essere considerato come provato. Quanto alla seconda domanda di Roland, la risposta di Galaad è piuttosto evasiva: il momento della sua morte dipende dalla volontà di Dio; in ogni caso sarà ancora l’autore di una lunga serie di prodezze per la difesa della fede cristiana, ed il momento della sua morte non verrà prima che si possa passare liberamente dalla Francia a Santiago de Compostela. I testi 2, 3, 4 e 6 formano un’unità, un continuum organizzato intorno ad un filo d’azione organico e un discorso omogeneo. Col testo seguente lo scenario cambia: non siamo più immersi nell’azione guerresca, ma confrontati con un commento di Turpino che, in forma di riassunto, identifica i quattro miracoli della giornata: l’apparizione di Galaad, l’effetto del segno della croce, eseguito tre volte da Galaad colla spada, il fatto che tutto l’esercito ode le parole di Galaad e che ognuno crede che il santo cavaliere parli nella sua propria lingua - senza dubbio un ricordo biblico: 7. Vos devés savoir, segon che dist Tripin, che quatre grand mervoiles furent veus cil jor. Li primer fu de ly chevaler armés che aparuit in mi la schere de li pagans; li segond che a li segnal che fist de la cros cum li brand li pagans perderent lor forze e ardir e li cristians redoplerent lor possanze; li terz fu che tot les paroles che dist li sant chevaler furent ois da tot ceus del canp tot insimant cum fexoit li cont e li arcivesque che li furent de prés; li quart fu che vos devés savoir che in celle giant estoit omes de mant pais: a li Alemans estoit avis che li chevaler parlast in tiois, a li Ungres de Ungarie, a li Inglois de Ingilterre, a li Franzois de Franze, a li Lonbard talians; a ciascun estoit avis ch’il parlast de sa contree, e quand oirent che li cont devoit aller a telle superne glorie cum tante compagnie, il non fu nul che non soi gitast mantinant in zinolions e comenzerent a crier: - Missericordie, sire Deu, che nos possons acompagner notre bailis a tante glorie e a tant bien, tot aussi cum l’avons acompagné al mal e a la poine! E bien dist Trepin che ly cris estoit tot insimant cum sont les remo[r]s in la glixe de San Per de Rome, quand li suarie de notre salveor est mostrés, che tot crierent «Misericordie! Misericordie! ». E por cil remor li cont e li arcivesque soi volterent arer por veoir che ce estoit, e verent les omes d’armes tout desendus de lor cival inginoilés a terre, criant «Misericordie, sire Deu! ». E quand soi revolterent, non verent plus li chevaler as armes blanzes, car il estoit retornés a cil che l’avoit mandés. (Aquilon 793/ 24-794/ 6) I primi due punti sono conosciuti dal testo precedente; i punti tre e quattro però costituiscono informazioni nuove che servono a Raffaele a riprendere il racconto Peter Wunderli 58 degli eventi: tutto l’esercito s’inginocchia, quando la morte di Roland viene annunciata, e chiede di accompagnarlo in Paradiso. E durante questa scena di estasi religiosa comune, Galaad sparisce. Così finisce la parte centrale dell’episodio di Galaad. Il vero episodio di Galaad è il testo n° 2; i testi n° 3, 4, 6 e 7 costituiscono un supplemento di spiegazioni, interpretazioni e commenti che è però chiaramente ricollegato all’azione centrale e continua il nucleo attivo (la battaglia) a un livello essenzialmente comunicativo. Soltanto alla fine viene ripreso il filo attivo colla sparizione di Galaad. Ma con ciò l’episodio di Galaad non è esaurito: il testo ci offre nella sua continuazione ancora un numero importante di echi del blocco precedente. La prima eco segue quasi immediatamente la sparizione