Vox Romanica
vox
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Francke Verlag Tübingen
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2011
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Kristol De StefaniInnalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale
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2011
Michele Loporcaro
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Vox Romanica 70 (2011): 114-149 Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale* 1. Introduzione Il presente lavoro mira a sistematizzare in un quadro d’insieme, in base alla bibliografia disponibile e ad una serie di inchieste sul campo mirate, le condizioni del vocalismo atono finale nei dialetti sardi centrali parlati nella fascia di transizione fra logudorese e campidanese. Una delle principali isoglosse che distinguono quest’ultimo (l’isoglossa 2 nella cartina di Virdis 1988: 908, riprodotta parzialmente in figura 1) è l’innalzamento di -e -o postoniche in [i u] (campid. [ˈpiʃːi] piscem, [ˈkantu] canto), innalzamento che non si è prodotto in logudorese ([ˈpiskɛ], [ˈkant ɔ ]) e che ha toccato solo parzialmente i dialetti della zona grigia interposta * Nel riportare forme dialettali si impiega la trascrizione fonetica IPA. Le trascrizioni provenienti da descrizioni altrui vengono riportate senza uniformarle. In assenza di specificazione di fonte, i dati dialettali debbono intendersi desunti da inchieste personali, che ho svolto nella Sardegna centrale tra le estati del 2003 e del 2009, nonché nel quadro dell’escursione organizzata nel luglio 2010 dal Seminario di Lingue e letterature romanze, dal Laboratorio di fonetica e dall’Archivio fonografico dell’Università di Zurigo come complemento al seminario di linguistica sarda da me tenuto nel semestre primaverile 2010. Per il finanziamento di quest’ultima campagna - i cui materiali sonori sono depositati presso l’Archivio fonografico - si ringrazia la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Zurigo. Grazie inoltre alle amministrazioni comunali di Aritzo, Arzana, Atzara, Aústis, Fonni, Fordongianus, Gadoni, Làconi, Milis, Ovodda, Paulilàtino, Tonara e Villa Sant’Antonio per il sostegno nell’organizzazione delle inchieste, e a tutti gli amici che hanno prestato il loro aiuto nelle località indagate rispondendo alle mie domande: in particolare Onorio Deligia e signora (Àllai), Tore Manca e Marco Muggioni (Aritzo), Cesare Arra, Luigi Loddo, Ivan Marongiu e Gino Stochino (Arzana), Pietro Caria e Mario Demelas (Atzara), Gian Paolo Arru (Aùstis), Michele Congias, Costante Floris e Diego Pranteddu (Désulo), Raimondo Boe (Elìni), Michele Carta (Fonni), Graziano Cucca (Ilbono), Natalina Mastinu, Eduino Pitzus, Beatrice e Giovanni Crobe (Milis), M. Sofia Casula (Meana Sardo), Carmelina Ardu, Francesco Fais, Giovanni Andrea Migheli e Giovanni Maria Murtas (Santu Lussurgiu), Mauro Corriga, Emanuele Macis e Antonio Mereu (Sòrgono), Mario Coda, Santino Murru e Servilio Tegas (Talana), Pier Luigi La Croce, Massimiliano Rosa e Lucia Sau (Tonara), Augusta Bangoni (Urzulei), Gabriele Seoni (Villagrande Strisaili), Paola Olianas, Salvatore Staffa e Egidio Melis (Villanova Strisaili). Grazie anche all’amico Ignazio Putzu per l’invito a presentare i risultati di questa ricerca in lezioni a Cagliari (giugno 2009), occasione in cui ho ricevuto preziose osservazioni dai colleghi M. Sofia Casula, Giulio Paulis e Maurizio Virdis. Lunga è poi la lista di amici e colleghi coinvolti in vario modo nelle inchieste condensate in questo lavoro, che ringrazio anch’essi: fra gli altri, oltre al già citato Ignazio Putzu, Paolo Bravi, Pierluigi Cuzzolin, Larry Hyman, Ignazio Macchiarella, Immacolata Pinto, Simone Pisano, M. Giovanna Putzu, Stephan Schmid e tutto il gruppo del Seminario zurighese che ha collaborato alla raccolta dei dati nel luglio 2010. A Marcello Barbato, Ivan Marongiu e un anonimo giudice per la Vox Romanica sono infine debitore per molte utili osservazioni a una precedente versione dello scritto. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 115 fra i due raggruppamenti maggiori, zona che oggi si estende dalle pendici meridionali del Montiferru ad ovest, attraverso la fascia centrale dell’isola, sino a toccare la costa orientale in Ogliastra. Al §2 si prende l’avvio dai dati di un dialetto ogliastrino per il quale uno studio recente ha dimostrato l’operatività di un condizionamento prosodico sull’innalzamento di -e, favorito dalla proparossitonia. Al §3 si mostra, sulla scorta di precedenti lavori, come in altre varietà sarde centrali influiscano sul processo condizioni fonologiche assimilative, a volte in combinazione con fattori morfologici e lessicali, a volte invece organizzate a costituire un regime di armonia vocalica. Il §4 discute il nesso diatopico e diacronico fra le diverse tipologie di evoluzione del vocalismo atono finale attestate nella zona e il §5 circoscrive un’area ad armonia vocalica sinora non indagata in dettaglio (cf. però la N33). Al §6 si tornano a considerare dialetti in cui l’innalzamento è meno pervasivo, mostrando come la condizione prosodica e quella assimilativa (presiedente all’armonia vocalica) da un lato concorrano e dall’altro possano esser ridotte a fattor comune, in termini di distanza strutturale, qualitativa e quantitativa, fra le vocali coinvolte (condizionante e condizionata) nel processo di innalzamento. Al §7 si considerano poi le estreme irradiazioni verso nord dell’innalzamento in proparossitono, in dialetti in cui esso si applica solo sporadicamente. Ai §8-9 si discute infine il possibile influsso sui mutamenti indagati di fattori esterni, mostrando come con essi (nonché con condizioni di natura lessicale) le condizioni fonologiche comunque concorrano a favorire l’applicazione del mutamento. Il §10 presenta in conclusione una nuova cartografazione degli esiti di -e ed -o finali in Sardegna centrale. 