eJournals Vox Romanica 69/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2010
691 Kristol De Stefani

Michela Russo, La metafonia napoletana: evoluzione e funzionamento sincronico, presentazioni di Max Pfister e Patrick Sauzet, Bern (Peter Lang) 2007, xxv + 469 p.

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Antonio  Montinaro
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rerinnen und Lehrer, die mehr als fünf Dienstjahre haben . . . Ein weiteres Problem bei der geschlechtsneutralen Formulierung mit Paarformen besteht darin, dass oft eine gleichwertige weibliche, seltener männliche Bezeichnung nicht zur Verfügung steht. So ist das weibliche Gegenstück zum Lehrling die Lehrtochter, aber letztere Bezeichnung hat veraltende Konnotationen, so dass man doch eher auf Auszubildende ausweicht. Ein ganz besonderes Problem dieser Art ergibt sich im schweizerischen Kanton Freiburg, weil dort der Regierungsstatthalter (im Verwaltungsbezirk) hochdeutsch Oberamtmann, dialektal Oberammä heißt. Logischerweise müsste das weibliche Gegenstück Oberamtfrau heißen, was in der Hochsprache durchaus akzeptabel ist, aber was macht man im Dialekt daraus? Umgekehrt ist es schwierig, eine männliche Bezeichnung für Hebamme zu finden: Geburtshelfer ist schon besetzt als deutsche Übersetzung von Französisch obstétricien (Arzt, der bei der Geburt assistiert). Man kommt deshalb nicht immer um geschlechtsneutrale Personenbezeichnungen herum, auch wenn sich die Mehrheit der Leser und Hörer dahinter einen Mann vorstellt. Um zur Arbeit von Brigitte Schwarze zurückzukommen, kann man sagen, dass sie ihr Ziel erreicht hat. Sie macht zunächst den Leser auf die besondere Stellung der Kategorie Genus aufmerksam. Es wird ihm vor Augen geführt, was diese Kategorie syntaktisch und semantisch leisten kann. In allen Teilen der Arbeit gibt die Autorin einen Überblick über den neusten Forschungsstand und zeigt auf, wo noch Forschungsbedarf besteht. Eine reichhaltige Bibliografie am Schluss des Buches rundet die Untersuchung von Brigitte Schwarze ab. Andreas Schor Italoromania Michela Russo, La metafonia napoletana: evoluzione e funzionamento sincronico, presentazioni di Max Pfister e Patrick Sauzet, Bern (Peter Lang) 2007, xxv + 469 p. Il napoletano è una delle varietà più studiate e meglio conosciute dell’àmbito linguistico italoromanzo 1 ; nel córso degli anni sono state approntate numerose edizioni 2 e ad esso sono stati dedicati vari dizionari e studi specifici 3 . Mancava tuttavia, sebbene si annoverino diversi contributi, una trattazione complessiva e organica su un fenomeno fono-morfologico caratterizzante questo idioma: la cosiddetta metafonia o metafonesi napoletana 4 . 263 Besprechungen - Comptes rendus 1 Su questo aspetto cf. R. Coluccia, «Migliorini e la storia linguistica del Mezzogiorno (con una postilla sulla antica poesia italiana in caratteri ebraici e in caratteri greci)», in: M. Santipolo/ M. Viale (ed.), Bruno Migliorini, l’uomo e il linguista (Rovigo 1896-Firenze 1975), Rovigo 2009: 183- 222 [in stampa anche in SLI 35 (2009)]. 2 Per le più recenti e affidabili cf. l’elenco fornito da M. Pfister nella Prefazione (9-10; le edizioni sono citate a p. 9) a M. Aprile (ed.), Giovanni Brancati traduttore di Vegezio. Edizione e spoglio lessicale del ms. Vat. Ross. 531, Galatina (LE) 2001, cui è da aggiungere M. Barbato (ed.), Il libro VIII del Plinio napoletano di Giovanni Brancati, Napoli 2001 (volume edito successivamente alla stesura dell’elenco). 3 Queste positive condizioni hanno consentito l’allestimento, impossibile per molte altre aree dialettali proprio a causa della carenza della documentazione di base, di una importante sintesi: A. Ledgeway, Grammatica diacronica del napoletano, Tübingen 2009 (in questo manuale non si cita il volume di M. Russo né si fa riferimento alla nuova interpretazione della metafonia in esso esposta). 