Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniAlberto Roncaccia, Il metodo critico di Ludovico Castelvetro, Roma (Bulzoni) 2006, 452 p. (Europa delle Corti)
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Gabriele Bucchi
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riale precostituito a tale fine» (231). A questo proposito lo studioso pubblicava per la prima volta (qui alle p. 250-57) un frammento autografo tratto dagli abbozzi di casa Castiglioni cui dava il titolo di Lettera in difesa delle donne indirizzata a uno degli interlocutori del Cortegiano, Niccolò Frisio. In questo scritto, che per il tono apologetico presenta notevoli affinità contenutistiche con quello che sarà l’ultimo libro del trattato, G. proponeva di vedere il nucleo originario di alcune pagine del Cortegiano, riconducibile nella forma «ai diversi trattatelli in lode e in difesa delle donne, che fiorivano . . . tra il Quattro e il Cinquecento in ambiente ferrarese e mantovano» (252). Nello stesso saggio G. puntalizzava anche, in gran parte ridimensionandola, l’entità della revisione linguistica d’autore secondo quelle norme bembesche che si erano affermate proprio negli anni dell’ultima sistemazione del trattato in vista della stampa (1525-28). Come ricordava lo studioso, al Castiglione, diversamente da Ariosto, «la codificazione ortografica e grammaticale interessava certo . . . ma non fino al punto di impegnarlo in scelte drammatiche», che non a caso verranno demandate ad altri in prossimità della stampa. Concludono il volume alcune recensioni di argomento castiglionesco apparse lungo quasi un ventennio (1959-78): pur in un respiro inevitabilmente più breve, anche queste pagine, al pari dei saggi più ampi, sono una bella testimonianza della lunga fedeltà prestata dal compianto studioso allo scrittore mantovano. Gabriele Bucchi ★ Alberto Roncaccia, Il metodo critico di Ludovico Castelvetro, Roma (Bulzoni) 2006, 452 p. (Europa delle Corti) Il volume si presenta come una ricognizione complessiva sull’attività critica di Ludovico Castelvetro, di cui l’autore tenta di delinare un «metodo» che presenti caratteri di organicità e di coerenza. Movendo dagli studi novecenteschi ormai classici sul letterato modenese (Raimondi, Baldacci, Bigi) e dalle numerose scoperte filologiche dell’ultimo ventennio (particolarmente quelle di Giuseppe Frasso e della sua scuola), R. cerca di enucleare le linee portanti della riflessione di Castelvetro sul problema della lingua (non solo letteraria) e sull’imitazione dei modelli volgari. Lo studio, suddiviso in tre parti, prende le mosse da un capitolo poco conosciuto del pensiero castelvetriano; non un’opera del modenese, ma un dialogo di cui egli è protagonista: i Ragionamenti sopra alcune osservationi della lingua volgare di Lazzaro Fenucci usciti nel 1551 (Orientamenti critici nella fase modenese, 33-114). Il testo, opera di un amico di Castelvetro e sodale dell’accademia che fu sciolta per sospetto d’eresia nel 1545, costituisce secondo R. «una fonte preziosa per individuare gli aspetti più propriamente letterari dell’attività del gruppo modenese» (37) la cui «altezza cronologica . . . può consentire di ‹fotografare› una fase dell’evoluzione del pensiero critico di Castelvetro» (62). Nell’accostarsi alla questione della lingua volgare il dialogo del Fenucci assume come riferimento normativo, non di rado obiettivo polemico già in questa prima fase del dibattito, le Prose della volgar lingua di Bembo che erano state riproposte in un’importante edizione curata dal Varchi solo due anni prima (1549). R. individua nei Ragionamenti di Fenucci, particolarmente laddove è il personaggio Castelvetro a parlare, la presenza di alcuni temi che torneranno, più ampiamente sviluppati, nelle opere originali degli anni dell’esilio: l’attenzione per le forme poetiche lunghe e metricamente elaborate (canzone e sestina), l’aperta ammirazione per il Bembo poeta, giudicato non inferiore allo stesso Petrarca (mentre più di una riserva è espressa sull’opera del grammatico), infine, sul piano formale, un «approccio argomentativo dilemmatico tipico della retorica critica del Modenese» (75). 