eJournals Vox Romanica 66/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2007
661 Kristol De Stefani

Daniel Le Blévec (ed.), Les cartulaires méridionaux. Actes du colloque organisé à Béziers les 20 et 21 septembre 2002, Paris 2006, 270 p. (Études et rencontres de l’École des Chartes 19)

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2007
Gerardo  Larghi
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introdotte nelle precedenti edizioni: la scelta di distinguerle unicamente attraverso strumenti tipografici non sempre aiuta a una pronta comprensione. Poche le note da aggiungere e scarse le mende da correggere. In particolare però segnaliamo che contrariamente a quanto si legge a p. 86 N162 Montmajour non è un monastero cittadino, trovandosi a una decina di chilometri da Arles. In definitiva una ottima edizione: completa, curata e che apre affascinanti prospettive per chi voglia indagare la assai varia produzione - direttamente o latamente - agiografica del Medioevo occitanico. Gerardo Larghi ★ Daniel Le Blévec (ed.), Les cartulaires méridionaux. Actes du colloque organisé à Béziers les 20 et 21 septembre 2002, Paris 2006, 270 p. (Études et rencontres de l’École des Chartes 19) Nel 2002 l’École des Chartes promosse a Béziers un colloquio sul tema «Les Cartulaires méridionaux»: di quell’incontro sono stati editi ora gli atti. Gli interventi stampati in un agile volumetto, indagano alcune tra le principali raccolte di diplomi delle regioni meridionali. Si tratta di strutture provenienti dai capitoli ecclesiastici metropolitani (chartriers di Arles e Apt), dai grandi linhatge laici (il Liber Instrumentorum Memorialis della famiglia Guilhem di Montpellier, o il cartulaire dei Trencavel di Béziers), dai centri monastici (Saint Victor di Marsiglia o la casa Templare di Saint Gilles), o infine dalle comunità urbane (Toulouse, e il Thalamus di Narbonne). I cartulari francesi sono una fonte fondamentale per chi si confronta con la civiltà medievale. Già gli storici settecenteschi, Papon, Anibert e prima ancora Baluze, ne avevano sottolineato il ruolo decisivo per una più compiuta conoscenza di un mondo di cui ignoriamo ancora troppi aspetti o di cui ci sfuggono elementi decisivi. Saccheggiati in quanto fornitori di documentazione preziosa per lo studioso del passato, divenuti assunto di analisi per gli storici del diritto, da qualche decennio essi sono usciti dalla condizione di documenti unicamente servili. P. Bertrand, C. Bourlet e X. Hélary, Vers une typologie des cartulaires méridionaux (7- 20), dopo la pubblicazione del fondamentale Répertoire des Cartulaires français. 1 - Provinces ecclésiastiques d’Aix, Arles, Embrun, Vienne, diocèse de Tarentaise. Publié par Isabelle Vérité, Anne-Marie Legras, Caroline Bourdet et Annie Dufour, gli autori dell’articolo riflettono sul lavoro che ancora rimane da fare per indagare queste fonti storiche. In particolare molti cartulaires lasciano intravedere l’esistenza di raccolte precedenti di atti e documenti, da cui essi stessi avrebbero tratto i materiali confluiti nelle loro pagine. Pancartes o pré-cartulaires che siano (10-12), è evidente che essi sono i preziosi testimoni, di un rapporto tra proprietà, memoria e parola scritta ancora in larga parte da analizzare. Ma se tali fonti possono dire moltissimo allo storico, la loro presenza, il loro uso, la loro stessa natura non sono senza ricordare al filologo analoghe raccolte, i Liederblätter, che furono in quei decenni all’origine dei canzonieri trobadorici. Il contributo di Bertrand, Bourlet e Hélary, si intrattiene poi sul problema delle relazioni tra le grandi istituzioni religiose e i notai (12-14), e sulle questioni terminologiche (14-15). Infine una ampia sezione dello studio è dedicata alla analisi della typologie des cartulaires (15-20), arrivando alla conclusione che si possa individuare una tipologia per queste fonti e che una precisa urgenza della ricerca diplomatica sia proprio quella di indagare in questo campo. Alain Venturini, Les cartulaires des anciens Évêchés d’Uzès et de Nîmes (21-31) presenta i risultati di una approfondita recensione dei cartulari assemblati nell’area geografi- 361 Besprechungen - Comptes rendus ca corrispondente grosso modo all’attuale dipartimento del Gard. Complessivamente si tratta di 10 strutture memoriali (due stese