eJournals Vox Romanica 66/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2007
661 Kristol De Stefani

József Herman, Du latin aux langues romanes II. Nouvelles études de linguistique historique réunies par Sándor Kiss, avec une préface d’Alberto Varvaro, Tübingen (Niemeyer) 2006, 262 p.

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2007
Hans  Goebl
vox6610205
Besprechungen - Comptes rendus József Herman, Du latin aux langues romanes II. Nouvelles études de linguistique historique réunies par Sándor Kiss, avec une préface d’Alberto Varvaro, Tübingen (Niemeyer) 2006, 262 p. Questo meritorio volume fa séguito a quello pubblicato presso la medesima casa editrice nel 1990, che costituiva una prima tranche di saggi del grande studioso 1 . I diciassette articoli qui raccolti sono raggruppati in quattro sezioni: 1. «La différenciation territoriale du latin» (La latinité dans les provinces de l’Empire romain: problèmes de sociolinguistique, 11-18; Les ardoises wisigothiques et le problème de la différenciation territoriale du latin, 19-30); 2. «L’évolution de la structure grammaticale» (La disparition de -s et la morphologie dialectale du latin parlé, 33-42; Accusativus cum infinito et subordonnée à «quod», «quia» en latin tardif - nouvelles remarques sur un vieux problème, 43-54; On the grammatical subject in Late Latin, 55-64; À propos du «si» interrogatif: évolutions achevées et évolutions bloquées, 65-75; Remarques sur l’histoire du futur latin - et sur la préhistoire du futur roman, 76-87; L’emploi des noms indéclinables et l’histoire de la déclinaison latine, 88-100; DIS MANIBVS. Un problème de syntaxe épigraphique, 101-12); 3. «Situation linguistique et conscience linguistique» (Naissance de la Romania, 115-30; Conscience linguistique et diachronie, 131-46; La situation linguistique en Italie au VI e siècle, 147-57; Sur un exemple de la langue parlée à Rome au VI e siècle, 158-68; Spoken and written Latin in the last centuries of the Roman Empire. A contribution to the linguistic history of the Western Provinces, 169-82; La transition du latin aux langues romanes. Quelques problèmes de la recherche, 183-94; The End of the History of Latin, 195-213); 4. «Revue d’ensemble» (L’état actuel des recherches sur le latin vulgaire et tardif, 217-29). Richiederebbe certo troppo spazio l’analisi particolareggiata di ciascuno degli scritti raccolti nel volume curato da Sándor Kiss, e d’altra parte si tratta di studi ben noti a tutti i romanisti e a tutti i latinisti che si sono occupati, anche se da posizioni differenti, di quella nebulosa, ora più ora meno oscura, che avvolge con il suo pulviscolo il nodo fondamentale costituito dallo scivolamento del latino verso le lingue romanze. Al centro di tale evoluzione si pone solitamente il cosiddetto «latino volgare», nucleo intorno al quale si sono accese numerosissime discussioni, a volte sostanziali, a volte puramente nominalistiche. Ma appunto già qui, al punto di partenza si può dire, alla radice del «problema latino volgare» Herman dimostra di volersi liberare di quella zavorra che a nulla pare servire nello svolgimento della ricerca autentica: «le fameux latin vulgaire, source et objet de tant de discussions terminologiques souvent presque pénibles, apparaît comme un raccourci méthodologique» (La transition du latin aux langues romanes, citazione a p. 184); e ancora: «We are lost in the labyrinth of ill-defined designations and overlapping pseudo-categories like Late Latin, Early Medieval Latin, Literary Latin, Written Latin, Vulgar Latin, Popular Latin, Colloquial Latin, Spoken Latin, Romance, EarlyRomance, Proto-Romance, Pre-Romance - and the rest» (Spoken and written Latin, citazione p. 169-70). Ma d’altra parte già J. Svennung, Untersuchungen zu Palladius und zur lateinischen Fach- und Volkssprache, Uppsala 1935: v, scriveva che «der Streit darüber, was als Vulgärlatein anzusehen ist, ist aber eigentlich nur ein Streit um Worte». 