eJournals Vox Romanica 68/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2009
681 Kristol De Stefani

Piera Molinelli (ed.), Standard e non standard tra scelta e norma. Atti del XXX Convegno della Società Italiana di Glottologia (Bergamo, 20-22 ottobre 2005), con la collaborazione di Giuliano Bernini/Pierluigi Cuzzolin/Ada Valentini, Roma (Il Calamo) 2007, 116 p.

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2009
Massimo  Cerruti
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la linghua toschana im vorliegenden Codex als wichtiges kontextuelles Verfahren zu werten. Cardini gelingt es in überzeugender Weise, die von ihm aufgeworfenen Fragen und ihre Beantwortungsversuche bezüglich des Verhältnisses von Ordine d ẻ lle lætt ẻ re, der Grammatichetta vaticana und anderen Schriften Albertis zu klären. Cardinis zentrale These - die er unter anderem mit den im Anhang versammelten Auszügen aus nicht weniger als acht zeitgenössischen Vergleichsmanuskripten und deren paratextuellen Auswertung zu stützen vermag - besagt, dass die Handschrift Moreni 2 nicht etwa ein zufälliges Konvolut von Schriftstücken sei, sondern ein thematisch organisiertes Textkorpus, das von den Zeitgenossen zum Thema Trost zusammengestellt worden sei: . . . il Moreniano è non soltanto un codice allestito dall’Alberti ma un corpus organico e coerente, e nella fattispecie un corpus consolatorio. E difatti l’Alberti lo costruì come lui solo poteva, attivando, una volta di più, le più peculiari e costanti tendenze della sua ‹poetica›: rigorosa unità programmatica e tematica e al tempo stesso varietà estrema di generi e stili. A partire dall’Ordine d ẻ lle lætt ẻ re il programma della ‹rifondazione› è attuato lungo tutto il codice (lxiv s.). Entsprechend ist auch der von Cardini gewählte, zuerst einmal überraschende Buchtitel zu verstehen. Der Ordine d ẻ lle lætt ẻ re dient zur Herstellung einer weiteren - äußeren, orthographischen - Kohärenz. Wollte man - bei allem Lob - etwas Kritisches über Cardinis äußerst kenntnisreiche und genaue Analyse der Handschrift anmerken, so bliebe allenfalls zu erwähnen, dass die Analyse über keine klare Textgliederung verfügt. Zwar sind Kohärenz und Kohäsion des Textes stets gewährleistet, doch wäre man als Leser dankbar, wenn der bisweilen etwas trocken präsentierte Stoff besser strukturiert und in Kapitel unterteilt oder doch zumindest in gekennzeichnete Sinneinheiten gegliedert wäre. Die äußere Ausstattung des Buches ist wie die Mehrzahl der Titel aus dem Hause Olschki in gewohnt guter, sorgfältiger, ansprechender Qualität. Auch die Faksimile-Reproduktion des Manuskripts überzeugt voll und ganz. Jochen Hafner ★ Piera Molinelli (ed.), Standard e non standard tra scelta e norma. Atti del XXX Convegno della Società Italiana di Glottologia (Bergamo, 20-22 ottobre 2005), con la collaborazione di Giuliano Bernini/ Pierluigi Cuzzolin/ Ada Valentini, Roma (Il Calamo) 2007, 116 p. Negli Atti del XXX Convegno della SIG la discussione di due nuclei tematici principali, il concetto di standard e i processi di standardizzazione, si dettaglia nell’analisi di situazioni linguistiche e sociolinguistiche specifiche, tra di loro anche estremamente eterogenee (relative al romanì, alle lingue amerindiane, alle iraniche e al vedico, nei contributi di Yaron Matras, Luciano Giannelli, Adriano Rossi e Romano Lazzeroni, rispettivamente) e si inserisce in un quadro teorico delineato dall’intervento iniziale di Gaetano Berruto, su Miserie e grandezze dello standard (13-41). In questo primo contributo l’autore indaga le connotazioni positive e negative che il concetto di standard assume in linguistica: le prime (le grandezze) determinate sostanzialmente dall’essere strumento di unitarietà, neutrale rispetto a vari fattori sociali, punto di riferimento per l’analisi della variazione, varietà «completa» (Endvarietät, in termini kleiniani); le seconde (le miserie) dall’essere «patologico nella sua artificiale uniformità, fattore di diseguaglianza, povero di mezzi espressivi, stereotipato, privo di originalità, fonte e oggetto di purismo ingiustificato» (18; con molti «pro» che sotto altri profili si rivelano dei «contro», 268 Besprechungen - Comptes rendus e viceversa). Esamina poi alcune opposizioni correlate alla nozione di standard (naturale vs. artificiale, anche nella prospettiva dei processi