eJournals Vox Romanica 66/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2007
661 Kristol De Stefani

Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre, traduzione di Livia Tonelli, Milano (Il Saggiatore) 2007 (traduzione italiana di Italienische Umgangssprache, Bonn/Leipzig 1922), 382 p.

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2007
Massimo  Cerruti
Adrian  Stähli
vox6610271
La seconda parte Proverbi, detti popolari e modi di dire è suddivisa per argomenti, fra i quali citiamo ad es.: «Il denaro, il potere, la richezza, la povertà», «La salute e le malattie», «La Chiesa e la fede», «La morte», «Il mangiare e il bere». Si estende su 62 p. e, oltre a detti di ampia diffusione, contiene, come fanno rilevare gli stessi autori, proverbi e modi di dire di sicura origine cusiana. Nella terza parte Filastrocche popolari e cantilene sono ugalmente presenti numerosi esempi che sono da considerare tipicamente locali. Nelle ultime 20 p. vengono dapprima presentati i membri del gruppo di ricerca. Si pubblica indi un’intervista della coordinatrice. Seguono indicazioni geografiche e storiche su Omegna e il lago d’Orta e una breve cronologia dei primi trent’anni di vita dell’Associazione alla quale dobbiamo la pubblicazione dell’opera. Resta solo da auspicare che l’esempio encomiabile della Pro Senectute di Omegna possa essere seguito da altre benemerite società in occasione dei loro anniversari di fondazione. Alla ricerca dialettologica si aprirebbero in tal modo nuove preziose fonti di documentazione. Federico Spiess ★ Leo Spitzer, Lingua italiana del dialogo, a cura di Claudia Caffi e Cesare Segre, traduzione di Livia Tonelli, Milano (Il Saggiatore) 2007 (traduzione italiana di Italienische Umgangssprache, Bonn/ Leipzig 1922), 382 p. 1. Se è vero (come è vero) che - come scrive De Amicis - «una gran parte della lingua italiana nei vocabolari non si trova» (citato in epigrafe) spetta a Leo Spitzer il merito di essere stato fra i primi studiosi ad aver messo in rilievo, in modo accuratamente illustrativo più che con troppa pretesa di sistematicità 1 , la ricchezza espressiva e stilistica dell’italiano lungo l’asse delle sue variazioni. Pare ovvio che uno studio del parlato dialogico quotidiano basato su esempi tratti da opere letterarie, soprattutto teatrali - come quello della Italienische Umgangssprache - incorra nel rischio di chiudersi in se stesso, di mancare di andare oltre la mera documentazione, o per dirla con Claudia Caffi, di guardare gli alberi e perdere di vista il bosco. Nel tentativo di offrire ai suoi lettori una rassegna di forme e fenomeni del parlato l’opera di Spitzer colpisce comunque per la sua abbondanza di spunti innovativi nonché per il fatto che il suo autore ha saputo anticipare - come «entusiastico improvvisatore di principi» (16) 2 - tendenze che solo una cinquantina d’anni dopo sarebbero state descritte in modo più sistematico. A 85 anni (sic! ) dalla pubblicazione dell’edizione tedesca - in verità Italienische Umgangssprache fu terminata già nel 1914 - il volume esce ora in traduzione italiana (e grazie al lavoro faticoso e intelligente della traduttrice Livia Tonelli che è riuscita a mantenere la complessità e densità della Stilsprache spitzeriana) e per noi è l’occasione di leggere pagine significative di estrema ricchezza, in quanto opera di qualcuno che, come ammette Cesare Segre nella sua presentazione, «ha precorso i tempi» (9). Che si tratti in Lingua italiana del dialogo di un percorso di una «pragmatica a venire» è ben dimostrato nelle analisi di 271 Besprechungen - Comptes rendus 1 Lo ammette lo stesso Spitzer nella lunga captatio benevolentiae che è la sua lettera-dedica al maestro Meyer-Lübke in apertura del libro: «Se Le sottopongo un lavoro che invero non rispecchia la Sua indole, ma, distaccandosi dalla Sua predilezione per un’architettonica sistematica, indulge alla pura e semplice illustrazione . . . è perché sono certo che qualsiasi metodo ha la Sua approvazione, purché esso non sia di per sé sbagliato» (53). 2 Citazione originale da L. Renzi, Presentazione a L. Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918, Torino 1976: vii-xxxiii (xvi). Claudia Caffi (15-35), curatrice del libro assieme a Segre. L’opera si presta però anche ad un altro tipo (ad altri tipi) di lettura, come lo studio di elementi costitutivi del dialogo che rappresentano niente meno che uno «standard a venire». Spitzer stesso si propone di cercare dei «modelli ispiratori» (Muster in tedesco) del parlato dialogico, affermando con Jakob Grimm che «tutte le eccezioni grammaticali mi sembrano o dei residui di vecchie regole che a tratti ancora baluginano, oppure albori di regole nuove che prima o poi compariranno» (54) 3 . La costituzione, proprio in questo senso, di un «nuovo» standard dell’italiano (italiano dell’uso medio secondo alcuni, neostandard o italiano tendenziale secondo altri) 4 è - come sappiamo - tra gli argomenti di maggior rilievo della linguistica italiana soprattutto dagli anni ’80 in avanti. Ed è noto del resto come l’attuale standard in formazione sia particolarmente ricettivo di tratti tipici del parlato e di tendenze o modalità già presenti nelle forme popolari e/ o dialettali della comunicazione (parlata) ordinaria. Se Spitzer passa in rassegna una serie di forme grammaticali comunemente marcate come non proprie dello standard normativo, come ad esempio le dislocazioni a sinistra o la sovraestensione della particella ci originariamente con valore di avverbio di luogo (291 s.), queste (pur nella loro asistematicità di esposizione) si inseriscono in un insieme complessivo di fenomeni che rappresentano al meglio le tendenze di ristandardizzazione salienti in proposte più recenti di autori come Sabatini o Berruto 5 . 2. L’opera coglie in effetti un buon numero di caratteri che prefigurano alcune tra le principali direttrici di sviluppo dell’italiano contemporaneo. Nonostante il carattere notoriamente non organico della trattazione, contrassegnata da un accumulo non strutturato di esempi e da un andamento argomentativo che, come scrive Caffi nel saggio introduttivo, «sembra soprattutto dal particolare al particolare» (16), è infatti possibile riconoscere, nella cooccorrenza di alcuni dei tratti indagati, i semi di importanti ristrutturazioni paradigmatiche oggi in fieri. Ci si può limitare, a scopo esemplificativo, ad alcune considerazioni centrate su un settore specifico della grammatica; si consideri, segnatamente, il microsistema dei pronomi personali atoni, uno dei settori nei quali la ristandardizzazione corrente conosce portata maggiore. Tra le direzioni fondamentali di sviluppo del paradigma va senza dubbio annoverata la tendenza dei clitici a legarsi alle forme verbali, che preconizza una futura evoluzione degli elementi pronominali in direzione di veri e propri morfemi flessivi verbali; allo stato presente, in cui il mutamento è lontano dall’essere compiuto, lo statuto dei pronomi atoni oscilla tra quello di affissi invariabili e quello di affissi variabili. Tracce del processo, così come dello statuto instabile di questi clitici, si possono già riconoscere nei numerosi passaggi che Spitzer trae da fonti letterarie. Alle p. 291-96, ad esempio, è ampiamente discusso il fenomeno della concrezione al verbo del morfema ci, uno dei casi che tendono verso la massima grammaticalizzazione, e quindi desemantizzazione e invariabilità, della forma pronominale; l’autore tratta sia esempi quali ci vuole pazienza e ci sto, glossati rispettivamente come «bisogna metterci la pazienza» (292, conservandone la sfumatura locativa 6 ) e «prendo parte, partecipo (a quanto accade)» (292), in cui si determina un’entrata lessicale 272 Besprechungen - Comptes rendus 3 Citazione originale da J. Grimm, «Über das Pedantische in der deutschen Sprache», in: K. Müllenhoff (ed.), Kleinere Schriften von Jakob Grimm, Berlin 1864/ 1: 327-73. 4 Cf. F. Sabatini, «‹L’italiano dell’uso medio›: una realtà tra le varietà linguistiche italiane», in: G. Holtus/ E. Radtke (ed.), Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübingen 1985: 154-84; G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma 1987; A. Mioni, «Italiano tendenziale: osservazioni su alcuni aspetti della standardizzazione», in: Scritti linguistici in onore di G. B. Pellegrini, Pisa 1983: 495-517. 5 V. N4. 