di Galaad. Joxafat esorta Roland a mettersi subito in marcia per soccorrere Rainaldo, e quello si mostra stupito che il suo compagno conosca il consiglio datogli da Galaad. È soltanto allora che viene a sapere che tutto l’esercito ha udito e compreso le parole del messo divino: 8. - Monsegnor, dist Joxafat, brigons de civauzer al plus tost che possomes por secore Rainald e la compagnie. - Coment, dist li cont, qual bexogne oit li prince, mon cuxin, de nos? - Sire, dist Joxafat, por coi li roi Balduc cum Etiopie, sa neze, li ont asediés in une terre bruxie sans vituarie. - E chi vos oit ce dit? dist li cont. - Monsegnor, dist Joxafat, il n’a ome in tote l’asenblie che non agie ois li fil Lancilot del Lac ausi cum vos che li estogiés tant de prés. Si vos dirai maor mervoile, che a moy senbloit ch’il parlast in lingue africane. - Por ma foi, dist Belinzer, a moi sembloit ch’il parlast de mon pais. Ausi dist li marchis Bonifacie e tout les autres. (Aquilon 794/ 11-20) Questo passaggio rimanda chiaramente al testo n° 3 ed alla prima parte del testo n° 7; abbiamo dunque a che fare colla fusione di due echi diversi che si sovrappongono l’uno all’altro in un episodio secondario e posposto al nucleo; l’orientazione è dunque chiaramente anaforica, e ciò vale anche per tutti gli altri echi. Anche la seconda eco è rilegata all’esecuzione del consiglio di Galaad. Quando l’esercito di Roland si mette in marcia, le parole d’ordine son «Yhesu» e «Li sant chevaler Galeaz»: 9. E cum ces trois insagnes soi metrent in zamin cum le nome de Yhesu e de li sant chevaler Galeaz, e civauzerent senpre le jor cum petit reponser, for solemant por manzer e por staler li cival; . . . (Aquilon 795/ 23-25) La scelta della seconda parola d’ordine rimanda ai testi n° 1 e 6, e come nel secondo dei due testi di referenza, l’aggettivo scelto è sant. Anche qui abbiamo dunque una sovrapposizione di due relazioni anaforiche o, se si vuole, una biforcazione di memoria. Galaad nell’Aquilon de Bavière 59 Col testo precedente lasciamo il campo di battaglia sull’Appennino; i testimoni seguenti appartengono alla lotta contro Balduc ed i Maganzesi. All’inizio della battaglia finale, Rolando fa dispiegare una bandiera che mostra la croce vermiglia sullo sfondo bianco - le armi di Galaad - e sceglie come grido di battaglia «Li sant chevaler Galeaz e la cros vermoile»: 10. Alor li cont fist desplogier une bandere grand a mervoille, tot blanze, e dedans avoit une cros vermoile, e dist: - Segnor, ceste soit li redut de tot nos. Li nom de nos sera «Li sant chevaler Galeaz e la cros vermoile! ». Pensés de secore nos amis, car por mon esient, il li feit grand mester. Gardés vos da li zigant al plus che pois, che de les autres non faromes niant! (Aquilon 808/ 13- 18) Il blasone di Galaad rimanda al testo n° 2, «Li sant chevaler Galeaz» ai testi n° 1, 6 e 9; abbiamo dunque di nuovo un rinvio pluridimensionale. Interessante è anche il fatto che il grido di battaglia è modificato con l’integrazione del blasone: aumenta così la sua potenza anaforica. Un’eco debole l’abbiamo quando Rainald vede per la prima volta le bandiere dell’esercito di Rolando, fra le quali la croce vermiglia sullo sfondo bianco: 11. . . . Da l’autre part li prince de Montalban, quand oit ois l’olifant del cont e voit a la montagne lé quatre banderes, ce fu la cros vermoile, li quarter d’or e d’azur, la balzane e la cros d’or in le camp azur, il conuit mantinant che cist estoit li fil al dus Millon d’Anglant, e bien ly estoit avis che la zonse estoit allee tot insimant cum elle estoit de li roi Malduc