di standardizzazione, e standard vs. sub standard e/ o non standard) e discute gli aspetti di convergenza e divergenza tra i concetti di standard e norma (descrittiva, prescrittiva e statistica) e tra standard e nozioni affini, quali quelle di Ausbausprache e lingua comune. Una riflessione teorica che prende le mosse dalla disamina dei tratti definitori del concetto di lingua standard 1 . Fra le proprietà costitutive della nozione, risulta centrale (benché non unicamente) l’attributo della codificazione. Intesa nei termini dell’esistenza di un complesso di norme e testi di riferimento, la codificazione rappresenta un carattere definitorio invero basilare per la categoria sociolinguistica di standard, anche perché sottende una delle dinamiche fondamentali per le condizioni e i modi di vita di una lingua nella società: la dialettica tra uniformità e variazione. Lo standard risponde infatti a un’esigenza di uniformazione, ovvero di unitarietà, che è comune e facilmente riscontrabile nella storia di ogni comunità linguistica e che è data realizzarsi a livello sia linguistico sia extralinguistico. Sul piano linguistico lo standard rappresenta notoriamente un sistema di riferimento (stabile in sincronia) che comporta nei fatti la neutralizzazione della variazione sociolinguistica, vale a dire il livellamento delle differenze di natura diatopica, diastratica e diafasica 2 . La distinzione tra standard e non standard, come recentemente sottolineato da Ammon 3 , manifesta cionondimeno un carattere in certo modo graduale, con un corpo consistente di forme indiscutibilmente standard e alcuni casi di confine dati da forme di attribuzione incerta, da cui consegue, specie per certi livelli d’analisi, l’esistenza di una qualche quota di varianti «consentite». È interessante in questa prospettiva il rapporto tra standard e varianti in vedico, discusso da Lazzeroni (109-16). La lingua degli inni sacri del Rig Veda antico, detto anche «Veda delle classi», si distingueva da quella degli inni del Rig Veda recente e dell’Atharva Veda, o «Veda delle masse», non in base a un’opposizione del tipo di standard vs. non standard ma sul fondamento di due diversi orientamenti culturali; le lingue con cui si praticavano questi due generi letterari erano infatti ugualmente, e fortemente, standardizzate ma riflettevano la prima la cultura della casta bramanica e la seconda una cultura più popolare. Pur in una stabilità «che ricorda quella del latino dei dotti del rinascimento» (114), entrambe le varietà di vedico presentavano una gamma elevata di varianti, con comune alternanza di forme occidentali, tendenzialmente innovatrici, e antioccidentali, tipicamente conservatrici; la scelta del cantore era tuttavia retta da norme che determinavano una prevalenza di varianti del primo tipo nel Veda delle classi e del secondo tipo nel Veda delle masse. Anziché rappresentarne una deviazione, tali varianti figuravano quindi come veri e propri elementi costitutivi dello standard. Sul piano extralinguistico, invece, lo standard garantisce uniformazione, e quindi parità linguistica, principalmente in virtù della propria neutralità rispetto a varietà di lingua so- 269 Besprechungen - Comptes rendus 1 La disamina è operata confrontando tra di loro le proposte teoriche di alcuni degli autori che più hanno lavorato sul tema (U. Ammon, «Explikation der Begriffe ‹Standardvarietät› und ‹Standardsprache› auf normtheoretischer Grundlage», in: G. Holtus/ E. Radtke (ed.), Sprachlicher Substandard I, Tübingen 1986: 1-62; J. E. Joseph, Eloquence and Power. The Rise of Language Standards and Standard Language, London 1987; P. L. Garvin/ M. Mathiot, «The Urbanization of the Guaraní Language. A Problem in Language and Culture», in: A. F. C. Wallace (ed.), Men and Cultures, Philadelphia 1956: 783-90; E. Haugen, «Dialect, Language, Nation», American Anthropologist 68 (1966): 922-35. 2 «One might almost describe standard languages as pathological in their lack of diversity», R. A. Hudson, Sociolinguistics. Cambridge 2 1996: 34. 3 U. Ammon, «Standard Variety», in: U. Ammon/ N. Dittmar/ K. J. Mattheier/ P. Trudgill (ed.), Sociolinguistics. An International Handbook of the Science of Language and Society. 