6 Cf. Sabatini, op. cit., 160. autonoma rispetto alla forma non pronominale corrispondente, sia verbi come averci (es. ci avviso che sua moglie cià l’amante, Trilussa, 295), in cui il clitico reca un semplice valore rafforzativo o attualizzante (nel caso specifico, marcando inoltre gli usi non ausiliari di avere 7 ). Si comportano come affissi invariabili anche i clitici ne e la in formazioni quali, rispettivamente, se ne sta a vedere senza far nulla o se ne vive solo (295, con valore originariamente locativo o di specificazione) e farsela, passarsela o finirla (215-17, con il clitico formalmente accusativo che rimanda, secondo Spitzer, a referenti generici quali cosa, vita, ecc.). Comporta invece uno stadio inferiore di grammaticalizzazione lo statuto di affissi variabili 8 ; sono tali i casi in cui l’elemento pronominale è interpretabile quale marca di accordo sul verbo. Tipicamente riconducibili al fenomeno sono le dislocazioni a destra e a sinistra, quali lo nascose il dolore (Rovetta, 237) e i facchini la mancia la pesano (De Amicis, 219), anche con ci e ne (es. da certi pasticci non ce se n’esce con tanta facilità, 292, e su questo non ci so dir nulla, Petrocchi, 292). Costrutti di questo genere, che Spitzer tratta principalmente in termini di organizzazione pragmatica dell’informazione, assumono particolare rilevanza, è noto, anche sul piano dell’evoluzione tipologica della lingua. È stata infatti sostenuta l’ipotesi che questi fenomeni di topicalizzazione e di fissazione dei clitici sul verbo rechino tracce di un parziale sviluppo dell’italiano neo-standard in direzione di una coniugazione polipersonale; i clitici, svincolati dal valore anaforico e legati fonologicamente alla loro testa sintattica (il verbo), agirebbero cioè da segnalatori di accordo fra questa e i suoi attanti, con evidenti conseguenze di ordine tipologico (incremento della morfologia verbale e possibilità di una maggiore libertà nell’ordine dei costituenti) 9 . Tratti come quelli appena menzionati, poi, danno conto del fatto che a determinare gli sviluppi correnti dello standard, prefigurati dai fenomeni che a suo tempo Spitzer riscontrava nella lingua parlata dell’uso quotidiano, concorrono, come si è già detto e com’è risaputo, costrutti già presenti nell’italiano del passato. Oltre ai fenomeni sopra discussi 10 , sempre per quanto riguarda il settore dei pronomi e gli sviluppi in atto ad esso relativi, è ben noto in tutta la storia linguistica italiana l’uso del dativo etico 11 , di cui Spitzer riporta casi quali tu mi sei tornato alla tua prima infanzia (Butti, 132) e se ancora mi ti vedo attorno per la strada faccio arrestare anche te (Bracco, 132). Esemplificando invece da altri settori della grammatica, pur in maniera ugualmente rapsodica, si possono citare gli impieghi controfattuali dell’imperfetto indicativo, già attestabili in stadi priori dell’italiano 12 e in netta espansione nell’uso contemporaneo; Spitzer, in particolare, si concentra sull’imperfetto cosiddetto «di cortesia» (135-37), discutendo esempi quali volevo dire, non intendo dire, cioè volevo dire (Manzoni, 135) e cosa fate voi qui? Veniva in traccia di lei (Goldoni, 135). Oppure, ancora, si può menzionare la tendenza all’incremento della nominalizzazione, già 273 Besprechungen - Comptes rendus 7 Su questo punto cf. B. Moretti, «Il ciclo di avere. Costanti e variazioni nel mutamento dal latino all’italiano moderno», Rivista italiana di linguistica e dialettologia, 6 (2004): 143-60. 8 Cf. C. Lehmann, «Universal and typological aspects of agreement», in: H. Seiler/ F. J. Stachowiak (ed.), Apprehension. Das sprachliche Erfassen von Gegenständen, Tübingen 1982/ 2: 201-67. 9 Cf. M. Berretta, «Tracce di coniugazione oggettiva in italiano», in: F. Foresti/ E. Rizzi/ P. Benedini (ed.), L’italiano tra le lingue romanze. Atti del XX congresso internazionale di studi della SLI (Bologna, 25-27 settembre 1986), Roma 1989: 125-50; M. Berretta, «Correlazioni tipologiche fra tratti morfosintattici dell’italiano ‹neo-standard›», in: S. Dal Negro/ B. Mortara Garavelli (ed.), Temi e percorsi della linguistica. Scritti scelti di Monica Berretta,Vercelli 2002 [1994]: 379-410 (404-08). 