eJournals Vox Romanica 69/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2010
691 Kristol De Stefani

Günter Holtus/Fernando Sánchez Miret, Romanitas – Filología Románica – Romanística, Tübingen (Niemeyer) 2008, 281 p.

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2010
Michela  Russo
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Linguistique romane générale - Allgemeine romanische Sprachwissenschaft Günter Holtus/ Fernando Sánchez Miret, Romanitas - Filología Románica - Romanística, Tübingen (Niemeyer) 2008, 281 p. Il volume trae lo spunto da un soggiorno a Göttingen di Fernando Sánchez Miret in qualità di borsista della fondazione Alexander von Humboldt durante il 2006. Esso prende in esame i contenuti della linguistica romanza, vagliando i fondamenti della disciplina e i futuri sbocchi. Una parte introduttiva è dedicata alla discussione terminologica relativa ai termini «Romanitas», «filologia romanza» e «linguistica romanza», nonché alla storia della filologia romanza e agli orientamenti da essa seguiti in Germania e in Spagna (11-23). Il termine «Romanitas» sembra attestato per la prima volta in Tertulliano nel senso di «maniera romana, romanità» parallelamente a «latinitas»; esso ricorre all’interno del sintagma «Romanitatis lingua» (parallelamente a «lingua Romana» lingua di Roma). Holtus e Sánchez Miret spiegano che il termine «Romania» è utilizzato per indicare l’impero romano o l’«orbis». Esso è documentato a partire dal 330 in antinomia a Barbaria. È solo nel XIX secolo che la parola «Romania» viene ripresa in ambito romanistico per designare le lingue romanze nel loro insieme e i rispettivi territori. Viene inoltre ricordato che già nel 1872 Gaston Paris aveva scritto un articolo nel quale venivano discussi i termini Romani, Lingua Romana e Romania. Gli autori del volume proseguono con una discussione delle discipline il cui oggetto di studio è la «Romania». Attraverso il parere di grandi studiosi quali Malkiel, Meyer-Lübke o Metzeltin vengono messi in risalto i fattori pro e contro: oggi con «Romanische Philologie» si designa in quasi tutte le università tedesche sia la branca relativa alla linguistica sia quella relativa alla letteratura, con la conseguenza di un difficile taglio unitario della disciplina, date le differenze di base che caratterizzano gli studi linguistici e gli studi letterari. Viene discussa poi la posizione di Hugo Schuchardt, il quale sottolinea la prerogativa peculiare delle lingue romanze, ossia la conoscenza che ne abbiamo attraverso la trasmissione storica, dato peraltro sottolineato anche da Yakov Malkiel a proposito della ricostruzione di «dati autentici», «materiale tangibile» e interesse per la dinamica dello sviluppo. Malkiel ventilava anche alcuni aspetti negativi, quali l’indifferenza verso gli studi tipologici (a causa, probabilmente, della prossimità dei sistemi comparati) e una riluttanza alla sperimentazione di dati ipotetici. Anche Wilhelm Meyer-Lübke si è occupato approfonditamente degli obiettivi della linguistica romanza. Tra molti altri, è Michael Metzeltin a sottolineare la necessità di moltiplicare gli studi specializzati senza tuttavia perdere l’effetto comprensivo; ossia, le lingue devono essere analizzate e scomposte inizialmente nei singoli elementi che le costituiscono per essere percepite solo in un secondo momento nel loro insieme. Ciò obbliga la romanistica, ancora secondo Metzeltin, a conservare con recisione la sua componente comparativa. In questa sezione del volume, vengono descritti anche i cinque ambiti che per Metzeltin devono richiamare l’attenzione di un romanista: gli aspetti diacronici e sincronici di una grammatica delle lingue romanze, una descrizione comparativa delle grammatiche e dei lessici romanzi, la descrizione degli usi linguistici individuali o di gruppo (e quindi sociali). Ancora in questa stessa sezione (14-15) vengono discussi gli elementi in comune e le differenze tra il LRL (il Lexikon der Romanistischen Linguistik) e il Grundriss der romanischen Philologie di Gustav Gröber. Da un lato, l’opera di Gröber, attraverso il dibattito ermeneutico sulla filologia classica degli ultimi due secoli, ha gettato le basi della filologia romanza per la teoria della conoscenza. Dall’altro, il primo volume del LRL fornisce una 241 Besprechungen - Comptes rendus visione generale della disciplina e delle scuole che hanno segnato tappe rilevanti per la romanistica e per la linguistica in generale. Successivamente, manuali internazionali di storia delle lingue romanze in collezioni quali gli Handbücher zur Sprach- und Kommunikationswissenschaft (Ernst et al. 2003, 2006 e 2008) 1 hanno offerto un panorama d’insieme sulla formazione dei singoli domini linguistici romanzi, passando in rassegna le ragioni geografiche, sociali e i principi della linguistica storica. Con tali manuali la romanistica viene a posizionarsi tra una scienza monolingue e una scienza tipologica (15). Il tema di una linguistica romanza comparata, come viene ricordato, è di recente tornato alla ribalta (cf. Dahmen et al. 2006 2 ). La discussione parte dalla costatazione che la linguistica comparata delle lingue romanze, prerogativa in passato soprattutto tedesca, è passata in secondo piano per lasciare spazio unicamente allo studio monolingue (18). Oggi ci si interroga nuovamente