e de sa compagnie. Allor escrie «Mon giogio, li roi de Franze e la gieste de Clermont! ». (Aquilon 811/ 6-12) Più forte è il potere anaforico nel caso di Vivian, perché non viene soltanto menzionata la bandiera, ma quella viene anche identificata come blasone di Galaad, «li sant chevaler»: 12. Dist Vivian: - Segnor, de les grand daumagie che avomes receus non cur niant poische li cont, notre cuxin, est venus, che avogie grand dotanze ch’il non fust mort. Si moi mervoil fort de une bandere che voi cum lor, che tel insagne non sai che portasse unches nul in feit d’armes fors li fil monsegnor Lancilot del Lac, ce fu Galaaz, li sant chevaler. (Aquilon 811/ 37-812/ 2) Di nuovo abbiamo a che fare con un rinvio pluridimensionale. Tutti questi echi (n° 9-12) sono piuttosto modesti. Il testimone che segue però è un ricordo potente ed esteso: si tratta del riassunto che Roland dà a Rainald degli eventi nell’Appennino dopo la vittoria contro Balduc ed i suoi alleati: 13. Quand li baron arent un petit manzé, li prince de Montalban dist ver li cont: - Sire cuxin, gi vos don domander de une rien de coi nos se merveilons tot, de une bandere che avés portés in ceste bataile, che unches nos veimes a nos vivant porter in feit d’armes a nul ome. Peter Wunderli 60 Allor li cont treit un grand suspir e dist: - Segnor, intendés bien quant nos somes tenus a Notre Salveor, e cellor che ont bone creanze in luy non poit venir a maovés fin ch’il non sogie secorus. Il est voir che quand moi parti da Rome por torner a Paris, nos fumes cinc cent omes e non plus, e la pluspart non avoit armes. E quand nos fumes in les Alpes de Toscane, li roi Malduc nos assauta cum cinquante millie omes e cum cent zigant. Si est voir che li marchis Bonifacie e li cont de Marmore li venoit arer che nos fist grand secors, mes tot ce non auroit valus niant se la gracie de Deu non fust, che al comenzer de la bataile aparuit in my la schere de li pagans un chevaler armés de armes blances cum une cros vermoile, e tot insimant avoit li cival, e avoit l’eume a ses spales e un brand nus in mans. E cum cil brand fist une cros in l’aire. E ogiés que possanze est celle de Deu: Si tost cum il oit feit la cros, il non li fu nul de nos a cuy non redopiast l’ardir in tel mainere che a ci[a]scun de nos dixoit li cors de combatre cum tot li pagans; e tot li contrarie vint a lor, ch’il perderent le ardir de nos ofendre e anchor de defendre lor persones, in tant che li zigant e tot les autres forent mort che nul poit scanper. E quand li camp fu tot sbaratés, li chevaler fist signal che ly alasse a parler, e quand li fu de prés, si moi comanda che al plus tost che poisse moi metisse in zamin cum la giant che avogie, e non moi demorase jor ne nuit tant che fusse in cist pais, che vos troverogie a peril de esre tot mort. E quand il m’oit ce dit, gi li pregai s’il estoit possible assavoir ch’il moi dissist ch’il estoit. E allor il comenza a Joxep ab Aramatie, e vint de lignee in legnee tant ch’il vint a Lancilot del Lac e ch’il fu son fil, ce fu Galeaz, li sant chevaler, cil che treit a fin tot les grand venture del sant Graal in le regname de Ingiltere e de Bertagne. E volés oir grand miracle, che tot les paroles ch’il fist forent ois por tot le camp, e si estoit avis a ciascun ch’il parlast de sa lingue. Si soi parti pois da nos che nul non soi percuit, e por ceste caixon avomes portee ceste bandere blanze cum la cros vermoile dedans, si cum avoit li sant chevaler. E tant cum gi vive la porterai senpre in feit d’armes por son amor e por sa reverencie. (Aquilon 826/ 37-827/ 