2 nd completely revised and extended edition, vol. 1, Berlin/ New York 2004: 273-83. cialmente e/ o geograficamente determinate 4 . Al carattere unificante della lingua standard - sul quale però, come rileva Berruto (38), è piuttosto il concetto affine di lingua comune a porre l’accento - è intrinsecamente connesso anche il valore simbolico-ideologico di emblema dell’identità nazionale. Tale valore è riconosciuto come fondamentale proprio in una delle trattazioni considerate tradizionalmente di riferimento, quella di Garvin/ Mathiot 1956 (cf. N1), che include tra gli attributi definitori del concetto di standard le due funzioni unificatrice (all’interno dei propri confini nazionali) e separatrice (nei confronti delle unità nazionali esterne) 5 . L’esigenza, anche ideologica, di unitarietà può però conoscere dimensioni e connotazioni diverse a seconda della specifica realtà sociolinguistica in cui si colloca. È fondamentale in questo senso il contributo di Giannelli sulle lingue amerindiane (55-80), che mostra come in un contesto (quale quello indigeno americano) dove manchi il presupposto del nazionalismo, il senso di «comunità pratica» (65) prevalga su quello di affinità nazionale, con conseguenze di assoluto rilievo su processi e operazioni di standardizzazione. Nel contesto amerindiano, in cui non mancano oltretutto posizioni esplicite di rifiuto verso l’uniformazione linguistica interna, le spinte alla standardizzazione sono generalmente di ordine strumentale, anziché ideologico o identitario: la comunicazione orale e scritta ad ampio raggio e l’educazione scolastica nella lingua indigena, oltre che nella lingua nazionale. Orientamenti ideologici (di matrice identitaria, benché comunque non nazionale), si palesano invece riguardo alle forme e alle modalità di standardizzazione della lingua indigena; non mancano infatti posizioni avverse alla stessa scrittura, non soltanto in ragione del pericolo che essa rappresenta per la preservazione del patrimonio orale tradizionale ma, nelle inclinazioni più estremiste, anche perché sentita come «strumento dei bianchi per le lingue dei bianchi (all’occorrenza da impiegare - l’uno e l’altre - dagli indiani)» (69). Delle modalità generali e dei caratteri ricorrenti dei processi di standardizzazione, così come degli agenti sociali che operano sullo standard, danno conto in maniera esemplare varie realtà linguistiche presentate e discusse nel volume, che documentano inoltre la dimensione prima di tutto sociopolitica del fenomeno. Particolarmente interessante sotto questo profilo è il caso del tagico (illustrato da Rossi, 89-91), oggetto nella sua storia della pianificazione linguistica sovietica. Le prime fasi del processo di standardizzazione si svolsero negli anni Venti del secolo scorso e furono accompagnate, come accade in genere (in assenza di un controllo centrale), da un fervido dibattito sulla varietà da considerare quale base migliore per la lingua letteraria, che produsse una scelta coerente con le volontà della leadership intellettuale e politica del movimento di standardizzazione. In questa fase di selezione, da intendere propriamente nei termini di Haughen 6 , ebbero un ruolo fondamentale gli scrittori, e uno di loro in particolare (Sadriddin Ajni, il primo a introdurre nelle proprie opere tratti tipici della lingua parlata), a conferma di come, dei vari agenti sociali implicati nella formazione di uno standard, spesso siano proprio gli scrittori, i model writers del recente modello di Ammon 7 , ad esercitare un influsso decisivo nella costruzione di uno «standard per sviluppo naturale» (di contro al peso determinante degli esperti di lingua in uno 270 Besprechungen - Comptes rendus 4 A cui fa tuttavia da contraltare il valore di metro di valutazione delle produzioni linguistiche, che può trasformare lo stesso standard in strumento di sanzione della disparità linguistica, quando non sociale; è questo un aspetto del resto ben noto a diverse realtà sociolinguistiche, tra le quali anche quella italiana. 5 Su questo ed altri valori ideologici dello standard si veda anche il recente A. Deumert, «Standard Languages as Civic Rituals - Theory and Examples», Sociolinguistica 17 (2003): 31-51. 