eJournals Vox Romanica 69/1

Vox Romanica
vox
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2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2010
691 Kristol De Stefani

Guy Latry (ed.), La voix occitane. Actes du VIIIe Congrès de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Bordeaux, 12-17 octobre 2005), Pessac (Presses Universitaires de Bordeaux) 2009, 723 p. + 779 p.

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2010
Gerardo  Larghi
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re da un banale (e mentale) saut-du-même-au-même del copista, tratto in inganno dalla sequenza di futuri in -an (et escarniran lo et escupir en lui, e batran lui, e auciran lui [Mc. 10,31]). - Interessanti anche alcuni casi di pleonasmi sintattico-semantici (90-91): un doppio comparativo (mais majorment avia peitz [Mc. 5,26]); un raddoppio della espressione verbale (dic a vos que so tals d’aquels n’i a que [Mc. 8,39]); un complemento preposizionale espresso due volte con un cambio di preposizione (mais a manifestar la nostra cura, la qual per vos avem a vos [Cor. 2 7,12]): nella edizione Wunderli ha ritenuto che gli ultimi due casi corrispondessero ad altrettanti errori del copista e ha provveduto a correggere il dettato del manoscritto nel testo critico (sopprimendo in entrambi i casi la seconda espressione). Sarebbe però forse stato utile anche esaminare l’ipotesi di trovarsi di fronte ad una doppia lezione, forse frutto di una esitazione del traduttore, ovvero da assegnare a qualche copista. Pochissime le mende da segnalare (vol. 2: 12 intiale per initiale; 2: 83 inéressantes per intéressantes; 2: 104 Cette per cette). Infine sarebbe forse stato opportuno non scindere nel secondo volume la Bibliografia propria della parte linguistica (101-03) da quella relativa al glossario (107-08): ciò avrebbe evitato di dover riprodurre alcuni item in due luoghi tanto prossimi. Peter Wunderli ha dunque dato alle stampe un lavoro destinato a segnare una tappa fondamentale per gli studi linguistici e storici sulla lingua e le dottrine catare. Gerardo Larghi ★ Guy Latry (ed.), La voix occitane. Actes du VIII e Congrès de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Bordeaux, 12-17 octobre 2005), Pessac (Presses Universitaires de Bordeaux) 2009, 723 p. + 779 p. Finalmente hanno visto la luce gli atti dei lavori dell’ottavo congresso della Association Internationale d’Études Occitanes, svoltosi a Bordeaux dal 12 al 17 settembre 2005. Nei due corposi volumi sono raccolti oltre un centinaio di saggi relativi alla lingua e letteratura medievali; ad una nuova storia della letteratura occitana; alla linguistica e sociolinguistica, nonché all’oralità; alla letteratura scientifica e didattica ed infine alla materia di Guascogna e l’occitano guascone. Vista la alta qualità dei lavori presentati in quella assise, la vastità dei materiali esposti, l’ampiezza degli argomenti affrontati (nonché la competenza specifica del recensore), analizzeremo qui nel dettaglio solo alcuni tra gli apporti editi, concentrandoci soprattutto sulle sezioni relative alla lingua ed alla letteratura antico occitanica e limitandoci invece a qualche annotazione sui restanti, pur interessantissimi, apporti. Il primo volume si apre con la sezione dedicata alla Langue médiévale, nella quale spicca, per ampiezza di vedute e profondità di analisi, la riflessione di Walter Meliga su Philologie et linguistique de l’occitan médiéval (23-51). Nelle sue note, con l’equilibrio e la acribia che gli sono riconosciuti, il filologo torinese traccia un quadro degli studi condotti dai linguisti intorno alla letteratura occitanica sottolineando i risultati cui negli ultimi anni tali ricerche sono pervenute: la crisi in cui si trova l’idea stessa dell’esistenza di un perfetto sistema bicasuale nella morfologia occitana, l’importanza assunta dalla scripta per la individuazione delle regioni di origine di manoscritti e copisti di opere in lingua d’oc. Hélène Carles si è invece concentrata su Les 355 Besprechungen - Comptes rendus toponymes occitans autour de l’an Mil (53-65), dimostrando quanto utili possano essere le ricerche condotte all’incrocio tra linguistica storica, storia e filologia. Obiettivo della linguista è di osservare il processo, lungo e graduale, del passaggio dal latino all’occitano nei documenti amministrativi, ed in particolare l’emergere del volgare tra VIII e XI secolo, dapprima a livello infra-lessematico attraverso soprattutto alcuni tratti grafematici e poi attraverso l’apparizione di unità significative quali i nomi propri e/ o nomi comuni (53). Campo privilegiato di analisi è la toponimia, dacché lo studio dell’evoluzione dei toponimi si colloca all’incrocio