2. L’innalzamento di -e a Villagrande Strisàili Il dialetto di Villagrande Strisàili rientra nella zona grigia, estesa in Sardegna centrale dall’Arborea all’Ogliastra, in cui l’innalzamento delle vocali esito di -e -o postoniche non è (ancora) categorico come nel campidanese bensì è soggetto a condizioni complesse, fonetiche, morfologiche e lessicali, sottilmente differenti di luogo in luogo. Al novero di quelle già note in precedenza, lo studio sul villagrandese pubblicato su questa rivista da Burdy/ Burgmann 2003 ha il merito di aggiungerne una nuova. Gli autori mostrano infatti come l’innalzamento di -e si applichi Figura 1. Il tracciato delle due principali isoglosse distintive del campidanese secondo Virdis 1988: 908. Michele Loporcaro 116 preferenzialmente (questa la loro formulazione) nei proparossitoni (esempi in (1a)) ed invece soltanto sporadicamente nei parossitoni (esempi in (2a)): (1) a. orrúndini ‘rondine’ (e tutti i nomi in ini -inem: órdini ‘ordine’, ómini ‘uomo’, rándini ‘grandine’, póɖɖini ‘crusca’, líndini ‘lendine’, márini ‘Geländeform’, bubbuliskárini ‘capriola’ 1 , trémini/ trébini ‘treppiede’, erríini ‘zecca’) 2 , úii ‘giudice’ e tutti i nomi in ii -icem: fílii ‘felce’, ílii ‘leccio’, púlii ‘pulce’, sórii ‘topo’, pínnii ‘cimice’, póɖɖii ‘polpastrello, pizzico’) 3 , báttili ‘cuscino/ coperta sottosella’ coactilem (e tutti i nomi in ili -ilem: kóθili ‘straccio’, séttili ‘Geländeform’ 4 , núrθili ‘cosa inutile’, déβili ‘debole’) 5 , píβiri ‘pepe’, íiri ‘cece’, préiði ‘prete’ a. tosc. preite, káuli ‘cavolo’ 6 , orr ali ‘rovere/ quercia’ 7 ; b. ámbene ‘inguine’, árbore ‘albero’, lpore ‘lepre’ leporem 8 , prúere ‘polvere’, smene ‘seme’, trmene ‘confine’ termen, sámbene ‘sangue’. (2) a. palini ‘cesta da pane’, marani ‘volpe’, birði ‘verde’, fini ‘fine, sottile’, pii ‘pesce’, in(i)kúi ‘costì’, tui ‘tu’ 9 , arbai ‘orbace’, uanni ‘Giovanni’, paúli ‘palude’, ambulanti ‘(venditore) ambulante’ (e tutti i prestiti, italiani o spagnoli, in -ante: kummeranti ‘commerciante’, passanti ‘passante’, turrunanti ‘tornante’, tirantis ‘bretelle (femminili)’ sp. tirantes (DES 745); b. paðɛnte ‘bosco’ e tutti i nomi in -ɛnte: molɛnte ‘asino’ e i prestiti dallo spagnolo (kaɛnte ‘caldo’) o dall’italiano (nundɛnte ‘panno di seconda qualità’ ital. filondente, DES 564, pulɛnte ‘polenta’); gli infiniti di tutte le coniugazioni (akkatt-áe ‘trovare’, drom-íe ‘dormire’, trɛmm-e ‘tremare’); aβe ‘ape’, latte, kane, pane, fare ‘falce’, kare ‘calcagno’, aβrile ‘aprile’, fraðile ‘cugino’, nue ‘nube’, pie ‘pece’, rue ‘croce’, koíle ‘ricovero per animali’ ( cubilem), gure ‘dolce’. In ambo le serie di dati, oltre agli esempi con innalzamento si riportano in (1b) e (2b) quelli risparmiati dal processo. Messa a fuoco la proparossitonia come condizione dell’innalzamento, Burdy/ Burgmann 2003 spiegano tale dato osservativo con la maggior debolezza prosodica della vocale finale di proparossitono, che risulta pertanto più esposta a un processo di indebolimento qual è la riduzione da -/ ɛ/ ad 1 Il secondo membro è un deverbale da camp. karinai ‘tirar calci’ (DES 222). 2 Rifatti analogicamente come se da base in -inem a partire da tripedem (DES 764) e ricinum (DES 335) rispettivamente. 3 Gli autori indicano un significato ‘Fingerkuppe, Prise’, comportante un restringimento semantico, rispetto all’accezione comune nel sardo (‘dito’) del continuatore di pollicem. Tale significato specializzato manca al DES 631, e risulta ignoto anche ai miei informatori di Villagrande e Villanova Strisàili (cf. §6.3), i quali per ‘polpastrello’ dicono [sa ˈmaθːa esːu ˈiːðu] ‘(letter.) la pancia del dito’. 4 Log. séttile è registrato da DES 702, che dà per Villanova Strisàili (centro vicino, frazione di Villagrande) il significato di ‘pianura’ (in altri dialetti ‘piccola altura’ o ‘leggero avvallamento su un altopiano’). 5 A questa serie si allinea (santu) miáili ‘ottobre’ (letter. San Michele), bizantinismo con -ipostonica già attestata in antico (Miaili, accanto a Miali; cf. Wagner 1951: 172). 6 Incluso dagli autori tra i proparossitoni in virtù dell’esito irregolare di au, sottrattosi alla normale monottongazione (cf. paɣu paucum). 7 Si allineano a questa serie italianismi recenti come is téndinis ‘i tendini’, érpii ‘erpice’. 8 Con immistione di un prerom. lappar postulata per via della [p] sorda intervocalica da DES 475 sulla scorta di Bertoldi 1937: 146. 9 Con vocale epitetica (log. -e, campid. -i) in tutto il sardo (cf. Wagner 1938-39: 113). Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 117 -/ i/ 10 . Della distribuzione dell’innalzamento nei parossitoni ((2a-b)) gli autori non dànno una spiegazione fonologica unitaria limitandosi a fornire alcune spiegazioni particolari (ad es. per foɖɖini ‘fuliggine’ fullig Ĭ ne, l’innalzamento di -e è collocato in una fase antecedente al passaggio da proparossitono a parossitono) 11 e una spiegazione analogica della regolare differenza fra le uscite -ánti (con innalzamento) e -nte: «Der unterschiedliche Auslaut (-ànti gegenüber -ènte) läßt sich mithin weder anhand der Herkunft der Wörter noch durch lautliche Gegebenheiten - eine Kausalität zwischen der Hebung zu -i und vorhergehendem -áist nicht denkbar - erklären. Vielmehr scheint es sich um eine analogische Wirkung ausgehend von etymologisch i erhaltendem vgr. adenánti ‘vor (räumlich)’, innánti ‘vor (zeitlich)’ zu handeln» (Burdy/ Burgmann 2003: 60). Parimenti, della mancata applicazione nei proparossitoni in (1b) non si rende conto unitariamente: per la serie dei sostantivi da neutri latini in -en si ricorre ad una spiegazione ad hoc, considerando immune dall’innalzamento la loro vocale d’uscita in quanto epitetica 12 , mentre lpore ed árbore restano come eccezioni irriducibili alla regolarità fonologica individuata. Del quadro empirico in (1)-(2) così ben organizzato dagli autori è però disponibile una spiegazione più soddisfacente. Il difetto di quella offerta sta nel non considerare - anzi, nell’escludere esplicitamente - un fattore che invece crucialmente interviene a condizionare l’innalzamento di -e ed -o atone finali in molti dialetti dell’area di transizione fra Campidano e Logudoro, come si è dimostrato in Loporcaro 2003b, 2005a-b: l’armonizzazione vocalica. Gli argomenti addotti sono l’uno deduttivo e l’altro induttivo. Da un lato gli autori si richiamano al topos che vuole l’armonia vocalica (destrorsa) caratteristica di altre famiglie linguistiche e del tutto estranea alle lingue romanze 13 . Dall’altro, induttivamente, considerano nel caso 10 Gli autori si richiamano alla classificazione dello schema prosodico dei proparossitoni in diverse varietà romanze offerta da Lausberg 2 1976/ I: §120, attribuendo al villagrandese (e al sardo in generale) una distribuzione «discendente» (e non «a rimbalzo») della prominenza accentuale, per cui la sillaba immediatamente postonica di proparossitono è debolmente accentata mentre l’ultima è la meno prominente (nello schema a rimbalzo, al contrario, la sillaba finale reca una prominenza secondaria). 11 Tenendo conto che il logudorese ha anch’esso [foˈɖːiːnɛ] (DES 358) la proparossitonia, con la caduta di -gintervocalica e la conseguente contrazione vocalica, dev’essersi perduta presto: questo sembra contrastare con la cronologia relativamente recente dell’innalzamento. 