sugli apporti possibili di una tale linguistica. Nella Romanische Sprachgeschichte (Ernst et al. 2003) viene invece affrontato soprattutto il tema della variazione, della storia linguistica esterna e dei fattori che hanno causato il mutamento linguistico, nonché l’analisi delle conseguenze linguistiche interne. Il primo volume, inoltre, offre una base metodologica per la ricerca sulle lingue romanze e la descrizione della storia esterna della Romania nova. Numerosi altri volumi sono presi in esame in tale sezione (18-23), ciascuno avente una propria angolatura e tematica, da Goebl 1999, Dahmen 2003, Glessgen 2003, Kramer 2005, 2006, ecc. In Glessgen 2003, per esempio, viene analizzata la posizione del francese nel Maghreb e i rapporti linguistici tra i paesi francofoni. In Dahmen 2003 vengono invece discusse alcune particolarità della filologia rumena, a partire da aspetti anche concreti quali la genesi etnica dei rumeni (la prossimità alla Moldavia), la romanità della lingua e i problemi dell’ortografia del rumeno. Il volume prosegue con alcune sezioni contenenti un raffronto tra la rivista di filologia romanza pubblicata in Germania, la Zeitschrift für romanische Philologie, e numerose riviste di romanistica pubblicate in Spagna (Revista de Filología Española, Estudis Romànics e Verba). Gli autori mettono a confronto le grammatiche storico-comparative delle lingue romanze per discutere il prototipo per una nuova grammatica. In una sezione viene presentato anche un excursus sui dizionari etimologici romanzi, mentre un’altra è dedicata alla romanistica nell’insegnamento (179-87). Un intero capitolo (79-93) è consacrato poi alla ZRPh., rivista specializzata di linguistica e filologia romanza comparata che ha contribuito all’istituzionalizzazione della romanistica. La rivista è stata fondata da Gustav Gröber nel 1877 (Friedrich Diez era morto da appena un anno). Il primo volume rappresenta in embrione ciò che Gröber traccerà dettagliatamente più tardi nel Grundriss der romanischen Philologie. E dato che Gröber concepiva la romanistica come una scienza storica, nella ZRPh l’analisi linguistica nella sua dimensione storica è centrale; e il nucleo dell’analisi diacronica è il Medioevo (soprattutto francese). Nel prospetto tracciato da Gröber nel primo volume è già espresso il carattere comparativo della rivista e l’importanza di raccogliere in essa recensioni dettagliate che possano mostrare un quadro d’insieme delle ricerche in ambito romanistico. Inoltre, la rivista avrebbe dovuto contribuire a stabilire una cronologia dello sviluppo dei fonemi romanzi, a dare una spiegazione fisiologica del mutamento fonetico e a comprendere le cause della formazione dei dialetti - la loro origine, il loro influsso reciproco -, essa avrebbe inoltre dovuto fornire un apporto alla sintassi storica fino ad allora inesplorata. Altri temi 242 Besprechungen - Comptes rendus 1 G. Ernst et al. (ed.), Romanische Sprachgeschichte/ Histoire linguistique de la Romania. Ein internationales Handbuch zur Geschichte der romanischen Sprachen/ Manuel international d’histoire linguistique de la Romania, 3 vol., Berlin/ New York 2003-2008. 2 W. Dahmen et al., Was kann eine vergleichende romanische Sprachwissenschaft heute (noch) leisten? Romanisches Kolloquium XX, Tübingen 2006. trattati nella rivista dovevano essere, secondo Gröber, il lessico romanzo, le letterature romanze, le differenze tra prosa e lirica prima del Rinascimento, gli studi linguistici sulla fase di transizione latino-romanza, i rapporti tra le lingue romanze e germaniche. Gli obiettivi della rivista sono descritti in maniera più dettagliata nella seconda parte del Grundriss, dedicata agli obiettivi della filologia romanza e riassunti in maniera dettagliata da Holtus e Sánchez Miret (84). Non va dimenticato il dato tutt’altro che secondario che la ZRPh. ha avuto direttori quali Walther von Wartburg (dal 1935 al 1957), a cui è succeduto Kurt Baldinger (per tre decenni) e Max Pfister (dal 1989 al 1999)(90-92). La rivista è quindi importante grazie ai suoi contributi e grazie a una tale redazione, ed ha rafforzato le sue qualità da quando è stata affiancata da una collana (con oggi più di quaranta monografie) e dalla Romanische Bibliographie. Essa costituisce un supplemento della ZRPh. e viene pubblicata ogni anno in due o tre volumi (92 e N6). Il volume di Holtus e Sánchez Miret continua con una rassegna delle riviste spagnole di romanistica (95-110) quali gli Estudis Romànics, pubblicata dall’istituto di studi catalani di Barcellona o la Revista de Filología Románica, afferente al dipartimento di filologia romanza dell’Università Complutense di Madrid. La caratteristica di quest’ultima è la prospettiva storico-comparativa e tutto ciò che riguarda la Romania in generale; la prima ha la particolarità di succedere alla soppressione dell’Istituto di studi catalani (IEC) che costituì un duro colpo per la filologia catalana. L’IEC ha continuato a funzionare in maniera clandestina e l’organizzazione della rivista Estudis Romànics è stata una delle sue prime attività (101-07). In un primo tempo la rivista, fondata nel 1947, si occupava principalmente di temi in relazione al catalano, con orientamento prevalentemente filologico, mentre nell’ampia sezione delle recensioni veniva adottata una prospettiva piuttosto