tra la linguistica storica e la sociolinguistica storica. Carles concentra la sua attenzione sul corpus offerto dai cartulari del capitolo cattedrale di Saint-Julien de Brioude e sulle carte del cartulario di Sauxillanges, testimoni privilegiati e sufficientemente corposi degli avvenimenti che interessarono l’Auvergne nei secoli IX-XI. La linguista giunge così a modificare alcune datazioni proposte dal FEW (è questo il caso ad esempio di sanha, lemma per il quale finora si disponeva di attestazioni in carte linguadociane successive al XII secolo e di cui invece Carles può indicare testimonianze collocabili tra 953 e 974). Sempre entro l’ambito linguistico si collocano gli articoli di E. Casanova, El Canon d’Avicenna, text escrit en català i/ o en occità? (89-104) e R. Ciérbide, Traducción de un texto jurídico occitano (Lo For de Jaca) al romance de Navarra (1341) (105-17), i quali hanno esplorato invece le interferenze linguistiche franco-iberiche in due testi non letterari. La sezione relativa alla Littérature médiévale si apre con l’articolo di A. Schippers, La poésie hispano-arabe et les premiers troubadours d’Aquitaine (121-30), nel quale l’autore ha fatto il punto sulle ricerche condotte in merito alla nascita della poesia trobadorica, mentre K. Klingebiel, À la recherche des troubadours: la Gascogne (131-40) ha dedicato la sua attenzione ad investigazioni biografiche sui poeti guasconi. La studiosa statunitense sceverando i troubadours phantômes dai poeti in lingua d’oc a noi noti o attestati, presenta un elenco di verseggiatori che nacquero nelle regioni a Sud-Ovest della Francia, tra i Pirenei e l’estuario della Garonna. Per quanto condotta con la consueta acribia, non tutte le conclusioni cui perviene l’indagine della Klingebiel sono ugualmente accettabili. Tale è il caso per Aimeric de Pegulhan inserito tanto nella generazione di coloro per i quali si può ipotizzare una origine tra il 1140 e il 1180 quanto tra gli autori della generazione successiva (1180-1220), e del quale è omessa invece la presenza tra coloro che redassero versi in lingua d’oc tra il 1220 e il 1260. Una scelta che però stride con quanto sappiamo del poeta il quale fu, secondo la vida, originario di Tolosa (benché il suo lignaggio provenisse forse dal villaggio di Peguillan, nel Comminges, a 35 chilometri da Saint-Gaudens), e che operò tra 1196 e 1227. Amanieu de la Broquieira dovrebbe trovare il suo posto unicamente nella terza generazione di trovatori e non anche nella seconda (solo nel 1188, infatti, sottoscrisse in qualità di testimone l’atto con cui Bernart IV donò alcuni beni all’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni). Klingebiel include Bernart IV d’Astarac tra i poeti occitani ma si dovrà pensare piuttosto a Bernart III, nato dopo il 1230 e morto intorno al 1291. Tra i poeti guasconi si deve considerare anche Peire de Durban, nei pressi di Foix, signore di Montégut (Ariège), del quale possiamo seguire le vicende biografiche tra il 1215 e il 1244. Uc de Pena, attivo sicuramente tra il 1228 e il 1248 è invece da espungere dai poeti della generazione attiva tra il 1260 e il 1300: è improbabile però che il giullare possa essere riconosciuto nell’omonimo cavaliere che avrebbe partecipato alla sfida di Bordeaux nel 1283 1 . Il Vesque de Bazas è stato ormai definitivamente identificato in Galhart de la Mota (nato prima del 1186 e defunto il 10 luglio 1235, ma che ricoprì la carica episcopale fino al 1213) 2 . 356 Besprechungen - Comptes rendus 1 Ipotesi questa che invece è ancora erroneamente fatta propria dal più recente editore del poeta, G. Cura Curà, «Le canzoni del trovatore Uc de Pena», Critica del testo 10 (2007): 9-45. 2 Cf. S. Guida, Trovatori minori, Modena 2002. Gausbert Amielh presumibilmente operò prima del 1254 e non dopo il 1260. Jordan IV de l’Isle-Joudain nacque prima del 1229. Forti dubbi gravano infine sulla immedesimazione tra Lantelmet de l’Agulhon (il quale si è ipotizzato possa essere stato guascone) e il Lantelm (BdT 283) attivo tra Provenza e Liguria 3 . Il contributo di A. Touber, L’importance des troubadours pour les lyriques médiévales nationales en Europe (141-56), si occupa degli apporti della poesia occitana alle liriche nazionali medievali: l’autore ha condotto le sue indagini prendendo in esame gli aspetti semantici, ideologici, stilistici, di generi letterari e metrici. Su questioni melodiche si è chinato F. Carapezza, La voix de Marcabru: écarts tonaux et clausules mélodiques dans le Vers del lavador (BdT 293.35) (157-69), il quale ha indagato i riferimenti alle qualità vocali di Marcabru contenuti nelle liriche occitaniche. Lo studioso panormita ne ha ricavato la convinzione che la rauca votz