12 «Dass die alten Neutra wie sámbene sanguen, arrámene aeramen, leðámene laetamen etc. . . ., die in Pausastellung ebenfalls Proparoxytona sind - im Satz eingebunden lauten sie dagegen sámben, arrámen etc. - im Auslaut kein -i aufweisen, liegt daran, daß es sich hierbei um konsonantisch auslautende Paroxytona handelt, deren paragogischer Stützvokal in Villagrande grundsätzlich mit dem vorangehenden Vokal identisch ist» (Burdy/ Burgmann 2003: 65). 13 Così Burdy/ Burgmann 2003: 58: «Praktisch alle etymologisch auf -e auslautenden Proparoxytona im Vgr. zeigen die Schwächung zu -i. Dies geschieht unabhängig davon, ob die vorhergehenden Silben -iaufweisen oder nicht. Die Erscheinung ist folglich nicht als Vokalharmonie . . . zu werten, wie es Formen wie z. B. ómini oder íiri zunächst nahelegen. Allgemein ist Vokalharmonie in den romanischen Sprachen nicht greifbar». Ivi, alla N25, si aggiunge: «Cf. Dieth 1950: 265 und 320s. (keine Bsp. aus romanischen Sprachen, wohl aber aus dem Türkischen, Schot- Michele Loporcaro 118 specifico l’appello all’armonia vocalica inappropriato per spiegare i dati in (1)-(2) in quanto un innalzamento -e -i nel contesto di -áprecedente (come ad es. in uanni, marani ecc.) non pare da ricondursi ad una causalità fonetica («eine Kausalität zwischen der Hebung zu -i und vorhergehendem -áist nicht denkbar», Burdy/ Burgmann 2003: 60). Ora, è evidente che in effetti, considerati nel loro complesso, i dati in (1)-(2) non configurano un sistema ad armonia vocalica del tipo attestato, in Europa e ai suoi margini, da ungherese, finnico o turco. D’altro canto, però, come si è mostrato nei lavori su menzionati, i sistemi ad armonia vocalica che effettivamente esistono in Sardegna centrale - anche, vedremo, nelle immediate vicinanze di Villagrande - costituiscono l’esito ultimo di una serie di mutamenti convergenti, tutti soggetti a restrizioni, qui sul segmento oggetto del processo (entrambe le vocali medie ovvero solo una delle due), là sul contesto, il quale può esser definito in termini puramente fonologici (natura della vocale tonica o comunque precedente), ovvero comportare anche una specificazione morfologica o lessicale. Quanto alla definizione fonologica del contesto, vedremo che le condizioni del dialetto di Villagrande rientrano perfettamente nel quadro generale. A sua volta, la messa a fuoco della condizione prosodica che favorisce l’innalzamento nei proparossitoni permette di meglio dettagliare tale quadro, inserendovi dialetti e fenomeni non considerati in Loporcaro 2003a, 2005a-b. Ne risulterà una panoramica esauriente della variazione diatopica del vocalismo atono finale in quest’area in cui tale vocalismo, pur sulla base di spinte strutturali comuni, ha finito per assestarsi in soluzioni caleidoscopicamente differenziate di luogo in luogo 14 . tischen, Altenglischen, Altnorwegischen und Schweizerdeutschen [Wallis])». Per una relativizzazione del topos, attraverso la discussione di diversi casi di armonia vocalica destrorsa in varietà dialettali italo-romanze, cf. Loporcaro 2005b: 216-17. 14 Per molte delle località qui indagate si dispone dei rilievi AIS ed ALI, i cui punti per noi rilevanti costituiscono un insieme nutrito: AIS pt. 941 Milis, 942 Santu Lussurgiu, 943 Macomer, 947 Fonni, 954 Busachi, 955 Laconi, 957 Desulo, 959 Baunei; ALI pt. 745 Santu Lussurgiu, 746 Bonàrcado, 747 I Milis/ II Bauladu, 749 Busachi, 750 Tonara, 751 Fonni, 752 Urzulei, 753 Triei, 754 Baunei, 758 Meana Sardo, 759 Làconi, 760 Belvì, 761 Seùi, 762 Gairo, 763 Villagrande Strisaili, 764 Tortolì, 765 Barì Sardo. La messe di dati, pur ampia, evincibile da queste carte non è però sufficiente a ricavare un quadro esauriente della situazione del vocalismo finale, date le numerose variabili in gioco delle quali si discuterà nel seguito. Ciò spiega perché i materiali forniti dagli atlanti - radunati e valutati quanto alla questione dell’innalzamento delle atone finali in Baroni 2010 - non stiano qui al proscenio della trattazione. E se il fatto di basarmi su dati da me raccolti sul campo in Sardegna, anziché solo su quelli già disponibili in bibliografia, mi è stato ascritto a difetto da Wolf 2007: 424-25 - che si riferisce a Loporcaro 2003c: 283 - confido che la raccolta di dati ulteriori qui presentata possa parere utile a un lettore meno prevenuto del valente sardista germanico (ad illustrare con quanta equanimità questi abbia letto il mio saggio, basti dire ch’egli ha da eccepire sul fatto che io definisca «sardista sommo», ossia - traduco - massimo fra gli specialisti di sardo, Max Leopold Wagner: «Ungewöhnlich ist u. a. auch, dass M. L. Wagner als sardista bezeichnet wird»; Wolf 2007: 424 N27). Come si vedrà nel seguito, faccio ovviamente riferimento alla bibliografia preesistente, ma lo scopo principale del lavoro è di aggiungere dati di prima mano in un taglio sincronico collocabile nel primo decennio del sec. XXI. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 119 3. Armonia vocalica in Sardegna centrale Una considerazione comparativa dei dialetti dell’area di transizione fra Campidano e Logudoro (su cui cf. Wagner 1939-40: 122s., 1941: 36s.; Contini 1987: 443-44; Blasco Ferrer 1988: 182; Virdis 1988: 900-6) mostra come molti di questi dialetti presentino, sia pure in forme diverse, dati comparabili con quelli ora addotti per Villagrande. Riprendo dunque qui brevemente, dettagliandolo con nuovi materiali, il quadro delineato in Loporcaro 2003a, 2005a-b, così da potervi poi inserire i dati ogliastrini da cui abbiamo preso le mosse. Anzitutto, l’innalzamento delle vocali medie finali atone che nel Campidano ha raggiunto il suo approdo estremo tocca a tutt’oggi, in alcuni dialetti della zona grigia, asimmetricamente o l’una o l’altra vocale. Così a Baunei, 15 km in linea d’aria a ENE di Villagrande, specularmente rispetto a Villagrande -e non è toccata affatto dall’innalzamento ((3a)), che interessa invece solo -o di sillaba finale. Sull’innalzamento di questa grava inoltre una condizione di natura morfologica: lo si osserva solo entro la desinenza di plurale -os. In (3b) si vede infatti che -o finale non è mai innalzato, mentre l’innalzamento si osserva, soddisfatta la condizione morfologica, in (un sottoinsieme dei dati in) (4) 15 : (3) Baunei (esiti di -e e di -o): a. [ˈiːlidʒɛ] ‘leccio’, [ˈrudːʒɛ] ‘croce’, [ˈtultʃɛ] ‘dolce’, [ˈklaˑɛ] ‘chiave’; [ˈkaːnɛ] ‘cane’ (pl. [ˈkaːnɛzɛ]), [ˈsɛtːɛ] ‘sette’, [ˈbɛːnɛ] ‘bene’, [ˈsɛmpɛrɛ] ‘sempre’, [ˈm ɔ ˑvˑɛrɛ] ‘muovere’; b. [ˈkumbið ɔ ] ‘invito’ (1sg), [ˈapː ɔ ] ‘ho’, [aɳˈɖaɳɖ ɔ ] ‘andando’, [ˈtɛndʒ ɔ ] ‘tengo/ ho’, [ˈdʒɛˑ ɔ ] ‘io’, [ˈk ɔ mː ɔ ] ‘adesso’, [sa viɣ ɔ ˈm ɔ ːr ɔ ] ‘il fico d’India’ 16 . (4) Baunei (esiti di -os): a. [uɾ ˈl ɔ ːɣ ɔ z ɔ ] ‘i luoghi’, [uz ˈ ɔ sː ɔ z ɔ ] ‘le ossa/ gli ossi’, [ˈb ɔ ːn ɔ z ɔ ] ‘buoni’, [uz ˈ ɔ ːɣl ɔ z ɔ ] ‘gli occhi’, [ˈnjɛɖː ɔ z ɔ ] ‘neri’, [us kalːidːʒ ɔ ˈnɛɖː ɔ z ɔ ] ‘i cagnolini’, [ˈkusːus ˈtɛmp ɔ z ɔ ] ‘quei (codesti) tempi’ 17 ; 15 I dati, tratti da un’inchiesta sul campo condotta il 9. 