eJournals Vox Romanica 66/1

Vox Romanica
vox
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Francke Verlag Tübingen
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2007
661 Kristol De Stefani

Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica

121
2007
Margherita  Lecco
vox6610147
Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica Il tema parodico della largesce cortese È da tempo ammissione concorde, anche prima delle indicazioni fornite dai dotti editori Percival Fay e John Grigsby, che nel Joufroi de Poitiers, romanzo «liminare» del xiii secolo, esistano rimandi al mondo trobadorico, e che questi siano sovente da intendere sotto una luce parodica 1 . Il romanzo tradurrebbe alcuni elementi relati al personaggio di Guglielmo IX d’Aquitania (settimo conte di Poitiers) e ad alcune figure con cui egli fu in relazione negli anni della sua vita inscritta nelle date tra 1070 e 1127, elementi di tipo storico-cronistico, confermabili per via documentaria in antiche carte di localizzazione pittavina 2 . Ad un’indagine analitica, condotta comparativamente con testi di appartenenza trobadorica, tali rimandi appaiono tuttavia più numerosi, in relazione più sistematica, e di area differente rispetto a quanto il romanzo lasci intendere ad una prima lettura 3 . Essi concernono più fattori e si rinvengono a più livelli, coinvolgendo cenni biografici e personalità storiche, ma anche riferimenti testuali, paradigmi poetici e mimesi liriche. In maniera tale da fare del testo non tanto un roman d’aventures, come spesso indicato 4 , quanto un attivo, dialettico campo di prova per riconsiderare, passandoli ad un vaglio critico ed ironico, una cospicua serie di luoghi topici della poesia e della cultura trobadoriche: così ben distribuiti e coerenti da finire per rendere il preteso romanzo un meta-romanzo, dove le convenzioni propriamente romanzesche sono subordinate a finalità indipendenti da questo genere (che vi svolge tuttavia una parte), sottoposte a verifica, e, se il caso richiede, ribaltate. 1. Le linee di costruzione del romanzo. Nei lavori precedenti è da me stato sostenuto, in particolare, che 1) Joufroi de Poitiers (d’ora in poi JFP) dipende dalla vida trobadorica di Guglielmo IX, e che 2) lo schema del testo è formato dal proporsi ed alternarsi di due linee-voci principali, che finiscono per implicarsi a vicenda, alterando la prospettiva romanzesca 5 . 1 Fay/ Grigsby (ed.) 1972. Una traduzione inglese è stata curata da Noël (ed.) 1987. Per gli elementi della parodia, cf. p. 17-26. Si vedano anche Choate 1978 (che cito senza tuttavia averlo potuto consultare); Lacy 1990-91, e per un rilievo comunque ironico Menard 1969, passim; Dragonetti 1982; Trachsler 1992-95. Mi permetto di rimandare anche a Lecco 2003a e Lecco 2006a. 2 Cf. Fay/ Grigsby (ed.) 1972: 16-18s. 3 Cf. Lacy 1990-91 e Lecco 2003a: 49-53. 4 Così intitolano gli editori (cf. N1), e così anche Lejeune 1978. 5 Lecco 2003a e Lecco 2006a. Vox Romanica 66 (2007): 147-167 Margherita Lecco Come è noto, la vida di Guglielmo è una delle più antiche e sicure all’interno della compagine narrativa delle vidas, una delle poche che, tra queste, possa dirsi opera «praticamente certa» di Uc de Saint Circ, una delle «due ‹firme›» che compaiono nel «corpus delle prose biografiche» provenzali, insieme con Miquel de la Tor 6 : Lo coms de Peitieus si fo uns dels majors cortes del mon e dels majors trichadors de dompnas, e bons cavalliers d’armas e larcs de dompnejar; e saup ben trobar e cantar. Et anet lonc temps per lo mon per enganar las domnas. Et ac un fill, que ac per moiller la duquessa de Normandia, don ac una filla que fo moiller del rei Enric d’Engleterra, maire del rei Jove e d’En Richart e del comte Jaufre de Bretaingna 7 . Si ritiene, quindi, che essa presenti un notevole grado di autorevolezza, tale da assicurare una sostanziale verità (per quel che il termine vale) d’informazione. Se JFP vi viene messo a confronto, la comparazione consente di affermare che la selezione dei dati trascelti dal romanzo converge con la rispondenza degli indici tematici offerti dal testo occitanico. Dove la vida avanza un’affermazione, JFP risponde con puntualità, pur se per ampie aggregazioni di temi: 1. Lo coms de Peitieus si fo uns dels majors cortes del mon trova riscontro nella cortesia di Joufroi scudiero e salvatore della regina Halis; 2. dels majors trichadors de dompnas, e per enganar las domnas si ritrova negli avventurosi amori con Agnés, Blanchefleur, Halis; 3. bons cavalliers d’armas risponde al valore che Joufroi dimostra combattendo per il re d’Inghilterra Henri; 4. et anet lonc temps per lo mon si rinviene nell’erranza che Joufroi conduce tra le corti per combattere nei tornei. L’affermazione, inoltre, che Guglielmo saup ben trobar e cantar potrebbe costituire un punto 5, giustificato dal testo stesso, dove il canto è riassorbito dai versi. Ed un punto 6 potrebbe acclarare la presenza di altre personalità storiche, benché assunte più come immagini sonore che come effettivi oggetti di coincidenza esistenziale e cronologica: Enric appare prossimo a re Henri, En Richart eccheggia Richiers, il padre di Joufroi, Jaufre de Bretaingna richiama lo stesso eroe del romanzo 8 . D’altro ancora però, coniugato con la vita storica del Conte, non si 148 6 Meneghetti 1992, sp. cap. v: «La ricezione mediata dei testi lirici: struttura e prospettiva ideologica nelle vidas e nelle razos» (cf. in particolare: 182-83s.), e Meneghetti 2002. 7 «Il conte di Poitou fu uno degli uomini più cortesi del mondo e dei maggiori ingannatori di donne, e buon cavaliere d’armi e generoso nell’andare a donne; e seppe ben comporre e fare canzoni. E andò a lungo per il mondo per ingannare le donne. Ed ebbe un figlio, che ebbe per moglie la duchessa di Normandia, da cui nacque una figlia che fu moglie del re Enrico d’Inghilterra, madre del re Giovane e di re Riccardo e del conte Goffredo di Bretagna». Cito il testo da Favati (ed.) 1961: 115. Su questa vida cf. anche Lee 1987. 8 Cf. Fay/ Grigsby (ed.) 1972: 20-22. In senso stretto, però, non si trovano altri elementi direttamente riconducibili alla vicenda umana del Conte d’Aquitania, quale poteva essere fornita in via documentaria: non ci sono accenni alla spedizione crociata del 1101, né alla progenie di Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica potrebbe trovare: nessun cenno ad altre vicende che resero famosa, e in modo scandaloso, la vicenda umana del comes e trouvere 9 , né ad ulteriori notizie (ma di questo si dirà) che possano essere conosciute al di fuori dei vers del trovatore. Tanto da indurre a concludere che l’inventario dei dati rimandi ad una cognizione testuale, derivante da un certo numero di testi letterari, più che ad un apprendimento cronistico e realistico: fatto che non sorprende, se si considera la presumibile lontananza intercorsa tra la vita concreta del Conte d’Aquitania, la composizione di JFP e la possibilità per il suo autore di rinvenire in proposito un appoggio documentario sicuro. Nell’economia del romanzo, la vida trobadorica non costituisce, probabilmente, un finale punto di conferma e di confronto 10 , quanto piuttosto, all’inverso, il repertorio