del moralista guascone abbia costituito un potente strumento di comunicazione; secondo le convincenti conclusioni cui giunge Carapezza il verseggiatore avrebbe anzi adottato per vers moralizzanti quali il Vers del Lavador e Dirai vos senes doptansa (BdT 293,18), charpentes métriques atte a sottolineare proprio il vigore oratorio della sua «predicazione» (168-69). Alla analisi della vida di Jaufre Rudel e della fortuna che ottenne il suo mito presso gli uomini del XIII secolo sono state dedicate le comunicazioni di R. Rosenstein, La vida es sueño: grammaires d’absence et de présence dans la vida sostenguda de Jaufre Rudel (171- 84) e M. F. Notz, A cercar la sua morte. . .: la fascination de Jaufre Rudel (185-94). Quanto a questa ultima ricerca, una considerazione deve essere fatta circa l’analisi del dibattito tra Izarn e Rofian Vos que amatz cuenda donn’ e plazen (BdT 425,1 = BdT 255,1). Come noto in questo partimen i due trovatori, forse attivi sul finire del XII secolo in Provenza, definirono Jaufre vescoms amoros, in contrasto con la vida che invece chiama prince il signore di Blaya; Izarn e Rofian inoltre lasciarono intendere che il verseggiatore girondino fosse morto durante la traversata (moric al passage), e non una volta giunto a Tripoli. Martin de Riquer trasse anche da questi dati l’ipotesi che i due rimatori abbiano conosciuto una biografia del poeta girondino diversa da quella che ci è stata trasmessa: tale congettura è giustamente respinta da Notz (191) per quanto attiene alla interpretazione del termine passage, mentre la studiosa tace sul problema del diverso titolo nobiliare attribuito a Rudel. Nell’Aquitania medievale i prince appartenevano allo strato nobiliare a diretto contatto con i duchi. Ad essi era affidata di norma la custodia di castelli e a loro le carte coeve alludevano con gli appellativi di dominus o princeps 4 senza che ciò costituisse riferimento ad uno specifico grado aristocratico. Non vi è dunque per forza contraddizione tra quanto dice la vida e il dettato del dibattito poetico. È poi anche avanzabile l’ipotesi che Izarn abbia immedesimato il lignaggio dei Rudel di Blaya e quello dei Rudel di Bergerac, i quali nei primi anni del XIII secolo si imparentarono con i visconti di Turenna 5 . M. De Conca, All’origine dell’alba trobadoresca (195-205) ha seguito, attraverso la letteratura classica e quella medio-tedesca, le tracce del genere dell’alba antecedenti alla tradizione galloromanza (205). L. Paterson, Insultes, amour et une trobairitz: la tenso de Raimbaut de Vaqueiras et Albert Malaspina (PC 15.1) (227-36) analizzando la tenzone tra il poeta provenzale e il nobile lu- 357 Besprechungen - Comptes rendus 3 Ipotesi invece ripresa ora da M. G. Capusso, «Un duello oitaneggiante: lo scambio di sirventesi Lanfranco Cigala - Lantelmo», in: M. Lecco (ed.), Poeti e Poesia a Genova (e dintorni) nell’età medievale. Atti del Convegno per Genova Capitale della Cultura Europea 2004, Alessandria 2006: 9-41. 4 Cf. A. Debord, «Châteaux et société dans le Rouergue médiéval (X e -XIII e siècle)», Château Gaillard. Études de Castellologie médiévale 14 (1990): 7-27 (14 s.). 5 S. Stronski, La légende amoureuse de Bertran de Born, Paris 1914: 158 s. nigiano giunge alla conclusione che i versi furono il frutto di un divertimento di corte e che gli stichi furono composti nelle aule malaspiniane ovvero a Tortona, forse durante una visita di Bonifacio di Monferrato al cognato (230). L’ipotesi emessa da Paterson si fonda sulla proposta di datazione del testo avanzata da Gilda Caiti Russo 6 : in BdT 392,7 il rimatore provenzale avrebbe lodato ser Opetì, cioè Obizzone I Malaspina, patriarca della gens Malaspina fino al 1186, anno della sua morte ed al quale succedette il figlio Obizzo II, perito prima dell’aprile 1194. La figura opaca di quest’ultimo difficilmente però avrebbe posseduto l’aura cortese che Raimbaut gli assegna. Da questo fatto, secondo Caiti Russo, deriverebbero due conseguenze: Raimbaut sarebbe stato addobbato cavaliere prima del 1189, e la stesura della tenzone tra la donna genovese e il poeta sarebbe da collocare tra 1182 e 1185, cioè tra l’epoca del primo soggiorno dell’artista provenzale in Italia e il momento del decesso del signore. In effetti storicamente la composizione di BdT 392,7 si spiega meglio quando si inserisce la tenzone nel contesto dello scontro tra i Malaspina e il municipium genovese; la rapida fortuna ottenuta da Raimbaut in Italia si giustifica poi proprio per il fatto che il poeta fu tra i primissimi a varcare le Alpi ed a portare la raffinata poesia occitanica nelle aule piemontesi 7 . Infine tra il 1192 e il 1194 Bonifacio fu in più occasioni coinvolto in spedizioni e guerre, sicché