Vox Romanica
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0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2007
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Kristol De StefaniRaymund Wilhelm, Bonvesin da la Riva, La vita di Sant’Alessio. Edizione secondo il codice Trivulziano 93, Tübingen (Max Niemeyer Verlag) 2006, viii + 98 p. (Beihefte zur Zeitschrift für Romanische Philologie 335)
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2007
Paola Allegretti
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Raymund Wilhelm, Bonvesin da la Riva, La vita di Sant’Alessio. Edizione secondo il codice Trivulziano 93, Tübingen (Max Niemeyer Verlag) 2006, viii + 98 p. (Beihefte zur Zeitschrift für Romanische Philologie 335) Il libro si compone delle seguenti tredici parti introduttive: Premessa (v-vi), Indice (vii), Introduzione (1-38): 1. Bonvesin narratore (1s.), 2. Bonvesin traduttore (2-6), 3. Bonvesin e Pietro da Barsegapè (6-8), 4. I miracoli di Sant’Alessio (8-11), 5. Le edizioni moderne della Vita di Sant’Alessio (11-14), 6. Il codice Trivulziano 93 (14-16), 7. La lingua del copista come varietà composita (17-19), 8. Il polimorfismo nella morfologia verbale (19-23), 9. Morfologia e sintassi del pronome soggetto (23-28), 10. La forma metrica del testo tràdito (28-32), 11. Abitudini scrittorie del copista (32-37). Seguono i due testi: La Vita latina (39s.), con una edizione paragrafata secondo le esigenze del confronto con il volgarizzamento di Bonvesin: De vita sancti Alexii (40-45) e La Vita di Sant’Alessio di Bonvesin da la Riva (codice Trivulziano 93, cc. 16r-30v) (49-65), quest’ultima corredata di Commento (67-73), Bibliografia (75- 79), Glossario di taglio grammaticale piuttosto che lessicale (81-96), Indice dei nomi (97). Le riproduzioni della c. 26v e della c. 27r del codice Trivulziano (46s.), inserite tra l’edizione del testo latino più vicino alla traduzione di Bonvesin (40) e la Vita di Sant’Alessio, danno subito al lettore la percezione delle caratteristiche grafiche, tipologiche e codicologiche del codice Trivulziano 93 (usualmente siglato d): un codicetto miscellaneo di piccolo formato e di contenuti devozionali, nel quale «L’accostamento di testi latini e volgari, di vite di santi e di preghiere si rivela infatti altamente funzionale come prontuario di un frate» (16). È questa l’agile edizione, con commento e glossario, della Vita di Sant’Alessio del milanese Bonvesin da la Riva, opuscoletto per il quale il Wilhelm propone, con grande progresso rispetto agli studi precedenti, una datazione a post 1274 (8) sulla base del databile Sermone di Pietro da Barsegapè. Il lavoro presenta alcune novità metodologiche e alcune prese di posizione generali che meritano di essere sottoscritte. Innanzitutto, la rivalutazione di Bonvesin, soprattutto nei confronti dell’italianistica tedesca, che ha espresso un giudizio limitativo su questo autore e la sua opera fin dagli albori della Bonvesin-Philologie, che data al 1850, con l’edizione ad opera di Immanuel Bekker del codice Berlinese (Berlin, Öffentliche Wissenschaftliche Bibliothek, Ital. qu. 26 testimone fondamentale di Bonvesin per il quale si rimanda alla recensione a Gökçen, qui in VR). Non si può non essere d’accordo che, in generale, ma soprattutto recentemente, nella cultura universitaria «Ci troviamo . . . di fronte a una delle lacune più sorprendenti della storiografia della letteratura italiana delle origini. Non c’è dubbio infatti che una lettura attenta dei suoi racconti agiografici ci può portare a riconoscere in Bonvesin da la Riva il primo grande narratore in un volgare italiano» (2). Nel suo piccolo, poi, la presente edizione rappresenta una rivoluzione copernicana nella Bonvesin-Philologie ed è veramente importante che un lavoro di tale respiro metodologico sia stato pubblicato in lingua italiana. Ecco una prima definizione del problema: «L’interesse primario della nostra edizione della Vita di Sant’Alessio è incentrato sul testo nel modo in cui esso fu inteso dal copista della fine del trecento.» (17). Mentre finora i testi di Bonvesin da la Riva venivano editi con tutta una serie (a volte assai articolata) di modifiche al testo dei manoscritti (vere e proprie riscritture) sulla base di considerazioni metricolinguistiche, qui, con una diversa prospettiva e prassi editoriale, il punto di partenza è di tipo morfologico-grammaticale: «Nel presente lavoro invece si è scelto un percorso in certo senso inverso: la riflessione ecdotica parte qui da un’analisi morfologica e sintattica e ricorre alla metrica solo in un secondo tempo, come ad un’istanza di controllo. La metrica ci può senz’altro aiutare, entro certi limiti, a riconoscere ed eventualmente emendare singole sviste del copista, ma non sembra ammissibile voler correggere l’intero testo trasponendolo in 268 Besprechungen - Comptes rendus una forma metrica regolare, che il testo tràdito evidentemente non conosce o non rispetta.» (28). Ma il merito più considerevole consiste nell’applicazione del concetto di diasistema alla lingua del testimone Trivulziano, come confluenza di testo copiato e abitudini scrittorie del copista, e soprattutto nell’esame concreto delle caratteristiche del diasistema in questa testimonianza della Vita di Sant’Alessio, esame favorito senz’altro dalla ridotta estensione del testo, ma veramente notevole perché si differenzia da un’invalsa e inerte descrizione delle caratteristiche grafiche della copia, come viene fatto di trovare in lavori di questo tipo. Wilhelm pubblica la Vita di Sant’Alessio sul solo testo del Trivulziano 93, che però viene considerato filologicamente. Due solo gli strumenti utili a questo fine: la collazione, fino al v. 112 con il Berlinese e il confronto con un altro testo della silloge del Trivulziano, la Vita di Santa Margarita, che presenta affinità tematiche e fonetiche con l’operetta di Bonvesin. Tale confronto incrociato consente alcune considerazioni come le seguenti, che riconsiderano alcune questioni della scripta del Trivulziano (come del dialetto milanese antico), che venivano considerate acquisite. Non è infatti agevole distinguere nel testo tra forme di presente e perfetto storico, ugualmente plausibili in base al contesto narrativo e tendenzialmente omografiche, pur con una serie di varianti scrittorie. Per esempio la forma «dice»/ «disse» fa registrare «otto volte dixe, due volte dise e una volta disse.» (20). L’esame della scripta, allargato nel modo che si è detto, non consente di ritenere che le tre varianti siano distinguibili su base fonetica, che abbiano cioè chiara rispondenza biunivoca con le categorie grammaticali distinte, come invece riteneva Mussafia (Darstellung der altmailändischen Mundart nach Bonvesin’s Schriften, Sitzungsberichte der philosophisch-historischen Classe der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, Wien 59, 1868: 5-40). «È ovvio quindi che le tre varianti grafiche ‹dixe›, ‹dise›, ‹disse› non rimandano a realtà fonetiche chiaramente distinte. E potremmo concludere che dixe, dise, e disse sono funzionalmente indifferenti nella varietà di lingua qui impiegata» (20). Ora, qui abbiamo l’accettazione di uno scandalo, perché, per una esigenza non giustificabile dimostrativamente ma comunque rivendicata come primaria, di fronte ad un testo antico e medievale anche gli addetti ai lavori reclamano costantemente all’editore una veste grafica uniforme e omogeneizzata. Eppure, anche fermandosi, come in questo caso, alla lingua scritta dal copista del Trivulziano 93 viene fuori che la prassi medievale è ben lontana da queste aspettative «tipografiche», e soprattutto ben diversa. Il paragrafo che stiamo esaminando si intitola per l’appunto La lingua del copista come varietà composita e la presa in conto di questa evidenza documentaria dimostra come il lavoro su un solo codice non sia una scelta di pigrizia: «Questi rilievi puntuali sono un’ulteriore conferma del fatto che sarebbe erroneo, almeno dal punto di vista storico-linguistico, voler ridurre il ricco polimorfismo presente nel nostro manoscritto ad una forma linguistica normalizzata. Il compito del filologo, nel caso del Sant’Alessio trivulziano, può essere solo quello di documentare i reali usi linguistici e di valutarli, dove possibile, nella prospettiva più ampia della storia linguistica dei dialetti lombardi. In modo particolare l’edizione e il suo corredo interpretativo servono così anche a raccogliere un inventario di forme in vista di una futura grammatica storica della scripta milanese dei primi secoli.» (23). Se il primo principio che discende da questo approccio è un principio di non intervento, veramente nuovo in àmbito bonvesiniano: «Nella concezione ecdotica che guida il presente lavoro non è ammissibile alterare la struttura grammaticale del testo tràdito per pure ragioni metriche.» (25), ci sono però anche alcune acquisizioni puntuali che dobbiamo registrare. In sostanza, rispetto alla