iniziale da cui ha preso le mosse l’autore, combinando a piacere elementi documentari pregressi, dotati di consistenza e puntuale memoria letterarie: come dire che la vita di Guglielmo cui si allude è di natura fittizia, una vita scaturita dalle pergamene delle vidas, delle razos e della lirica cortese 11 . La natura libresca delle componenti del romanzo è del resto corroborata da altri evidenti apporti. Vi si riconoscono contatti con il romanzo di Flamenca e con il Roman de Renart, e tracce di romanzi graaliani 12 , che si accompagnano ai consistenti temi-rimandi trobadorici. Questi ultimi, non sempre facili da decrittare, sono sparsi lungo i due livelli del testo. Il romanzo si struttura, e procede, alternando due trame, o, più ancora, due voci che si incrociano continuamente, intrecciandosi per frammenti alterni 13 . Una, in apparenza preminente, si esprime in terza persona, ed espone, con andamento diegetico tipicamente romanzesco, le avventure del conte Joufroi alle prese con le contingenze dell’esistenza cavalleresca, d’ambito soprattutto amoroso. L’altra, che s’incontra sin dall’inizio, e che si dà, in apparenza, come minoritaria, si esprime in prima persona, e, ricorrendo a moduli lirici, desunti dal repertorio trobadorico, elabora un discorso d’invettiva d’amore contro i falsi amanti. Il tema dell’amor cortese lega i due piani. I due intrecci paiono, in effetti, a prima vista, slegati, accostati per immotivata relazione. Il tema d’amore li connette, dove il piano diegetico si comporta come formula applicativa ed espositiva, quasi una narrazione per exempla, del piano lirico: così che i casi che descrivono gli amori di Joufroi, sorta di repertorio delle avventure d’amore infedele, o dell’amore declinato come avventura, sfida, fascinazione, inganno, si propongono come pro- 149 Guglielmo. Il nome di Amauberjon, figlia del Conte n’Anfos de Seint Gile, che diventa moglie di Joufroi (v. 4600), ed il nome medesimo di Anfos, erano tràditi anche da una fonte letteraria come Orderico Vitale (Fay/ Grigsby (ed.) 1972: id.). 9 Su vita e opere di Guglielmo IX, oltre alle Introduzioni alle edizioni (a cura di Pasero (ed.) 1973, e di Eusebi (ed.) 1995), cf. Bond 1982; Mancini 1984; Meneghetti 1992: 34s. 10 Come vorrebbero Fay/ Grigsby (ed.) 1972: 20. 11 Lecco 2006a: 52. 12 Lecco 2003a: 74 (ci si riferisce al Roman de Renart) e 81 (ci si riferisce al Romanzo cortese: si tratta forse della II Continuation Perceval? ) e Lecco 2006a: 53-55. Per i punti di contatto con Flamenca cf. anche Fay/ Grigsby (ed.) 1972: 12. 13 Sull’alternanza e l’intreccio cf. in particolare Lecco 2003a: 76-80. Margherita Lecco iezione oggettivata dei comportamenti «leggeri», deprecati dalla voce in prima persona, che è tutta rimbrotti contro gli amanti infedeli e i trichadors de dompnas. Si era detto poi, nei lavori precedenti, come le due voci finiscano per collidere e rovesciarsi, spingendosi sino ad un’inversione «a chiasmo», che rende l’una meno svagata e volubile, l’altra meno intristita ed irosa, desiderosa anzi di più corpose esperienze; e come il rovesciamento avvenga per impatto con un evento fortuito, l’arrivo del poeta Marcabru, chiamato in causa con esatto nome ed inteso secondo autentica personalità 14 , a smascherare Joufroi, combattente in incognito presso la corte inglese e dimentico dei possedimenti pittavini (invenzione in cui sarà forse da vedere un’allusione ad un verso famoso di Pos de chantar) 15 . Il momento di scambio delle due voci-trame, che portano Joufroi ad una recuperata (quanto sgradita? ) saggezza, e la voce lirica ad un inaspettato incanaglimento, avviene all’insegna di quello che è forse un ulteriore recupero dalle poesie del Signore d’Aquitania, una neo-declinazione di Farai un vers de dreit nien in chiave che, con qualche ragione, può essere identificata come parodica 16 . Alla luce specialmente di quest’ultima acquisizione, JFP chiede che ulteriori elementi siano sottoposti al tri di una possibile interpretazione parodica, che investe un dato numero di elementi, a vario titolo topici della sfera trobadorico-cortese 17 , ponendo un sostanzioso interrogativo sull’identificazione della voce d’inizio, su quella di colui che parla in prima persona per lamentare l’incostanza e gli inganni degli amanti. Non è difficile affermare che si tratti, anche in questo caso, di una voce mimetica e canzonatoria, troppo rigida e pedante, ed insieme troppo incline al lamento perché non la si debba ritenere impostata intenzionalmente 18 . Più ardua, invece, e degna di cautela l’idea di poterla ricondurre con sicurezza alla maniera poetica tipica di Marcabru, tesa a confutare le proposizioni dell’amor «scortese»; tanto più, poi, quando si pensi che il principale oggetto dei rigori di Marcabru era proprio Guglielmo 19 . In questo caso, si direbbe, i conti tornano sin troppo bene, inducendo a pensare che l’Autore di JFP fosse non solo uno specialista (come ho più volte sostenuto) 20 , a contatto e a proprio agio tra manoscritti d’autore e collezioni di trovatori, ma qualcuno che dominasse con eccezionale maestria tutta una tranche, una cospicua tranche, della storia poetica del xii secolo. È evi- 150 14 «Marchabruns ot non li mesages/ Qui mult par fu corteis et sages; / Trovere fu mult de grant pris», in: Fay/ Grigsby (ed.) 1972: v. 3603-05. 15 Per Pos de chantar m’es pres talenz, cf. Pasero (ed.) 1973: 106-12, e Eusebi (ed.) 1995: 79-86. 16 Per il testo di questo vers, cf. Pasero (ed.) 1973: 87-89, e Eusebi (ed.) 1995: 34-39. Sull’interpretazione del testo esiste una ricca, e sempre rigorosa, tradizione di studi. Cf. Köhler 1966; Pasero 1968; Lawner 1968; Milone 1989; Buzzetti 1993; Benozzo 1997. Per il confronto tra devinalh di Guglielmo e di Joufroi, cf. Lecco 2006a: 55-59 (specie par. 3, Il «devinalh» di Joufroi). 17 In senso storico-semiotico: Lotman 1985, sp. ii, «Semiotica della cultura». 18 Lecco 2003a: 76s. 19 Esiste, in proposito, una vasta bibliografia. Oltre ai saggi citati, rimando a Topsfield 1987 e Pasero 1987. 20 Lecco 2003a: 80-81 e Lecco 2006a: 63-64. Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica dente che un personaggio dotato di tali qualità d’introspezione poetica, e di così abbondante documentazione, non sarebbe passato inosservato. Se si rammenta, inoltre, che il testo rivela tracce insolite di una frequentazione dell’area francese di Sud-Est, e, forse, del Nord italiano 21 , si aprono spontaneamente, anche se per subito bloccarsi, congetture tanto affascinanti quanto pericolose: colui che ha scritto JFP è stato forse in contatto con l’ambiente di Uc de Saint Circ? Rimandando ad altra sede, ed ai necessari approfondimenti, la speculazione sull’identificazione di un possibile autore, del luogo in cui scrisse, e della presenza, nella prima voce, di tracce sicure della poesia di Marcabru, penso però che si possano avanzare alcune osservazioni su un’altra componente del testo, che concerne il trattamento di uno dei temi/ motivi più tipici e produttivi della lirica trobadorica (e, in genere, della poesia cortese), quello della largesce cortese, che si trova più volte rimarcata da JFP. 2. Il tema della largesce Che in JFP esistano riferimenti all’una