panromanza (con recensioni ad opere quali quelle di Bourciez) o latina (con le recensioni alle opere di Meillet, Devoto, Bassols, Ernout, Pisani, ecc.). A partire dal quarto volume la rivista appare aperta anche alla linguistica generale (con recensioni ad opere quali quelle di Bloomfield, Jakobson, ecc.). Tra le riviste spagnole di romanistica spicca anche Verba che, come specificato dal sottotitolo (Anuario Galego de Filoloxía), aveva il proposito di occuparsi soprattutto di galego. Questa rivista nasce nel 1974 all’interno del dipartimento di Filologia romanza dell’università di Santiago di Compostela. Verba non accoglie lavori che aderiscono a una corrente teorica predeterminata, ma correnti di vario tipo, dallo strutturalismo alla fonologia metrica, e consta anche di intere monografie dedicate alla linguistica galega, ma anche spagnola e generale. Il galego e lo spagnolo vi occupano quindi un posto notevole, come è dimostrato dagli autori nella tabella tematica a p. 107. Viene ricordato che un quadro significativo delle riviste di filologia romanza è già apparso sulla rivista Romanische Forschungen al suo centesimo fascicolo nel 1988 (108-10), nel quale vengono rappresentate anche riviste pubblicate in altri paesi di lingua iberoromanza quali il Messico o il Cile. Nell’ottavo capitolo Holtus e Sánchez Miret passano in rassegna le grammatiche storico-comparate delle lingue romanze (111-37). Vengono descritti in primo luogo i caratteri fondamentali di una grammatica storica. Gli autori traggono spunto da alcuni aspetti sottolineati da Malkiel, secondo il quale ogni grammatica deve costituire una presentazione formale dei dati linguistici in chiave diacronica, che presuppone l’analisi di forme parallele, separate da un arco di tempo sufficiente a metterne in evidenza il cambio linguistico relativo alla struttura. In ognuna di queste grammatiche può variare il numero delle lingue comparate, la presenza del trattamento della lingua letteraria, l’inclusione o meno delle varietà regionali e dialettali. Nella concezione di Malkiel l’analisi è bilaterale (dal latino al romanzo e dal romanzo al latino), inoltre essa prende in considerazione anche la fase protoromanza. Il grado di esaustività di una grammatica può variare: nel caso in cui essa si occupi di una sola disciplina, come la fonologia o se, invece, ci si attiene alla ripartizione tradizionale in fonologia, fles- 243 Besprechungen - Comptes rendus sione, formazione delle parole e sintassi. Gli autori richiamano giustamente l’importanza che Malkiel assegnava alla grafematica e all’equilibrio necessario fra sintassi, fonologia e morfologia contro la tendenza a privilegiare la sintassi o la formazione delle parole rispetto alla morfologia flessiva. Vi è poi da considerare la gerarchizzazione dei tipi di mutamento (assimilazioni, dissimilazioni, ecc.). Essi possono generare una tipologia del mutamento linguistico, con un ordine del tipo: mutamento fonetico (nel senso del drift postulato da Sapir), mutamenti pancronici, fenomeni di analogia, ecc. Ma eventuali criteri di classificazione dinamica possono anche essere la periodizzazione e la regolarità del mutamento (114). Un dispositivo ricorrente nelle grammatiche è la separazione di strati distinti (latino, arabo, germanico, slavo), ma i criteri di classificazione possono anche essere di tipo strutturalista. La classificazione dei dati segue generalmente i fattori che determinano l’evoluzione: accento, struttura sillabica, nasalità (Meyer-Lübke, ad esempio, ordina le vocali per grado di apertura e per anteriorità o posteriorità). Gli autori fanno osservare (114) che nella grammatica di Meyer-Lübke è introdotto un nuovo criterio per la classificazione delle consonanti: esse vengono trattate in funzione della posizione all’interno della parola. Per la morfologia la trattazione tradizionale è la morfologia nominale e la coniugazione. Questa struttura è in gran parte seguita dalle grammatiche di Diez (Grammatik der romanischen Sprachen, 3 vol., Bonn 1836-1844)(115-18) e di Meyer-Lübke (la cui grammatica ha lo stesso titolo di quella di Diez ed è anch’essa suddivisa in 3 vol.: Romanische Lautlehre, 1890, Romanische Formenlehre, 1894 e Romanische Syntax, 3 1899)(118-23) a cui sono seguite numerose altre opere costruite con metodo neogrammatico (12-34). Per inciso, nel primo volume della grammatica di Meyer-Lübke, una parte è dedicata alla cronologia del mutamento fonetico, parte generalmente poco strutturata nelle grammatiche successive; centrale è anche la differenziazione tra mutamento spontaneo e mutamento condizionato (120). In tale grammatica è estremamente innovante anche il quarto capitolo del primo volume dedicato ai fenomeni di sandhi. In genere, nelle grammatiche storiche di stampo neogrammatico, la fonetica tipicamente predomina per una preoccupazione spiccata verso gli aspetti formali. Gli autori ricordano (121) che il mutamento fonetico per i neogrammatici è un processo fisiologico indipendente dal significato, da cui conseguono riaggiustamenti analogici nei paradigmi flessivi: gli sviluppi morfologici dipendono in quest’ottica dalle trasformazioni fonetiche, in quanto l’analogia mira a conservare le principali marche flessive. Il volume di morfologia riflette inoltre un approccio comparativo, a differenza di quello del Diez (122). Le opere immediatamente seguenti alle due grammatiche fondamentali di Diez e Meyer- Lübke erano manuali piuttosto inclini alla didattica, simili a una produzione industriale manualistica, secondo quanto sottolinea per esempio lo stesso Malkiel, quali quello di Zauner, allievo di Meyer Lübke (123-25). Alcune sono, tuttavia, le novità nel ventesimo secolo. Gli autori fanno riferimento alla grammatica di Lausberg, allievo di Rohlfs a Tübingen, immediatamente molto diffusa in Spagna grazie a una traduzione in due volumi (Fonetica, 1965 e Morfologia, 1966), arricchita da un indice delle parole nel volume di fonetica. È conosciuta anche una traduzione in italiano rivista e accresciuta dall’autore (N. Pasero), anch’essa in due volumi pubblicata negli anni 1970 da Feltrinelli (Milano) e, infine, gli autori ci informano di una traduzione portoghese, quella di Marion Ehrhardt e Maria Luísa Schemann. È significativo aver rilevato (126) che le opere di Diez e Meyer-Lübke furono le sole ad essere tradotte in francese, mentre l’opera di Lausberg è stata tradotta in tre lingue romanze, ma 244 Besprechungen - Comptes rendus 3 A cui si è aggiunto un volume di indici, il Register, 1902. L’opera è stata ristampata a Darmstadt 1972; è stata tradotta in francese da E. Rabiet (vol. 1), A. Doutrepont e G. Doutrepont (vol. 2 e 3): Grammaire des langues romanes, Paris 1890-1906. La traduzione francese è stata anche ristampata nel 1974 a Ginevra (119). non in francese, indice forse, secondo gli autori, di un minore interesse in Francia per una romanistica comparata. L’opera del Lausberg, sottolineano Holtus e Sánchez Miret, è un esempio dello strutturalismo europeo (su cui già anche Vàrvaro 4 1968), che però, secondo Malkiel, spinge Lausberg alla moderazione e al conservatorismo. L’apporto di quest’ultimo rimane tuttavia l’analisi del vocalismo latino volgare che riflette anche la sua esperienza dialettologica in ambito italoromanzo, e il suo l’aggiornamento puntuale sui dati e le svariate soluzioni particolari proposte (126-28). La sua grammatica fornisce anche alcune indicazioni sull’ortografia delle lingue romanze, e nell’introduzione vengono trattati alcuni aspetti della genesi delle lingue romanze con riferimento al sostrato, la romanizzazione, il latino volgare e la dissoluzione linguistica dell’Impero (127). Il capitolo dedicato alla fonetica storica è ricco di elementi di fonetica generale, come una parte sulla fonetica articolatoria, sullo statuto della sillaba, i dittonghi, l’accento, sulle basi del mutamento fonetico in chiave strutturalista. Nel capitolo di fonetica storica non sembrano esservi nuovi apporti riguardo al consonantismo rispetto all’opera di Meyer-Lübke, nella quale ad esempio venivano discusse le origini del raddoppiamento sintattico (1890-1902, I, 508), parte assente dal capitolo di fonetica sintattica nella grammatica di Lausberg (128). Ma è interessante in questo capitolo, come sottolineano gli autori stessi, l’ipotesi discussa dal Lausberg che vede la Romània occidentale passata attraverso una fase in cui le consonanti in posizione iniziale sono deboli (128) (ma cf. Pensado 5 2006). Un posto significativo tra le grammatiche storiche è certamente assunto dalla Comparative Romance Grammar di Robert Hall (New York/ Oxford/ Amsterdam 1974-1983) (130- 31), conosciuta in particolare dagli italianisti anche per la sua importante bibliografia di linguistica italiana. Essa è divisa in tre volumi, I: External History of the Romance Languages (1974), II: Proto-Romance Phonology (1976), III: Proto-Romance Morphology (1983). L’impianto riflette lo strutturalismo americano. Il suo obiettivo è la ricostruzione del protoromanzo e il confronto della lingua ricostruita con le fasi attestate del latino (131). La conclusione di Hall è che il protoromanzo non coincide col latino classico, né col latino volgare, ma con un latino derivato da una fase arcaica. Gli autori, dopo aver passato in rassegna le principali grammatiche storiche esistenti, proseguono con la proposta di un modello per una nuova grammatica storico-comparata (139-60).Viene sottolineato che la germanistica a tale proposito si situa in una fase più avanzata e che essa ha già costituito un modello per la romanistica, in quanto il LRL si è ispirato al LGL e la Romanische Sprachgeschichte (Ernst et al. 2003) alla Sprachgeschichte di Besch/ Reichmann/ Sonderegger (1984-1985; Besch et al. 2 1998-2004)(140-41). Secondo gli autori, quindi, esistono alcuni progetti per una grammatica storica delle lingue germaniche che potrebbero servire da prototipo per la romanistica (come le Untersuchungen zur vergleichenden Grammatik der germanischen Sprachen, collezione diretta da Bammesberger, o la Sammlung kurzer Grammatiken germanischer Dialekte curata in origine da Braune). Gli autori dimostrano come nelle grammatiche storiche romanze ci sia stata assenza di continuità e di aggiornamento. Le eccezioni, infatti, sono poche: Meyer-Lübke e Schultz-Gora hanno revisionato le loro opere, va contata poi anche la revisione della seconda parte della grammatica storica del francese ad opera di Piel, ma di fatto il progetto di una grammatica storico-comparata si arresta intorno agli anni 1930 (143). Manca dunque una grammatica che, in nome della continuità, integri regolarmente i progressi della ricerca. In particolare, sono visibili due interruzioni nella storia delle grammatiche storico-comparate romanze: la prima avviene dopo la grammatica di Meyer-Lübke; la seconda è rap- 245 Besprechungen - Comptes rendus 4 A. Vàrvaro, Storia, problemi e metodi della linguistica romanza, Napoli 1968. 