si comprenderebbe a fatica che il miles Raimbaut, ormai pienamente integrato nel sistema cortigiano aleramico, si sia recato dai Malaspina per lodarne la figura. Complessivamente pertanto il testo sembra adattarsi meglio alla figura di Obizzo I, un signore che ebbe un ruolo centrale negli equilibri geopolitici dell’Italia centro-settentrionale, e la cui politica, tesa a costituire un saldo principato familiare nella delicata regione sita tra Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia e Toscana, fu apparentemente ripresa dai suoi discendenti diretti. L’alleanza tra Malaspina e Aleramici è indice evidente dell’esistenza di una comune strategia ideologica la cui definizione, presumibilmente, risaliva proprio a Obizzo Malaspina. Tale linea ovviamente individuava nei municipi vicini i principali oppositori, concorrenti pericolosi per la sopravvivenza stessa del patrimonio della Marca e dunque avversari su cui riversare non solo la forza delle armi bensì anche il biasimo proveniente da una campagna propagandistica ben orchestrata. A conferma di ciò si rimarchi che il profilo di Bonifacio di Monferrato, nei testi di Raimbaut de Vaqueiras, appare disegnato sul modello del perfetto cavaliere, le cui linee risaltano tanto più per contrasto anche con il ritratto di Alberto Malaspina al quale le virtù non appartengono e che nei versi del lirico provenzale si distingue per imprese di assai meno rilevante profilo etico e cortese. Una nuova ipotesi attributiva è invece avanzata da R. Harvey, La voix dans les pièces dialoguées: à propos du partimen PC 185.2 = 457.24 (237-49). Esaminando il dibattito poetico in questione la studiosa ha ritenuto di individuare per esso l’esistenza di due redazioni. La paternità della prima versione, a giudizio della filologa britannica, sarebbe da assegnare a Savaric de Mauleon (cioè al senher evocato all’inizio delle strofe) e ad Uc de la Bacalaria (o eventualmente Uc de Saint Circ); il testo sarebbe poi stato ripreso da Certan, un poeta frequentatore della corte di Aragona, e da Uc (presumibilmente sempre Uc de Saint Circ o Uc de la Bacalaria). La versione originale della contesa sarebbe stata inviata a Dalfi d’Alvernha e Maria de Ventadorn. 358 Besprechungen - Comptes rendus 6 G. Caiti Russo, «Appunti per una lettura malaspiniana del contrasto bilingue di Raimbaut de Vaqueiras», in: M. Lecco (ed.), Poeti e Poesia a Genova (e dintorni) nell’età medievale. Atti del Convegno per Genova Capitale della Cultura Europea 2004, Alessandria 2006: 189-204; Ead., Les troubadours et la cour des Malaspina, Montpellier 2005. 7 Identica ventura toccò, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, anche a Peire de la Mula. Quanto all’interlocutore di nome Uc, pur essendo verosimile che costui vada immedesimato proprio nel poeta di Bacalaria e che nel senher sia da riconoscere il barone peitavino Savaric de Mauleon, non si deve però sottacere che tale ipotesi mal si accorda con altri dati. Secondo il frammento biografico, infatti, il verseggiatore originario di Bacalaria viaggiò poco e fu poco conosciuto tra i suoi contemporanei. Per contro, a favore di una identificazione dell’autore del dibattito con Uc de Saint-Circ, c’è il fatto che prima del 1208 il poeta di Thegra fu il latore, come egli stesso afferma nella vida, delle coblas Savaric e.us deman (BdT 384,1 = BdT 432,3) nelle quali il nobile Mauleon interloquì con il Prebost de Valensa. Questi versi furono inviati a Guglielma de Benauges, a Maria de Ventadorn e ad una domna de Monferran, nella quale non è escluso che si debba riconoscere proprio la moglie di Dalfin d’Alvernha, destinatario dei versi BdT 185,2 = BdT 457,24 8 , i quali dunque, se dovessimo accogliere questa proposta, sarebbero stati ideati tra il 1206 circa e il 1212, quando Uc de Saint Circ fu alla corte di Savaric. Si rammenti poi che tra i poeti che intrattennero relazioni con la corte dello steso Dalfi d’Alvernha, oltre a Uc de Saint Circ e Uc de la Bacalaria, si deve annoverare con ogni certezza anche Uc de Maensac, il cui nome compare in alcuni diplomi accanto a quelli del signore di Clermont e di Pons de Capduelh. W. Paden, Un comte des Orcades à la cour de Narbonne: Ermengarde la jeune et le scalde Rögnvald (265-76), segnala la rievocazione di un incontro, avvenuto presumibilmente attorno al 1151, tra Ermengarda di Narbona e Röngvald, conte delle Orcadi, l’arcipelago sito al largo delle coste scozzesi. Traccia di questo incontro si troverebbe nella saga delle Orcadi, un testo antico norreno, composto da un autore islandese poco prima del 1200. Nel suo intervento G. Noto, Per una nuova edizione delle «biografie» trobadoriche (315- 26), presenta il progetto di edizione ipertestuale