4 Per metafonia napoletana si intende tradizionalmente la chiusura fonetica di / e/ tonica e / o/ tonica in [i] e [u] e il dittongamento (sia in sillaba libera, sia in sillaba chiusa) di / ε/ tonica e / ɔ/ tonica in [je] e [wo] per effetto delle vocali alte / i/ o / u/ atone in posizione finale (cf. almeno G. Rohlfs, Grammatica storica dell’italiano e dei suoi dialetti, 3 vol., Torino 1966-69: I, § 61, 79, 101 e 123 e A. Ledgeway 2009: § 2.2.2.). Il libro di M. Russo 5 , che si avvale delle presentazioni di Max Pfister (xiii-xiv) e Patrick Sauzet (xv-xviii), analizza questo complesso fenomeno in 12 capitoli, affrontandolo, come si deduce già dal titolo, sia nella dimensione diacronica sia in quella sincronica e proponendo «un’interpretazione su basi nuove che si differenzia dall’analisi ammessa correntemente: la metafonia napoletana è fondamentalmente un’evoluzione spontanea bloccata dalle vocali non alte, vale a dire, in termini di fonologia degli elementi, le vocali contenenti l’elemento A» (citazione dalla quarta di copertina; detto per inciso, l’importanza di questo elemento è suggerita dalla stessa copertina, sulla quale è stampigliata, parzialmente coperta da un riquadro che racchiude gli estremi bibliografici, proprio una «a») 6 . Verifichiamo nel dettaglio la struttura e le argomentazioni della densa monografia. Il corpus delle fonti utilizzate per lo spoglio e l’analisi linguistica è ampio, essendo costituito da documentazione in latino medievale, edizioni di testi (di area fondamentalmente napoletana, ma anche di altre aree campane e meridionali) risalenti all’età angioina e aragonese, opere in dialetto napoletano dei secc. XVII-XVIII e vocabolari dialettali del napoletano (cf. p. xix-xxv) 7 . La bibliografia (441-69) è cospicua e aggiornata 8 . 264 Besprechungen - Comptes rendus 5 L’origine (tesi di dottorato all’Université de Paris 8) e le tappe intermedie di questo lavoro sono ricostruite concisamente nella Premessa a cura di M. Pfister (xiii). 6 L’Elemento A è considerato uno degli Elementi fondamentali e rappresenta l’«apertura» (cf. in particolare 364, N17). 7 È funzionale all’analisi, ma anche indicativa della quantità di dati raccolti, l’inserzione nel capitolo 1 di una sorta di appendice intitolata Documentazione aggiuntiva, suddivisa in 12 Quadri (67- 91), in cui si raccolgono numerose forme metafonetiche e talvolta si approfondiscono argomenti discussi precedentemente (cf. ad esempio Quadro 2. Le grafie cie, gie, scie, Quadro 3. Dittongazione di - Ĕ nei testi dialettali, Quadro 12. Altri elementi lessicali); anche per il capitolo 3 si registra l’inserzione di 2 Quadri di Documentazione aggiuntiva (138-47). 8 Si deve segnalare (probabilmente indotto dalla considerevole quantità di testi spogliati per l’analisi) qualche mancato scioglimento delle sigle bibliografiche citate nel testo: cf. De Mura 1977 (citato alle p. 53 N118, 96 N9 e passim), che dovrebbe stare per E. De Mura (ed.), Poeti napoletani dal Seicento ad oggi, 2 vol., Napoli 5 1977; Durand-Katamba 1995 (citati a p. 454), che dovrebbe stare per J. Durand/ F. Katamba (ed.), Frontiers of Phonology, Essex 1995; Leben 1971 (citato a p. 398), che dovrebbe stare per W. Leben, «Suprasegmental and Segmental Representation of Tone», Studies in African Linguistics, Supplemento 2 (1971): 183-200; Loporcaro 1991 (citato a p. 291 N122), che dovrebbe stare (considerato il contesto della citazione) per M. Loporcaro, «Compensatory lengthening in Romanesco», in: P. M. Bertinetto/ M. Kenstowicz/ M. Loporcaro (ed.) Certamen phonologicum II. Papers from the 1990 Cortona Phonology Meeting, Torino 1991: 279-307 [e non 308, come citato]; Calabrese 1994 (citato a p. 311) e Nespor-Vogel 1986 (citati a p. 401 N5), di cui è più difficile individuare lo scioglimento (si tratta forse di A. Calabrese, «Sievers’ Law in Gothic: a Synchronic Analysis and Some