e all’altra è stato notato da critici autorevoli come Roger Dragonetti e Roger Noël 22 . Dragonetti ne ha tratto, con indubbia acutezza, una serie di considerazioni (direi di matrice lacaniana) sulle valenze linguistiche del tema, osservate nel ricorrere di alcune parole e negli effetti di un loro distorcimento, essendo tali termini sottoposti ad un trattamento fono-semantico che correda la corrosiva dimensione testuale: tali, ad esempio, le applicazioni-distorsioni del toponimo Tonnerre, nome gentilizio di Agnés, prima vittima dell’amore di Joufroi, sottomesse ad immissioni epentetiche che finiscono con l’avvicinarle, per sorniona paretimologia, a tourner/ tournement, inteso come sinonimo d’«inganno» 23 . Noël vi ha trovato invece conferma della definizione del personaggio di Joufroi come malandrino e fanfarone, il cui gusto per la truffa passa anche per la dissipazione economica 24 . I richiami alla ricchezza ed al suo uso sono effettivamente numerosi: ed anche ben argomentati e diffusi, in modo da formare ora ristretti rinvii, di chiara parentela lirica e narrativa, ora importanti componenti nell’elaborazione di episodi, od anche intervenendo nella dinamica di episodi altrimenti compiuti. 1. La disposizione alla liberalità, sia pure, in questo caso, correttamente motivata, s’inizia dal padre di Joufroi, il conte Richier (v. 93), mult leiaus chevaliers (v. 94), cf. v. 118-27: sin dal nome, egli corrisponde alla funzione per cui è chiamato sulla scena del romanzo, la concessione dei dovuti mezzi di sostegno al figlio che desidera vedere adoubé alla corte del re d’Inghilterra, Henri: 151 21 Fay/ Grigsby (ed.) 1972: 49s. 22 Dragonetti 1982, e Noël (ed.) 1987: 10s. 23 Dragonetti 1982. 24 Noël (ed.) 1987: 11. Margherita Lecco Si te cargerai a despendre Mil mars d’argent et cin cent d’or Que ge prendrai en mon tesor, 120 Et ferai li somiers chargier. 2. Al riparo di tanta dovizia, Joufroi può menare vita felice alla corte inglese, attirandosi il favore generale: Mult fu de grant acointement; Mult se fist amer a la gent, 176 Car il lor donoit beaus joiaus, Beles cotes et beaus mantiaus. Armes et robes et destriers Donoit as povres chevaliers: 180 . . . Mult par l’amoient li Englois Et la raïne et li rois. 184 3. Passato Richier a miglior vita, Joufroi, che è tornato ai possessi aviti, si rivela signore assai generoso: Tot cel qu’el cuide que li siee 704 Lor fist et dist, et tant lor done Que chascuns por lui s’abandone De s’onor croistre chascun jor; Mult lo tindrent a bon seignor. 708 4. L’avventura amorosa con Agnés, che costituisce uno degli episodi-cardine di JFP, si struttura in stretta relazione con il tema della largesce, ripresa in più punti. L’engin di Joufroi, afublé sotto le mentite spoglie renardiane di un Sire de Cocagne (v. 954) 25 , prende avvio dalla sosta del Conte sotto un perier posto sulla piazza del castello di Tonnerre, durante la quale Joufroi fa mostra di gran dispiego di mezzi, chiamando tutti a libera cena (v. 1080-85, 1096-1122) e collocando sull’albero una distesa di candele che lo illumina come un cielo di stelle (v. 1086-92, 1171-79): Son chanberlens ra comandé Qu’il mete el perier chandoiles Plus espés que ciel n’a esteiles 1088 Par les branches de totes pars, E del metre ne soit eschars. La distribuzione concerne tutti, con particolare riguardo per i giullari, v. 1231-38, 1269-73. Il più onorato da tali doni è il Sire di Tonnerre, marito di Agnés, cui Jou- 152 25 Cf. Lecco 2003a: 73-75. Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica froi, con suprema malizia, dopo essersi allontanato, lascia in dono il luminoso perier e cinc destriers, covert de soie jusqu’aus piez, v. 1267-68, che l’avido e stolto apprezza senza avvertirne i possibili risvolti (v. 1277-1337): Quant il fu montez a cheval, Si a dit a son seneschal: «Seneschal, or faites laisier A mon bon hoste, le perier, 1280 Les nouf chevals que tant sunt gent, Que ge pris au torneiament. Alez, si les m’ataciez toz A ches branches qui sont desoz, 1284 Que bien m’a mes hostes servi, S’est bien droiz que il en soit meri». Li seneschaus comanche a rire, Qui fu cortois, et dist: «Biaus sire, 1288 Si m’aït Deus, raison avez Si vos li chevaus li donez . . . » Una forte somma viene poi impiegata da Joufroi per costruire adatto rifugio al momento di concludere l’incontro con Agnés (v. 1635-2196). Joufroi si è, questa volta, travestito da eremita, consunto dalla povertà, ridotto a severo rifugio e scarsi cibi, alloggiato in realtà, e nutrito, con dovizia di conforti (v. 1631-84). La camera dove riceve Agnés non assomiglia in niente a un romitaggio: Quan sont en la maison entré, Dous lit li a li cuens mostré, 1912 En coi n’ot colte ne coisin Ne drap de chanvre ne de lin, Mes sol un pou de grabatiz. Onc om ne vit plus povre liz 1916 Ne plus durs, ce poez bien croire. En icest lit faisoit acroire A la gent que la nuit gisoit, Et ses conpaingz qu’a lui estoit; 1920 Mes il mentoit, ne gisoit pas. En plus bel lit, en plus blans dras Gisoit, et en plus mole coutre. 5. Conclusa l’avventura a Tonnerre, Joufroi ritorna a Poitiers. Presso la sua corte egli riceve un dono misterioso, uno scrigno pieno di gioielli, recato da un ignoto serjanz (v. 2208). Perplesso di fronte all’entità del tesoro che gli viene donato (verges d’or et centures, joiaus et fermaüres, v. 2253-54), Joufroi, a propria volta, tutto dona alla corte: Et li buens cuens i met les mains, Qui ne fu escars ne vilains: 2260 Assez en done as chevaliers . . . 153 Margherita Lecco 6. A questo punto, sopravviene nella vita di Joufroi un nuovo personaggio, uns chevaliers de sa maisnie, v. 2343, pieno di sens et cortosie, v. 2344, messer Robert. Figura a mezzo tra l’amico e lo scudiero, Robert, mai prima nominato, dal v. 2341 diviene personaggio fisso del racconto, cominciando ad agire con Joufroi nell’inseguimento del serjanz (v. 2353s.), presto ad altro inteso per la scomparsa di questi. Robert ha ben altra personalità che non sia quella del servo: lo si vede entrare subitamente in collisione con Joufroi, e, in sostanza, rimproverargli di fondare la sua prodezza sull’abbondanza di mezzi di cui dispone: Mais bien sachiez tot a estros Que ge ne vail pas meins de vos Por bien sofrir un grant estor; Mais plus avez assez richor, 2432 Et plus de moi poez doner. Ce vos fait vostre pris monter Et vostre malvestié covrit, Qu’avoir fait mainte foiz mentir. 2436 Ne sorge tra i due una piccola querelle, in cui ciascuno, piccato per le intemperanze dell’altro, si ritira chez soi (Joufroi, v. 2466: Que trop m’avez dit grant ennui). Ma Joufroi non può fare a meno dell’audacia solerte di Robert, e ne prepara così il rientro, impostando una sua personale forma di distribuzione equanime: si reca da lui, lo fa scendere dal letto così come si trova (Robert stava giacendo con la moglie), e, davanti all’ignudo e imbarazzato sodale, divide a metà gran copia di ricchezze (v. 2517-35, samit, ermine, scarlate etc.), dopo di che i due, riconciliati, potranno darsi a comune avventura, por requerre chevalarie, v. 2710: Departi au mielz que il soit Treistot le hernois que il ot, 2644 La o atendoit li vasal, En dous parties par igal: L’or et l’argent et les diniers, Et les robes et les destriers, 2648 Les serjanz et les escuiers, Et les vaslet et les somiers, Et tot quant il ot aporté Mist en douz parz en mi lo pré. 2552 7. Nell’intermezzo che precede la donazione, Joufroi è intanto rientrato a corte, dove ottempera ai propri doveri di signore, donando largamente: Tros jors dura la cort mult bone; Au quart jorn parti a la none. 2508 Tuit s’en partirent lïement, Quar mult lor done largement Li cuens a toz, que de bien faire Ne se velt unques jorn retraire. 