Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2008
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Kristol De StefaniEva-Maria Thüne/Simona Leonardi/Carla Bazzanella (ed.), Gender, Language and New Literacy. A Multilingual Analysis, London-New York (Continuum) 2006, x + 236 p.
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2008
Gaetano Berruto
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Eva-Maria Thüne/ Simona Leonardi/ Carla Bazzanella (ed.), Gender, Language and New Literacy. A Multilingual Analysis, London-New York (Continuum) 2006, x + 236 p. Se la lingua in misura più o meno ampia riflette la cultura e la società, come pare sia indubitabile, ed in particolare è la parte esterna della lingua, il lessico, a costituire l’immediata interfaccia della cultura e della società, è ovvio che sia i tratti più apprezzabili che quelli meno commendevoli di una cultura e una società appaiano riflessi in una lingua, e in particolare nel lessico di quella lingua. È su questa constatazione, di per sé altrettanto vera quanto banale, che si innestano i numerosi lavori nel solco della «linguistica femminista», volta a rintracciare nella lingua la discriminazione e subordinazione sociale a cui in maggiore o minor misura le donne sono soggette nelle diverse culture. Il presente volume, frutto della collaborazione di diciassette autrici (comprese le tre curatrici E.-M. Thüne, S. Leonardi e C. Bazzanella) e due autori, è un bel contributo a questa corrente di studi, e nasce dallo sviluppo di un precedente lavoro in cui era inizialmente concretizzata l’idea di un’analisi comparata del trattamento delle questioni attinenti al genere come vengono categorizzate nei software dei media elettronici in lingue diverse (da qui nel titolo il riferimento alla «new literacy»). Rispetto all’indagine precedente, non sono rappresentati nel presente volume il francese e il danese, ma sono ripresi l’italiano (M. Manera e C. Bazzanella), lo spagnolo (P. Guil) e l’inglese (C. Bettoni), e la gamma di lingue considerate viene estesa a ceco (S. C mejrková), neerlandese (I. van Alphen e A. Corda), tedesco (E.-M. Thüne e S. Leonardi), greco moderno (M. Katsoyannou e D. Goutsos), polacco (J. Miecznikowski), portoghese (M. A. Marques), ebreo moderno (Z. Livnat), ungherese (M. Nagy e V. Patti), turco (M. Castagneto e R. D’Amora) e cinese (A. Ceccagno). Tutti gli articoli sono in inglese, e hanno in comune l’obiettivo di analizzare il «pregiudizio androcentrico» che pervade le rappresentazioni lessicali delle lingue storico-naturali; a questo scopo, prendono in esame il trattamento dei lessemi aventi a che fare con uomo e donna, con il maschile e con il femminile, nei Thesauri dei programmi computazionali Microsoft Word disponibili nelle tredici lingue (per il cinese, Microsoft Pinyin IME 2003). Ogni contributo contiene una discussione della categorizzazione di genere nella lingua presa in considerazione e un’analisi delle entrate del Thesaurus elettronico connesse con il genere e il sesso. Quella proposta nel volume non è quindi tanto un’analisi multilingue, come recita il sottotitolo, ma piuttosto un’analisi di molte lingue (crosslinguistic più che multilingual). In generale, proprio per la ragione che si è detta, gli autori hanno buon gioco a sciorinare il maschilismo linguistico prevalente anche nei più moderni ritrovati tecnologici on-line e a trovare nel lessico di ciascuna delle lingue considerate innumeri esempi di subordinazione della donna nelle sfere lessicali designanti esseri umani e nell’assegnazione del genere ai lessemi: una constatazione più volte ritornante è per es. che i sinonimi e termini connessi presenti nei Thesauri sono molto più numerosi per i termini che si riferiscono al sesso maschile che non per quelli che si riferiscono al sesso femminile, e che l’assegnazione e la spiegazione dei significati vi obbedisce a una «general male-dominant attitude, which reflects a common view of male superiority and female subordination», in cui la donna «is not presented as an ‹individual› in her own right, but only in relation to others» (13). Una forte componente ideologica è inevitabile in approcci di questa natura, e contrassegna come si vede anche la presente raccolta di saggi, che si prefigge di svelare e mettere in luce il sessismo più o meno aperto presente nelle lingue e di poter contribuire