delle «biografie dei trovatori» cui da tempo sta lavorando. Obiettivo di questo lavoro, che dovrà necessariamente utilizzare strumenti informatici, non sarà solo quello di fornire una «edizione ricostruttiva» ma di affiancare ad essa una «edizione documentaria», ovverosia «ogni singola raccolta di testi biografici contenuta dai canzonieri» (321). La ricerca di S. Romualdi, Il canzoniere provenzale B, «gemello» trascurato (327-37), si è concentrata sui rapporti tra il codice oggi conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi e il suo «gemello» A, indagando in particolare sui testi che B conserva e che invece sono assenti nel canzoniere depositato alla Biblioteca Vaticana. La filologa giunge alle conclusioni che AB hanno attinto solo parzialmente alle medesime fonti e che B ha avuto ricorso ad una «fonte complementare», utilizzata «per integrare, correggere o variare il modello principale» (335). In buona sostanza B risulta testimone più autorevole rispetto ad A. A sostegno di questa affermazione la studiosa porta prove desunte dalla tradizione della lirica di Guilhem Figueira D’un sirventes far (BdT 217,2), per la quale è ammissibile l’ipotesi del ricorso da parte del canzoniere «ad una pluralità di fonti, tra cui una fonte complementare esterna alla sua famiglia» (332); Romualdi fonda la sua ipotesi anche sull’esistenza in B «di numerose strofe e tornadas omesse, invece, in A» (333) e sulla presenza tra i manoscritti «di . . . numerose divergenze che vanno da lezioni adiafore o indifferenti a lezioni che producono un sostanziale mutamento di significato» (334). N. Seto, May deu hom voler lo frug que l’escorsa? Remarques sur un cas d’hiatus (PC 389,32 v.27) (339-53) ha rivolto la sua attenzione ad un problema di ordine filologico, vale a dire la corretta lezione del v. 27 della celebre canzone di Raimbaut d’Aurenga Non chant per auzel ni per flor, verso che il filologo giapponese propone di leggere car ieu begui de cel’amor per evitare lo iato la amor. La soluzione avanzata contrasta però sia con quanto 359 Besprechungen - Comptes rendus 8 F. Zinelli, «Attorno al senhal Gardacor in Uc de Saint-Circ Bdt 457.3 (appunti per una storia dei poeti di Savaric de Mauleon)», Quaderni di Filologia Romanza 14 (2001): 245-73. dicono le Leys d’Amors sia con un ristretto manipolo di casi simili individuabili nella lirica occitanica. Il trattato poetico infatti non ammette iato soprattutto nel caso in cui si tratti di parole inizianti con la medesima vocale con le sole eccezioni dell’articolo li (articolo definito maschile, caso soggetto plurale), e quando se fan per quom no laysshe bon mot, quar may deu hom voler lo frug que l’escorsa 9 , di fatto introducendo un criterio di ordine stilistico; fattispecie che ben si applica al caso offerto dal verso rambaldiano, giacché uno iato appare meno ostico che non l’introduzione di una lezione banale e per di più non attestata (come è il caso di cest in luogo di la). Laddove poi nella letteratura trobadorica è dato rinvenire uno iato la am, Seto preferisce intervenire per normalizzare la situazione testuale e prosodica (341N8). Questa scelta però non appare sempre congrua. Difficile infatti eccepire ad un restauro testuale per qu’eu la am mays tostemps sens engan, per il verso 35 del planh di Raimbaut de Vaqueiras Ar pren camgat per tostemps de xantar (BdT 392,4a). Nel solo testimone manoscritto, il canzoniere catalano VeAg, lo stico è infatti trascritto per qu’yeu l’am mays tostems sens engan: richiedendo la metrica qui un decasillabo il filologo nipponico propone di restaurare così lo stico: per que ieu l’am mays tostems sens engan al solo scopo di evitare lo iato la am. Quanto al verso 48 della canzone di Raimon Jordan Lo clar temps vei brunezir (BdT 404,4), l’ultimo editore ricostruisce con una scelta che appare del tutto condivisibile que tant <la> am e la vuelh (nei ms. la situazione è la seguente: <la> am ] lam DIKCa, la desir F, vos desir A) 10 , ed a torto Seto respinge questa ipotesi. Benché non si pronunci, lo studioso sembrerebbe, infatti, preferire la scelta di Kjellman (que tan la desir e volh), che però si appoggia su una variante facilior e minoritaria 11 . La sezione dedicata alla riflessione su questioni di Science et médecine dans l’écrit médiéval si apre con un contributo di M. S. Corradini, specialista della materia, intorno a La Fachlitteratur médico-pharmaceutique en ancien occitan dans le contexte européen: des facettes culturelles et linguistiques (437-49). La riflessione presenta una vasta panoramica sulla letteratura medica in lingua d’oc medievale, rilevandone l’importanza tanto ai fini culturali, quanto per gli aspetti linguistici e lessicologici. Interessanti