nella diocesi di Uzès, otto in quella di Nîmes), di cui solo 4 edite (ma 3 richiederebbero un nuovo studio) e 4 inedite. Circa i rimanenti due non possediamo che la notizia della loro esistenza, e sono per noi dunque irraggiungibili (30-31). Laurent Schneider, À propos de l’espace rural durant le Haut Moyen Âge méridional: archéologie et cartulaires (34-59), analizza il rapporto che si può stabilire tra la documentazione giuridica, l’archeologia e la ricostruzione storica delle mutazioni subite da una determinata area geografica. Fin dal XVIII s. dalle raccolte di chartes furono tratte indicazioni in ordine alla topografia e alla toponomastica in stretta correlazione con l’archeologia (33-35): a questa visione statica della storia di una determinata area, oggi si preferiscono «des approches qui touchent plus largement à l’organisation de l’espace», inscrivendo gli studi archeologici che possono essere condotti a partire dai cartulari in una dinamica «de l’habitat dans un temps long» (35). I cartulari rivelano a loro volta, in queste ricerche, proprio grazie alla analisi della loro stessa organizzazione interna, i contorni delle vicende che presiedettero ai rapporti sociali e di potere che li crearono e di cui essi vollero dare conto. Schneider dopo aver sottolineato come archeologia e cartulari concorrano entrambi alla ricostruzione di storie familiari e sociali di lungo periodo, posto che «les informations livrées par les cartulaires nourissent les recherches qui s’attachent à la notion d’espaces savants ou vécus» (37), passa alla analisi delle «dynamiques de transformation de l’habitat» attraverso lo studio del caso rappresentato dalla villa di Sclacianum/ Esclatian attestata fin dal secolo X (39- 41). Dedica poi alcune pregevoli pagine alla «enquête lexicologique et démarche archéologique: l’exemple des villae avec tour», a partire dalla differenza tra villa e castrum (42-47). La «profondeur mémorielle des patrimoines: le vrai, le faux et les vides documentaires» sono occasioni per riflettere, attraverso una analisi dei diplomi più antichi contenuti nel cartulaire di Saint-Sauveur d’Aniane, sulla integrazione tra creazioni monastiche, le cellae che furono fondate nell’area di Montpellier già nel IX secolo dai carolingi, e lo spazio rurale della regione. Gli scavi archeologici condotti dal 1960 in poi hanno però messo in rilievo le differenze esistenti tra la datazione proposta dalle carte e i risultati delle prospezioni intorno al locus denominato Saugras. Differenze che sono da ricondurre a una attualizzazione del passato e a un desiderio di preservare la libertas dell’insediamento religioso rispetto alle pretese del monastero di Gellona, e che comunque rischiano ai nostri occhi di produrre forti distorsioni storiche. In ogni caso la lezione che possiamo trarre dalla analisi di Schneider è la necessità di una relazione dialettica tra archeologia e diplomatica. Florian Mazel, Cartulaires, cathédraux, réforme de l’église et aristocratie: l’exemple des cartulaires d’Arles (v. 1093-1095) et d’Apt (v. 1122-1124) (61-90), attraverso una analisi di due cartulari tra i più antichi conservati nella regione a est del Rodano, tenta una ricostruzione cronologica dei rapporti tra alcune famiglie aristocratiche e le istituzioni monastiche. L’esame dello storico francese intende verificare la relazione tra la logica aristocratica e la Riforma gregoriana, rilevando le tracce che questo rapporto ha lasciato nella formulazione archivistica riflessa nei cartulari. Ne emerge il contorno di una tipologia di cartulari, definiti «cartulaire cathédral» in cui si intravedono i riflessi dei profondi cambiamenti subiti dalle strutture civili e religiose a cavallo tra XI e XII secolo in Provenza. In essi si mescolano l’intento di affermare l’importanza della vita comune del clero e il desiderio di stabilire un inventario dei beni della chiesa episcopale, ma soprattutto si mette «l’accent sur la puissance de l’archevêque . . . puissance qui est d’abord temporelle, seigneuriale» (70) e dunque anzitutto indipendente da ogni signoria laica. Autonomia che comunque, nel cartulaire di Apt, non esclude l’intento di associare all’episcopatus una famiglia aristocratica, gli Agoult. Sicché una struttura memoriale religiosa diviene anche compilazione familiare. I due documenti sono dunque testimoni