in tal modo a ridurne la portata, costituendo un tassello nell’emancipazione di quello che da molti punti di vista può essere equiparato a una minoranza svantaggiata, appunto l’universo femminile. Però, dire che la lingua è sessista in realtà è affermazione priva di senso: sarebbe come dire che la lingua è (o non è) comunista, aziendalista, qualunquista, e via discorrendo. Semmai, sono gli usi che i membri di una cultura e società fanno della lingua e i 235 Besprechungen - Comptes rendus modi in cui ne utilizzano le codificazioni semantiche che devono essere spesso tacciati di veicolare discriminazioni e di perpetuare un mondo concettuale ostile alle donne. C’è da domandarsi quindi se agire sullo strumento linguistico, mostrandone l’intrinseca ineguaglianza di trattamento di uomo e donna incardinata nel lessico e in categorie morfologiche, e argomentando per un suo superamento attraverso un intervento con mezzi linguistici e lessicali, risulti davvero efficace nei confronti del problema che intende affrontare e risolvere. Ciò che deve cambiare, perché cambino i ruoli e gli status di uomini e donne nella società e le relative assunzioni di stereotipi socioculturali, e quindi le rappresentazioni che ne rendono le lingue, è in primo luogo la società: ed è per lo meno dubbio che si possa mutare la società agendo sulla lingua. Chi scrive si rende conto, beninteso, di parlare da un pulpito sospetto, essendo per forza di cose rappresentante della metà avvantaggiata dell’umano universo; ma, pur consci di remare in tal modo contro la corrente oggi dominante in molta sociolinguistica, che vede la lingua come creatrice essa stessa (e non come riflesso) del contesto semantico e interpretativo e della realtà sociale, accetteremmo pertanto la recisa affermazione programmatica di S. Romaine riportata a rinforzo della prospettiva adottata nel volume a p. 3 dell’Introduzione che «Language plays an active role in the symbolic positioning of women as inferior to men. It both constructs and perpetuates that reality» solo a patto di eliminarvi «active» nella prima proposizione e «both constructs and» nella seconda. La discussione generale del quadro di riferimento non intende togliere meriti al presente volume, che anzi si qualifica come una delle migliori cose sinora prodotte nel settore, anche per il carattere molto mirato e sistematico dell’indagine. Infatti ogni capitolo dedicato a una singola lingua è articolato in quattro parti: uno schizzo generale della marcatura di genere in quella lingua; un sintetico sguardo alla struttura sociale retrostante in termini della posizione di uomo e donna e all’eventuale riforma intrapresa quanto alle questioni di genere; un’analisi del Thesaurus per quel che riguarda i termini di parentela, i termini di referenza personale e di allocuzione, i termini occupazionali e i titoli professionali; e una specifica conclusione parziale. Nell’Introduzione le tre curatrici presentano e discutono con gran competenza e chiarezza le tematiche sottese al problema del genere nella lingua. Un punto illuminato bene a questo proposito, e che ritorna in tutti i contributi, è la questione delle designazioni iperonime androcentriche (del tipo gli uomini per gli esseri umani), con particolare riguardo agli pseudo-generici, o falsi generici, che veicolerebbero il pregiudizio maschilista. L’esempio ripreso, a p. 4, da Holmes di taxman, dove man «actually signals ‘male’ in the minds of many speakers», impone tuttavia la distinzione fra significato e enciclopedia e la considerazione del carattere prototipico della semantica di molte designazioni di categorie, entrambe spesso e volentieri trascurate negli studi sulla discriminazione linguistica di genere: è verissimo che per molti, se non tutti, i parlanti taxman evoca un uomo, ma questo è chiaramente dovuto al fatto che l’immagine prototipica connessa alla categoria esattore delle imposte è quella di un uomo, e non per ragioni inerenti al sistema linguistico e alla codificazione che questo impone alla realtà extralinguistica (e così a p. 6 per architect che rimanda a un uomo e secretary che rimanda a una donna). Spesso sono appunto le immagini prototipiche associate a una categoria (cioè un noùmeno psicosociale) che proiettano sui lessemi generalizzazioni non equalitarie. La segnalazione a p. 5 che anche in un termine non marcato semanticamente