5 C. Pensado, «¿Existío alguna vez la ‹variación del romance occidental›? », RLiR 70 (2006): 5-19. presentata dall’abbandono di questo tipo di progetto da parte dei romanisti tedeschi (quattro delle opere trattate si debbono infatti a studiosi tedeschi: Diez, Meyer-Lübke, Zauner e Lausberg). Gli autori prendono poi in esame le possibilità di una grammatica storica rinnovata (145-56). Il problema maggiore è l’enorme quantità di informazione da gestire, che, secondo gli autori, è risolubile soltanto con una divisione del lavoro di squadra. D’altra parte oggi sono in aumento le opere a carattere collettivo, come il LRL e la Romanische Sprachgeschichte. Ma nella costituzione delle grammatiche storiche ha prevalso l’opera individuale, probabilmente a causa della necessità di coesione di una grammatica. Il maggiore intento dev’essere comunque un aggiornamento dell’informazione. A tale proposito le recensioni nelle riviste non sono una soluzione, in quanto esse appaiono alcuni anni dopo rispetto all’uscita del volume. Ed è soprattutto l’immensa quantità di informazione di cui disponiamo a favorire la divisione di molteplici filologie. Per la linguistica romanza sarebbe auspicabile, come complemento alla grammatica storica, una banca dati con una bibliografia accessibile a seconda dei temi, della cronologia, e delle ipotesi, ecc. (147). Ancora una volta, sottolineano Holtus e Sánchez Miret, la germanistica offre un esempio significativo con la bibliografia commentata di Ronneberger-Sibold 1989, mentre le grammatiche romanze esistenti non offrono ricche indicazioni bibliografiche, né riferimenti distinti in relazione a fenomeni concreti. Per una nuova grammatica storica dunque, in sostanza, gli autori propongono una collaborazione in squadre di lavoro, un miglioramento del sistema di informazione, ribadiscono la necessità di non ripetere il lavoro già fatto e insistono sulla necessità del valore pedagogico dell’opera per una corretta fruizione da parte degli studenti (150). In seguito, vengono discussi ancora i problemi del modello tradizionale, come l’atomismo (serie giustapposta di microanalisi) e l’astoricità, visibile anche nella tendenza alla tassonomia universale (151-52), per la quale la grammatica storica cessa di essere tale, e quindi bisognerebbe assegnarle un altro nome (152). Diez era cosciente del fatto che una grammatica comparata non poteva basarsi esclusivamente sulla storia interna delle lingue, ma neppure soltanto su quella esterna: ossia, essa non può basarsi solo sul mutamento linguistico in se stesso, ma deve tener conto del contesto storico generale a cui il mutamento linguistico dev’essere costantemente correlato. Tale dibattito scientifico ha portato recentemente a una distinzione terminologica tra diacronico e storico (Kabatek 2003). Gli autori precisano quindi che una grammatica storico-comparata si occupa di diacronia, in quanto essa concerne il mutamento linguistico in senso assoluto, svincolato in senso temporale e diatopico. Ma la storia della lingua è di fatto una disciplina storica e tale prospettiva che inquadra l’evoluzione delle lingue si è imposta più tardi in ambito scientifico, senza per questo sminuire gli obiettivi della grammatica storica, come sottolinea Swiggers 2003 che profila per le lingue romanze i punti di incontro tra grammatica comparata e linguistica storica 6 . Una grammatica storico-comparata è orientata alla comprensione e all’analisi del mutamento linguistico, ma non pretende di essere un modello unico per l’interpretazione di tale mutamento. Fondamentale è, tuttavia, affinché il modello di una grammatica sia valido, distinguere tra aspetti storici delle lingue e prospettive di ricerca sulle differenze linguistiche (mutamento linguistico e modificazione delle norme discorsive). La storicità di una lingua non dev’essere definita solo in termini di linguistica diacronica, dato che essa copre anche fenomeni legati alla sincronia (154). Altri aspetti della storicità riguardano la variazione linguistica, sincronica, la base pragmatica e la diversità linguistica, con un’opposizione quindi tra prospettiva interna (variazione) e prospettiva esterna (diversità). Il difetto strutturale dell’atomismo, uno dei limiti 246 Besprechungen - Comptes rendus 6 P. Swiggers «Histoire des langues romanes et linguistique historique comparée» in: G. Ernst et al. (ed.), 2003: 53-62. principali delle grammatiche storiche, può essere corretto, come suggerito da Swiggers, enunciando i parametri con i quali va effettuata la comparazione tra le lingue romanze, ossia i processi generali attraverso i quali le lingue si realizzano: fonologizzazione, rianalisi, mutamento semantico, grammaticalizzazione. Le grammatiche storico-comparate si servono soprattutto delle lingue codificate e standardizzate. Per spiegare la variazione usano raramente dati medievali a verifica delle fasi intermedie dell’evoluzione. Una grammatica, sostengono gli autori, non può però descrivere in maniera esaustiva l’integralità dei mutamenti in tutte le varietà, ma