Speculations on its Historical Development», The Linguistic Review 11 [1994]: 149-94 e M. Nespor/ I. Vogel, Prosodic Phonology, Dordrecht 1986? ). Nel complesso i refusi degni di menzione ravvisati nel testo sono pochi: si segnala un Salerno 1970 (47 N104), da leggere Salerno 1070 (cf. S. Leone/ G. Vitolo (ed.), Codex diplomaticus Cavensis, IX, 1065-1072, Cava dei Tirreni [SA] 1984: 243); sei sigle bibliografiche non complete, Formentin 1993, 23 (93 N1), Formentin 1993, 180-86 (110 N34), Russo 2001, 463 s. (151), Russo 2001, 477-82 (217 N54), Russo 2001, 482-92 (223 N2) e Russo 2001, 502 (251 N1), da leggere verosimilmente Formentin 1993b, 23, Formentin 1993a, 180-86, Russo 2001a, 463 s., Russo 2001a, 477-82, Russo 2001a, 482-92 e Russo 2001a, 502; tre sigle bibliografiche non corrispondenti, per l’anno di edizione, allo scioglimento (216 N53, dove si legge Sella 1940, poi sciolto in Sella 1944 [466]; 251 N1 e 303 N159, dove si legge Lausberg 1971, citato [correttamente] nella bibliografia come Lausberg 1976 [455]; p. 395, dove si legge Williams (1991, 248), poi sciolto correttamente in Williams 1981 [468]); due sigle bibliografiche non corrispondenti allo scioglimento (cf. Fanciullo 1994a [231], citato nella bibliografia come Fanciullo 1994 (450) e Harris 1995 [348 N4], citato nella bibliografia come Harris-Geoff 1995 [453]); un rinvio bibliografico non corretto (Sabatini 1964-65, 208 citato a p. 275 N74, si deve leggere Sa- Ognuno dei 12 capitoli in cui si articola il libro affronta problemi peculiari, sebbene - come già anticipato - fra loro correlati. Fulcro del volume può essere considerato il capitolo 11, Interpretazione della metafonia napoletana (367-90), cui si giunge tramite le argomentazioni esposte negli altri capitoli, che mirano sostanzialmente a dare fondamento alla nuova teoria prudentemente 9 proposta da M. Russo. La tesi, di cui l’autrice avverte la portata innovatrice ed «eretica» (1) è anticipata nell’Introduzione (1-8) 10 , sebbene nel capitolo 11 trovi completa e articolata esposizione. La nuova teoria comporta l’abbandono della nozione di metafonia in napoletano: «la metafonia napoletana non è realmente una metafonia», bensì corrisponde «all’inibizione di uno sviluppo spontaneo (o, se vogliamo, di due sviluppi spontanei [= chiusura e dittongazione]) bloccato da una vocale finale ‘non alta’» (4), ossia, nei termini della fonologia degli Elementi, «da una vocale contenente l’Elemento A (/ a, e/ )» (365) 11 . Ne consegue che il vocalismo “metafonetico” (i doppi apici, anche immediatamente sotto, si devono all’autrice) corrisponde perciò a un’evoluzione spontanea, mentre il vocalismo “non metafonetico” corrisponde all’arresto di questa evoluzione indotto da un contesto vocalico non alto (365). La metafonia napoletana non sarebbe «un’assimilazione innescata dalle vocali / -i -u/ », ma rappresenterebbe «piuttosto l’inibizione di uno sviluppo spontaneo bloccato dalle vocali finali non alte / -a -e/ , vocali contenenti l’Elemento A, vale a dire una specificazione di apertura vocalica» (372-73). Riassumendo, «un mutamento non condizionato fa passare il vocalismo da / i e E u O ɔ a/ a [i je u wo a]», mentre «tale mutamento è bloccato da un contesto vocalico non alto, quando cioè le vocali finali sono diverse da / i u/ » (373). Per sostenere la proposta l’autrice riassume le difficoltà derivanti dalla spiegazione “tradizionale” della metafonia napoletana e si sofferma sull’«opacità delle analisi anteriori» (il riferimento è in particolare al modello derivazionale di Calabrese, alla cui analisi è dedicato l’intero capitolo 9), la quale è contrassegnata «(1) dall’impossibilità di considerare le due alterazioni della vocale tonica (chiusura e dittongazione) come un unico fenomeno assimilativo (cf. capp. 1, 9 e 10) 12 ; (2) dall’errata presupposizione nella sincronia dei dialetti italiani 265 Besprechungen - Comptes rendus batini 1963-64, 209); un rinvio interno incompleto a p. 116 (siamo al paragrafo 5 del capitolo 2), dove si legge cf. § 5, senza specificazione del capitolo. Buona la veste tipografica, per la quale sono da segnalare tuttavia la mancata indicazione nell’indice del numero di pagina (115) del paragrafo 5 (Alterazioni vocaliche nelle sillabe postoniche) del capitolo 2, e l’assenza del punto dopo alcuni blocchi di esempi (cf. per esempio l’ultimo blocco di p. 109, il primo blocco di p. 110 e tutti i blocchi di p. 112). 