per genere come people sia stato scoperto un certo grado di pregiudizio maschilista inoltre può essere addotta semmai a prova che la discriminazione non è un fatto linguistico, invece che dimostrare ulteriormente che l’androcentrismo permea la lingua in ogni suo scomparto (altra prova del fatto che la discriminazione sessista sia svincolata dalla lingua in quanto tale è quanto sottolineato nella stessa pagina: che lingue totalmente prive di manifestazione morfologica del genere - nel campione considerato, turco e cinese - 236 Besprechungen - Comptes rendus possono tuttavia permettere la costruzione di messaggi compromessi per genere attraverso diversi mezzi linguistici). Una ricaduta significativa delle analisi condotte sta nel rilevamento di numerosi errori, incongruenze e imperfezioni nei Thesauri di Microsoft Word. Citiamo per tutte la giudiziosa conclusione di C. Bettoni, autrice del capitolo sull’inglese (75): «Is it really appropriate to use the term ‹sexist› to describe a word-processing instrument which can assign top secretary the sole meaning of desk, forget to mention a female referent among the synonyms for millionaire, treat mother only as a verb, and father only as a noun with the sole meaning of priest? Rather than being ‹sexist›, it is simply a badly conceived instrument». Ma una lettura analitica di tutti i contributi, in un lavoro che è mirabilmente ricco di analisi empirica, e che contiene molte cose notevoli, fuoriesce dall’ambito di una normale recensione. Ci limitiamo a citare il contributo sul cinese, di A. Ceccagno, che appare particolarmente interessante in ragione delle caratteristiche stesse della lingua, isolante e perciò da considerare neutrale quanto al genere, e con una scrittura ideografica (e in ragione quindi anche della specificità del word-processor Microsoft ad essa dedicato). Questo consente un duplice originale approccio, prima dall’input grafico (come sono rappresentati nei caratteri i fatti sensibili al genere) e poi esaminando i mezzi che ha, e usa, il cinese per codificare lessicalmente il genere, anche interrogando il data-base lessicale Hownet; dall’analisi risulta fra l’altro che persino un termine generale del tutto non-marcato semanticamente per genere come rén «persona» viene ad essere spesso usato in maniera tale da implicare di fatto il riferimento a «uomo». L’autrice può quindi facilmente concludere (228) che anche il «Chinese, a potentially gender-free language, is in actual fact governed by socio-cultural . . . assumptions and expectations about the relationship between women and men, and therefore can be gender-biased» (il che è anche una riprova, se ce ne fosse bisogno, di quanto si diceva qui all’inizio, che il sessismo non è un fatto in sé linguistico, ma è indipendente dal sistema linguistico). È doveroso in una recensione segnalare piccole pecche in singoli punti del lavoro (tutt’altro che numerose, va detto: la competenza tecnica mostrata nei vari contributi è per lo più ineccepibile). A p. 6, riga 8, presumibilmente manca qualcosa come particles fra «separate» e «that specify». A p. 10, un recensore supercilioso può notare che l’elenco delle famiglie a cui appartengono le lingue esaminate non è propriamente «from a typological point of view», ma sarebbe, trattandosi appunto di famiglie e non di tipi linguistici, piuttosto «from a genealogical point of view»; e che classificazioni come «Semitic family» e «Finno-Ugric family» si pongono più precisamente a un livello inferiore che quello di famiglia che appare nello stesso elenco in «Indo-European family», «Sino-Tibetan family», ecc., trattandosi di sottofamiglie o rami (rispettivamente della famiglia afro-asiatica e di quella uralica) e non di famiglie o stocks. Non è chiaro che cosa voglia dire (a meno che non vi sia un «semantic» usato erroneamente), a p. 38, che «in the analytical structure of English, gender is already a purely semantic category . . . and has started to be re-analysed as a semantic category». A p. 108, riga 4, sembra inusuale parlare di «nominal syntagm» invece che di «noun phrase». Nel complesso il volume recensito è un lavoro con molti meriti, che arricchisce di un significativo corpo di analisi la nostra conoscenza delle manifestazioni linguistiche della realtà socioculturale associata al genere. Gaetano Berruto 237 Besprechungen - Comptes rendus