deve poter offrire una panoramica sufficiente affinché si possano collocare nel quadro panromanzo i principali mutamenti linguistici di tutte le lingue (156). Si dovrà certamente affrontare la questione del modello teorico da adottare nella descrizione e spiegazione dei dati, senza trascurare il rinnovamento che hanno attraversato gli studi diacronici. Nel nuovo panorama teorico si sono introdotte ormai teorie sulla grammaticalizzazione, sulla tipologia e sulla linguistica cognitiva che vanno adattate ai nuovi obiettivi di una grammatica storico-comparata. Un capitolo del volume è interamente dedicato alla storia dei dizionari etimologici (161- 87). In apertura, gli autori sottolineano che la ricerca storico-comparativa attinente al lessico deve studiare il grado di conservazione del lessico latino nelle lingue romanze, le differenze dovute alle innovazioni e, per ultimo, fornire la spiegazione del processo di frammentazione lessicale. Un lavoro globale, come viene sottolineato da alcuni studiosi quali Stefenelli, citati nel volume, sembra impossibile, in quanto non tutte le lingue romanze sono dotate di lavori sistematici che possano fornire un’adeguata base empirica. Numerose ricerche sulla diacronia del lessico si concentrano su singoli aspetti: onomasiologia, etimologia, storia semantica delle parole, differenziazione lessicale tra le lingue romanze, ecc. (162). Sarebbe auspicabile, sostengono gli autori, che ogni dizionario etimologico possa seguire i principi enunciati da Malkiel: la distinzione tra più livelli temporali (per es. latino o indoeuropeo), la direzione dell’analisi etimologica prospettiva (dal latino al romanzo), o retrospettiva; il campo d’indagine può essere relativo alla lingua letteraria o ai dialetti, alle parole di trasmissione popolare o colta. L’entrata della voce in un dizionario pone un problema fondamentale, ossia quello di scegliere l’unità ideale della famiglia lessicale. Altri aspetti del problema riguardano la struttura, in che modo presentare i risultati, la distribuzione areale dei dati e le spiegazioni (162-64). È noto che Diez e Meyer-Lübke hanno prodotto un dizionario etimologico delle lingue romanze al quale la grammatica storica anteriore ha fornito la base per l’elaborazione. Si tratta degli unici dizionari etimologici panromanzi pubblicati finora. Una prospettiva panromanza è adottata anche dal FEW di Walther von Wartburg e dal Lessico Etimologico italiano di Max Pfister 7 , benché si tratti per questi ultimi di dizionari basati principalmente su una sola lingua romanza, il francese e l’italiano. Accanto ad essi si situano a completare il panorama dell’etimologia romanza i dizionari etimologici di Corominas (DECat e DCECH) 8 . I dizionari del Diez (la prima edizione è del 1853 9 ) e il REW di Meyer-Lübke si basano soprattutto sulla fonetica storica, 247 Besprechungen - Comptes rendus 7 FEW = W. v. Wartburg et al., Französisches Etymologisches Wörterbuch. Eine darstellung des galloromanischen sprachschatzes, 25 vol., Bonn/ Heidelberg/ Leipzig/ Berlin/ Bâle 1922-2002. LEI = M. Pfister/ W. Schweickard (dir.), Lessico etimologico italiano, Wiesbaden 1979-. 8 DECat = J. Coromines, Diccionari etimològic i complementari de la llengua catalana, 10 vol., Barcelona. DCECH = J. Corominas/ J. A. Pascual, Diccionario crítico etimológico castellano e hispánico, 6 vol., Madrid 1980-91. 9 Etymologisches Wörterbuch der romanischen Sprachen, Bonn. Due nuove edizioni sono apparse quando Diez era ancora in vita ( 2 1861 e 3 1870). Altre due edizioni sono state pubblicate dopo ( 4 1878, 5 1887). Esiste anche una traduzione inglese: An Etymological Dictionary of the Romance Languages Chiefly from the German of Friedrich Diez, by T.C. Donkin, London 1864 (166 e N11). tendenza sviluppatasi, come riferito, particolarmente nel secolo diciannovesimo. Ma nella prima metà del ventesimo secolo, altre discipline della linguistica avevano ormai progredito: la semantica, la geolinguistica, l’etnolinguistica, le ricerche sul sostrato e sul superstrato (164-15). È in questo quadro che appare il dizionario etimologico di Wartburg: Holtus e Sánchez Miret puntualizzano che mentre il REW è un dizionario orientato sull’etimologia e l’origine, il FEW adotta una prospettiva etimologia-storia delle parole, evoluzione già prefigurata da Meyer-Lübke nel prologo al REW. L’obiettivo di un dizionario etimologico, secondo gli autori, deve essere anche la stratigrafia storica e i processi di sostituzione tra le parole. Tale prospettiva, arricchita anche dalla presenza dei dizionari monolingue, sarà integrata nel nuovo REW (cf. infra), così come suggerito già da Max Pfister, secondo il quale un dizionario etimologico deve illustrare la storia e le relazioni genetiche tra le parole, ma anche il mutamento semantico e la storia delle parole all’interno di una lingua (166). La descrizione di molteplici dizionari fornita nel volume è molto dettagliata. Il principio su cui si basa il dizionario del Diez è la base fonetica dell’etimologia. L’opera si divide in due parti: la prima include le parole documentate in tutta o quasi tutta la Romània, lemmatizzate per lo più sotto la forma italiana; nella seconda parte troviamo una selezione di parole discusse in rapporto a tre gruppi (italiano, spagnolo e francese); ovunque è sottolineata l’importanza