prospettive di ordine lessicologico, dietro le quali si intravedono anche fruttuose piste per ulteriori ricerche di ordine culturale e storico, si delineano grazie al contributo di G. Mensching, Listes de synonymes hébraïques-occitans du domaine médico-botanique au Moyen Âge (509-26), il quale segnala l’esistenza di numerose liste di termini medico-botanici nascosti in elenchi di vocaboli trascritti utilizzando l’alfabeto ebraico. Per la loro unicità si rilevino le attestazioni in ambito medievale di termini medico-botanici quali agrenas (o forse agrenás), portologais (per bortologais), blets, dent cavalhina, coda de cavalh, escoria aurea, escoria d’argent. C. Chaillou, Le chant du texte dans la poésie lyrique des troubadours (545-57), in un contributo dedicato alla analisi delle interferenze tra musica, metrica e testo, e fondato sulla analisi di Era pot ma domna saber (BdT 305,6) del Monge de Montaudon, rileva come nella pratica trobadorica la melodia rientrasse nella logica semantica del testo (557). Interessante ed innovativo studio, non si comprende però perché nella sua comunicazione la studiosa si riferisca al Monge chiamandolo con il nome di Pons (557). V. Cunha, Les chansons médiévales et les chansons traditionelles gallo-romanes: l’image de la femme (559-71) ha invece concentrato la sua acribia sulle differenti tipologie di chan- 360 Besprechungen - Comptes rendus 9 A. Gatien-Arnout (ed.), Las Flors del gay saber estier dichas Las leys d’Amors, vol. 1 Toulouse 1841: 28. 10 S. Asperti, Il trovatore Raimon Jordan, Modena 1991: 261. 11 H. Kjellman, Le Troubadour Raimon-Jordan, Vicomte De Saint-Antonin, édition critique accompagnée d’une étude sur le dialecte parlé dans la Vallée de l’Aveyron au XII e siècle, Uppsala 1922: 110. sons de femmes presenti nella tradizione medievale, e specificamente gallo-romanza. La filologa brasiliana ha individuato nei testi dedicati alle lamentazioni femminili per le nozze infelici cui erano costrette «la voix d’une femme qui voulait s’émanciper de la tutelle d’un mari qui lui avait été imposé dans son jeune âge, et qui souvent ne cherchait qu’à l’enfermer dans un foyer». Di conseguenza la donna «devait . . . se rebeller constamment contre cette situation, ce qui devait attirer la colère du mari, beaucoup plus âgé, peut-être un jeune adulte lui-même mais ‹vieux› pour une adolescente» (568). In effetti, conclude la studiosa, «les corpora des chansons de femmes sont, sans doute, de riches sources pour dévoiler ce que l’histoire escamote: la violence sur les jeunes filles de tous les temps» (570). Non è il caso, per la complessità del tema, di entrare qui in una discussione sulle chansons de femmes, ma pare opportuno sottolineare come la natura eminentemente letteraria di tali testi richieda assai più di un semplice parallelismo per stabilire un rapporto storico tra essi e la condizione della donna nel medioevo. Con ciò non si vuol certo contestare il valore dei testi letterari come fonte storica, quanto piuttosto evidenziare come una lettura non stratificata e storicamente filtrata dei frammenti poetici trobadorici possa ingenerare qualche confusione. Tra le liriche trobadoriche su cui Cunha fonda la sua attenta analisi vi sono ad esempio le canzoni della Comtessa de Dia e di Na Castelloza: orbene, la seconda verosimilmente fu moglie di Turc de Mairona, un signore di Meyronne, presso Venteuges nella Alta Loira e la prima è invece da riconoscere credibilmente in Isoarda de Die, consorte del grande signore provenzale Raimon II d’Agoult. La loro condizione sociale ne faceva cioè indubitabilmente delle pedine nel gioco politico coevo, ma occorre rimarcare come proprio i dati relativi alla loro vita ne traccino un profilo non del tutto congruente con quanto sostenuto dalla studiosa americana. Identico discorso potrebbe riguardare Ermengarda, viscontessa di Narbona e protettrice di poeti. Diverso invece il discorso per quanto concerne personaggi quali Maria di Montpellier. Le donne medievali non furono dunque tutte, sempre e in ogni luogo, oggetti passivi di arbitrarie (quando non violente) decisioni altrui: le differenze poi non dipesero tanto (o soltanto) dalle propensioni personali dei padri, dei fratelli o dei mariti quanto piuttosto dalle consuetudini locali in materia di eredità e dall’evoluzione del diritto, elementi questi che in svariati casi ebbero il decisivo merito di rendere il genere femminile protagonista del proprio destino. Ad esempio in Catalogna ed Occitania nei secoli X e XI il matrimonio ipergamico, in quelle centurie parte fondante di ogni strategia familiare, fu un prezioso strumento per l’allargamento dello spazio della libertà femminile: non a caso in quelle plaghe la donna