Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2007
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Kristol De StefaniAA.VV, 4780 paròol int al nöst dialèt. Proverbi, detti, modi di dire e filastrocche popolari, Gravellona Toce (Press Grafica) 2006, 301 p.
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Federico Spiess
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una sua efficacia è dimostrato dalle regole di distinctio delle stringhe grafiche che è in grado di enunciare in particolari casi, per i quali assicura, con la probabilità del sistema, la giustezza di alcune scelte editoriali. È il caso del nesso congiunzione + soggetto pronominale di prima o terza persona singolare + verbo. Di fronte a stringhe grafiche del tipo «che fenisca» l’editore ha infatti due alternative: o distinguere «che fenisca» (cioè congiunzione e verbo), o invece «ch’ e’ fenisca» (cioè congiunzione, pronome personale e verbo). La scelta, irrilevante sul piano prosodico e fonetico, non è equipollente dal punto di vista grammaticale, anche in funzione di descrizioni future di questo tipo di lingua antica, perché la differente distinctio annulla o rende reperibile una intera categoria grammaticale di clitici pronominali. Come fa notare l’editore, «l’interpretazione ch’ e’ fenisca non comporta una ‹aggiunta› del pronome soggetto: sciogliendo ‹che› in ch’ e’ si introduce solo una separazione di parole, ossia si rende visibile un’elisione operata dal copista.» (25). Wilhelm circoscrive la portata dell’intervento su base statistica, per reperire quale sia l’incidenza, tra le proposizioni subordinate, di questo attacco (che potrebbe eventualmente analizzarsi come privo del soggetto espresso), e poi enuncia una serie di regole operative che potrebbero essere utili anche ad altri editori alle prese con stringhe analoghe. Le quattro regole, garantite dall’incidenza statistica del fenomeno, sono le seguenti «1. ‹che› + X + verbo che; 2. ‹che› + verbo (1 pers. sing.) ch’ e’.» (25), «3. ‹che› + verbo (3 pers. sing. masch.) ch’ e’» (26), «4. ‹che› + verbo (3 pers. plur. masch.) ch’ e’» (27). La dimostrazione, dati alla mano, è plausibile: tanto più si ammirerà allora l’equilibrio di queste affermazioni: «Se ogni decisione in questo campo lascia un margine di dubbio, è comunque indispensabile decidere per una soluzione o l’altra. Qui, a differenza delle edizioni precedenti, si è cercato di motivare la decisione fra che e ch’ e’ sul piano sintattico. La filologia testuale si fonda inevitabilmente su considerazioni grammaticali» (28). Paola Allegretti ★ AA.VV, 4780 paròol int al nöst dialèt. Proverbi, detti, modi di dire e filastrocche popolari, Gravellona Toce (Press Grafica) 2006, 301 p. Dopo la pubblicazione della sua monografia sul dialetto di Casale Corte Cerro (cf. la segnalazione in VRom. 63), Elena Weber-Wetzel continua con questo volume la sua esplorazione delle parlate del Cusio. Mettendosi a disposizione della Pro Senectute di Omegna, che ha voluto celebrare il 30° anniversario di fondazione della società con una pubblicazione sulla parlata locale della sua sede, ella ha coordinato il lavoro di ricerca di un gruppo di dilettanti appassionati del loro dialetto, e ha esposto i risultati così ottenuti con precisi criteri dialettologici. Voci e frasi dialettali sono trascritte con una grafia univoca e coerente, ma facilmente leggibile per chiunque. La prima parte, un glossario omegnese-italiano, comprende ben 165 p. e dà, accanto al lemma dialettale, la categoria grammaticale, le forme di plurale dei sostantivi, il femminile e il plurale degli aggettivi, la terza persona singolare del presente e il participio passato dei verbi, la traduzione italiana e, spesso, ma non sempre, esempi concreti dell’uso della voce, quali per abà, abate, al fra al rispùund cum là ‘ntunà l’abà, per avàar, avaro, l’avàar as fa fa ‘l vistì sénza sacòc, per bichè, macellaio, chi spéend méno int al bichè, l’a-spéend püsè int al spiziè, per cargà, caricare, se ‘s carga tröp s-ciòpa änca la cana d’un a-s-ciòp, per dislipà, sfortunato, se ‘t nasat dislipà, at piòou int al cül änca quäänd at sé sità, per gaasc’, gazza, a nìid fac’, la gaasc’ l’è mòrta, per impini, riempire, al füm dal ròst l’impinìs mìa la pänscia, per mèsa, messa, nà mèsa dai dudas a misdì, per savé, sapere, chi sa da savé pòoc an sa püsè da chi sa tüt, per ura, ora, dòp un’ura al capìs sübit, per vaca, mucca, änca la vaca négra la fa ‘l lac’ biäänc. 