2512 154 Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica 8. Dopo aver portato soccorso a re Henri, che combatte contro Scozzesi e Irlandesi, Joufroi, che si nasconde sotto le mentite spoglie di un Giraut de Barri, e Robert possono disporre di grandi mezzi economici, e donare senza porre freno alla spesa: Aus gentis homes de la terre Qui povre furent por la guerre Donoient armes et destriers, Robes, palefroiz et deniers. 3368 Rapidamente i due si riducono alla povertà: Tant mistrent andui par content Que lor avoir vint a nïent 3372 Riconoscente per l’aiuto recato, Henri giunge a soccorrerli: Tot l’orent despendu et mis, Quant les secort li rois Hennris, Qui a chascus d’els dous envoie Set cent mars d’argent en menoie 3376 Joufroi e Robert sono però ormai senza freno: il denaro li tocca appena, e subito scompare, perduto nei mille rivoli della loro dispendiosità disordinata, disperso al punto che il re, dopo aver portato soccorso per due volte, ritiene opportuno cambiare metodo: Mais mult lor ot corte duree, Que chascus ot sa part donee Ainz qu’i venist au chief del mois. Lors refist a prendre li rois 3380 Quatre vint mars toz de fin or Qu’il fist peser en son tresor, S’en tramist quarante a chascun, Mais bien convenissent a l’un 3384 Qu’en mains de quinze jorn assez Rot chascuns toz les suens donez. Quant li rois vit la meission, Qu’avoirs ne lor avait foison, 3388 Ne rien qu’i lor saüst doner, Del doner o laissa ester. Que beau chanter a la feïe Enuie bien. 9. Privo di risorse, Joufroi si risolve ad un passo senza precedenti: va a cercare una moglie ricca che, possibilmente, non gli rechi fastidi, e si risolve a sposare una borghese benestante e ingenua, con un padre affetto da ambizioni nobiliari (Joufroi si 155 Margherita Lecco è opportunamente presentato come di padre borghese: ma la madre, no, de chevaliers fu ma mere, v. 3427). Anche questa volta, dopo poco tempo, Joufroi rimane senza denaro: Lors refurent riches andui Non pas del lor, qui de l’autrui 3552 Mais pou lor dura la richece, Qu’il recomencent la largece Et lo despendre et lo doner Et lo plus a desbareter. 3556 Egli deciderebbe di passare ad altro inganno, quando sopravviene inaspettato il poeta Marcabru in cerca del Sire di Poitiers. 10. Un’ultima comparsa del tema, anch’essa declinata nettamente sul versante della ricchezza, torna poi verso la fine del romanzo. Di questo si dirà poi. 3. Rilettura dei codici cortesi. Senza dubbio, non fosse che ad attenersi a ragioni quantitative, il tema della largesce occupa uno spazio di rilevo in JFP. La sua applicazione condiziona lo svolgimento di quasi tutti gli episodi narrativi del romanzo: esso s’immette come premessa e motore nel trattamento dei casi d’amore di Joufroi, che ne risultano determinati, trovandovi risoluzione oppure incremento di «avventura». Con due differenze fondamentali, però, ed un’intima evoluzione. Inizialmente (sempre all’interno della parte narrativa: diverso il discorso per la parte-voce «lirica»), almeno sino ai v. 2196, e v. 2320, in coincidenza con la conclusione dell’avventura a Tonnerre e l’arrivo alla corte di Poitiers del coffret pieno di gioielli, l’attenzione all’argomento sembra essere contenuta nei limiti della codificazione cortese: la prodigalità di Joufroi appare soverchia, un poco dubbia ed eccentrica in quanto tale, ma, nel complesso, essa non eccede l’intenzione, né la trattazione, che i testi segnati dal codice della cortesia riservano alla pratica del donare, estesa in specie agli appartenenti alla corte. Vari passaggi di JFP sembrano ripresi dalla più canonica e comune applicazione della topica relativa: i v. 169-80, ad es., potrebbero essere comparati, e con buon esito (siamo pur sempre in ambito romanzesco), ai v. 205- 14 del Lanval: Lanval Joufroi N’ot en la vile chevalier Ensi fu a cort retenuz Ki de surjurait grant mestier Li vaslet, et mult chier tenuz Que il ne face a lui venir I fu de toz par sa franchise, Erichement e bien servir. 208 Et por ce qu’en lui ert asise 172 Lanval donout les riches duns, Et cortesie et largeiche Lanval aquitout les prisuns, Et grant beatez et proeche. Lanval vesteit les jugleurs, Mult fu de grant acointement 156 Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica Lanval feseit les granz honurs. 212 Mult se fist amer a la gent, 176 N’i ot estrange ne privé Car il lor donoit beaus joiaus, A ki Lanval n’eüst doné 26 Beles cotes et beaus mantiau, Armes et robes et destriers Donoit as povres chevaliers. 180 Sino a questo punto, si può ammettere, JFP trascrive l’applicazione, se non altro, di un modo di rapportarsi ad un ethos, che gli interessati (coloro che si attengono a cortesia) cercano di rispettare. La poesia trobadorica, come le coeve relazioni sulla vita di corte e sulle sue maniere e pratiche, danno conto di consimili considerazioni della prodigalità funzionale, a mezzo tra realtà, proiezione del desiderio e captatio benevolentiae, che storici e commentatori puntualmente registrano. Due esempi divenuti famosi si leggono, ad es., in rapporto alle corti di Bonifacio di Monferrato e di Alfonso X di Castiglia, registrate per poesia di Raimbaut de Vaqueiras e di Folquet de Lunel 27 . Dice Raimbaut, nella famosa Lettera al Marchese di Monferrato, rivolgendosi a Bonifacio: En vostra cort renhon tug benestar: dar e dompney, belh vestir, gent armar, trompes e joc, viulas e chantar, e anc no.us plac nulh portier al manjar 28 101 della corte de re di Castiglia, Folquet afferma: Quar el ten cort on fadiar No.s pot nulhs hom bos en son do, E cort ses tolr’e ses forsar, E cort on escot’om razo: Cort ses erguelh e cort ses vilania, E cort on a cent donadors que fan D’aitan ricx dos, mantas vetz, ses deman, Cum de tals reis, qu’ieu sai, qui.lor queria. Nel Lanval, e nei documenti storici, o storico-letterari, le citazioni sulla largesce rinviano a comportamenti conformi ed auspicati, che ottemperano ai doveri del sovrano e del cavaliere, dei quali sottolineano la perfezione morale completa in ogni aspetto, d’animo come di maniere. Che Joufroi cerchi di conformarsi ad un 157 26 Cf. Angeli (ed.) 1992: 182. È persino superfluo dire che numerosissime citazioni di questo tipo si potrebbero trarre da testi medievali d’ogni tipo, specie da romanzi. Cf. ancora, come esempi, gli interventi di Artù verso i cavalieri della Tavola Rotonda, in romanzi come l’Erec, o le Continuations Perceval, o il Jaufre, che rivela una vera ossessione per il dono (cf. Lecco 2006b: 73-95). 27 Per queste e per altre citazioni, cf. Paterson 1993: 62-89/ 90-119, specie cap. 4: «The knight and chivalry», e cap. 5: «Curts and courtiers»; Meliga 2001. 