7. 2003, sono già discussi in Loporcaro 2003a, 2005a-b. Debbo avvertire che, non avendo all’epoca ancora messo a fuoco la rilevanza della proparossitonia (dapprima segnalata da Burdy/ Burgmann 2003, cf. §2), non ho sistematicamente raccolto in quell’inchiesta proparossitoni in -e: in particolare, se [ˈiːlidʒɛ] ‘leccio’ in (3a) consente di escludere che vigano oggi a Baunei le stesse condizioni che a Villagrande Strisaili, non posso invece escludere del tutto che almeno alcuni di tali proparossitoni con [i] tonica e/ o postonica presentino innalzamento (come nei dialetti di cui oltre in (28), §7). In effetti, dai dati AIS per Baunei (pt. 959) si ricava ćićiri ‘cece’ VII 1384 di contro a u ββere ‘pepe’ V 1010, mmine ‘uomo’ I 181, rándine ‘grandine’ II 373, u βrínniǵe ‘la cimice’ III 473, lindine ‘lendine’ III 475. Come si vede la denominazione del ‘cece’ presenta essa sola innalzamento, il che si verifica come a Baunei - sulla stessa carta AIS VII 1383 - anche a Fonni (pt. 947), il punto più a nord in cui il tipo cicer(e) ricorre, qui in congiunzione sintagmatica con l’altra voce diffusa in Sardegna centro-settentrionale: vaslu ćíiri. L’isolamento della -i finale in quest’unico tipo lessicale, caratteristico del campidanese, potrebbe far pensare ad una diffusione verso nord della forma linguistica insieme con la cosa (cf. §8). 16 Ho registrato però almeno un caso di innalzamento anche per -o: [ˈkwatːru]. Per le condizioni del vocalismo finale di Baunei cf. già Wagner 1941: 39. 17 Opponendosi a Baunei come in generale in Sardegna [ˈkusːu], quale dimostrativo del secondo grado di vicinanza, tanto a [ˈkustu] ‘questo’ quanto a [ˈkuɖːu] ‘quello’, bisognerebbe qui glossare, se l’italiano corrente lo consentisse, ‘codesti tempi’. Michele Loporcaro 120 b. [ˈatːr ɔ z ɔ ] ‘altri’; c. [us traˈbːalːuzu] ‘i lavori’, [uz isˈtrandʒuzu] ‘i forestieri’, [aˈrːaːruzu] ‘rari’, [us ˈfraŋkuzu] ‘le lire’, [uɾ ˈbalːuzu] ‘i balli’, [uz ˈaːɣuzu] ‘gli aghi’, [aɾ ˈmaːnuzu] ‘le mani’; d. [us ˈfidːʒuzu] ‘i figli’, [ˈmiuzu] ‘miei’, [ˈisːuzu] ‘essi’, [ˈkustuzu] ‘questi’, [as ˈfiːɣuzu] ‘i fichi’. Interviene qui un’ulteriore condizione, di natura fonologica: l’innalzamento è infatti condizionato dalla vocale tonica precedente 18 . Dopo vocale media, l’innalzamento non ha avuto luogo ((4a)) mentre in presenza di -aesso si avvia a conquistare l’intero lessico ((4c)), non essendo però ancora generalizzato ((4b)) 19 , com’è invece già accaduto dopo vocale alta ((4d)). Un assetto del vocalismo finale atono identico a quello del dialetto di Baunei si evince dai materiali ALI per la vicina (a poco più di 2 km in linea d’aria a WNW) Triei (pt. 753) 20 : (5) Triei (esiti di -os): a. iʃ˙ ògroṡ ‘gli occhi’, duʃ˙ òssoṡ ‘due ossa’, i herbè ºs ‘la fronte’; b. du r b ra t θus ‘due braccia’, īʃ˙ manus ‘le mani’, īʃ˙ musta u ṡ ‘i baffi’, du r naʃ˙us ‘due nasi’; c. iʃ˙ núgrus ‘le ginocchia’, iṡ piluṡ ‘i capelli’, duṡ púinus ‘due pugni’. Se ci si sposta ad ovest all’altro estremo della zona grigia, una situazione speculare si riscontra nel dialetto di Sèneghe, sulle pendici meridionali del Montiferru 21 . Qui non subisce innalzamento la vocale della desinenza plurale -os: 18 Diversa la spiegazione offerta, per il contrasto nel vocalismo postonico osservabile in (4a) ≠ (4c-d), da Blasco Ferrer 1988: 95-96 (su cui cf. oltre, alla N81). 19 Una maggior estensione di -[ ɔ s] dopo -átonica risulta, rispetto ai miei rilievi del 2003, dalla trattazione di Wagner 1941: 39 (us kostos ‘il costato’) e dai testi dialettali trascritti in Blasco Ferrer 1988: 32-39 dove si trovano non solo áttros ‘altri’ 32 ( 2), 38 ( 2), 39 ma anche trabállos ‘lavori’ 38 ( 2), ur βáɲos ‘i bagni’ 39, ánnos ‘anni’ 38. Di questi ultimi tre tipi, l’unico documentato nell’AIS è l’ultimo, e qui pure si registra per Baunei (pt. 959) ánnoṡ (II 309). Il confronto rivela dunque come l’innalzamento abbia progredito negli ultimi decenni. 20 I dati in (5) sono attinti alle carte I 2, 11, 17, 19, 24, 27, 41, 46, 68. Non ho trovato controesempi: si ha dunque anche qui regolarmente come a Baunei innalzamento non di -e né di -o - benché Contini 1987: 444 menzioni anche Triei, insieme non solo a Baunei ma anche a Urzulei, Talàna, Villagrande, Arzana, Elìni e Ilbono (località sui cui dialetti si tornerà ai §5-7), come inclusa in un’area di oscillazione generalizzata di -o/ -u da -o - bensì della sola vocale desinenziale dei plurali in -os dopo vocale tonica non media. 21 Sull’innalzamento di -e finale a Sèneghe cf. già Contini 1987: 443 N20, nella cui rete di rilevamento quel centro è il pt. 141: l’innalzamento vi è però valutato come lessicalmente idiosincratico, senza individuarne il condizionamento contestuale. Quanto a -o finale la carta 91 di Contini 1987 pone il paese a nord dell’isoglossa ɔ -u, nell’area di ɔ conservato, per una distorsione ingenerata dal mancato controllo della variabile vocale tonica: tre delle quattro parole su cui la carta si basa (log. [ˈdɛˑ ɔ ] ‘io’, [ˈd ɔ ːm ɔ ] ’casa’, [ˈ ɔ ːr ɔ ] ‘oro’, [ˈkant ɔ ] ‘canto’) hanno vocale tonica media. Dalle osservazioni e dalle carte di Wagner 1939-40: 127-32, d’altro canto, per Sèneghe (che vi è il pt. 8) risultano inóǥe, sámbene, lǥi, kimbi, riscontrabili ancor oggi, ma anche piske (carta 6, p. 130) che non corrisponde (più) ai miei rilievi: i miei informatori producono e accettano esclusivamente [su ˈβiski], rigettando invece *[su ˈβiskɛ]. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 121 (6) Sèneghe (esiti di -os): [ˈfiːɣ ɔ zˑ ɔ ] ‘fichi’, [ˈisː ɔ zˑ ɔ ] ‘essi’, [ˈmuːr ɔ zˑ ɔ ] ‘muri’, [ˈkusː ɔ zˑ ɔ ] ‘codesti’; [ˈbːalː ɔ zˑ ɔ ] ‘balli’, [ˈatːir ɔ zˑ ɔ ] ‘altri’; [ˈkr ɔ ːβ ɔ zˑ ɔ ] ‘corvi’, [ˈn ˑ ɔ zˑ ɔ ] ‘nuovi’; [ˈbːɛlː ɔ zˑ ɔ ] ‘belli’, [ˈnɛmː ɔ zˑ ɔ ] ‘nessuno’. 