10 Per cui si vedano, tra gli altri, P. D’Achille, Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana. Analisi di testi dalle origini al secolo xviii, Roma 1990: 261-76 e 87-204; M. Durante, Dal latino all’italiano moderno. Saggio di storia linguistica e culturale, Bologna 1981: 61. 11 Cf. Berruto, op. cit., 76. 12 Per un esame delle occorrenze nel periodo ipotetico dell’irrealtà si veda ad esempio D’Achille, op. cit., 296s. ampiamente documentata a partire dal Cinquecento 13 e ora in crescente diffusione nell’italiano contemporaneo, a proposito della quale Spitzer tratta vari casi di costruzioni con ellissi del verbo (es. delizioso stamattina il mare, Butti, 225). La dovizia di esempi che correda ogni riflessione analitica offre inoltre al lettore un’attenta rassegna dei contesti di occorrenza dei tratti indagati, fornendo così un importante contributo descrittivo alla definizione della gamma dei valori di diversi elementi grammaticali. È quanto si può constatare, in particolar modo, per quei fenomeni che meglio si prestano all’esame dei rapporti intercorrenti tra grammatica e pragmatica (su cui più si concentra l’interesse dell’autore), quali profrasi e segnali discorsivi. Considerando esemplificativamente il caso di già, è infatti possibile rilevare come i passaggi analizzati da Spitzer (163-166) diano effettivamente conto di tutte le principali sfumature che la particella può assumere in funzione di profrase o segnale discorsivo 14 ; si possono citare, fra gli altri, i valori: di presupposizione deontica, in replica ad antecedenti dichiarativi: - Quella [lettera] lì è la sola da cui non si rilevi chiaramente la verità - Cioè? - Cioè che io . . . le ho detto di sì soltanto per compassione - Già! (Bracco; il valore deontico emerge chiaramente dal commento di Spitzer: «egli avrebbe dovuto osservare fin da prima che quel determinato evento non si rileva chiaramente», 165); o, in replica ad antecedenti interrogativi, di segnalazione dell’evidenza della richiesta: - E dunque? . . . su che cosa desideravate di chiedermi un parere artistico? - Ah, già fece egli, che, evidentemente, non pensava più allo scopo del nostro incontro (Bracco, 165); oppure di concessione, seguita da un’espressione di disaccordo: - È mòlto - Nun pol’ esse’, via, Torello . . . O s’ielsera lo veddi; era ar teatro - Già! ma stamani è andat’ a fa’ ’n duello (Neri, «si ammette energicamente quello che va ammesso . . . al fine di contestare con energia ancora maggiore l’affermazione dell’interlocutore», 166); oppure, ancora, di replica antifrastica ad antecedenti iussivi: - Devi far così come dico! - Già! (Petrocchi, «con cui si simula accondiscendenza, mentre in realtà la si pensa in modo opposto», 166). Ad accrescere poi il valore del contributo descrittivo fornito dall’autore è l’originalità di certi spunti interpretativi; si può infatti ritenere che alcuni di questi rappresentino dei veri e propri precedenti, in forma embrionale, di proposte teoriche che troveranno formulazione consapevole soltanto in tempi più recenti. Si consideri, anche qui, un unico caso d’esempio: l’affermazione «la particella ecco! . . . ha assunto il ruolo di verbo, come suggerisce la forma con il clitico eccomi» (92). La sua singolarità si può ben cogliere se si pensa che la prima trattazione grammaticale dell’italiano in cui è riconosciuta la natura verbale di interiezioni del tipo di ecco, definite tradizionalmente «parole-frasi», è (per lo meno secondo Menza 15 ) la Grande grammatica italiana di consultazione 16 , dove ecco figura all’interno della classe dei verbi non inaccusativi monovalenti. Ultimamente, poi, l’enunciazione del carattere (parzialmente) verbale di interiezioni quali ecco ha dato luogo a una delle più recenti proposte teoriche in ambito generativo, la teoria del paraverbo 17 . Essa introduce una nuova categoria grammaticale, denominata appunto paraverbo, comprensiva di tutte quelle 274 Besprechungen - Comptes rendus 13 Cf. Durante, op. cit., 182s. 14 A proposito delle quali cf. G. Bernini, «Le profrasi», in: L. Renzi/ G. Salvi/ A. Cardinaletti (ed.), Grande grammatica italiana di consultazione, III. Tipi di frase, deissi, formazione delle parole, Bologna 1995: 175-222 (220s.). 15 S. Menza, Il paraverbo. L’interiezione come sottoclasse del verbo, Alessandria 2006: 26. 