6 Il modello di Haugen 1966 (cf. N1), prevede com’è noto quattro dimensioni principali di standardizzazione, da intendere tipicamente come fasi successive di uno stesso processo: una prima, detta norm selection, di scelta della varietà alla base dello standard (selezione monocentrica) o dei tratti «standard per creazione artificiale», 30 e 36). Il sistema di scrittura, che è del resto spesso mezzo di codificazione e oggetto di standardizzazione al tempo stesso, conobbe gli stravolgimenti maggiori. I caratteri latini subentrarono a quelli arabi all’inizio degli anni Trenta, per poi venire a loro volta sostituiti, dopo un solo decennio, dall’alfabeto cirillico; una scelta, quest’ultima, che diversamente dalle precedenti, fu controllata centralmente e funzionale al processo di formazione dell’identità sovietica nei contesti di minoranza. Con l’indipendenza del Tagikistan del 1991, tuttavia, le formazioni di guerriglia, prima, e i movimenti estremisti islamici, poi, ripristinarono per propaganda l’alfabeto arabo, la cui reintroduzione continua anche in anni più recenti, benché «in modo abbastanza casuale» (nelle parole di Rossi, 91; che prosegue così: «quello del Tagikistan potrebbe divenire uno dei primi esempi della storia di antipianificazione linguistica (semi)pianificata»). Le difficoltà che incontra un processo di standardizzazione nelle sue fasi di sviluppo, già evidenti dagli esempi citati delle lingue amerindiane e del tagico, sono inoltre ben esemplificate dal caso del romanì, descritto da Matras (43-53). Qui problemi di carattere generale si sommano a problemi linguisticamente e culturalmente più specifici, derivanti non soltanto dal carattere non territoriale di questa lingua, ma anche dalle peculiari caratteristiche della società romanì, che per tradizione manca di una struttura sociale gerarchica e, di conseguenza, di una classe sociale e una varietà di lingua dominanti. Le fasi di selezione e di codificazione 8 , in particolare, vivono il conflitto tra le posizioni volte all’internazionalizzazione dello standard e quelle orientate verso la sfera locale o regionale; gli obiettivi di unità politica e di emancipazione culturale delle prime contrastano con il tipo principale di destinatari delle pubblicazioni in romanì, le comunità locali o regionali, a cui fanno invece riferimento le seconde. Il risultato è che in paesi diversi sono attualmente in uso sistemi di scrittura differenti, ciascuno dei quali tendenzialmente frutto della combinazione di alcuni criteri internazionali (stabiliti dall’International Romani Union) con le convenzioni alfabetiche delle rispettive lingue nazionali. Le caratteristiche sociopolitiche, storiche e culturali delle realtà citate, come del resto di altre descritte nel volume (del fârsi, del pašto e del curdo, per citare alcuni esempi di lingue iraniche), contribuiscono così ad arricchire, anche in virtù delle loro peculiarità, il quadro comparativo di riferimento dei fattori e delle motivazioni che, con modalità e forze diverse a seconda dei vari paesi, intervengono nel processo di formazione di uno standard; un processo che rappresenta un tipo particolare di cambiamento sociolinguistico, finora scarsamente esplorato sulla base di analisi comparative. Massimo Cerruti ★ 271 Besprechungen - Comptes rendus costituenti lo standard, attinti da varietà diverse (selezione policentrica); una seconda, norm codification, di definizione del codice linguistico normativo vero e proprio; una terza, norm implementation, di diffusione e accettazione sociale della norma; una quarta, norm elaboration, di sviluppo delle funzioni e dei domini d’impiego dello standard. Per una recente discussione del modello v. A. Deumert/ W. Vandenbussche, «Standard languages. Taxonomies and histories», in: A. Deumert/ W. Vandenbussche (ed.), Germanic Standardizations: Past to Present, Amsterdam 2003: 1-14. 7 U. Ammon, «On the social forces that determine what is standard in a language and on conditions of successful implementation», Sociolinguistica 17 (2003): 1-10. Ammon individua quattro forze sociali in azione sullo standard, in mutua interazione tra di loro: i parlanti/ scriventi professionali (model speakers and model writers), che producono testi modello; le autorità normative (language norm authorities), che istruiscono e correggono, in relazione alla norma, i comportamenti linguistici; il codice linguistico (language codex), decretato dai manuali normativi di riferimento; e gli esperti di lingua (language experts), che valutano, e in certi casi determinano, ciò che è standard. 8 Ci si continua qui a riferire al modello di Haugen sopra citato, per cui v. N6.