33) Qui si rimanda a tutti i testi del nucleo dell’episodio di Galaad, cioè ai numeri 2 fino a 7, ma alla fin fine anche agli echi precitati. Il n° 13 è dunque l’eco per eccellenza. Rimane un ultimo passaggio che ci riporta ancora alla croce vermiglia sullo sfondo bianco, cioè le armi di Galaad. L’intervento di Galaad come Deus ex machina nella situazione disperata sull’Appennino fa sì che tutti i cavalieri francesi, bretoni, inglesi e italiani adottino questo blasone a cui non rinunceranno mai: 14. . . . E devés savoir ch’il non fu baron in France, in Bertagne, in Ingilterre, e ancor in Itallie che da cil jor avant non portast celle cros vermoile o in bandere o in astendard, e si la portent anchor. Voire est che al prexent ceste cros est portee a reverencie de sant Zeorze, e la raxon por coi est che sant Zeorze est canonezés por la Sante Glixe, e Galeaz non. Mes li principie fu da Galaaz, por coy il fu avant sant Zeorze pluxor an. E asés parlerent de Galleaz a cil manzer. (Aquilon 827/ 38-828/ 5) Questa sequenza esplicativa viene completata da una seconda spiegazione che riporta al fatto che la croce vermiglia su sfondo bianco è normalmente il blasone di San Giorgio che l’ha però ripreso da Galaad. Ed il fatto che questa croce è normalmente chiamata croce di San Giorgio e non croce di Galaad si spiegherebbe semplicemente per il fatto che soltanto San Giorgio è canonizzato. Galaad nell’Aquilon de Bavière 61 2. La memoria intratestuale (Memoria I ) L’episodio di Galaad ci offre una struttura intratestuale assai elaborata e raffinata. Essa si sviluppa in tre tappe: - Abbiamo prima una specie di preannuncio, il testo n° 1, che fissa il grido di battaglia. Questo brano è nettamente cataforico e dunque una specie di anti-memoria. - Segue poi l’episodio centrale che comprende i testi da n° 2 a 7 che contengono già elementi anaforici (cioè di memoria testuale) che rimandano sia al testo n° 1, sia ad elementi anteriori del nucleo episodico. - Segue poi una serie di echi d’importanza più o meno grande, terminanti in una specie di crescendo col testo n° 13, il grande riassunto dato da Roland. - La fine (n° 14) ha un carattere esplicativo e dà una specie di prospettiva sull’epoca che segue gli eventi raccontati nell’Aquilon. Questa struttura viene ancora complicata dal fatto che elementi descrittivi ed esplicativi si affiancano; questa complicazione è soprattutto visibile nella parte centrale dell’episodio: il testo n° 2 e la fine di 7 sono descrittivi in una prospettiva autoriale; il resto è esplicativo, in parte travestito in descrizione. Parte descrittiva e parte esplicativa formano dunque una parentesi. Fra gli echi, i punti di riferimento sono diversi, ma se mettiamo da parte i numeri 8 e 13 (che rimandano all’azione del nucleo), sono soprattutto il grido di battaglia e il blasone che sono ripetuti in maniera ostinata. Inoltre esistono anche rinvii non soltanto dal blocco degli echi a quello del nucleo episodico, ma anche all’interno degli echi stessi. I riferimenti anaforici sono i seguenti 14 : 15. n° 8 (conversazione fra Galaad e Rolando) → n° 3, 7 (prima parte) n° 9 (grido di battaglia) → n° 1, 6 n° 10 (grido di battaglia, blasone) → n° 1, 2, 3, 6, (9) n° 11 (blasone) → n° 2, 3, (10) n° 12 (blasone, grido di battaglia) → n° 1, 2, 3, 6, (9), (10) n° 13 (riassunto centrale) → n° 2-7 n° 14 (blasone) → n° 2, 3, (10), (11), (12), (13) È da sottolineare che tutti questi rinvii non sono mai semplici, ma sempre pluridimensionali e rimandano a due o più testi referenziali. Abbiamo dunque sempre a che fare con una memoria complessa che si scinde in diverse trame. La memoria intratestuale è soltanto una volta anticipatrice (cataforica); normalmente ha un’orientazione regressiva (anaforica) o quest’orientazione è almeno dominante; è dunque giustificato parlare di memoria. 