16 G. Salvi, «La frase semplice», in: L. Renzi (ed.), Grande grammatica italiana di consultazione, I. La frase. I sintagmi nominale e preposizionale, Bologna 1988: 29-114 (73). Venendo invece ai dizionari, tale natura è riconosciuta esplicitamente nel DISC (Dizionario italiano Sabatini Coletti, Firenze 1997), che assegna a ecco un «comportamento morfologico e sintattico affine a quello di un verbo» (s. ecco). 17 Menza, op. cit. parti di discorso che esibiscono un comportamento verbale, sia che reggano un argomento interno (a cui assegnano un ruolo semantico e con cui costituiscono una frase minima) sia che non reggano alcun complemento (e dunque si comportino come verbi intransitivi o zerovalenti). Una delle classi di elementi incluse nella categoria è naturalmente quella delle interiezioni; nello specifico, le possibili strutture argomentali di ecco riceverebbero le seguenti rappresentazioni sintagmatiche 18 : [[Ø] SN [ecco pV ] SV ] F ,[[Ø] SN [ecco pV [mi] SN ] SV ] F, e, con riferimento a uno degli esempi trattati, [[Ø] SN [ecco pV [come annò er fatto] SC ] SV ] F (Trilussa, 93). La citazione esplicita da parte di Spitzer di una forma con clitico incorporato (eccomi, v. sopra) coglie inoltre la proprietà essenziale che distingue ecco dagli altri paraverbi - rendendolo rispetto a questi più vicino alla categoria verbo -, ossia l’incorporazione di un argomento pronominalizzato mediante un clitico (si confronti, ad esempio, eccomi con *evvivami, *accidentimi, *graziemi, ecc.). Già da questa fugace discussione di tratti, condotta in parte seguendo lo stile citazionale e spesso frammentario dell’autore, si possono dunque riconoscere il carattere eminentemente anticipatore e le implicazioni prognostiche dell’opera. Molti, tuttavia, rimangono i percorsi d’analisi in attesa d’essere intrapresi. Per concludere con le parole di uno dei due curatori dell’edizione italiana (Caffi, 34), «per chi avrà la pazienza di leggerla con attenzione, [l’opera] sarà una miniera di spunti e di intuizioni che attendono di essere sviluppati». Massimo Cerruti, Adrian Stähli 19 ★ Reinhold R. Grimm/ Peter Koch/ Thomas Stehl/ Winfried Wehle (ed.), Italianità. Ein literarisches, sprachliches und kulturelles Identitätsmuster, Tübingen (Narr) 2003, viii + 301 p. Der Sammelband enthält Beiträge zum Eichstätter Italianistentag und umfasst eine Reihe von Aufsätzen von Sprach- und Literaturwissenschaftlern, die sich das Konzept der (sprachbezogenen) italianità aus einer kulturwissenschaftlichen Perspektive im Spannungsfeld von Selbst- und Fremdbildnissen anverwandelt haben. Als zentrale Ausdrucksform dieser sprachlichen italianità wird in Einbeziehung der historisch-kulturellen Dimension regionaler Identität(en) das Mit- und Ineinander von unità und varietà gesehen. Der Band umfasst zehn sprachwissenschaftliche und acht literaturwissenschaftliche Beiträge, die ein weites Spektrum der mit dem Konzept der italianità verbundenen Thematiken bieten: In der sprachwissenschaftlichen Sektion handelt es sich um die Beiträge von Í arko Mulja c i ú , «Was bedeutet(e) italoromanisch, Italoromanisch, Italoromania? » (1-13); Barbara Frank-Job, «Romana lingua - vulgare illustre - italiano. Kategorisierungen der Muttersprache in Italien» (15-38); Corrado Grassi, «Formazione, diffusione e aspetti del concetto di italianità linguistica nei gruppi dialettofoni storici» (39-48); Sarah Dessì Schmid, «Il genio della lingua italiana» (49-64); Waltraud Weidenbusch, «Lingua und dialetto in der Questione della lingua im 18. und 19. Jahrhundert» (65-86); Gerald Bernhard, «Jugendsprache, italianità und kulturelle Identität» (87-96); Franz Rainer, «Italico und italienische Autostereotype» (97-114); Claudia M. Riehl, «Italianità als Problem: Minderheiten und nationale Identität» (115-32); Rita Franceschini, «Italianità di moda e adozione linguistica nei paesi germanofoni: valenze moderne di una lingua minoritaria» (133-48); 275 Besprechungen - Comptes rendus 18 La categoria del paraverbo è qui indicata con pV. 19 Sebbene il lavoro sia frutto di un’impostazione comune, l’attribuzione dei paragrafi va così intesa: §1. Adrian Stähli, §2. Massimo Cerruti.