1 J. H., Du latin aux langues romanes. Études de linguistiques historiques réunies par Sándor Kiss avec une préface de Jacques Monfrin, Tübingen (Niemeyer) 1990. Herman lavora spesso, si potrebbe dire sempre, sul campo, e anche le sue conclusioni più, per così dire, generali, ma mai generiche (ad es. Conscience linguistique et diachronie, o The End of the History of Latin), traggono sempre spunto da osservazioni puntuali di fatti riscontrabili nella documentazione: fatti trattati sempre - ed è uno dei grandi meriti dello studioso ungherese - con estrema prudenza e cautela, come sottolinea anche Alberto Vàrvaro nella Prefazione: «Le affermazioni di Herman sono . . . sempre nuancées, . . . il procedimento argomentativo avanza per distinzioni sottili quanto indispensabili» (6). Tra le ricerche più importanti e stimolanti ci sono senz’altro quelle sulle iscrizioni, qui ben rappresentate per esempio dagli articoli che sono contenuti nella prima sezione del volume; ma si può dire che le iscrizioni, che d’altra parte rappresentano, com’è noto, una delle più luminose testimonianze della dissoluzione del latino nelle lingue romanze (accanto a testi come per esempio la cosiddetta Appendix Probi), sono presenti in ognuno degli studi raccolti nel volume (si pensi, solo citarne qualcuno, al già citato Spoken and written Latin, oppure a DIS MANIBVS). Per fare solo alcuni esempi dei risultati ai quali può giungere la ricerca sulla lingua epigrafica, si può ottimamente ricorrere ai due interventi che aprono il volume: quello su La latinité dans les provinces, e quello sulle Ardoises wisighotiques. Nel primo si distingue tra errori puramente tecnici, dovuti al lapicida, e errori invece commessi sotto la pressione della lingua parlata, in un contesto di evoluzione linguistica pre-romanza. Le conclusioni alle quali giunge J. Herman sono assai interessanti: un numero elevato di errori per così dire pre-romanzi segnalerebbe «l’existence d’une couche plébéienne, peu cultivée, mais pour laquelle la langue latine était déjà le moyen de communication principal» (17); al contrario, la scarsa presenza di errori pre-romanzi verrà considerata come il sintomo di una romanizzazione sì avanzata, ma che «n’était pas ancore assez générale pour échapper au contrôle des centres urbains» (17), dove la tradizione romana era rappresentata in modo capillare, e dove il grado di scolarizzazione, e dunque il livello culturale, era piuttosto elevato. Le caratteristiche consonantiche e morfologiche delle iscrizioni sulle ardesie visigotiche (VI-VII secolo), invece, fanno intravedere i futuri sviluppi del latino verso le lingue iberoromanze: interessante, a questo proposito, l’osservazione del mantenimento di -s finale, tipico di tutte le lingue romanze occidentali, ma che a questa altezza diversifica il latino della Penisola iberica da quello della Gallia. Nel primo, infatti, la -s finale serve in particolare a distinguere il plurale rispetto al singolare, mentre in Gallia già si prefigura lo sviluppo della cosiddetta declinazione bicasuale che isola, dal punto di vista morfologico, le lingue gallo-romanze dalle rimanenti lingue neolatine 2 . Chiudono il volume la Bibliographie des ouvrages cités, la Bibliographie des travaux de Jószef Herman, e una Notice de l’auteur. Paolo Gresti ★ 206 Besprechungen - Comptes rendus 2 Questo sia detto nonostante alcune tesi contrarie, come ad es. quella di M. Maiden, «Il sistema desinenziale del sostantivo nell’italo-romanzo preletterario. Ricostruzione parziale a partire dai dialetti moderni (il significato storico di plurali del tipo ‹amici›)», in: J. Herman/ A. Marinetti (ed.), La preistoria dell’italiano, Tübingen 2000: 167-79, secondo la quale «nell’italoromanzo prelettario sarebbe esistita una distinzione desinenziale tra un caso retto e uno o più casi obliqui» (167).