28 Cf. Riquer 1983: t. II, 811-57 (cit.: 856), v. 103-06 dell’Epistola al Marchese di Monferrato che inizia con Valen Marques. Margherita Lecco codice analogo e ne applichi vividamente le prescrizioni non è quindi cosa insolita. Né l’applicazione risulta errata ai sensi della finzione romanzesca. Nell’episodio, ancora, di Agnés, le più che generose spese che Joufroi sostiene per ottenere vicinanza e confidenza nella tensione verso l’irraggiungibile amata non paiono ingiustificate a paragone dell’alto scopo che Joufroi si prefigge, la conquista d’amore, cui ogni cosa, come etica cortese impone, deve venire subordinata: l’enfatizzazione appare anzi apprezzabile e benemerita, se intesa in contrapposizione allo sposo della dama, che è insieme gilos e avaro. Più avanti, anche la ricca donazione che Joufroi e Robert fanno dei propri beni ai cavalieri che hanno sostenuto la lotta contro Scozzesi e Irlandesi in favore di re Henri (v. 3361-68) può (o potrebbe) non apparire strana, trattandosi, ancora una volta, di un dovere riconosciuto dal signore verso gli uomini della propria truppa. Pure, è a questo punto che i piacevoli progressi di Joufroi subiscono un arresto. L’elargizione supera i mezzi di Joufroi, che vengono a mancare (v. 3371-72: Tant mistrent andui par content/ Que lor avoir vint a nïent), senza che egli sappia escogitare un freno o un contrappeso alle spese, il cui cumulo s’impenna verso cifre impensabili. Allo sperpero non riesce ad opporsi nemmeno re Henri, che interviene sollecito per due, tre volte, ma è costretto ad arrendersi in nome del senso comune, così che Joufroi deve trarsi d’impaccio con un espediente matrimoniale, che lo pone in una posizione inferiore al proprio rango. Il fallimento delle nozze coincide con la rovina anche di questa fonte di proventi, il cui inaridimento è rimproverato a Joufroi dal padre della fanciulla Blanchefleur, con argomenti finanziariamente ineccepibili: «Beaus pere, fait li cuens, merci! . . . Beaus peres, bien sachiez san gas 3576 Qu’a ma vie toz jorn donrai, Et toz jorn riches serai» «Riches serez? fait li borgeis; Iche sera quant Deus li reis 3580 Non amera foi ne creanche, Et Provence conquerra Franche Par armes sans neguns content Et or sera plus vil d’argent, 3584 Et Judas iert de pechiez quites Quant ce sera que vos me dites» Atant part de lui toz iriez Li borgois et toz correciez. 3588 Avviata nei limiti della norma, pur se tendenzialmente debordante, in JFP la largesce finisce per svelare una faccia nascosta: essa si risolve nel suo opposto, che è spreco, sciupio, dissipazione. L’errore, o il peccato, di Joufroi è la spesa eccessiva, che lo costringe alla vendita dei beni personali, alla richiesta di un intervento esterno che ne sostenga le prebende di feudatario. Joufroi è allo sbando: il prestito reale non gli ha consentito di arrivare neppure alla metà del mese: cf. v. 3377-79. 158 Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica Mais mult lor ot corte duree, Que chascus ot sa part donee, Ainz qu’i venist au chief del mois così come avviene per i beni acquisiti per dote, subito scialacquati, v. 3553-55: Mais pou lor dura la richece, Qu’il recomencent la largece Et lo despendre et lo donar . . . In conclusione, il comportamento di Joufroi, e del compaing Robert, come descritto ai v. 3361-404, viene a qualificarsi come una somma di infrazioni, o errori, che vanno a colpire lo statuto di numerosi comportamenti e regole. L’infrazione essenziale, e, per così dire, ontologica, riguarda la regola cortese del mantenimento di una giusta medianità di sentimento e di attitudini, della mezura, intesa come componente di base del codice cortese. L’errore ed il peccato consistono nel rifiuto della mezura. Joufroi non sa, o forse non vuole, per indifferenza o per superbia (l’una è in relazione con l’altra), riconoscere la necessità di imporre a se stesso un limite, dunque di sottostare al tipo di regole previste dal codice cortese. La mancanza di limite dimostra un’incapacità di gestione relazionale, rivela l’incapacità di una maîtrise personale, che si determina sulla base del sistema cortese. La ricerca di eventuali soluzioni viene a coincidere con espedienti di infimo valore, specie nell’episodio di Blanchefleur, con il ricorso alle false nozze. Da cui viene a Joufroi una seconda infrazione, molto grave, perché chiarisce definitivamente, e con crudezza, come alla base delle sue azioni, anche prima dell’episodio in oggetto, stia l’inganno, gettando nuova luce sui mezzi, ed anche sui fini, delle sue imprese, condotte con l’ausilio di menzogne, con l’adozione di false identità e di mascheramenti. Il fallimento del matrimonio, che Joufroi contrae puntando al ripianamento delle perdite, conferma la sua noncuranza, e, più ancora, il disprezzo con cui considera l’aspetto economico della propria condizione nobiliare. Su queste forme di démesure interiore, centrate sul soggetto come persona, s’innesta una categoria ulteriore, diversamente coercitiva, in relazione diretta (cioè scarsamente mediata dal sistema di regole cortese, che è simbolico) con il contesto sociale. Essa si genera in rapporto con l’atto di donare, con la largesce: atto che dipende, in egual maniera, da una disposizione di generosità cortese e da un intento razionale, in sintonia con la concezione economica feudale, che si fonda su una distribuzione in apparenza priva di contraccambio. Il comportamento eccessivo di Joufroi commuta la largesce nel suo opposto, la trasforma, paradossalmente, in carenza, che, riallacciandosi all’inganno, torna a farsi negazione sotto il rispetto etico. Joufroi ostenta (perché poi è da vedere se le cose stiano proprio così) la mancanza di ogni cognizione, per quanto primitiva ed aurorale, dei meccanismi del sistema economico in cui vive: la distribuzione che egli fa a piene mani sembra ignorare l’origine della ricchezza, i mezzi della sua produzione, la consistenza del patrimonio, la sua dipendenza dal governo dei possedimenti terrieri, la necessità 159 Margherita Lecco di prevederne costantemente la cura ed i futuri assetti. Più semplicemente ancora, Joufroi pare non comprendere che l’eccesso di liberalità può condurre all’implosione del sistema, come avviene qualora la norma venga oltrepassata per difetto. Forma di incomprensione che riporta alla mente l’osservazione registrata, per Guglielmo IX, da un cronista contemporaneo: ita omnium vitiorum volutabrum premebat, quasi crederet omnia fortuito agi, non providentia regi 29 . Come chi tesaurizza ed accumula agisce contro l’etica nobiliare della (buona) generosità, immobilizza la ricchezza e ne arresta la circolazione sociale ed economica, così chi spende troppo e spreca interrompe il flusso equilibrato dei beni, la corretta canalizzazione ridistributiva. Joufroi, insomma, inceppa il meccanismo di distribuzione, invece di favorirlo. In più, in rapporto a chi sia in posizione minoritaria, nel caso a Robert, egli, sotto copertura di affettività e disinteresse, rivela e perpetra un’ineguaglianza economica ed un rapporto di dominio. Dei tre tipi di mancanza legati all’uso stravolto della largesce, questa terza componente (dopo démesure e inganno), che si potrebbe, nell’insieme, definire «materiale», è forse la più ricca di implicazioni