270 Besprechungen - Comptes rendus La seconda parte Proverbi, detti popolari e modi di dire è suddivisa per argomenti, fra i quali citiamo ad es.: «Il denaro, il potere, la richezza, la povertà», «La salute e le malattie», «La Chiesa e la fede», «La morte», «Il mangiare e il bere». Si estende su 62 p. e, oltre a detti di ampia diffusione, contiene, come fanno rilevare gli stessi autori, proverbi e modi di dire di sicura origine cusiana. Nella terza parte Filastrocche popolari e cantilene sono ugalmente presenti numerosi esempi che sono da considerare tipicamente locali. Nelle ultime 20 p. vengono dapprima presentati i membri del gruppo di ricerca. Si pubblica indi un’intervista della coordinatrice. Seguono indicazioni geografiche e storiche su Omegna e il lago d’Orta e una breve cronologia dei primi trent’anni di vita dell’Associazione alla quale dobbiamo la pubblicazione dell’opera. Resta solo da auspicare che l’esempio encomiabile della Pro Senectute di Omegna possa essere seguito da altre benemerite società in occasione dei loro anniversari di fondazione. Alla ricerca dialettologica si aprirebbero in tal modo nuove preziose fonti di documentazione. Federico Spiess ★ Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre, traduzione di Livia Tonelli, Milano (Il Saggiatore) 2007 (traduzione italiana di Italienische Umgangssprache, Bonn/ Leipzig 1922), 382 p. 1. Se è vero (come è vero) che - come scrive De Amicis - «una gran parte della lingua italiana nei vocabolari non si trova» (citato in epigrafe) spetta a Leo Spitzer il merito di essere stato fra i primi studiosi ad aver messo in rilievo, in modo accuratamente illustrativo più che con troppa pretesa di sistematicità 1 , la ricchezza espressiva e stilistica dell’italiano lungo l’asse delle sue variazioni. Pare ovvio che uno studio del parlato dialogico quotidiano basato su esempi tratti da opere letterarie, soprattutto teatrali - come quello della Italienische Umgangssprache - incorra nel rischio di chiudersi in se stesso, di mancare di andare oltre la mera documentazione, o per dirla con Claudia Caffi, di guardare gli alberi e perdere di vista il bosco. Nel tentativo di offrire ai suoi lettori una rassegna di forme e fenomeni del parlato l’opera di Spitzer colpisce comunque per la sua abbondanza di spunti innovativi nonché per il fatto che il suo autore ha saputo anticipare - come «entusiastico improvvisatore di principi» (16) 2 - tendenze che solo una cinquantina d’anni dopo sarebbero state descritte in modo più sistematico. A 85 anni (sic! ) dalla pubblicazione dell’edizione tedesca - in verità Italienische Umgangssprache fu terminata già nel 1914 - il volume esce ora in traduzione italiana (e grazie al lavoro faticoso e intelligente della traduttrice Livia Tonelli che è riuscita a mantenere la complessità e densità della Stilsprache spitzeriana) e per noi è l’occasione di leggere pagine significative di estrema ricchezza, in quanto opera di qualcuno che, come ammette Cesare Segre nella sua presentazione, «ha precorso i tempi» (9). Che si tratti in Lingua italiana del dialogo di un percorso di una «pragmatica a venire» è ben dimostrato nelle analisi di 271 Besprechungen - Comptes rendus 1 Lo ammette lo stesso Spitzer nella lunga captatio benevolentiae che è la sua lettera-dedica al maestro Meyer-Lübke in apertura del libro: «Se Le sottopongo un lavoro che invero non rispecchia la Sua indole, ma, distaccandosi dalla Sua predilezione per un’architettonica sistematica, indulge alla pura e semplice illustrazione . . . è perché sono certo che qualsiasi metodo ha la Sua approvazione, purché esso non sia di per sé sbagliato» (53). 2 Citazione originale da L. Renzi, Presentazione a L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Torino 1976: vii-xxxiii (xvi).