9 A p. 4 si afferma esplicitamente: «Benché la prudenza sia d’obbligo». 10 Nell’Introduzione, oltre a presentare già chiaramente i termini della questione, si anticipano anche alcuni argomenti affrontati dettagliatamente nel córso della trattazione: spiegazione di cosa si intenda tradizionalmente per metafonia napoletana (cf. p. 1-2); individuazione dei punti di debolezza riscontrabili nella spiegazione vulgata del suo funzionamento (particolarmente contestata è la connessione istituita fra chiusura vocalica e dittongazione, interpretate, per l’autrice poco convincentemente, come un unico fenomeno assimilativo; cf. p. 2-3); comparazione con la metafonia sabina (3); discussione della proposta interpretativa della metafonia napoletana avanzata da A. Calabrese. 11 A p. 387 si precisa che «in napoletano la condizione di arresto nella flessione nominale dipende soltanto da / -a -e/ e non da / o/ finale . . ., giacché la “metafonia”, ossia lo sviluppo by default, è applicata anche ai sostantivi neoneutri (fierro, argiento, chumbo)», mentre «nella classe verbale . . . la condizione di arresto è costituita . . . anche da / -o/ contenente l’Elemento A e morfema [+persona]». 12 «Anzitutto, circa il punto (1), è certo che se la metafonia è un’assimilazione con adattamento della vocale tonica alle vocali alte desinenziali / i u/ non è chiaro come poter integrare i dittonghi metafonetici in una gradazione di apertura; risulta difficile ricondurre i dittonghi a un processo fonologico assimilativo innescato dalle vocali finali alte / i u/ (cf. discussione ai capp. 1 e 9, § 5 . . .). A rafforzare quanto già sostenuto da un punto di vista fonologico, l’argomento fonetico che possiamo addurre, in base al quale non è possibile considerare tali dittonghi come il risultato di un’assimilazione, è il seguente: in termini di fonetica articolatoria, non sussiste alcuna ragione convincente per centro-meridionali del vocalismo postonico del toscano o del protoromanzo; al contrario, nel napoletano ed in numerosi altri dialetti sud-italiani si constata la neutralizzazione delle vocali finali desinenziali putative dell’assimilazione metafonetica che rende il sistema opaco» (369). Il problema è dunque «trovare ciò che è comune a queste due alterazioni vocaliche ed eventualmente far venire alla luce un’unità» (371). L’elemento comune viene individuato proprio nell’Elemento A: «il meccanismo a cui la “metafonia” risponde è la perdita dell’Elemento A → Ø, mentre la condizione di arresto a tale sviluppo by default è data dalla presenza di / a e/ finali, ossia dalle vocali contenenti l’Elemento A, in presenza del quale l’apofonia napoletana non è applicata (dinanzi a / a e/ / e o E O/ dimorano invariate). Nel processo napoletano, il tipo di attività dell’Elemento A è un caso vicino a quello di un’armonia di apertura o “ouvrante”» (372). Ne consegue che mentre per l’analisi tradizionale la metafonia è un’assimilazione, è concatenativa e parzialmente opaca, per M. Russo la metafonia non è un’assimilazione, ma un’evoluzione spontanea, non-concatenativa e non opaca, che «fa dell’apofonia il riflesso diretto di un morfema, l’Elemento A» (p. 8, da cui si trae la citazione testuale, e 365) 13 . Si ha insomma un ribaltamento di prospettiva rispetto alla spiegazione vulgata della metafonia napoletana. All’esposizione di questa