279 Besprechungen - Comptes rendus Per meglio ricostruire il clima da cui trasse origine la riflessione critica di Castelvetro, R. si sofferma successivamente sull’attività poetica del gruppo modenese negli anni compresi tra il 1536 e il 1542, una «fase cronologicamente alta dell’accademia» ancora non nicodemitica (100). L’attività poetica degli intellettuali riuniti intorno a Castelvetro in questi anni è testimoniata da una produzione in versi tematicamente e metricamente piuttosto varia, in parte costituita da sonetti di corrispondenza (i componimenti del codice Mil. Coll. IV 18 della Biblioteca Universitaria di Breslavia vengono ripubblicati da R. alle p. 311-17). In questi esercizi accademici lo studioso rileva la presenza, rispetto al modello petrarchesco, di «una tematica diversa da quella più fortunata dell’amore infelice, volta a secondare . . . una maggiore capacità di accoglimento lessicale e sintattico-ritmico» (95). È particolarmente nei sonetti e nei componimenti di Filippo Valentini, principale ideologo letterario dell’accademia insieme a Castelvetro, che si può constatare la presenza frequente di temi religiosi e politici nonché la predilezione per le soluzioni più sperimentali della lirica dantesca e petrarchesca (specialmente nella forma della canzone), queste ultime presenti anche nell’opera bembiana, ma limitatamente alla stagione degli Asolani. Nella seconda sezione dello studio (La riflessione teorica, 115-95), concettualmente la più ardua a causa anche della ben nota difficoltà dello stile argomentativo del Modenese, R. affronta il problema della posizione castelvetriana in merito all’origine del linguaggio (cui si era già accostato Werther Romani) confermandone sostanzialmente le posizioni convenzionaliste di origine aristotelica. Particolarmente rilevante è a questo proposito l’attenzione prestata da R. alla distinzione operata da Castelvetro nelle Giunte alle Prose della volgar lingua tra le nozioni di «grammatica» e di «stile», che invece tendono a sovrapporsi nella teoria bembesca. È precisamente nelle Giunte che si assiste, secondo R., al più deciso allontanamento rispetto alle posizioni del veneziano: un distanziamento che risulta evidente nel rifiuto di riconoscere a una lingua storicamente individuabile la supremazia sulle altre «per natura», ma solo «per accidente» e ricorrendo al concetto oraziano di «uso». Nell’illustrare le strategie interpretative del commentatore della Poetica aristotelica, un ampio spazio è dedicato ai criteri adottati da Castelvetro nell’esame dei testi letterari. Importanza fondamentale assume la «tenuta logico-linguistica» del testo, verificata generalmente attraverso l’operazione della parafrasi o spositione, che costituisce il primo irrinunciabile metro di giudizio assunto dal critico modenese. Nella terza parte (Il commento al testo letterario, 195-294) vengono puntualmente riprese le posizioni teoriche già illustrate per essere verificate nel campo della più concreta analisi dei testi letterari: il commento alle Rime del Petrarca (uscito postumo nel 1582), quello incompiuto alla Commedia (pubblicato solo alla fine dell’Ottocento) e infine la risposta (1559) all’Apologia di Annibal Caro sulla censura alla canzone in lode della casa di Francia. Comune a questi tre momenti della riflessione critica castelvetriana, come R. dimostra convincentemente, è il ricorso a precise strategie di analisi: la reductio tematica, intesa come «verifica della coerenza logico-grammaticale complessiva» (204) con l’applicazione (estesa anche a testi non narrativi) del concetto aristotelico di favola; la distinzione prioritaria di ordine (piano sintattico) e sentimento (piano semantico) nell’approccio al testo; la costante ricerca di spiegazioni per il singolo componimento all’interno del più ampio contesto macrotestuale in cui esso è inserito (particolarmente evidente nella critica petrarchesca); la centralità assoluta, infine, della categoria di inventio nel giudizio sugli autori antichi e moderni. Sulla base di un’abbondante e sempre