delle logiche che presiedettero alle relazioni tra clero grego- 362 Besprechungen - Comptes rendus riano e famiglie nobili in Provenza tra fine XI e inizio XII secolo. Logiche riformatrici, è vero, e insieme anche desiderio di rinnovare una collaborazione tradizionale. Pierre Chastang, La préface du Liber Instrumentorum Memorialis des Guilhem de Montpellier ou les enjeux de la rédaction d’un cartulaire laïque méridional (91-123), anatomizza ideologia, eventi e metodi seguiti nella stesura del cartulaire dei signori di Montpellier, a partire da un esame stringente del testo prefattorio allegato alla struttura diplomatica. Il lungo scritto parrebbe evocare la situazione politica che la città languedociana visse tra la fine del dominio di Guilhem VIII e Guilhelm IX, e dunque situarsi nei primissimi anni del XIII secolo (94-95), ma in ogni caso in esso è evidente il rinvio alle preoccupazioni che la casata stava vivendo. Il cartulario diviene così lo strumento di difesa della proprietà del lignaggio e dunque assume finalità eminentemente giuridiche: siamo cioè ben lontani dalle preoccupazioni escatologiche di cui era intessuto invece il cartulario di Gellona. La seconda parte della prefazione evoca infatti il linguaggio del diritto, costruendo uno strumento che doveva ad un tempo difendere e dare ordine a una proprietà di cui si percepiva la debolezza. La analisi serrata che Chastang conduce sulla raccolta documentaria evidenza i criteri che sovrintesero al suo assemblaggio, ottenuto anche attraverso la raccolta di documentazione proveniente certamente da fondi archivistici preesistenti. Il raffronto tra Liber instrumentorum e Liber Feudorum maior dei conti di Barcellona consente poi allo storico di rilevare congruità e differenze tra questi due cartulari laici quasi coevi. Il Liber Feudorum fu costruito al fine di edificare una sovranità, quella di Alfonso I, in relazione ai suoi vassalli: per chi elaborò quel repertorio, al centro di tutto vi era la regia majestas da cui discendevano territori e uomini. Al contrario il magister languedociano che edificò il Liber instrumentorum sembra piuttosto aver voluto sottolineare la centralità delle strutture di potere della città occitana e della signoria laica che su di essa dominava. Hélène Débax, Un cartulaire, une titulature et un sceau: le programme politique du vicomte Roger II (Trencavel) dans les années 1180 (125-43) indaga la raccolta documentaria dei visconti Trencavel. Tale struttura memoriale fu costruita per sostenere il diritto della famiglia albigese a titolarsi visconti di Albi e non più solo di Ambialet (129): in altri termini essi rivendicarono il diritto del loro linhatge su tutto l’Albigeois e non solo sulla parte orientale. Come e perché essi abbiano reclamato tale sovranità è questione che ancora occupa gli storici: l’autrice verifica però che questi eventi sono in stretta connessione con l’azione politica di Raimondo V di Tolosa che portò a focalizzare sulla regione della Linguadoca gli sguardi delle gerarchie ecclesiali, preoccupate di estirpare ogni forma di eresia. Il cartulario ci permette insomma di gettare luce sul momento della nascita di quegli eventi che furono alla base della fine della civiltà occitanica cantata (e poi rimpianta) dai trovatori del XIII secolo (130). Trattandosi di un organo teso ad affermare una continuità dinastica e destinato dunque a divenire base per ogni forma di rivendicazione territoriale, fiscale, feudale, si comprende perché in esso, assai più che in altre consimili raccolte, abbiano rilievo le formule di giuramento e di fedeltà. Tali espressioni rituali ci consentono a un tempo di leggere l’evoluzione delle strutture promissorie, di intravedere come il linguaggio giuridico si andasse precisando, e insieme di verificare la interazione tra diritto romano e strutture politiche occitaniche (140). L’edizione delle formule di giuramento è ancora da fare, ma una prima sommaria analisi delle locuzioni raccolte nella tesi di dottorato di Laurent Macé ci svela la ricchezza di informazioni che da esse, e dal cartulario dei Trencavel possiamo trarre. Débax nella sua analisi arriva anche a datare con precisione l’epoca di raccolta - e copia - dei diplomi: una prima parte risale agli anni 1185-1186, e fu voluta da Roger II Trencavel. Ma già all’inizio del XIII secolo si volle