comparve nelle carte coeve di norma solo dopo le nozze, e sovente attivamente associata al marito nella gestione del potere e del patrimonio familiare. Anche al principio del XIII secolo «l’éclatement du lignage» 12 ridiede spazio a mogli e figlie: nè è causale che la voce delle trobairitz si sia fatta sentire proprio in quei decenni. Per contro tali spazi furono ridotti di volta in volta e di luogo in luogo, talora dalle disposizioni restrittive in materia ereditaria, talaltra dall’espansione del diritto romano dalla Provenza verso le regioni occidentali del dominio occitanico, o dalle strategie matrimoniali ipogamiche. La libertà della donna nel Medioevo fu dunque direttamente legata al possesso di beni, alla eredità, al dotalizio: una analisi delle implicazioni storiche delle chansons de femmes non può prescindere da questo dato. In A. Formica, Storia della diaspora occitana a Guardia Piemontese (Calabria) e «chansons»: un’esperienza di oggi alla maniera dei Troubadours (587-98) sono presentati i risultati di una ricerca etnomusicologica sull’inestimabile patrimonio culturale conservato in questo estremo lembo meridionale della occitanicità. 361 Besprechungen - Comptes rendus 12 M. Aurell, Les noces du comte. Mariage et pouvoir en Catalogne (785-1213), Paris 1995: 550 per una analisi storica di questo aspetto. Sempre a Guardia Piemontese ma con l’attenzione alle difficoltà connesse al tentativo di creare una lingua guardiola scritta sono dedicate le pagine di H.-P. Kunert, Le passage de l’oralité à l’écriture: écrire l’occitan de Guardia Piemontese (953-64). L’emergenza della lingua guascone e il suo posto nella Romània sono stati oggetto dell’attenzione di J.-P. Chambon/ Y. Greub, L’émergence du protogascon et la place du gascon dans la Romania (787-94). Gli autori giungono alla conclusione che il protoguascone si sviluppò tra il 418 e il 511 dopo Cristo: fu in quei decenni che l’idioma acquisì l’insieme delle sue caratteristiche. Le indagini, i cui risultati sono assolutamente convincenti, sono state condotte avendo ricorso soprattutto agli strumenti offerti dalla toponomastica e hanno consentito ai due linguisti di concludere circa la piena autonomia del guascone rispetto all’occitanico, lingua della quale «le gascon ne saurait être consideré comme un dialecte» (789); inoltre Chambon e Greub hanno proposto di anticipare di almeno un secolo il momento della separazione tra le varietà linguistiche della Francia sud occidentale (in generale già intorno al 600 d. C. la frammentazione della Romània poteva dirsi compiuta o quanto meno le varietà linguistiche erano già individuabili), nonché di considerare in origine l’occitano quale «unité négativo-passive» (793). Esso non fu dunque anzitutto un insieme omogeneo, quanto piuttosto un assemblaggio ottenuto a partire da un fondo arcaico di «ressemblances romanes ou diaromanes» (793). Una riflessione sullo stato di crisi in cui versano gli studi di onomastica occitana è venuta ancora da J.-P. Chambon, À quelles conditions une onomastique occitane est-elle possible? (1019-36). Nel suo articolo il professore della Sorbona ha rilevato come, a suo giudizio, discipline quali la toponomastica e l’onomastica, pure decisive per numerosi aspetti, siano troppo sovente prive di rapporti con le altre branchie del sapere linguistico quali la linguistica storica o la lessicologia. In conclusione «les toponymistes d’oc devraient . . . se donner une formation de linguistes» (1029), abbandonando invece strade come quella che portò ad identificare, dietro un gran numero di toponimi occitani, più o meno credibili radici pre-indoeuropee, così confondendo l’etimologia prossima con l’etimologia remota. F. Bronzat, Istòria literaria e non de las Valadas occitanas d’Italia (1313-50), ha tracciato una rapida, ma non corriva, panoramica della letteratura in lingua occitana delle vallate piemontesi nel corso del XX secolo. Un congruo numero di comunicazioni sono state dedicate a Max Rouquette, René Nelly e Robert Lafont, tre campioni moderni dell’occitanismo, impegnati tanto sotto il profilo degli studi scientifici, quanto sotto quello di una militanza letteraria e politica. Z. Bouchentouf-Siagh, Robert Lafont, l’Oc(citan), Mouloud Mammeri, l’Azwaw: Amusnaw, porte-parole, l’un et l’autre? (1417-29) ha concentrato la sua attenzione sui rapporti che i due intellettuali hanno intessuto con le rispettive culture d’origine in Francia e in Algeria, entrambe minoritarie (l’occitano per Nelli, il berbero per Mouloud Mammeri). Alle connessioni tra Robert Lafont e l’Europa sono dedicati i contributi di D. Julien, Voyage en Europe lafontienne (1431-40) e P. Hutchinson, Robert Lafont, la question des Origines et les deux