connesse con un discorso a vasto raggio. Centrata su Joufroi, essa si articola in una serie di contenziosi, tra Joufroi e Robert, tra Joufroi e il re Henri, tra Joufroi e il padre di Blanchefleur, od anche nel rapporto minore con il marito di Agnés, l’avaro sedotto dai beni profusi dal «Seignor de Cocagne» (v. 1373). Per mezzo di ciascuno di essi, si definisce un intervento critico che coinvolge forse più di un obiettivo: poiché intende, in parte, a rilevare i difetti di una cattiva gestione dei fondamenti di una determinata forma economica; data per acquisita la sua specificità, che si colloca a mezzo tra i dettami di un sistema del dono (rappresentato da Henri) e nascenti criteri capitalistici (rappresentati dal padre di Blanchefleur), questa tarda applicazione dell’economia feudale ne osserva appunto la precarietà degli equilibri, la facilità di enfatizzazione su un versante o sull’altro. Forse però il vero bersaglio del discorso economico di JFP, che appare indiscutibile, per quanto unidirezionale, verte sulla sua, come dire, peculiarità di casta, sul fatto che le categorie economiche di cui si esibiscono le applicazioni appartengano tipicamente alla sfera della vita cortese. Può essere, in altri termini, che gli appunti di critica vertano meno sull’effettivo assetto economico del mondo feudale quanto sulla loro determinabilità letteraria, come applicazioni all’interno della poesia cortese, pur se questa sia, di certo, poesia di classe, storicamente e socialmente definita. JFP tematizza la svalutazione dei meccanismi che reggono il sistema delle relazioni di scambio e di potere come parte dell’investimento critico che compie sull’intero complesso della «cultura» cortese, parallelo e complementare della componente amorosa. 160 29 «Si rivoltava a tal punto nel pantano di tutti i vizi come se credesse che le cose accadano per caso, anziché essere governate dalla provvidenza», cf. Meliga 2001: 216. Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica 4. Joufroi e Guglielmo Un appoggio a questa ipotesi, a suffragio anche dell’enfasi riservata al tema della largesce, può forse venire, in via secondaria, da alcuni materiali cronistici. Sino al momento di riferire la disdetta finanziaria che Joufroi subisce da Henri e dal suocero, la critica di JFP, che si intende forse non radicale, ma che è esperta e pungente, resta esposta per larghi tratti; ovvero, si appunta su questioni che s’intendono essenziali, ma ancora prive di componenti specifiche. L’Autore identifica un obiettivo che presenta qualche motivo d’interesse, lo circoscrive e circonda di un’intenzionalità di acuta deprecazione, che si apparenta con altri aspetti, ma che risulta ancora poco individuante. A partire dallo scontro con Henri, con quel che segue, l’invenzione dell’Autore prende a seguire un’altra via. Gli storici che si sono occupati delle vicende del ducato d’Aquitania fanno sovente ricorso ad alcune pagine del cronista del XII secolo Geoffroy de Breuil, priore di Vigeois, in cui, accanto ad avvenimenti di larga valenza epocale, se ne ricordano altri pertinenti, diremmo oggi, al costume, aneddottici, prossimi alla curiosità memoriale. Tra i molti e bizzarri, se ne trovano due che riguardano la competizione tra signore e vassalli o vicini, espressa in forme «economiche», di spesa e di spreco senza limiti, giocata tra chi più spenda e dissipi. La prima testimonianza concerne una sfida tra Guglielmo IX d’Aquitania ed il Visconte di Limoges, Adémar, alle prese con un impari duello in cui sono coinvolti consumi di pepe e noci, all’epoca considerati beni alimentari assai costosi. Ademarus . . . venientem Lemovicas Guillelmum, Tolosani generum Guillelmi, pro consuetudine procuravit. Petiit ergo dapifer piper a Constantino de la Sana (seu Sarcia): qui ducens illum in domum quamdam, ubi piper absque aestimatione erat expositum solo, veluti glans porcis servitura: «En, ait, accipe piper ad Comitis salsas». Et abrepta rustica pala, non tam praebebat, quam projiciebat piper. Divulgata res est favorabiliter in aula; Dux vero rem tacitus considerabat. Contigit aliquando Ademarum Vicecomitem Pictavis adesse. Prohibuit igitur Comes ne quis Vicecomiti venderet ligna. Tunc clientes Ademari comparavere nucum aggeres immensos, ex quibus rogum accendunt. Hoc cognito, Dux favore congruo extulit Lemovicenses, qui illos multifarie reprehendere tentaverat rusticitatis causa seu nota 30 . 161 30 «Ademar [iii, Visconte di Limoges] provvedeva per dovere all’usuale mantenimento [del Conte] Guglielmo, genero di Guglielmo [V Conte di] Tolosa, quando veniva a Limoges. Il siniscalco, dunque, domandò del pepe a Constantin de la Sana (o Sarcia). Guidatolo in una certa casa, dove il pepe era sparso senza particolari riguardi, come fossero ghiande servite ai porci, questi disse: «Qui, prendi il pepe per i condimenti del Conte? » E afferrando una pala da fattoria, gli tirò, più che dargli, il pepe. La faccenda venne riportata a corte con approvazione, ma il Duca prese silenziosamente a riflettere. Avvenne un’altra volta che il Visconte Ademar fosse a Poitiers. Il Conte proibì quindi a chiunque di vendere legna al Visconte. Allora i servi di Ademar ammucchiarono insieme un bel po’ di gusci di noce, con cui accesero un falò. Quando lo venne a sapere, il Duca valutò i Limosini con giusta approvazione, benché egli avesse provato molte volte a sgridarli per la loro villania». Il testo originale si legge in Bond 1982: 124. Margherita Lecco Un’altra testimonianza, riportata ancora da Geoffroy, riguarda invece Guglielmo alle prese con il suo vassallo-compagno Eble de Ventadorn. Eble, capitato alla corte di Guglielmo ad ora di pranzo, si vede servire un pasto sontuoso, la cui preparazione richiede tempo e cure. Giunto alla conclusione, Eble, tra ammirato e sarcastico, osserva come non fosse il caso di darsi tanto da fare per un petit vicomte come lui. Poco tempo più avanti, Guglielmo si presenta alla corte del vassallo, con grande sfarzo di mezzi e di corteo, cosa che mette in sospetto Eble: Ebolus se philosophari animadvertens, aquam manibus illorum fundi citius jubet. Clientes interim circumeuntes castrum, cibos universorum praereptos haud segnes in coquinam deferunt (erat quippe quaedam solemntitas gallinarum et anserum ac hujusmodi volatilium); dapes tam largissime praeparant, ut nuptialis cujuslibet Principis dies a multis exquisita videretur. Advesperascente die, adest protinus rusticus quidam, Ebolo ignorante, adducens carrum tractum a bobus, clamavitque voce praeconis, dicens: «Accedant juvenes Comitis Pictaviensis, prospicientes quomodo cera libretur in curia domini Ventadorensis». Ista vociferans, carrum ascendit; arreptoque dolabro carpentarii, circulos tunc vehiculi illico fregit. Vecte disrupto, diversae et innumerae formae de cera mundissima deciderunt. Rusticus, quasi parvi penderet ista, carrum ascendend, apund Malmont mansum suum revertitur retro. Comis talia cernens, probitatem et industriam Eboli extulit ubique 31 . Fatta la debita tara di alcuni dati evenemenziali, i due episodi presentano notevoli somiglianze di struttura, e poi di senso: una sfida tra due contendenti in condizione non totalmente paritaria, dove il maggiore per titolo detiene anche la posizione di censo più elevata, una schermaglia che viene esercitata sul terreno della prodigalità, attraverso l’ostensione di una certa quantità di beni materiali, messi a disposizione ed offerti senza risparmio, mentre la composizione della contesa viene condotta con un tiro al rialzo, e risolta con un tono pieno d’ironia. Geoffroy ne riferisce con un tono a mezzo tra il compiacimento che gli viene dalla riflessione sulla vita signorile della sua regione, ed una vaga avvertenza dell’eccesso, dello spreco, dei mezzi dispiegati: che la posta in gioco sia la perfezione della largesce, come segno di cortesia, opposto alla rusticitas (direttamente chiamata in causa nella prima testimonianza: rusticitatis causa), non gli impedisce di confessare stupore per l’eccezionalità della situazione. 