14 Nella lista che segue, i rinvii all’interno degli echi sono messi fra parentesi tonde. Peter Wunderli 62 3. La memoria intertestuale (Memoria II ) La memoria intratestuale (Memoria i) presuppone però un’altra memoria che chiameremo intertestuale (Memoria ii). Nel caso dell’episodio di Galaad il punto di riferimento di questa memoria è chiaramente identificabile: si tratta del Lancelot en prose, parte centrale del ciclo Lancelot-Graal, e particolarmente della Queste del Saint Graal 15 . Galaad è, nel Lancelot en prose, il cavaliere quasi ideale, quasi (ma non veramente) un santo 16 . Questo fatto è già ricordato nel testo n° 14 citato qui sopra, ed è anche ben visibile nella descrizione data nell’Aquilon alla fine dell’episodio dedicata al suo personaggio: 16. - Par ma foi, dist Roland, se Galeaz vesti si bien armes in vie cum il mostroit quand le veimes, certemant il porta bien armes, e bien porta le pris de le mellior chevaler che unches portast armes. Segnor, se le aussés veus sor cil destrer, li heume a les spalles, li brand in mans, il n’a ome al mond che fust saolés de luy se mirer! (Aquilon 828/ 6-10) Importa però sottolineare che Galaad è il campione della cavalleria celeste e che supera in questo campo anche i concorrenti Perceval e Bohort; quanto alla cavalleria terrestre, questo titolo di onore spetta a Lancelot 17 . Come abbiamo già segnalato, Galaad viene concepito durante un soggiorno di Lancelot nel castello del re pescatore, Pellès. La serva Brisane gli fa bere un filtro che fa sì che Lancelot confonda Amite, la figlia del re, coll’amata Guenièvre 18 . Il frutto di quest’avventura è Galaad (battezzato secondo il nome di nascita di suo padre), che viene allevato in un monastero vicino a Kamelot. Per la sua genealogia 19 è un discendente di Giuseppe di Arimatea e risale alla fin fine a Davide 20 . A Giuseppe di Arimatea è anche legato per il suo blasone, la croce vermiglia sullo sfondo bianco. La storia di queste armi è raccontata nella Queste del Saint Graal in maniera molto suggestiva. Dopo la vittoria di Evalac, che era stato consigliato da Giuseppe e sentendo quest’ultimo avvicinarsi la sua fine, il re prega il suo fedele consigliere di lasciargli un oggetto in ricordo, e Giuseppe risponde: 17. - Rois Ewalach, fai moi aporter ici icel escu que je te baillai quant tu alas en la bataille sor Tholomer. E li rois dist que si feroit il volentiers, car il estoit pres d’ilec come cil que il fesoit porter o soi en quelque leu que il alast. Si fist devant Josephe aporter l’escu. A cel point que li escuz fu aportez devant Josephe avint que Josephes saignoit mout durement par mi le nes, 15 Cf. Frappier 1978. Per le edizioni cf. Sommer 1909-16; Micha 1978-83; Pauphilet 1984. 16 Cf. anche Frappier 1978: 555s., 560-62; Coronoedi 1935: 264s. 17 Cf. qui sopra, p. 52. 18 Cf. Frappier 1978: 539s., 550s., 553, 583; Dufournet 1981: 109; Micha 1978-83/ 5: 138s.; 6: 58s., 171s., 240s., 242. 19 Cf. qui sopra, p. 56. 