Europes (1441-60). Nel primo è stato tracciato un ritratto di Robert Lafont, mettendo in rilievo i rapporti che esistono tra le sue opere letterarie (in particolare il grande affresco di La Festa 13 ), e la promozione dell’occitano e le istanze politiche europee: negli scritti del compianto Lafont un legame indissolubile stringe «l’avenir de l’Occitanie à celui de l’Europe» (1434) così come l’avvenire della langue d’oc alla stregua del futuro «de toutes les langues européennes ne peut se concevoir que dans le cadre d’une Europe libre, pacifique, fraternelle» (ib.). I popoli per lo scomparso studioso, non fondano la propria identità su frontiere storiche quanto su unità linguistiche. Hutchinson invece, ha dedicato il suo lavo- 362 Besprechungen - Comptes rendus 13 R. Lafont, La Festa, Nîmes 1984. ro al tema delle origini della poesia epica e alle attenzioni che a questo spinoso argomento rivolse il grande intellettuale recentemente scomparso. Tali interessi sfociarono in contributi critici di cui si possono mettere in dubbio i risultati (certo non sempre convincenti), ma nei quali secondo Hutchinson è possibile individuare il germe dell’impegno letterario e politico di Lafont: «au revers d’une Europe advenue des Croisades, de la Reconquista, de la féodalité, de l’intolérance . . . il décrypte une Europe possible du droit, des villes, de le mixité . . . de la cohabitation des religions» (1450). L’ipotesi di Lafont che sia esistito un Urtext occitano della Chanson de Roland o del ciclo di Guillaume d’Orange peraltro in nessun modo, sostiene lo studioso anglo-provenzale, modifica la prospettiva politica, all’occorrenza nazionalista ed etno-centrica, nella quale si pose Paul Meyer allorquando con vigore (e probabilmente a ragione) sostenne l’origine francese delle canzoni epiche. Si aggiunga che noi ormai sappiamo che il ciclo di Guillaume d’Orange dovette una parte consistente della sua fortuna anche all’uso che di esso fece Guilhem de Baux, trovatore e potente signore delle regioni rodaniane, ma soprattutto, per almeno un decennio fedele alleato dei crociati (e per questo ucciso, nel 1218, dai cittadini di Avignone convinti sostenitori del conte Raimondo VII di Tolosa). Da segnalare, tra gli altri, anche i contributi, a vario titolo interessanti, di N. Unlandt, La dame imaginaire chez Pierre Abelard et chez les troubadours: thème et variations (277-85); B. Saouma, La notion de beauté dans la fin’amor, à travers l’esthétique médiévale (287-95); C. Kuné, Les rapports entre les jeux religieux médiévaux européens. L’arrestation du Christ, la blessure et la guérison de l’oreille de Malchus dans les drames religieux européens du Moyen Âge (297-314); A. Ibarz, The Critical Reception of Ausiàs March’s Affiliation to the Troubadours (355-67); L. Badia/ J. Santanach/ A. Soler, Le rôle de l’occitan dans la production et la diffusion des œuvres de Raymond Lulle (1274-89); A. Krispin, Louise Labé et les trobairitz (409-23); P. T. Ricketts, L’ouïe et la surdité dans l’Elucidari de Barthélémy l’Anglais (451-56); K. Bernard, Les motifs de la «science» divinatoire dans le déroulement narratif de Flamenca (457-90); J. Ducos, La cosmologie dans le Breviari d’Amor de Matfre Ermengaud (491-507); M.-C. Gérard-Zai, Les réceptaires occitans de la fin du Moyen Âge (527-34). Gerardo Larghi ★ Claudio Franchi (ed.), Pastorelle occitane, Alessandria (Edizioni dell’Orso) 2006, 374 p. (Gli Orsatti, Testi per un Altro Medioevo 28) L’ouvrage de Claudio Franchi a été publié dans une collection dirigée par trois philologues de renom, Massimo Bonafin, Nicolò Pasero et Luciano Rossi, qui se démarque par des études et des textes souvent peu canoniques et mal connus. Une brève introduction (7-24) définit le genre littéraire de la pastourelle médiévale en langue d’oc. La pastourelle est un genre poétique, formalisé dans la structure, que nous connaissons à l’époque médiévale. Nous avons des exemples de cette typologie textuelle dans la plupart des traditions romanes: en langue d’oïl, nous comptons près de 150 textes, c’est le nombre le plus grand dans l’absolu; en langue d’oc, le chiffre oscille entre 20 et une quarantaine de pièces, selon les «variables» prises en considération pour définir le genre; en langue italienne, c’est essentiellement Cavalcanti que l’on retiendra comme auteur de pastourelles; en castillan, les pièces prennent le nom de serranas, à cause de leur localisation «montagnarde»; dans la lyrique galégo-portugaise, nous retenons cinq auteurs, dont Pedr’Amigo de Séville et Don Denis et sept compositions à la frontière avec les cantigas d’amor ou d’amigo. Selon Franchi, chaque tradition romane se distingue des autres par 363 Besprechungen - Comptes rendus