proposta, come già detto, l’autrice arriva tramite passaggi intermedi. Non potendo per ovvi motivi dare conto di tutte le argomentazioni sviluppate nei diversi capitoli, in cui spesso trovano posto anche altri fenomeni del napoletano correlati alla metafonia, ci si limita a riferirne i titoli: 1. Origini della metafonia napoletana (9-91); 2. Opacità del sistema (93-120); 3. Classi dell’aggettivo (121-47); 4. Aggettivi di seconda classe e sostantivi ambigenere (149-75); 5. Estensioni analogiche del modello metafonetico nei sostantivi femminili (177-200); 6. Le motivazioni morfologiche (non fonologiche) dei paradigmi aberranti (201-21); 7. Modelli metafonetici in assenza di premesse etimologiche (223-50); 8. La categoria neutrale nella diacronia del napoletano: implicazioni morfologiche, lessicali, semantiche (251-307); 9. Il modello derivazionale di Calabrese (309-40); 10. Metafonia e Apofonia (341-65); 12. Analisi non-concatenativa della “metafonia” napoletana: fattori morfonologici e analogici (391-439). Si farà eccezione a questa regola di sobrietà imposta da ragioni di spazio per il capitolo 8, in cui si discute un altro importante fenomeno napoletano. Non a caso nella Premessa di 266 Besprechungen - Comptes rendus cui una vocale chiusa (come i e u) della sillaba finale debba innescare una chiusura dell’onset del segmento vocalico della sillaba tonica precedente senza modificare la sezione vocalica più vicina al trigger; in altre parole, non c’è alcuna ragione per cui il subcomponente del dittongo più distante dalla vocale atona finale debba essere l’elemento più chiuso. . . . È chiaro che dati quattro gradi di apertura nel vocalismo non metafonetico del napoletano composto dall’inventario [u o E a O e i]: grado 0 = i u, grado 1 = e o, grado 2 = E O, grado 3 = a e una volta ammesso che la metafonia equivale alla chiusura di un grado (quindi - 1), non si vede come integrare i dittonghi in tale gradazione; la chiusura metafonetica di un grado ‘- 1’ applicata ai timbri di base / E O/ con grado di apertura 2 dà 1 = [e o] (risultato ‘sabino’), dato che 2 - 1 = 1 (cf. capp. 1 e 10, § 5, tab. 18 . . .). . . . L’altra alterazione vocalica del processo metafonetico, la chiusura applicata ai timbri di base [e o] (> [i u]) aventi grado di apertura ‘1’, si integra, viceversa, facilmente in tale gradazione: la metafonia avente grado di chiusura = ‘- 1’ produce ‘1 - 1’ = 0 = [i u] e la chiusura si lascia eventualmente ricondurre a un processo di azione fonologica anticipativa a distanza operante dall’atona finale / i u/ alla tonica» (369-70). 13 «In napoletano, la centralizzazione delle vocali finali rende il sistema opaco e la distinzione morfologica è trasferita al fenomeno metafonetico. Ciò conferma la tesi che la metafonia è ormai un mutamento spontaneo e, a maggior ragione, riteniamo che sia necessario un trattamento nonconcatenativo di questa parte della morfologia. . . La perdita by default dell’Elemento A nel vocalismo atono, soprattutto desinenziale, potrebbe aver favorito il processo di morfologizzazione precoce visto che le vocali finali / -a -e/ , private astrattamente dell’elemento A, non hanno più ricevuto la specificazione di apertura vocalica durante le procedure di default» (373). M. Pfister esso viene definito (assieme al capitolo 6) un capitolo fondamentale: vi si analizza la categoria semantica del neutro (detto anche neoneutro), che caratterizza il napoletano e altri dialetti centro-meridionali 14 . Sebbene questa categoria sia conosciuta da tempo e su di essa si sia concentrata l’attenzione di diversi linguisti, non sempre è stata messa in rilievo e analizzata con la dovuta attenzione, soprattutto nelle edizioni di testi in napoletano; anche alla luce di questa constatazione, il capitolo riveste effettivamente un’importanza rilevante, poiché fornisce indicazioni precise sulle strategie di riconoscimento del