completare il volume con nuove trascrizioni, probabilmente per ordine di Raimon Roger Trencavel, deceduto nel 1209. Queste aggiunte furono tratte dal liber instrumentorum vicecomitalium, che era allora conservato presso lo studio notarile di Bernart Marti: ne possiamo dedurre che il visconte albigese ab- 363 Besprechungen - Comptes rendus bia desiderato confezionare un secondo cartulario che completasse quello paterno. Le formule di fedeltà sono lì trascritte una di seguito all’altra, spesso in ordine confuso, sovente senza che vengano citati neppure i testimoni e in buon numero senza data: erano dunque assenti elementi che la prassi giuridica meridionale pur considerava indispensabili. Sembra di poterne desumere che i copisti notai, e dunque anche il committente, intendessero sottolineare la centralità assoluta rivestita dalle parole stesse. I verba dovevano essere espressi con una sintassi non sempre lineare ma comunque con un fondo ritmico che aggiungeva alla cerimonia e alla promessa un elemento quasi religioso. È questa la dimostrazione che il giuramento di fedeltà, la base della civiltà meridionale, ebbe in sé un carattere liturgico, che dunque aveva validità propria e che non richiedeva altra conferma: il potere feudale vicecomitale si erigeva dunque sull’autorità stessa della parola (141-42). Damien Carraz, Le cartulaire du Temple de Saint-Gilles, outil de gestion et instrument de pouvoir (145-62), studia il ruolo svolto dagli ordini monastico-cavallereschi nella regione a ovest del Rodano. La fortuna ha voluto che ci siano conservati ben sette cartulari risalenti alle case templari o ospedaliere di quella area. Tra tali monumenti si annovera, inedito, il cartulaire del Tempio di Saint Gilles, testimone della straordinaria fortuna arrisa a quest’ordine insediatosi sulle rive del piccolo Rodano nel 1139 e integrato nel Gran Priorato di Saint Gilles nel 1312 al momento della sua dissoluzione. Il contributo di Carraz si sviluppa lungo due assi di ricerca: il cartulario come strumento di gestione di un patrimonio signorile; la raccolta archivistica in quanto servizio per il dominium templare e forma memorialis dei lignaggi che si legarono ai monaci cavalieri. La struttura diplomatica adotta una organizzazione topografica, fondata sui territori in cui la casa vantava possedimenti. Una analisi delle carte originali conservateci rivela criteri selettivi legati anzitutto al desiderio di marcare la propria autonomia rispetto alle autorità comitali e episcopali. Nel cartulario non dovevano trovare spazio documenti che potessero disturbare l’istituzione nella sua quotidiana lotta per conservare potere e beni acquisiti nella sua storia: esso risponde anzi alle caratteristiche proprie della politica sviluppata da Guilhem Catel, il responsabile della casa dal 1201 al 1204: ne possiamo assegnare la compilazione alla primavera del 1203. Probabilmente la sua stesura fu affidata a qualche notaio, secondo la consuetudine che si andava diffondendo nelle regioni a Sud della Loira. Strumento di gestione il cartulario intese però anche conservare la memoria genealogica dei lignaggi che si legarono all’ordine monastico, divenendo prova - agli occhi dei contemporanei ma anche delle generazioni future della coesione esistente tra Templari e laici. Monique Zerner, L’abbaye de Saint-Victor de Marseille et ses cartulaires: retour aux manuscrits (163-216), in un lavoro ampio e approfondito esamina i cartulari assemblati a Saint- Victor: il grand-cartulaire, raccolto quando i principi della riforma gregoriana stavano penetrando in Provenza e il petit-cartulaire, di epoca successiva e probabilmente rimasto incompiuto. Il primo rispose alla concreta urgenza storica della fine del secolo XI risalendo la sua nascita a pochi anni dopo il 1080. Il secondo, steso dopo il 1246, forse intorno al 1250, riflette invece la grave crisi sociale e religiosa attraversata dalle istituzioni monastiche nel momento del trionfo capetingio e della estinzione della dinastia catalana grande alleata del cenobio marsigliese. La ricostruzione, precisa e puntuale, di Zerner consente di colmare lacune e errori contenuti nella edizione di Benjamin Guérard gettando nuova luce sui meccanismi culturali e gestionali che presiedettero alla stesura della prima raccolta di atti monastici. François Bordes, Les cartulaires urbains