20 Cf. Frappier 1978: 540, 551; Coronedi 1935: 262. Galaad nell’Aquilon de Bavière 63 si ne pooit estre estanchiez. Et il prist tantost l’escu et i fist de son sanc meisme cele croiz que vos veez ci: et bien sachiez que ce est icel escu meismes que je vos cont. Et quant il ot fete la croiz tele com vos la poez veoir, il li dist: - Veez ci l’escu que je vos les en remembrance de moi. Et ja cest escu ne verroiz qu’il ne vos doie souvenir de moi, car vos savez bien que ceste croiz est fete de mon sanc, si sera toz jorz mes aussi fresche e aussi vermeille com vos la poez veoir orendroit, tant com li escuz durra. Ne il ne faudra mie tost por ce que ja mes nel penra nus a son col, por qu’il soit chevaliers, qu’il ne s’en repente, jusqu’a tant que Galaad, li Bons Chevaliers, li darreins dou lignage Nascien, le pendra a son col. Et por ce ne soit nus tant hardiz qui a son col le pende se cil non a qui Diex l’a destiné. Si i a tele achaison que, tout aussi come en l’escu ont esté veues merveilles graindres que en autre, tout aussi verra l’en plus merveilleuse proece et plus haute vie en lui que en autre chevalier. - Puis qu’il est einsi, fet li rois, que vos si bone remembrance de vos me lairez, or me dites s’il vos plest ou je lairé cest escu. Car je voldroie molt qu’il fust mis en tel leu ou li Bons Chevaliers le trovast. - Donc vos dirai je, dist Josephes, que vos feroiz. La ou vos verroiz que Nasciens se fera metre emprés sa mort, si metez l’escu: car ilec vendra li Bons Chevaliers au cinquieme jor qu’il aura receu l’ordre de chevalerie. (Pauphilet 1984: 34/ 8-35/ 6) Le cose arrivano come annunciate da Giuseppe. Galaad diventerà ben presto uno dei migliori cavalieri e si distinguerà da tutti i suoi compagni e concorrenti per la sua religiosità esemplare e la sua purezza di spirito. Ciò lo predestina a compiere l’avventura del Graal. Conquistato il sacro vassoio e visto il mistero, Galaad muore poco dopo e la sua anima viene portata in Paradiso dagli angeli 21 . La conscenza di tutti questi fatti ed eventi è indispensabile per la comprensione e corretta interpretazione dell’episodio di Galaad nell’Aquilon de Bavière. Il nostro testo presuppone dunque l’esistenza di una memoria intertestuale da parte del lettore, cioè un’educazione letteraria assai estesa che non si può limitare al contesto italiano, ma è d’indole europea. Il testo di referenza centrale è il Lancelot en prose francese, e più specificamente la Queste del Saint Graal, ma anche gli altri testi del ciclo entrano in questo complesso di relazioni memoriali, ed anche i testi di Chrétien de Troyes, di Robert de Boron ed altri intervengono puntualmente. L’Aquilon è dunque un testo che esige un pubblico colto e raffinato, e non un pubblico di fiera come la primitiva chanson de geste 22 . 4. Conclusione L’episodio di Galaad nell’Aquilon de Bavière è caratterizzata da una struttura molto elaborata e raffinata; in ciò non si distingue in niente dal resto del romanzo. I preannunci, le profezie, le riprese, gli sviluppi, gli echi ecc. formano un tessuto complicato e solido che è stato pensato e ripensato dall’autore per adattare il suo 21 Per il testo della Queste cf. Pauphilet 1984: 276/ 31-278/ 33. 22 Cf. Rychner 1955. Peter Wunderli 64 testo alle esigenze del pubblico contemporaneo. Da questo punto di vista l’Aquilon è un riflesso franco-italiano del Lancelot en prose francese 23 . Ciò che caratterizza il nostro testo a prima vista è l’integrazione dei generi. Nel caso del nostro episodio si tratta soprattutto della matière de Bretagne che è integrata nella matière de France: gli elementi soprannaturali e mistici sono dunque legati ai temi guerreschi (nazionali e cristiani). Ma anche la letteratura parodistica (come il Roman de Renart), la letteratura teologica e didattica in generale partecipano a questa simbiosi 24 . Queste modificazioni della tematica epica originale (quella della chanson de geste classica) è