162 31 «Eble, comprendendo che il conte vuol giocargli un tiro, comanda che subito sia versata l’acqua perché si lavino le mani. Intanto, i servi vanno nei dintorni del castello e portano in cucina cibo d’ogni tipo, che era stato preparato o lì si trovava (c’era un cumulo straordinario di polli, oche, selvaggina d’ogni sorta). Preparano il cibo con tale sontuosità che ci si sarebbe potuti credere ad un pranzo di nozze regali. Verso sera, ecco venire, senza che Eble ne sapesse niente, un contadino che conduce un carro tirato da buoi, che grida: «Avvicinatevi, cavalieri del Conte di Poitiers, e guardate come si impiega la cera alla corte del Visconte di Ventadorn». Dicendo questo, sale sul carro, armato di una grossa scure da carpentiere, e si mette a sfasciare le botti: rotte le quali, cade giù una grande quantità di ceri, fatti della cera più fine. Il servo, come se si fosse trattato di una merce di poco prezzo, risale sul carro e se ne torna tranquillamente a Maumont, il suo villaggio. Il Conte, a questo spettacolo, elogiò Eble dovunque, per il suo valore ed il suo industriarsi», cf. ancora Bond 1982: 126. Si veda anche: Jeanroy 1973, vol. I-II (dove la citaz. è riportata nel vol. I: 85). Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica Si torni adesso a JFP: si è accennato (cf. §6) a come il rapporto che intercorre tra Joufroi e Robert, a metà tra amitié e vassallaggio, sia credibilmente descrivibile nei termini del compagnonnage tanto cari ai vers di Guglielmo IX 32 . Benché si sbilanci sovente sul lato inferiore della subordinazione, il rapporto imposta un aspetto della largesce che la mette in relazione diretta con il valore cavalleresco: Robert motiva la difficoltà a mostrare il proprio valore con la mancanza di denaro, di sussidi sufficienti a procurarsi armi e donativi da sfoggiare nei tornei (v. 2416- 40); così svelando un tratto dell’economia segreta dell’impresa cavalleresca, che dipende dalla conformità a precise condizioni economiche. Configurandosi come richiamo a più probe condizioni economiche, l’appello di Robert s’impone come protesta in merito al riconoscimento del valore individuale quale indice per decidere la qualità del cavaliere, che non deve coincidere con il denaro. Joufroi, più per bizza che per lealtà, riconosce il torto e accetta di porvi rimedio, spartendo con Robert una certa quantità di beni. Concede quindi a Robert le ricchezze dovute, che ammucchia con ostentazione davanti alla sua casa, insistendo perché le accetti, per quanta umiliazione il nudo, di beni, e, intenzionalmente, d’abiti, Robert possa trarne: andrebbe letto tutto il passo, v. 2513-2692, cito i v. 2682-92: Lors cuida lo meillor eslire Et d’anbedous part se prent garde. Chevaus, robe, escuz regarde, 2684 Et puis les buens aubers faitiz, L’avor qui fu sor les tapiz, Que li cuens ot des cofres trait Por ce que a penser l’ot fait. 2688 Tot regarde nis les somiers, Les serjanz et les escuiers; tant voit d’andous parz grant richace Qu’il ne set la quale li place. 2692 Nelle sue dinamiche, nel modo con cui è prospettato e condotto, l’episodio mostra notevoli affinità d’impianto con gli aneddoti riferiti da Geoffroy: assai esplicite nella decisione di rispondere a prodigalità con prodigalità, nell’irruenza della sfida, nella malizia di chi dà e nell’avvertita coscienza di chi riceve, nell’ostentazione della ricchezza esibita senza mediazioni o intralci, evidenti in specie a proposito del dettaglio dell’échantillonnage rovesciato in concreta massa materiale a terra, davanti agli interessati: Ista vociferans, carrum ascendit; arreptoque dolabro carpentarii, circulos tunc vehiculi illico fregit. Vecte disrupto, diversae et innumerae formae de cera mundissima deciderunt. L’or et l’argent et les diniers/ Et les robes et les destriers,/ Les serjanz et les escuiers,/ Et les vaslet et les somiers,/ Et tot quant il ot aporté/ Mist en douz parz en mi lo pre (v. 2647-52) 163 32 V. 2343: «Uns chevaliers de sa maisnie», ma pochi versi più sotto (v. 2557) è definito «Seignor Robert, son compaignon». Sul compagnonnage in Guglielmo ix, cf. le testimonianze citate in Bond 1982: 103,107,136s. Margherita Lecco Dove, tra parentesi, l’offerta coinvolge nelle sue dinamiche più di un sospetto sulla presenza di una forma di scambio in stile potlach, forma talvolta evocata a torto per altri tipi di dono medievale, che trova qui le motivazioni per un fondato parallelismo 33 . Ci si può chiedere, allora, se sia possibile identificare nei due passi di Geoffroy le originarie matrici dell’episodio di JFP, da leggersi in direzione assai più caustica di quanto non fosse per il cronista limosino, relatore stupito, immerso nella relazione di fatti che gli erano prossimi geograficamente e socialmente. Se è così, un altro tassello si aggiunge all’eventualità di vedere JFP come combinazione di materiali trobadorici, rivisti alla luce di una poetica interpretativa che si direbbe virata sempre in direzione della parodia e comunque dell’ironizzazione. La rivisitazione dei materiali trobadorici (soggetti poetici, personalità, stilemi retorici, ecc.) chiama in causa, per questo punto, quei casi di Occitan Extravagance pecuniaria (per dirla con Ruth Harvey) rammentati volentieri da storici come Geoffroy de Vigeois, e come Orderico Vitale, o Guglielmo di Malmesbury, che ne giudicano dalla posizione di avversari del lusso, da una prospettiva moralistica più che economica: testimonianze su feste (come quella di Beaucaire cui si riferisce la Harvey), corti plenarie, tornei, con distribuzioni di feudi, terre, vesti, cibi ed altro, dove la prodigalità si estrinseca in virtù signorile socio-economica per eccellenza 34 . Nel caso in oggetto, tuttavia, di un altro fattore si deve tenere conto: del personaggio principalmente coinvolto, della sua identità, trattandosi, per entrambi gli aneddoti, di Guglielmo IX, dell’oggetto di trattazione di JFP. Anche sotto questo aspetto, la caratterizzazione rientra nel quadro che del conte e signore d’Aquitania offrivano storici e cronisti, all’atto di rammentarne personalità e vicende pubbliche e private 35 . Nelle Cronache contemporanee, di Guglielmo era nota, con la spudoratezza dei costumi, la propensione a spendere e sprecare: come affermava, ad esempio, il cronista inglese William di Newburg quando lo descriveva in expensis profusior 36 , e com’era da attendersi da chi aveva molto sprecato in tempo di Crociata e da chi conduceva, da sempre, come aveva detto Guglielmo di Malmesbury, una vita di fatuus et lubricus 37 . Con queste ammissioni, però, si torna alle considerazioni proposte all’inizio: come non è possibile dimenticare, Guglielmo è Joufroi, o Joufroi Guglielmo, e la vicenda dell’uno si rifrange e compenetra in quella dell’altro, riletta attraverso una parodizzazione dei loci a vario titolo comuni della figura del grande signore e poeta. Parodia che si trova distribuita a vasto raggio intorno a tale figura, articolata 164 33 Si tratta di un problema ormai di vecchia data, suscitato per lo più a proposito dei romanzi arturiani, ove è coinvolto in questa pratica il don contraignant. Ribadendo che il don contraignant agisce su una sfera del tutto differente, che riguarda un legame morale (la promessa) e non economico (cf. Lecco 2003b: 20 N29), ammetterei però la categoria come pertinente ai due casi citati da Geoffroy. 