genere neutrale 15 e sulle sue implicazioni morfologiche e mira a fare il punto della situazione su una categoria complessa che sarebbe opportuno segnalare sistematicamente nelle edizioni di testi antichi in napoletano, al fine di verificarne le modalità d’uso. Tirando le fila, si può affermare che il libro si presenta denso di informazioni e di spunti interessanti, sostenuto da un’ampia base documentaria e da solide competenze 16 . Gli studi successivi sul napoletano dovranno confrontarsi inevitabilmente con le tesi qui esposte, che forniscono una spiegazione coerente di un fenomeno «commune et extraordinaire, . . . toujours paradoxale» (si cita dalla Préface di P. Sauzet, xv), riconducendo chiusura e dittongazione a un unico processo fonologico (evoluzione spontanea e non assimilazione). Grazie alla vasta bibliografia il lavoro assume anche le caratteristiche del manuale di consultazione, sebbene l’assenza di un indice delle forme citate ne renda poco agevole la fruizione. Antonio Montinaro ★ 267 Besprechungen - Comptes rendus 14 Questa categoria non è interpretata univocamente dagli studiosi; tralasciando le altre posizioni (ricavabili dalla bibliografia leggibile a p. 251 N1, cui sono da aggiungere i recenti A. Ledgeway 2009: § 4.4.1. e 4.4.2. e M. Loporcaro, Variazione dialettale e ricostruzione. 1. La degeminazione settentrionale. 2. I due neutri del Centro-Meridione, in stampa negli atti del XXXIII Congresso annuale della Società Italiana di Glottologia [Palermo, 16-18 ottobre 2008]), si precisa che per l’autrice «si tratta del “mantenimento del genere neutro, seppure come reinterpretazione della categoria neutrale latina” . . . La reinterpretazione semantica consiste nell’aggancio referenziale ai campi lessicali del materiale e del collettivo, col risultato di unità lessicali dotate del tratto semantico [-numerabile], a prescindere dal genere latino» (251). 15 Cf. in particolare p. 251-52, 278 N79, 289, 291-93 e 296-97. Si individuano almeno due tipi morfologici: il tipo flessivo in -o e il tipo flessivo in -a. Il tipo flessivo in -o, che per A. Ledgeway 2009: 150 è definito erroneamente «neutro» per tradizione, si oppone ad un maschile omofono e ad un femminile omofono e la sua individuazione (poiché il napoletano non distingue / -u/ e / -o/ finali e perciò la metafonia si applica sia ai sostantivi neutri, sia ai sostantivi maschili) è affidata alle seguenti strategie grammaticali: applicazione del raddoppiamento fonosintattico, presenza di un dimostrativo e/ o di un aggettivo non metafonizzato e, nel napoletano antico, conservazione della laterale geminata negli articoli e nelle preposizioni articolate (251-52, 289 e 291-93 [cf. anche Loise De Rosa, Ricordi, ed. V. Formentin, 2 vol., Roma 1998: 305]); il tipo flessivo in -a (che «si accompagna spesso ad aggettivi o a participi anch’essi con desinenza in -a» [252], ma anche «in -e» [255]) è un plurale neutro con significato collettivo e la sua individuazione «è affidata all’accordo sintattico plurale del verbo o del predicato nominale» («alcune forme di plurale neutro in -a aventi valore collettivo appaiono in nap. antico a volte rifunzionalizzate nella classe del femminile singolare» [252 e 254]). «Pertengono alla categoria semantica del neutro [pure] gli “indeclinabili”, anche a prescindere dal genere neutro latino. Negli indeclinabili, come nei sostantivi semanticamente neutri, l’assenza di metafonia non deve necessariamente essere collegata a ragioni di ordine fonetico (presenza di una originaria desinenza in -o), ma alla minore funzionalità morfologica di questi lessemi che non risultano inseriti in un paradigma funzionale; “in un avverbio o in un sostantivo di materia non numerabile la metafonesi non servirebbe infatti a distinguere il genere o il numero”» (296-97). 16 M. Pfister definisce significativamente la lettura del libro impegnativa (xiv).