tipica per l’Italia settentrionale, benché si trovi anche in Francia. Testimonia di una successiva trasformazione della visione del mondo cavalleresco e cortese in una concezione borghese che cerca, sicuramente, di salvare un gran numero di elementi dell’epoca feudale, integrandoli in un nuovo contesto sociale e politico 25 . Un elemento centrale di questa nuova ideologia è la rivalutazione del sapere nel senso di un sapere multiforme, specifico e universale. In questo quadro trova il suo posto anche la memoria. La Memoria I , la memoria intratestuale, è una memoria individuale - di lettura soprattutto, ma non soltanto: è una memoria dell’esperienza individuale in generale. La Memoria II invece, la memoria intertestuale, è una memoria collettiva e enciclopedica che è nutrita prima di tutto dalla letteratura (di ogni genere). Anche l’episodio di Galaad nell’Aquilon è dunque un testimone chiaro dell’imborghesimento avanzato della cultura e dell’ideologia socio-politica nell’Italia settentrionale agli inizi del Quattrocento. Düsseldorf Peter Wunderli Bibliografia Becker, H. (ed.) 1912: Der altfranzösische Prosaroman von Lancelot del Lac. 2. Branche: Les enfances Lancelot. Versuch einer kritischen Ausgabe nach allen bekannten Handschriften, Marburg Bräuner, G. (ed.) 1911: Der altfranzösische Prosaroman von Lancelot del Lac. 1. Branche: La Reïne as granz dolors. Versuch einer kritischen Ausgabe nach allen bekannten Handschriften, Marburg (Marburger Beiträge zur Romanischen Philologie 2) Bubinger, H. (ed.) 1913: Der altfranzösische Prosaroman von Lancelot del Lac. 2. Branche: Les enfances Lancelot (2. Teil); 3. Branche: La doloreuse garde (1. Teil). Versuch einer kritischen Ausgabe nach allen bekannten Handschriften, Marburg (Marburger Beiträge zur romanischen Philologie 8) Colliot, R. 1978: «Quelques aspects de la thématique carolingienne dans Aquilon de Bavière», in: CISR 7: 223-40 Coronedi, P. H. 1935: «L’Aquilon de Bavière», ARom. 19: 237-304 23 Cf. anche Frappier 1978: 539. 24 Cf. Wunderli in Holtus/ Wunderli 2005, cap. 4.2. 25 Cf. Wunderli in Holtus/ Wunderli 2005, cap. 4.1. Galaad nell’Aquilon de Bavière 65 Dufournet, J. 1981: «Une nouvelle éditon du Lancelot, roman en prose du 13 e siècle», MA 87: 105-12 Frappier, J. 1949: «L’institution de Lancelot dans le Lancelot en prose», in: Mélanges Hoepffner, Paris: 269-78 Frappier, Jean 2 1961: Étude sur la Mort li Roi Artu. Roman du 13 e siècle, dernière partie du Lancelot en prose, Genève Frappier, J. (ed.) 1964: La mort le Roi Artu. Roman du 13 e siècle, Genève/ Paris Frappier, J. 1978: «Le cycle de la Vulgate (Lancelot en prose et Lancelot-Graal», GRLMA 4/ 1: 538-89 Holtus, G./ Wunderli, P. 2005: Franco-italien et épopée franco-italienne. Le phénomène, l’état actuel de la recherche, les lacunes à combler, Heidelberg Hutchinson, G. (ed.) 1938: Le roman en prose de Lancelot du Lac: le conte de la Charrette, Paris Kennedy, E. (ed.) 1986: Lancelot du Lac. The non-cyclic Old French Prose Romance, 2 vol., Oxford Lecoy, F. (ed.) 1973-75: Chrétien de Troyes, Le conte du Graal (Perceval), 2 vol., Paris Lecoy, F. 1978-82: *Micha 1978-83; R 99: 264-68, 412-16; 101: 544-53; 102: 130-37; 103: 376-89 Lot, F. 1918: Étude sur le Lancelot en prose, Paris Lot-Borodine, M. 1919: Trois essais sur le Roman de Lancelot du Lac e la Queste du Saint Graal, Paris Lot-Borodine, M. 1951: «Les apparitions du Christ aux messes de l’Estoire et de la Queste del Saint Graal», R 72: 202-23 Ménard, Ph. 1977: «Les fous dans la société médiévale. 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