de Toulouse (XIII e -XIV e siècles) (217-38), esamina nel suo contributo la serie AA dei registri conservati nelle Archives di Toulouse distinguendo i cartulari veri e propri da altri tipi di raccolte documentarie. Essi sono in ogni caso strumenti decisivi per definire il sistema di relazioni sociali, politiche, giuridiche che si creò nelle comunità urbane. Ne emerge l’esistenza di quattro grandi cartulari medievali, che 364 Besprechungen - Comptes rendus sono oggetto della indagine dell’archivista francese. Tra essi si segnala il cartulaire di Guilhem Bernard (AA 1 e 2), costituito a partire dalla primavera del 1205 e fino al successivo mese di settembre, raccogliendo privilegi e atti essenziali del comune di Toulouse: il lavoro infatti fu realizzato in nome e per conto della universitas della città a difesa dei privilegi e degli usatica qui in Tolosa erant e che erano messi in discussione in quell’arco cronologico dalla azione dei due legati papali Peire de Castelnau e Raoul de Fontfroide. Jacqueline Caille, Les Thalamus de Narbonne (239-47), anatomizza i 17 cartulari consolari conservati a Narbonne sotto il nome di thalamus e composti a partire dalla metà del XIII secolo sotto la sorveglianza della autorità municipale. Caille li esamina e di ognuno definisce tempi e motivi che presiedettero alla redazione: complessivamente essi raccolgono una imponente massa di diplomi che si estende dalla metà del XII s. fino al termine del XV s. Un esame della documentazione a disposizione consente alla ricercatrice di ricollegare il curioso lemma thalamus all’ebraico talmud (reso graficamente nei testi medievali anche con thalmud o talémus e che designò il «libro dei giudei, raccolta di costumi, di tradizioni di leggi») oppure con il latino thalamus, cioè «camera, letto, parte più segreta ove sono conservati i beni preziosi» e da qui per estensione «collezione di atti e di documenti di valore». Jean-Loup Lemaître, Quelques réflexions sur les cartulaires méridionaux (249-51) in omaggio al titolo del suo contributo definisce l’oggetto cartulaire: «[il] n’est pas un simple recueil de copies d’actes, il est l’œuvre d’un homme» e «cet homme lui donne une forme matérielle qui reflète ses préoccupations, ou celles de son commanditaire» (249). Esso dunque somiglia assai più a un libro che a un anonimo documento d’archivio: una constatazione che richiama la necessità di averne studi sempre più precisi e completi, tali da sostituire le pur benemerite edizioni del secolo scorso. Monique Bourin, Conclusion (253-68), lega i cartulari al notariato diffusosi assai presto nel Midi, riconducendo a questo nodo anche la precocità del fenomeno delle strutture memoriali laiche e urbane. Il panorama però, all’interno di questo vasto perimetro si presenta molto vario per tipologia di raccolte (signorie laiche e monasteri), per genere di committenza, per quantità di materiale assemblato (da poche decine di atti a oltre un migliaio), per periodo di redazione (dal 1080 alla metà del XIII secolo). Non di meno, pur tra assenze inquietanti e troppe questioni ancora aperte, l’autrice affaccia al termine del suo contributo l’ipotesi che sia giunto il momento di tracciare una tipologia dei cartulari distinti secondo tempi, luoghi e obiettivi particolari (267-68). Ipotesi affascinante e che non mancherebbe di dischiudere squarci inediti sulla storia della società francese meridionale. Gerardo Larghi ★ Philippe Gardy (ed.), «De Jasmin à Mistral: écritures autobiographiques occitanes», Revue des langues romanes 109 (2005), p. 225-388 La Revue des langues romanes a consacré plus de la moitié du numéro 2 de son tome 109 (2005) aux écritures autobiographiques occitanes. Philippe Gardy, qui a réuni ces études, divise, dans sa Présentation (227-32) et dans le premier article du recueil (Les voies de l’autobiographie en occitan aux XIX e et XX e siècles: Jasmin, Mistral, 233-70), la production autobiographique occitane en deux périodes. La première période, celle de l’autobiographie en vers, est initiée par le poète-coiffeur d’Agen, Jacques Boé, dit Jasmin, qui publie en 1835 Mous soubenis et, vers la fin de sa vie, en 1863, Mous noubèls soubenis. Jasmin, très populaire à son époque, trouve de nombreux imitateurs que Gardy énumère dans la bibliographie qui termine son article. 365 Besprechungen - Comptes rendus