34 Su questo cf. in specie Harvey 2001: cit. 59. 35 Cf. Bond 1982: 94-141 e Meneghetti 1992: 34-36. 36 Appunto «prodigo nello spendere», cf. Meliga 2001: 216. 37 La citazione dal De Gestis Regium Anglorum, V, 439 è riportata in Bond 1982: 134. Joufroi de Poitiers e la poesia trobadorica con momenti di notevole felicità inventiva e retorica (ad esempio, nel coinvolgimento, tra finzione e verità, di «Marcabru») e di fine interpretazione dei canoni lirici (la parodia del vers de dreit nient, della lirica d’amore per Agnés; per non parlare dei fitti riferimenti al trobar della Prima Voce). Come sopra accennato, nella selezione dei materiali sottoposti a parodizzazione, che coinvolgono personalità, biografie, produzione lirica, si delinea con sufficiente chiarezza un progetto di riflessione autoriale, che, per la presenza di indizi molto selettivi, si potrebbe pensare determinata in relazione alla conoscenza e diffusione della letteratura biografica occitanica, quanto dire dalla scrittura delle vidas e razos, sollecitata quindi in ambienti specialistici, nell’ambito forse di un ambiente di assemblatoricopisti molto ben calati a contatto con gli oggetti (codici e canoni poetici) del proprio mestiere. Il problema relativo all’ambiente di scrittura di JFP è estremamente spinoso, sollecitato in direzioni opposte, e, nel contempo, ristrette: centripete in relazione ad uno (o più) ateliers di localizzazione peraltro difficile, centrifughe per la diffusione e ricezione anche in zone extra-oitaniche. Solo indagini ulteriori, segnatamente quelle sulla congruità lirica dei versi pronunciati dalla voce in prima persona, potranno far luce, se non altro, sulla dimensione del coinvolgimento operato dall’Autore entro la compagine di una vasta area poetica, anche se l’esatta misura dell’entità del processo sia, forse, destinata a mantenersi nell’oscurità. Che la topica su alcuni temi-motivi trobadorico-cortesi sia stata perfettamente intesa dall’autore di JFP, in particolare in merito alla largesce, si vede comunque dalla conclusione del romanzo. Lo svolgimento della vicenda di Joufroi apre e poi lascia aperte diverse opzioni narrative. Queste giungono infine a composizione nella penultima sezione del testo, integrandosi nel progressivo cammino di rovesciamento prospettico compiuto dalle due linee della narrazione, condotte in fine a capovolgere la posizione di Joufroi e dell’ignoto «ego». Quando Joufroi, smascherato da Marcabru (v. 3649s.), ritorna sulla giusta via politica, cavalleresca e amorosa, che lo porta al recupero dei beni feudali in pericolo, si verifica per lui quella che potrebbe apparire come una tentazione estrema: la regina Halis (ritrovata forse meno fortunosamente di quanto sembri, v. 3784s.) gli dichiara il suo amore, svelando anche di essere la donatrice del misterioso coffret di gioielli che Joufroi aveva ricevuto dopo la conclusione dell’avventura con Agnés. La rivelazione, espressa con dolcezza dalla regina, è un colpo basso per Joufroi: poiché il dono proviene da una donna, da colei cui il codice cortese riserva l’indirizzo del dono; e perché la conduzione dell’affaire è stata condotta in assoluta segretezza, con esperta arte d’intrigo, e audacia piena di coraggio. Ruolo maschile e ruolo femminile vengono così ad essere invertiti rispetto alla situazione tradizionale, scambiando parti e competenze: con un avvicendamento la cui natura può dirsi, con evidenza, parodica, correlata al movimento narrativo di natura fortemente parodica che investe tutta la parte finale di JFP. Tanto meno prevedibile, e troublante, perché l’esito dell’incontro, che trascorre, con esito spontaneo, in notte d’amore, vede unirsi nella vendetta di Halis Robert, che ordisce, coinvolgendo la regina, un secondo gab ai danni di Joufroi (v. 4069s.). 165 Margherita Lecco Prima di essere definitivamente restituito al ruolo signorile che gli compete, Joufroi subisce una punizione segreta, che lo rende, da ingannatore, ingannato, e proprio ad opera di coloro che, più penosamente, per sensibilità e nobiltà d’animo, ne erano state le vittime. La largesce, in aspetto di dono dei preziosi gioielli, interviene ancora una volta: è la prodigalità, cioè un fattore materiale, a definire la situazione; essa consente ad Halis di riallacciare il discorso che era stato interrotto da Joufroi, al momento di lasciare l’Inghilterra per la prima volta, risultato che trascina poi la parallela azione condotta da Robert, astuto organizzatore dello scambio notturno nel letto di Joufroi. Così che si deve alla convergente azione dei due la vendetta e rivincita di tutti gli ingannati (Halis e Robert agiscono, senza volerlo, anche a favore di Agnés e di Blanchefleur) sull’ingannatore. A questo punto, Joufroi è battuto, la crisi innescata dallo svelamento di Marcabru può dirsi completata ed avviata al superamento, il tracciato della vicenda del Conte di Poitiers avviarsi allo scioglimento nella sfida contro N’Anfos. Giocata su molti piani, distribuita nella densità dell’intreccio della parte diegetica e nella progressione inaspettata di quella lirica, la codificazione delle regole cortesi, comportamentali e poetiche, ne esce sovvertita. Nell’ultimo episodio di Halis e Robert, l’invenzione parodica incide su ulteriori dati trobadorici acquisiti, come il non ricambiato servizio alla dama, la lealtà dell’amante, l’inaccessibilità dell’amata, la connotazione non venale del servizio d’amore, l’eguaglianza tra pari, così come, sul piano della prima voce, la variazione della posizione a seguito della ritrattazione nel devinalh parodico (v. 4347-81), investe il dovere della fedeltà, l’abominio della tricherie, la fatuità dei falsi amanti. Con tanti interventi, così frenetico lavorio e su una tale varietà di argomenti, JFP si conferma testo ben arduo, molto sollecitante per la storia del romanzo oitanico, tanto quanto lo è per gli statuti della lirica occitanica. Genova Margherita Lecco Bibliografia Angeli, G. (ed.) 1992: Maria di Francia, Lais, Parma Benozzo, F. 1997: «Guglielmo ix e le fate. Il Vers de dreit nien e gli archetipi celtici della poesia dei trovatori», Medioevo Romanzo 21: 69-87 Bond, G. 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