significativa esemplificazione tratta dall’esame acuto e irriguardoso compiuto da Castelvetro sulla canzone del Caro, R. illustra quella «procedura interpretativa di impostazione razionalistica» (232) che assume dimensioni «sproporzionate sia alle dimensioni sia all’importanza letteraria del testo» (275). Si tratta di un famigerato episodio di critica «militante» nel quale lo studioso vede giustamente 280 Besprechungen - Comptes rendus l’«espressione . . . di una proposta metodologica coerente e compiuta per l’approccio al testo letterario» (274) da parte di Castelvetro. Oltre a costituire un’importante definizione complessiva delle posizioni di Castelvetro critico e linguista lungo un trentennio storicamente decisivo per la storia della lingua italiana, lo studio di Roncaccia ha anche il merito di contribuire, attraverso la pubblicazione di alcuni inediti e all’utile riproduzione anastatica della princeps del dialogo di Fenucci, a una più precisa conoscenza storica dell’ambiente accademico modenese e all’individuazione di aspetti poco noti e spesso non convenzionali del classicismo postbembesco. Gabriele Bucchi ★ Galileo Galilei, Il saggiatore. Edizione critica e commento a cura di Ottavio Besomi/ Mario Helbing, Roma/ Padova (Editrice Antenore) 2005, 699 p. (Medioevo e umanesimo 105) Il Saggiatore può essere considerato l’opera più famosa di Galileo Galilei. L’edizione critica ora proposta da Ottavio Besomi e Mario Helbing rappresenta la seconda parte del loro progetto con il quale essi hanno voluto non soltanto dare alle stampe una nuova edizione critica dell’opera, ma anche collocare la genesi e l’effetto del trattato nel suo contesto storico-culturale. Va subito detto che questa sfida è riuscita loro molto bene. Già nell’ampia introduzione, come anche nel commento al testo, gli Autori riescono ad evidenziare il denso tessuto delle reti intertestuali, illustrandole con citazioni molto ampie dei relativi documenti e rendendo accessibili i più importanti trattati che hanno influenzato la controversia erudita in cui si inserisce il Saggiatore. Mettendo insieme i due volumi dell’edizione, si tratta, quindi, di una vera e propria documentazione complessiva di tutta la polemica attorno alle tre comete che apparsero nel cielo tra il 1618 ed il 1619. Nel primo volume del 2002 1 gli Autori avevano pubblicato la Disputatio astronomica De tribus cometis anni MDCXVIII (Besomi/ Helbing 2002: 249-87) del gesuita Orazio Grassi, stampata a Roma tra febbraio e marzo del 1619, il quale avviò la polemica. Inoltre la replica del Discorso delle comete (Besomi/ Helbing 2002: 111-92, in traduzione italiana), risposta critica di Galileo ed il suo discepolo Mario Guiducci alle tesi cometarie della Disputatio, e non ultimo la Lettera a Tarquinio Galluzzi di Guiducci (Besomi/ Helbing 2002: 289-317). Ora gli Editori completano il quadro con l’edizione critica e commentata del Saggiatore. Oltre alla fedeltà filologica, l’edizione ha per fine principale di rendere rintracciabile l’elaborazione dell’opera e lo sviluppo di tutto il dibattito scientifico attraverso un facilitato confronto dei vari testi. L’edizione del Saggiatore (86-320), quindi, è affiancata da una traduzione italiana della Libra di Orazio Grassi (365-433) che suscitò la risposta di Galilei nella forma del Saggiatore. Gli Autori hanno, però, anche lasciato i brani del testo latino della Libra conformi all’editio princeps (curata in parte da Galileo stesso), che quindi rimane incorporato nel Saggiatore nell’originale latino (86-320). Non ultimo, gli Autori rendono accessibile per la prima volta in italiano le postille di Galileo alla Libra, rilevate dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, i quali rappresentarono la prima reazione intellettuale dell’astronomo pisano alla Libra e gli servirono come bozza per la composizione dell’opera (321-64). Le pagine 436 fino a 639 sono riservate al dettagliato commento ai testi. 281 Besprechungen - Comptes rendus 1 G. Galilei/ M. Guiducci, Discorso delle comete, Edizione critica e commento a cura di O. Besomi/ M. Helbing, Roma/ Padova 2005.