del lessico latino. Nessuna posizione speciale è assegnata da Diez nella sua opera al rumeno e al romancio. Gli articoli non si limitano a indicare l’origine della parola (latina o germanica). Diez espone la sua ipotesi etimologica, le ipotesi contrarie e aspetti dell’evoluzione fonetica, morfologica e semantica della parola. Ampio spazio è dedicato poi dagli autori ai dizionari successivi a quelli del Diez e, in particolare, al REW, di cui la prima edizione è uscita tra il 1911 e il 1920 (Heidelberg) 10 . La prospettiva di Meyer-Lübke è più comparativa di quella del Diez. Il REW tratta il lessico ereditario latino, parole di origine diversa sono raccolte, se documentate in più di una lingua, e sono inclusi i cultismi più antichi (168). Nel REW sono analizzate tutte le lingue romanze nell’ordine di rumeno, dalmatico, italiano, sardo, engadinese, friulano, francese, provenzale, catalano, spagnolo, portoghese. Sono inclusi anche i dialetti, se mancano occorrenze della voce nella lingua letteraria o se la forma dialettale segue uno sviluppo diverso da quello della lingua letteraria. Meyer-Lübke lemmatizza anche derivati e composti, ma solo quando essi sono realmente attestati e non si suppone l’esistenza in latino di casi che potrebbero essersi sviluppati in romanzo (169). Esso contiene anche un indice delle forme romanze. In genere, nel REW predominano i dati rispetto alle spiegazioni. Si tratta di un’opera fondamentale della romanistica, non priva di critiche: Malkiel, ad esempio, critica l’apporto dei neogrammatici all’etimologia per il loro modo di occuparsi del mutamento fonologico, dissimilazione, aplologia, ecc., che non renderebbe giustizia alla storia della parola, alla semantica, alla diatopia, alla coesistenza di varianti, ai differenti stili della lingua e ai livelli formali. Il parere di Zamboni verte sulla necessità di rivedere numerosi etimi, di puntualizzare la semantica, di distinguere gli strati (greco, germanico, ecc.), di migliorare la classificazione dei lemmi e dei derivati, di arricchire i dati provenienti dall’onomastica e di corredare il dizionario di un indice onomasiologico dettagliato, nonché di un indice più sofisticato delle forme in relazione alla fonetica, la morfologia, l’onomastica, l’etimologia. Le prime discussioni intorno a un nuovo REW nascono a Palermo nel 1995 in occasione del XXI Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia Romanza in particolare grazie al- 248 Besprechungen - Comptes rendus 10 La seconda edizione del 1924 riproduce la prima, ma una terza edizione, completamente rielaborata, appare tra il 1930 e il 1935. Essa è stata ristampata nel 1968 e nel 1972 (168). l’intervento di Chambon e Sala (1998) 11 . In questa sede, alla presentazione del progetto, Vàrvaro aveva però messo in rilievo alcuni aspetti problematici: da un lato, la mancanza di un assenso metodologico sul trattamento etimologico, dall’altro la probabile inadeguatezza dei tempi per condurre a buon fine un progetto del genere, due punti urgentemente da chiarire prima di intraprendere il progetto (171). Durante il ventesimo secolo rispetto all’etimologia panromanza vige uno sconforto che induce a rafforzare le grandi opere etimologiche consacrate a domini linguistici più ridotti, ma dotate comunque di una prospettiva comparativa. Con il paradigma introdotto dal FEW nel 1920 il dizionario etimologico si coniuga al dizionario storico e al tesoro del lessico: viene inaugurato il passaggio dall’etimologia-origine all’etimologia-storia della parola (171 e N22). Nella concezione di Wartburg, il FEW non è un dizionario filologico, bensì linguistico. Wartburg esplicita nel prologo al primo volume la sua concezione dell’etimologia e della storia delle parole (Wortgeschichte), ispirata a linguisti quali Schuchardt, Gilliéron, Jud e Meillet. Il FEW introduce un modello caratterizzato da attestazioni esaustive in tutte le varietà di una lingua e un’attenzione maggiore dei suoi predecessori al mutamento semantico. L’opera di Wartburg intende stabilire le relazioni lessicali e non le relazioni fonetiche; non tutte le varianti fonetiche sono infatti raccolte nel dizionario, soprattutte se già rappresentate nell’ALF (173). Gli autori proseguono illustrando come il modello del FEW continui nel LEI, «opera sorella» del FEW con la quale si accede a un confronto diretto tra Galloromània e Italoromània. Essa è iniziata negli anni settanta da Max Pfister (allievo di Wartburg), il quale nell’introduzione al primo volume del LEI precisa il ruolo dell’etimologia: l’etimologia è la base della parola, ma ciò che è decisivo in un dizionario storico è la storia della parola, la sua proiezione diacronica (174). È all’officina del FEW che Max Pfister ha acquisito la concezione dell’importanza delle forme documentate per la lingua standard e per i dialetti. L’obiettivo di Max Pfister è quello di tracciare l’origine e la storia di una parola, ma anche quello di collocare le parole in chiave comparativa nel quadro delle lingue romanze. Anche le opere etimologiche di Corominas (il DCECH e il DECat) sono molto utili per una visione panromanza e non si limitano allo spagnolo e al catalano. Ma è soprattutto il progetto di un nuovo REW auspicato da tempo (Chambon/ Sala 1998), ormai in corso dal 2007, a rivitalizzare e a recuperare l’interesse per le ricerche