base metrica che ha tradizionalmente governato le scelte editoriali della filologia bonvesiniana, si sostituisce qui una base grammaticale che consente di spiegare, quando è possibile, il testo tràdito e comunque non fornisce regole per alterare quella parte della testimonianza che si chiama variante formale. Che però il metodo abbia 269 Besprechungen - Comptes rendus una sua efficacia è dimostrato dalle regole di distinctio delle stringhe grafiche che è in grado di enunciare in particolari casi, per i quali assicura, con la probabilità del sistema, la giustezza di alcune scelte editoriali. È il caso del nesso congiunzione + soggetto pronominale di prima o terza persona singolare + verbo. Di fronte a stringhe grafiche del tipo «che fenisca» l’editore ha infatti due alternative: o distinguere «che fenisca» (cioè congiunzione e verbo), o invece «ch’ e’ fenisca» (cioè congiunzione, pronome personale e verbo). La scelta, irrilevante sul piano prosodico e fonetico, non è equipollente dal punto di vista grammaticale, anche in funzione di descrizioni future di questo tipo di lingua antica, perché la differente distinctio annulla o rende reperibile una intera categoria grammaticale di clitici pronominali. Come fa notare l’editore, «l’interpretazione ch’ e’ fenisca non comporta una ‹aggiunta› del pronome soggetto: sciogliendo ‹che› in ch’ e’ si introduce solo una separazione di parole, ossia si rende visibile un’elisione operata dal copista.» (25). Wilhelm circoscrive la portata dell’intervento su base statistica, per reperire quale sia l’incidenza, tra le proposizioni subordinate, di questo attacco (che potrebbe eventualmente analizzarsi come privo del soggetto espresso), e poi enuncia una serie di regole operative che potrebbero essere utili anche ad altri editori alle prese con stringhe analoghe. Le quattro regole, garantite dall’incidenza statistica del fenomeno, sono le seguenti «1. ‹che› + X + verbo che; 2. ‹che› + verbo (1 pers. sing.) ch’ e’.» (25), «3. ‹che› + verbo (3 pers. sing. masch.) ch’ e’» (26), «4. ‹che› + verbo (3 pers. plur. masch.) ch’ e’» (27). La dimostrazione, dati alla mano, è plausibile: tanto più si ammirerà allora l’equilibrio di queste affermazioni: «Se ogni decisione in questo campo lascia un margine di dubbio, è comunque indispensabile decidere per una soluzione o l’altra. Qui, a differenza delle edizioni precedenti, si è cercato di motivare la decisione fra che e ch’ e’ sul piano sintattico. La filologia testuale si fonda inevitabilmente su considerazioni grammaticali» (28). Paola Allegretti ★ AA.VV, 4780 paròol int al nöst dialèt. Proverbi, detti, modi di dire e filastrocche popolari, Gravellona Toce (Press Grafica) 2006, 301 p. Dopo la pubblicazione della sua monografia sul dialetto di Casale Corte Cerro (cf. la segnalazione in VRom. 63), Elena Weber-Wetzel continua con questo volume la sua esplorazione delle parlate del Cusio. Mettendosi a disposizione della Pro Senectute di Omegna, che ha voluto celebrare il 30° anniversario di fondazione della società con una pubblicazione sulla parlata locale della sua sede, ella ha coordinato il lavoro di ricerca di un gruppo di dilettanti appassionati del loro dialetto, e ha esposto i risultati così ottenuti con precisi criteri dialettologici. Voci e frasi dialettali sono trascritte con una grafia univoca e coerente, ma facilmente leggibile per chiunque. La prima parte, un glossario omegnese-italiano, comprende ben 165 p. e dà, accanto al lemma dialettale, la categoria grammaticale, le forme di plurale dei sostantivi, il femminile e il plurale degli aggettivi, la terza persona singolare del presente e il participio passato dei verbi, la traduzione italiana e, spesso, ma non sempre, esempi concreti dell’uso della voce, quali per abà, abate, al fra al rispùund cum là ‘ntunà l’abà, per avàar, avaro, l’avàar as fa fa ‘l vistì sénza sacòc, per bichè, macellaio, chi spéend méno int al bichè, l’a-spéend püsè int al spiziè, per cargà, caricare, se ‘s carga tröp s-ciòpa änca la cana d’un a-s-ciòp, per dislipà, sfortunato, se ‘t nasat dislipà, at piòou int al cül änca quäänd at sé sità, per gaasc’, gazza, a nìid fac’, la gaasc’ l’è mòrta, per impini, riempire, al füm dal ròst l’impinìs mìa la pänscia, per mèsa, messa, nà mèsa dai dudas a misdì, per savé, sapere, chi sa da savé pòoc an sa püsè da chi sa tüt, per ura, ora, dòp un’ura al capìs sübit, per vaca, mucca, änca la vaca négra la fa ‘l lac’ biäänc. 270 Besprechungen - Comptes rendus