panromanze sul lessico: il DÉRom diretto da Éva Buchi e Wolfgang Schweickard 12 . Questo progetto si distingue dai precedenti dizionari etimologici per l’obiettivo distinto che è quello di ricostruire il protoromanzo (forma e significato). Gli autori sottolineano i punti di partenza che caratterizzano il REW e il DÉRom: il REW si preoccupa di investigare la conversione del lessico classico latino; il DÉ- Rom si chiede da dove proviene il lessico romanzo e fonda le sue ricerche in rapporto al lessico ereditario sulla base della grammatica storico-comparata (177). In questa prima fase del progetto sono già analizzati da una squadra in gran parte franco-tedesca, formatasi già al FEW e al LEI, circa 500 etimi panromanzi e i risultati sono progressivamente pubblicati in rete. Nell’ultimo capitolo di questo interessante volume (189-209), gli autori si interrogano infine su quali siano i contenuti e i compiti futuri della filologia e della linguistica romanza. Vengono richiamati i pareri di studiosi autorevoli quali quello di Roncaglia pronunciato in 249 Besprechungen - Comptes rendus 11 J.-P. Chambon/ M. Sala (dir.), «Tavola rotonda. È oggi possibile o augurabile un nuovo REW? », in: G. Ruffino (ed.), Atti del XXI Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia Romanza (Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Università di Palermo 18-24 settembre 1995), 3, Tübingen 1998: 983-1023. 12 DÉRom = É. Buchi/ W. Schweickard (dir.), Dictionnaire Étymologique Roman, site internet, Nancy, ATILF (http: / / www.atilf.fr/ DERom), 2008-. due articoli programmatici pubblicati nella rivista Cultura Neolatina. In essi veniva auspicata un’apertura della disciplina in nome di un mutamento generalizzato nel clima intellettuale. Viene inoltre richiamato il parere di Vàrvaro al XIX CILFR nel 1989 a Santiago di Compostela. Vàrvaro si era soffermato sul problema di come delimitare gli ambiti tematici per evitare la frammentazione dei campi di ricerca, da cui la necessità di presentazioni globali, lavori di gruppo e di un diretto contatto tra teoria e testo. Altrimenti detto, ci si muove verso una filologia romanza unitaria, e/ o possibilmente un’unità nella diversità. Il volume di Holtus e Sánchez Miret è anche corredato di una ricchissima bibliografia, importante ed aggiornata che documenta in maniera esemplare i lavori e le direzioni di ricerca nella romanistica di oggi. Questi ed altri spunti interessanti sono forniti da Holtus e Sánchez Miret, due comparativisti di qualità che, con una grande riflessione metodologica, hanno avvicinato in questo volume la linguistica comparativa a problemi oggettivi. Al volume di Holtus e Sánchez Miret non si può dunque che augurare la più grande utilizzabilità, anche come manuale istituzionale per la linguistica romanza. Michela Russo ★ Georg Bossong, Die romanischen Sprachen. Eine vergleichende Einführung, Hamburg (Buske) 2008, 379 p. + CD Bossongs Einführung in die romanischen Sprachen ist ein primär typologisch ausgerichtetes vergleichendes Werk, bei dem die synchrone Perspektive dominiert. Dem Verf. geht es um eingehende Portraits der einzelnen romanischen Sprachen und nicht um eine Einführung in Fragestellungen und Methoden der Disziplin Romanistik. Für die Porträts werden auch sprachexterne Faktoren (Verbreitung, Sprecherzahl, soziopolitischer Status der verschiedenen Sprachen) herangezogen. Zielgruppe sind in erster Linie Romanistikstudenten, daneben Studenten anderer Philologien, aber auch «gebildete Laien» (9). Bossong möchte «linguistische Allgemeinbildung» vermitteln und gleichzeitig «Freude an der faszinierenden und schönen Welt der romanischen Sprachen wecken» (10s.). Beides gelingt ihm, Letzteres unbedingt, doch was das Vermitteln von linguistischer Allgemeinbildung betrifft, wird dem linguistisch nicht vorgebildeten Leser zum Teil zu viel abverlangt 1 . Nach dem knappen Vorwort (7-11), in dem Bossong die enorme Bedeutung der romanischen Sprachen hervorhebt, widmet sich der Autor im Einleitungskapitel (13-47) nach einem kurzen Abschnitt «Die romanische Sprachfamilie: genealogisch und kulturell» (13-16) ausgiebig dem Thema «Die romanischen Sprachen: wie viele und welche? » (16-30). Er diskutiert ausführlich, wieso die Frage nach der Zahl der romanischen Sprachen nicht eindeutig beantwortet werden kann. In diesem Zusammenhang behandelt er auch eingehend die schwierige Abgrenzung von Sprache und Dialekt, für die er auf die Kriterien Ausbau, Abstand und Sprecherbewusstsein zurückgreift. Er entscheidet sich, neun Sprachen (Portugiesisch, Spanisch, Katalanisch, Okzitanisch, Französisch, Rätoromanisch, Italienisch, Sardisch und Rumänisch) in einzelnen Kapiteln vorzustellen, wobei er darauf hinweist, dass die Festlegung auf neun Sprachen unweigerlich eine gewisse Willkür birgt. Nicht berück- 250 Besprechungen - Comptes rendus 1 M. E. geht Bossong, der seit 1994 in der Schweiz lehrt, von falschen Voraussetzungen aus. Er nimmt an, dass «allen Lesern das Französische vertraut sein dürfte» (43). De facto gibt es aber in den letzten Jahren, zumindest in Deutschland, immer mehr Studierende der Romanistik ohne Französischkenntnisse. Und für Studierende anderer Philologien sowie für gebildete Laien, Bossongs andere Zielgruppe, gehört das Französische heute erst recht nicht mehr zum «obligatorischen Kanon».