22 L’innalzamento interessa però -o nella flessione verbale, negli indeclinabili e in tutte le altre uscite ((7)) e interessa regolarmente -e, indipendentemente dal morfema che la contiene ((8)): (7) Sèneghe (esiti di -o): a. [ˈĩntru] ‘dentro’, [ˈisku] ‘so’, [ˈsuˑzˑu] ‘sopra’, [isˈkuːðu] ‘picchio’ ( excut(i)o); b. [ ɔ ˈkːanːu] ‘quest’anno’; [ˈkandu] ‘quando’, [ˈfatːsu] ‘faccio’, [ˈpapːu] ‘mangio’, [ˈnasku] ‘nasco’; c. [ˈbːatː ɔ r ɔ ] ‘quattro’; d. [ˈdɛˑ ɔ ] ‘io’, [ˈɛlː ɔ ] ‘insomma’, [arːiˈzɛˑ ɔ ] ‘ieri’ ( heri sero), [ˈsɛːr ɔ ] ‘sera’, [aˈpːɛrdz ɔ ] ‘apro’, [ˈfɛrdz ɔ ] ‘ferisco’, [ˈ ɔ tː ɔ ] ‘otto’, [s ˈ ɔ mː ɔ ] ‘la casa’ ( ipsa domo), [m arːɛˈɣ ɔ ːð ɔ ] ‘mi ricordo’, [ˈm ɔ rdz ɔ ] ‘muoio’. (8) Sèneghe (esiti di -e): a. [arˈβilːi] ‘aprile’, [ˈelːiɣi] ‘leccio’, [ˈnuːɣi] ‘noce’, [ˈnumːini] ‘nome’, [ˈomːini] ‘uomo’, [paraˈnːumːini] ‘soprannome’, [su ˈβiːɣi] ‘la pece’, [ˈpiski] ‘pesce’, [ˈsuˑi] ‘scrofa’, [iŋˈɡũˑĩ] ‘là’, [ˈtuːi] ‘tu’ (-V epitetica); b. [ˈk-ˑ ] ‘cane’, [ˈkraˑɛ] ‘chiave’, [ˈfaˑɛ] ‘fava’, [ˈsambɛnɛ] ‘sangue’, [kanˈtaˑɛ] ‘cantare’ (e ogni inf. di I coniug.), [ˈfaˑɛðɛ] ‘fare’ (e ogni inf. di II coniug.), [k ɔ ɣiˈnandɛ] ‘cuocendo’ (e ogni gerundio di I coniug.); c. [anˈdʒ ˑ ] ‘agnello’ ( *agnionem, pl. [anˈdʒ ˑ zˑɛ]), [ˈbɛrːɛ] ‘verro’, [ˈb ɔ ˑɛ] ‘bove’ (pl. [ˈb ɔ ˑɛzˑɛ]), [kɛˈlːɛntɛ] ‘caldo’, [ˈkr ɔ ːβɛ] ‘cesta (da pane)’, [su ˈmːɛˑzˑɛ] ‘il mese’, [ˈsɛːnɛɣɛ] ‘Sèneghe’, [ˈfɛndɛ] ‘facendo’ (e ogni gerundio della II macroclasse), [ˈdɛːɣɛ] ‘dieci’, [ˈn ˑ ] ‘nove’, [ˈsɛˑzˑɛ] ‘sei’, [ˈsɛtːɛ] ‘sette’, [iˈnː ɔ ːɣɛ] ‘qui’, [ˈsɛmpɛrɛ] ‘sempre’. Entrambe le vocali finali s’innalzano dopo vocale alta ((7a), (8a)), non dopo vocale media ((7d), (8c)), mentre solo per -o il processo incomincia ad estendersi al contesto dopo -átonica ((7b)) 23 . Anche i proparossitoni ricadono sotto questa generale regolarità: si ha dunque innalzamento di -e in [ˈelːiɣi] ‘leccio’, [ˈnumːini] ‘nome’, [ˈomːini] ‘uomo’, [paraˈnːumːini] ‘soprannome’, mentre resta la vocale media in [ˈsambɛnɛ] ‘sangue’. Lo stesso tipo di condizionamento fonologico, si mostrerà al §6.3, contribuisce a render conto dei dati di Villagrande. Non si tratta dunque di un innalzamento indotto da -á-, bensì di impedimento all’innalzamento esercitato più efficacemente dalle vocali precedenti articolate alla stessa altezza di quelle postoniche soggette al processo. Vi sono lingue in cui questo condizionamento coarticolatorio ha dato 22 Lat. nemo ‘id.’ con aggiunta di -s (DES 556). 23 L’unico caso di mantenimento di -o postonica dopo -ápotrebbe anche spiegarsi per via morfologica e doversi dunque rubricare coi casi in (6b). Infatti l’uscita / ɔ r/ del numerale [ˈbatː ɔ r ɔ ] (fonologicamente / ˈbatː ɔ r/ quatt(u)or, con [ ɔ ] finale epitetica) è assoggettata, in tutte le parlate logudoresi, agli stessi processi di assimilazione fonosintattica che toccano il morfema di plurale / ɔ s/ . Michele Loporcaro 122 origine a regimi di armonia vocalica che vedono la vocale (originariamente media) bersaglio dell’armonizzazione innalzarsi, appunto, in presenza di vocali innesco non medie. Così opera l’armonia vocalica dello shona, lingua bantu (della zona S Guthrie, parlata in Zimbabwe), analizzata da Hyman 1999. Ad esempio il suffisso causativo, originariamente -es-, mantiene in shona il timbro della vocale media in om-es-a ‘far asciugare’, sek-es-a ‘far ridere’, mentre compare con vocale innalzata dopo radice contenente vocale non media (ad es. kwir-is-a ‘fare arrampicare’, pamh-is-a ‘far rifare’). Condizioni simili si riscontrano nei sistemi di armonia vocalica di alcuni dialetti della parte centrale della fascia di transizione, dialetti in cui l’innalzamento di -e -o è arrivato a colpire tutte le vocali medie finali tranne quelle precedute da vocale media tonica. Procedendo da ovest verso est, il primo dialetto a mostrare un sistema in cui gli esiti delle vocali medie postoniche si presentano compiutamente armonizzati (senza condizioni morfologiche) è quello di Àllai 24 , nel Mandrolisai: (9) Àllai (esiti di -e): a. [su ˈilːiɣi] ‘il leccio’, [ˈluːɣi] ‘luce’, [ˈlumːini] ‘nome’, [s ˈoːmini] ‘l’uomo’, [su ˈβesːiɣi] ‘la pèsca’, [ˈpiːɣi] ‘pece’, [su ˈβiski] ‘il pesce’, [su ˈβulːiɣi] ‘la pulce’, [iˈɣuˑi] ‘lì’, [ˈtuˑi] ‘tu’; b. [ʃeβeˈraˑi] ‘scegliere’, [inˈtraˑi] ‘entrare’ (e tutti gli infiniti in -are), [ˈitːɛ ˈvaˑizi] ‘che fai? ’ 25 ; c. [iˈnː ɔ ɣɛ] ‘qui’, [ˈtɛːnɛðɛ] ‘ha’, [ˈfaˑɛrɛ] ‘fare’, [si ˈtːʃɛtːʃɛrɛ] ‘sedersi’ (e tutti gli infiniti in -ere). (10) Àllai (esiti di -o): a. [ˈfidːʒuzu] ‘figli’, [ɖːu ˈa ˈfːiɣuzu] ‘ci sono fichi’, [ˈisku] ‘so’, [ˈintru] ‘dentro’; 24 Quanto agli studi precedenti sul dialetto di Àllai, in Loporcaro 2003: 33, non avendo ancora condotto rilievi sul campo, correggevo sì il quadro tracciato da Contini 1987: 443 N21, in base però ai soli dati ivi offerti su -e finale: già da essi appariva comunque chiaro che non di variazione libera, né di semplice sviluppo lessicalmente idiosincratico si tratta (così è ivi trattata la situazione di Àllai, come quella di Sèneghe di cui alla N21), bensì di uno sviluppo contestualmente condizionato. In Loporcaro 2005a: 196-97 si aggiungono i dati ad illustrazione del simmetrico sviluppo di -o, che non è limitato, come si vede in (10), ai plurali in -os. Per alcuni di questi, l’innalzamento è in effetti segnalato da Contini 1987: 444 N30: «A Allai, par exemple, nous avons relevé la conservation de -o (o) dans [dùoʃo] ‘deux’, [lòɣoʃo] ‘lieux’, [gèneroʃo] ‘gendres’, [màloʃo] ‘mauvais’, [ispòʃoʃo] ‘mariés’ et la fermeture en -us(u) dans [pànnuʃu] ‘linge’, [kaðìnuʃu] ‘paniers’, [frànkuʃu] ‘lires’, [ràuʃu] ‘rayons’, [gàmuʃu] ‘hameçons’, [kùstuʃu] ‘ceux-ci’, [kùɖɖuʃu] ‘ceux-là’». L’elenco è fornito senza individuare il condizionamento fonologico, e in effetti il plur. [ˈmaːl ɔ z ɔ ], che incrina la regolarità altrimenti osservabile entro la serie, non corrisponde ai dati che ho raccolto ad Àllai. Fa osservare l’anonimo valutatore per la Vox Romanica che «anche la forma [dùozo] ‘deux’, dovrebbe incrinare la regolarità dell’innalzamento vocalico di Allai. Si dovrebbe trovare *[dùuzu] come [kùstuzu] ‘ceux-ci’, e [kùɖɖuzu] ‘ceux-là’». Qui si potrà però invocare un impedimento all’applicazione dell’innalzamento di natura dissimilativa (o anti-assimilativa), secondo le condizioni commentate alle N25, 26. 25 Si noti che il pronome interrogativo [ˈitːɛ] quid+deu (DES 251) resta esente dall’armonizzazione visibile negli esempi con [i] tonico in (9a). Una [ɛ] finale resta pure, qui a contatto diretto con [i] tonica (e dunque per ragione dissimilativa), in [su meˈriˑe] ‘la sera/ pomeriggio’ meridiem. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 123 b. [iz ˈaːɣuzu] ‘gli aghi’, [i ˈbːratːsuzu] ‘le braccia’, [ˈfunt anˈdaˑuzu] ‘sono andati’, [ˈbatːru] ‘quattro’; c. [ˈsɛˑ ɔ bːuˈfːɛnd ɔ ] ‘sto bevendo’, [ˈmɛˑ ɔ z ɔ ] ‘miei’, [ˈdʒɛˑ ɔ ˈzɛˑ ɔ ] ‘io sono’, [ˈ ɔ ːɣ ɔ ˈbːɛlː ɔ z ɔ ] ‘occhi belli’, [a ˈð ɔ mː ɔ ] ‘a casa’, [aˈpːɛrdʒ ɔ ] ‘apro’, [ˈdɛpː ɔ ] ‘devo’, [ˈb ɔ kː ɔ ] ‘uccido’, [ˈb ɔ dːʒ ɔ ] ‘voglio’, [ˈtɛndʒ ɔ ] ‘ho, tengo’, [k ɔ ˈɛnd ɔ ] ‘cuocendo’. Eccezioni soltanto apparenti sono [meˈriˑɛ] meridiem ‘pomeriggio/ sera’ ed [ɛˈβrɛˑi] vervecem ‘pecora’: nel primo caso l’inaspettata conservazione, nel secondo l’innalzamento si spiegano entrambi per dissimilazione a contatto (cf. per Làconi Loporcaro 2003a: 36-37) 26 . Allai è al vertice occidentale di un cuneo, retroguardia della resistenza alla generalizzazione dell’innalzamento campidanese. Infatti, non solo i dialetti delle località più a sud (Simaxis a sud-ovest, Ruinas a sud, Asuni a sud-est) ma anche, subito a nord, il dialetto di Fordongianus presentano tutti vocalismo atono campidanese: così dunque, in quest’ultima località, si hanno ad es. [ˈduz ˈanːus ˈfaˑiði] ‘due anni fa’, [ˈkusːa βitːʃ ɔ ˈkːɛɖːa ˈʒuːɣið ˈ ɔ ːɣu ˈbːɛlːuzu] ‘quella ragazzina ha dei begli occhi’, [ˈsɛtːi] ‘sette’, [ˈ ɔ tːu] ‘otto’, [ˈn ɔ ˑi] ‘nove’, [ˈdɛːɣi] ‘dieci’, ecc. In questa parte occidentale dell’area di transizione, il vocalismo finale logudorese da Santu Lussurgiu a Bonàrcado (qui con qualche incrinatura: cf. oltre, §9) scende per Paulilàtino e Busachi fino a Samugheo: (11) a. Bonàrcado: [ˈeːliɣɛ] ‘leccio’, [ˈɛrːɛ] ‘verro’, [s ɔ s ˈpr ɔ kː ɔ z ɔ ] ‘i maiali’, [ˈsuˑɛ] ‘scrofa’, [ˈbːufː ɔ ] ‘bevo’, [ˈkant ɔ ] ‘canto’; b. Santu Lussurgiu: [bːisˈtjːamːɛnɛ] ‘bestiame’, [ˈeːliɣɛ] ‘leccio’, [ˈn ɔ mːɛnɛ] ‘nome’, [ˈpesːiɣɛ] ‘pesca’, [ˈpoɖːiɣɛ] ‘dito’(cf. anche AIS I 153, ALI I 48), [ˈsambɛnɛ] ‘sangue’, [oˈɖːiðːɛ] ‘bollire’, [laˈsːanːɛ] ‘lasciando’, [alˈbɛːɣɛzɛ] ‘pecore’, [ˈpiːɣɛ] ‘pece’, [ˈpiskɛ] ‘pesce’, [kalˈts ɔ ːnɛs ˈkults ɔ z ɔ ] ‘calzoni corti’, [ˈ ɔ ːɣ ɔ z ɔ ] ‘occhi’, [ˈkant ɔ ] ‘canto’, [ˈkɛldz ɔ ] ‘voglio’; c. Paulilàtino: [ˈkraˑɛzɛ] ‘chiavi’, [seβeˈraˑɛ] ‘scegliere’, [iˈnː ɔ ː(ɣ)ɛ] ‘qui’, [iŋˈkuˑɛ] ‘costì’, [ˈd ɔ ːm ɔ ] ‘casa’, [ˈtːʃafː ɔ z ɔ ] ‘schiaffi’, [ˈapː ɔ ] ‘ho’, [ˈtipː ɔ ] ‘devo’, [ˈisː ɔ z ɔ ] ‘essi’, [aβaˈrːaˑ ɔ z ɔ ] ‘rimasti’, [ˈjatːs ɔ ] ‘dò’; d. Busachi: [ˈpiskɛ] ‘pesce’, [ˈjuːɣɛð ˈ ɔ ːɣ ɔ ˈbːɛlː ɔ z ɔ ] ‘ha dei begli occhi’, [ˈseˑus piˈtːʃ ɔ kː ɔ z ɔ ] ‘siamo piccoli’, [ˈpapː ɔ ] ‘mangio’, [ˈkitːs ɔ ] ‘presto’, [ˈintr ɔ ] ‘dentro’; e. Samugheo: [iz ˈaːɣ ɔ z ɔ ] ‘gli aghi’, [i ˈβarts ɔ z ɔ ] ‘le braccia’, [ˈ ɔ ːɣ ɔ ˈbːɛlː ɔ s] ‘begli occhi’, [su ˈβesːiɣɛ] ‘la pèsca’ 27 . Ad oriente di queste località il vocalismo finale logudorese giunge a sud sino ad Atzara (cf. oltre, §7-8), Belvì, Aritzo e Désulo in Barbagia, mentre l’armonia vocalica secondo le stesse condizioni che ad Állai si ripresenta a Meana Sardo (cf. Loporcaro 2005b: 216) e a Làconi (cf. Loporcaro 2003a: 35-41 e 2005a: 196) 28 . A 26 Questa fenomenologia non riguarda solo dialetti presentanti armonia vocalica come quelli di Àllai e Làconi: cf. in generale Wagner 1941: 46. 27 Sul dialetto di Samugheo cf. Blasco Ferrer 2002: 359-80. 28 Per Làconi già Wagner 1939-40: 132, 1941: 39 aveva descritto la maggior parte dei dati pertinenti, presentandone però le condizioni come se fossero di natura morfologica (come a Bau- Michele Loporcaro 124 sud di Làconi, il vocalismo campidanese si estende compatto: ad es. a Nureci [ˈdɛˑu ˈɣ ɔ tːsu] ‘io cuocio’, [iˈnː ˑi] ‘qui’, [su ˈmːɛːʁi] ‘il miele’, [su mː ɔ ˈʁɛnti] ‘l’asino’, [n ɔ ɖːu ˈβ ɔ tːsu ˈvaˑi] ‘non lo posso fare’, [ˈkustuz ˈomːinizi n ɔ mːi ˈβraːʒinti] ‘questi uomini non mi piacciono’; a Nurallao [su ˈmɛlːi] ‘il miele’, [n ɔ ˈβ ɔ lːu] ‘non voglio’. Anche i centri immediatamente a est (Gadoni) e ad ovest (Asuni) di Làconi hanno vocalismo campidanese: ad es. ad Asuni [ˈfaˑi im ˈprɛsːi] ‘fare in fretta’ (di contro a log. [im ˈprɛsːɛ]) 29 , [ˈandu a ˈð ɔ mːu ˈsː ɔ ːru] ‘vado a casa loro’ (di contro a log. [an ˈd ɔ ːm ɔ iˈsː ɔ ːr ɔ ]) 30 . nei) e non strettamente fonologica (cf. la discussione al proposito in Loporcaro 2003a: 35-39; sull’armonia vocalica a Làconi et Àllai cf. anche Savoia 2005: 220-23). Nell’atlante di Contini 1987, i tre punti di quest’area (Àllai, pt. 165, Meana pt. 172 e Làconi pt. 190) compaiono in area campidanese quanto agli sviluppi di -e (la sola Àllai è collocata in zona di oscillazione -e/ -i) ma in area di conservazione (tipo logudorese) per gli sviluppi di -o (c. 91), mentre quanto agli esiti di -os (c. 93) per Àllai e Làconi si dà la coesistenza dei plurali in -[ ɔ z ɔ ] e in -[uzu], mentre Meana risulta qui in area logudorese (solo -[ ɔ z ɔ ]). Nessuna di queste differenze corrisponde alla realtà dei dati: le condizioni illustrate in (9)-(10) vigono uniformemente per i tre dialetti e l’oscillazione nelle carte citate (redatte, per -o, in base ai dati di cui alla N21, per -e in base ai corrispondenti punto per punto dei log. [ˈkaːnɛ] ‘cane’, [ˈfarkɛ] ‘falce’, [kanˈtaːrɛ] ‘cantare’, [ˈriˑɛrɛ] ‘ridere’) deriva dalla mancata individuazione della pertinenza del fattore assimilativo negli esiti delle vocali medie atone finali. Nei dati riportati per i due punti dall’ALI, d’altro canto (Meana pt. 758, Làconi pt. 759), il regime di armonia vocalica si riscontra senza eccezioni. I dati ALI non sono dunque compatibili con la carta in fig. 1, in cui l’isoglossa dell’innalzamento campidanese (la numero 2) lascia Meana a nord e Làconi a sud. 29 Laddove, come qui, si menzionano forme ad illustrazione di condizioni genericamente logudoresi, tali forme sono tratte dai miei appunti sul campo sulla varietà di Bonorva (SS). Anche di questo (cf. sopra alla N14) mi rimprovera Wolf 2007: 424: «hier wird gemeinhin entgegen der Gepflogenheiten das Nordlogudoresische aus Bonorva genannt». Non soggiacendo ad alcun pregiudizio puristico in favore o contro di questa o quella specifica varietà del sardo (ma ricordo per inciso che Bonorva è la «sarda Siena» del canonico Spano 1840: 498, che ne qualifica il dialetto come logudorese comune e non settentrionale), non vedo alcun problema nell’esemplificare condizioni comuni all’intera area logudorese con una specifica parlata, prescelta arbitrariamente. 30 Mi limito, in casi univoci come questo, a riportare i dati cruciali, illustranti l’avvenuto innalzamento dopo vocale tonica media. A Gadoni, dove ho svolto inchieste nel luglio 2004 senza registrare, ho spesso avuto l’impressione di sentire delle vocali medio-alte finali. Tuttavia, il giudizio metalinguistico dei parlanti dava concordemente / i/ ed / u/ finali in corrispondenza di -e ed -o etimologiche. Ad es. quel che ho in prima battuta notato [ˈk ɔ ˑeðe] ‘cuoce’ viene ripetuto dai miei informatori in parlato lento come [ˈk ɔ ˑiði], giudicando quelle vocali atone come delle / i/ . Servirebbe una verifica sperimentale (che non ho ancora potuto condurre, al momento di licenziare questo saggio, pur avendo nel frattempo raccolto dati acustici a Gadoni il 6. 7. 2010). Una simile impressione non ho riportato invece a Seùlo, il centro subito a sud-est, lungo le pendici meridionali del Gennargentu. Anche qui (e qui foneticamente come fonologicamente) condizioni stabilmente campidanesi: [sa ˈomːu ˈints ɔ ːru n ɔ mːi ˈβratːʃiði] ‘casa (qui dall’accus. domum, non dall’abl. domo) loro non mi piace’, [ˈ ɔ tːu ˈ ɔ mːuzu] ‘otto case’, [is ˈk ɔ ɖːuzu] ‘le spalle’. Per Gadoni (pt. 180) l’atlante di Contini 1987 (c. 92) nota risposte «entre [i] et [e]» e lo stesso vale, più a sudest, per Osini (pt. 198) e Jerzu (pt. 201), per cui non ho dati. Tuttavia, la stessa categorizzazione si dà anche per le risposte di Elìni (pt. 181), mentre a me per questa località risulta un regime di armonia vocalica, con distribuzione complementare delle realizzazioni [i] ed [e] da -e (cf. oltre, §5). Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 125 4. La dinamica areale Tirando le somme sin qui, possiamo dire di aver circoscritto due distinte aree ad armonizzazione vocalica nella parte centro-occidentale della fascia di transizione. Isolata all’estremo occidentale sta Sèneghe, ove l’innalzamento dopo vocale non media colpisce -e regolarmente e -o in dipendenza da fattori morfologici. Territorialmente discontinuo, rispetto a Sèneghe, è il triangolo con vertici ad Àllai (ovest), Meana (nord-est) e Làconi (sud-est), in cui l’armonizzazione degli esiti delle vocali medie non è soggetta ad altre condizioni se non quella determinata dalla vocale tonica. Come i dialetti di questo triangolo, e come gli altri che considereremo nel seguito presentanti armonia vocalica, anche quello di Séneghe si trova incuneato fra varietà, a sud, già raggiunte dall’innovazione irradiata da Cagliari e caratterizzate dunque da vocalismo atono campidanese, e dialetti conservativi a nord, rimasti a vocalismo logudorese. Subito a sud di Sèneghe, Narbolìa e Milis hanno innalzato regolarmente le vocali medie di sillaba atona postonica, come mostrano rispettivamente i dati in (12) e (13): 31 (12) Narbolia: [ˈ ɔ i n ɔ ndi ˈðɛndzu ˈfiːɣu] ‘oggi non ne ho, (di) fichi (letter. sing.)’, [ˈkustuz ˈ ːminizi] ‘questi uomini’, [naˈβ ɔ ːðizi] ‘nipoti’, [ɖːu ˈ ɔ kːu] ‘lo uccido’, [su ˈz ɔ ˑi] ‘il sole’, [a ˈð ɔ mːu] ‘a casa’ ( domo), [ˈs ɔ rːi ˈmːia] ‘mia sorella’, [su ˈɛrːi] ‘il verro’. (13) Milis: [iˈnː ɔ ːɣi] ‘qui’, [ˈseu ˈtː ɔ tːuzu mi ɐ ʁaˈrɛːzuzu] ‘siamo tutti milesi’, [maˈʁ ˑi] ‘melone’, [s ˈ ɔ mːu ˈsː ɔ ru] ‘casa loro’, [i ˈð ɔ mːuzu] ‘le case’, [ˈp ɔ rtu] ‘(io) porto’, [is ˈpr ɔ kːuzu] ‘i porci’, [is ˈsɛːzi] ‘le sei’, [ˈtɛndzu ˈvamːi] ‘ho fame’, [su ˈmːɛ ɐ ʁi] ‘il miele’, [ˈsɛu βarˈtɛndi] ‘sto partendo’. A NNE di Sèneghe, Santu Lussurgiu presenta condizioni logudoresi, come s’è già mostrato in (11b). Pochi km a ENE di Sèneghe, anche Bonàrcado ((11a)) ha un vocalismo finale logudorese, ma lievemente incrinato da uno-due esempi isolati d’innalzamento di -o, su cui si tornerà al §9. La discontinuità territoriale che caratterizza le aree ad armonia vocalica sin qui considerate suggerisce alcune deduzioni. Non siamo di fronte, anzitutto, nel caso dell’armonia vocalica alle tracce sul terreno dell’avanzata di un mutamento in diffusione, che ci aspetteremmo di trovare esteso su di un’area compatta. Una tale compattezza in effetti si osserva invece per l’innalzamento campidanese che, irradiatosi da sud, oggi nella metà inferiore dell’isola si presenta esteso uniformemente, sino appunto all’estremo fronte settentrionale costituito dalla fascia di transizione che stiamo considerando. 31 Anche qui dò solo esempi con vocale tonica media (cf. la N30). Wagner 1939-40: 127 registra per Milis un isolato residuo di condizioni logudoresi, ovvero «inóǥe neben inóǥi». Oggi (inchieste del luglio 2007), dai miei informatori milesi la forma *[iˈnː ɔ ːɣɛ] è concordemente rigettata come inaccettabile. Nelle vicine San Vero Milis e Narbolia si ha la forma [iˈnː ɔ ːɣa] ‘qui’, la cui -ɛ finale originaria si è sottratta all’innalzamento evolvendo irregolarmente in -a (mentre generalmente si ha -ɛ -i: ad es. [ũ praˈɣɛːri] ‘un piacere’, [ũ ˈmːɛːzi] ‘un mese’). Michele Loporcaro 126 D’altro canto, è proprio quest’ultima dinamica evolutiva del vocalismo atono che ci permette di escludere che l’armonia vocalica, pur territorialmente discontinua, nei diversi dialetti in cui si presenta sia semplicemente il frutto di casuali sviluppi poligenetici. Il fattore unificante tutti i dialetti con armonia vocalica (non solo quelli visti finora bensì anche quelli cui ci volgeremo a partire dal §5) è costituito proprio dal trovarsi sulla faglia fra la linea estrema dell’avanzata dell’innalzamento campidanese e il fronte di retroguardia del vocalismo logudorese. Dal punto di vista strutturale, i dialetti con armonia vocalica (o con parziale innalzamento condizionato) sono dialetti in cui l’innalzamento campidanese non si è imposto del tutto, ma in cui un fattore fonologico segmentale (contesto vocalico tonico), eventualmente combinato con altri di natura prosodica, morfologica o lessicale, è riuscito a contrastare parzialmente l’imporsi del mutamento. In altre parole, fra i diversi sistemi ad armonia vocalica il fattore unificante immediatamente percepibile è strutturale, non diatopico: l’unitarietà diatopica è visibile solo di riflesso, se si inseriscono tali dialetti nel più ampio fronte dell’espansione del vocalismo atono campidanese. Non dovunque tale espansione ha generato come effetto l’instaurazione di sistemi ad armonia vocalica (ed anzi, si tratta di fenomeni circoscritti, tanto da esser in larga misura sfuggiti alla ricerca precedente). Subito ad est di Meana e Làconi, infatti, muovendo verso la Barbagia il confine tra vocalismo finale logudorese e campidanese si rifà netto: il primo scende sino a Belvì ed Aritzo 32 , mentre quello campidanese comincia, subito a sud, a Gadòni e Seùlo (cf. N30). Procedendo ancora verso oriente separa i due tipi il massiccio del Gennargentu, ad est del quale ci ritroviamo nell’area ogliastrina da cui abbiamo preso le mosse al §2. 32 Cf. per quest’ultima località il testo dialettale trascritto in Contini 1987: I. Per Sòrgono, situata a nord di Belvì (e di Atzara, su cui cf. oltre al §6), Blasco Ferrer 2002: 363-64 riporta kaɳɖu ‘quando’, fraðe/ -i ‘fratello’, sámbene/ -ini ‘sangue’. Da inchieste a Sòrgono, condotte rispettivamente il 18. 7. 2008 e il 7. 7. 2010 con cinque parlanti tra i settanta e gli ottantacinque anni, mi risulta un quadro screziato. Si osserva una generale stabilità delle vocali atone medie finali nella percezione e nelle realizzazioni in stile accurato: ad es. [ˈbːatːr ɔ ] ‘quattro’, [ˈfidːʒ ɔ s ˈtuˑ ɔ z ɔ ] ‘figli tuoi’, [ˈ ɔ ˑɛ isˈtɛnt ɔ ] ‘oggi tardo’, così come, per il ramo palatale, [iˈnː ɔ ːɣe] ‘qui’, [ˈomːinɛ] ‘uomo’, [ˈpiːɣe] ‘pece’, [ˈpiːβɛrɛ] ‘pepe’, [praˈʒɛːrɛ] ‘piacere’ (con variazione fra -[e/ ɛ] ma mai realizzazione -[i]). Ho però anche riscontrato, per -o (al di fuori di morfemi grammaticali come -os del plurale nominale/ aggettivale o -o di I persona singolare), realizzazioni oscillanti come [iˈst ɔ ːɣ ɔ m / ɔ ] ‘stomaco’, [ˈkaɳɖ / ɔ ] ‘quando’, [a ˈð ɔ mː / ɔ ] ‘a casa’. Si noti che la tonica non metafonizzata delle parole ‘stomaco’ e ‘casa’ garantisce trattarsi di -/ ɔ / fonologica. Nel caso (isolato) di [ ɔ ˈkːanːu/ ɔ ] ‘quest’anno’, alle realizzazioni oscillanti sembra corrispondere anche una diversa rappresentazione fonologica: un parlante nato nel 1927 pronuncia infatti in stile accurato [ ɔ ˈkːanː ɔ ], con una vocale chiaramente distinta da quella di [ˈanːu] ‘anno’, mentre un altro all’incirca coetaneo (classe 1933) pronuncia [ ɔ ˈkːanːu] e giudica la vocale finale come / u/ (su quest’ultimo tipo lessicale cf. oltre, al §9). Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 127 5. Armonia vocalica in Ogliastra: Àrzana, Elìni, Ilbòno Per l’Ogliastra abbiamo addotto al §3 dati da un dialetto, quello di Baunei, per il quale si è già altrove dimostrata l’esistenza di un regime parziale di armonia vocalica destrorsa soggetta a condizioni morfologiche (ne è colpita solo la vocale della desinenza -os) e da un altro dialetto, quello di Villagrande Strisàili, per il quale proponiamo qui - si è detto a chiusura del §2 - la rilevanza dell’armonizzazione per spiegare le eccezioni negli esiti delle vocali finali non spiegabili nell’analisi di Burdy/ Burgmann 2003. Ma in Ogliastra troviamo anche, non lontano dai due citati, dialetti che presentano un compiuto sistema di armonia vocalica privo di condizionamenti morfologici o lessicali, identico dunque a quello di Àllai, Meana e Làconi. Dalla mancata messa a fuoco di tali condizioni 33 consegue che le illustrazioni del vocalismo atono finale dei dialetti di quest’area (in particolare Blasco Ferrer 1988 e le porzioni relative all’area ogliastrina delle carte di Contini 1987) possono ora essere raffinate, come si mostrerà nel seguito confrontando i dati qui sistematizzati con le trattazioni sinora disponibili in bibliografia. Anche in quest’area i dialetti con armonia vocalica si trovano ad immediato contatto con varietà a vocalismo campidanese. Quest’ultimo sale lungo la costa sino a Lotzorai: [si ɣumˈprɛndiði] ‘si capisce’, [ˈdɛˑu aˈlːɛːɣu ˈzardu] ‘io parlo sardo’, [ˈfidːʒu ˈmːiˑuzu] ‘figli miei’, [iz ˈ ɔ ːɣruzu ˈnjɛɖːuzu] ‘gli occhi neri’, [ˈtɛndʒu ˈmːaːnu ˈlː ɔ ŋgaza] ‘ho (le) mani lunghe’ 34 . Più a sud-ovest, Lanusei ha anch’essa condizioni già pienamente campidanesi, con innalzamento categorico sia di -e che di -o 35 : (14) Lanusei (esiti di -o): a. [ˈfiːʒuɾ ˈmiˑus] ‘i miei figli’, [ˈpiːlus] ‘capelli’, [ˈkustus] ‘questi’; b. [ˈaːɣus] ‘aghi’, [ˈbrasːus] ‘braccia’, [ˈkwaɖːus] ‘cavalli’, [ˈkandu] ‘quando’, [kanˈtandu] ‘cantando’ (e tutti i gerundi della I coniugazione); c. [iz ˈ ɔ ːɣuɾ ˈnjɛɖːus] ‘gli occhi neri’, [ˈl ɔ ːɣuɾ ˈbɛlːus] ‘bei posti’, [ˈ ɔ tːu] ‘otto’, [ˈp ɔ rkus] ‘porci’, [arbeˈʃːɛndu] ‘albeggiando’ (e tutti i gerundi della II coniugazione). 33 Anche vista la non inclusione delle località ogliastrine con armonia vocalica nell’elenco dei punti dell’ALI, che invece include Làconi e Meana Sardo (cf. sopra, N28). Cf. però Pisano 2004- 06: 85, che segnala l’esistenza dell’armonia vocalica ad Àrzana. Quanto alla copertura dell’area ogliastrina nell’atlante fonetico di Contini 1987 cf. oltre, alle N37 e 40. 34 In Contini 1987 (c. 91 e 92, rispettivamente dedicate agli esiti di -o ed -e), Lotzorai (pt. 157) è correttamente individuata come l’estremo nord-est dell’area a vocalismo finale atono compattamente campidanese. Tali condizioni del vocalismo atono illustra già il testo dialettale trascritto in Bottiglioni 1922: 101-2. 35 Poiché come vedremo siamo qui a diretto contatto con un’area di armonia vocalica, per Lanusei si presentano i dati più articolatamente, così da rendere evidente l’ininfluenza della tonica sull’esito delle vocali medie atone finali. Su richiesta del revisore anonimo specifico che, qui come altrove, le forme con -[s] finale corrispondono ad effettive realizzazioni, anche prepausali, dei parlanti da me intervistati (a Lanusei il 7. 8. 2007). Com’è infatti noto, l’epitesi vocalica dopo -/ s/ prepausale non è categorica nelle varietà sarde quanto quella dopo -/ t/ . Michele Loporcaro 128 (15) Lanusei (esiti di -e): a. [ˈkruːʒi] ‘croce’, [k ɔ ˈziːri] ‘cucire’ (e tutti gli infiniti in -ire); b. [ˈsambini] ‘sangue’, [ˈfraːði] ‘fratello’, [iŋkuˈɖːaːni] ‘là’; c. [ˈdɛːʒi] ‘dieci’, [iˈn ɔ ˑi] ‘qui’, [ˈ ɔ ˑi] ‘oggi’ 36 . Del vocalismo atono del dialetto di Lanusei accenna, trattando della conservazione di -e ed -o in area ogliastrina, Blasco Ferrer 1988: 182: «Il limite meridionale dell’isofona si arresta ai confini di Lanusei-Ilbòno, dove la soluzione è instabile: (Ilbòno) pttene, n mene, tndʒo, contro sámbani (Lanusei: sámbini), fraði, ómini». Quanto al vocalismo campidanese, come si è detto esso arriva anche più a nordest di Lanusei, sino a Lotzorai. Quanto agli esempi addotti per il dialetto di Ilbono, essi sono compatibili non solo con una diagnosi di «instabilità» (che sarebbe sintomo di una fase intermedia di variazione generalizzata) bensì anche con l’ipotesi che l’innalzamento sia correlato pure qui all’altezza della vocale precedente, con mantenimento dopo vocale media e applicazione del mutamento altrove. Conferma quest’ipotesi già l’ispezione degli ulteriori dati addotti, ad altro proposito, per Ilbòno (località il cui dialetto non vi è trattato sistematicamente) nella stessa monografia: fattʃu ‘faccio’, in e ‘qui’, iniŋkuni ‘costì’ (Blasco Ferrer 1988: 126, 142) 37 . Ulteriore conferma viene dai dati da me raccolti: (16) Ilbòno (esiti di -o): a. [ˈkurtsuzu] ‘corti’, [ˈfiːdʒur ˈmiˑuzu] ‘i miei figli’, [ˈfiːɣuzu] ‘fichi’, [ˈpiːluz oˈrːuβjuzu] ‘capelli rossi’, [ˈbːufːu] ‘bevo’, [n ɔ ɖː ˈiʃːu] ‘non lo so’; b. [ˈandu] ‘vado’, [ˈfatːʃu] ‘faccio’, [ˈkantu] ‘canto’, [ˈkandu] ‘quando’, [ˈbːjaŋkuzu] ‘bianchi’, [is ˈkwaɖːuzu] ‘i cavalli’, [ˈlandʒuzu] ‘magri’, [ˈbratːsuzu] ‘braccia’, [ˈfunti ˈmːanːuzu] ‘sono grandi’; c. [iz ˈ ɔ ːɣr ɔ ˈnːjɛɖː ɔ z ɔ ] ‘gli occhi neri’, [ˈdur ˈl ɔ ːɣ ɔ z ɔ ] ‘due posti’, [ˈdu ˈnːumːɛr ɔ z ɔ ] ‘due numeri’, [aˈlːɛːɣ ɔ ] ‘parlo’, [ˈb ɔ lː ɔ ] ‘voglio’, [ˈp ɔ sː ɔ ] ‘posso’, [is kaˈlːɛɖː ɔ z ɔ ] ‘i cagnolini’, [ˈ ɔ tː ɔ ] ‘otto’. (17) Ilbòno (esiti di -e): a. [ˈbːatːili] ‘coperta sottosella’ coactile, [bːesˈtjamːini] ‘bestiame’, [ˈtʃiːʒiri] ‘cece’, [koˈiːli] ‘ovile’, [fraˈðiːli] ‘cugino’, [ˈɛr ˈgurtʃi] ‘è dolce’, [ˈmarði] ‘scrofa’, [ˈnuˑi] ‘nube’, [ˈpiːβiri] ‘pepe’, [ˈpoɖːini] ‘crusca’, [ˈruːʒi] ‘croce’, [ˈtreːβini] ‘treppiede’, [dorˈmiːri] ‘dormire’, [fiˈniːri] ‘finire’ (e tutti gli infiniti della III coniugazione); b. [ˈaːβi] ‘ape’, [arˈβiːli] ‘aprile’, [ˈfartʃi] ‘falce’, [ˈkaːni] ‘cane’, [ˈdur ˈkaːnizi] ‘due cani’, [ˈlatːi] ‘latte’, [ˈsambani] ‘sangue’ [alːɛˈɣaˑi] ‘parlare’, [anˈdaˑi] ‘andare’ (e tutti gli infiniti della I coniugazione), [mi ˈvaˑi ˈmːaːli] ‘mi duole’; c. [ˈb ɔ ːʒɛ] ‘voce’, [ɛrˈβɛ] ‘pecora’, [ˈmɛːzɛ] ‘mese’, [ˈn ɔ mːɛnɛ] ‘nome’, [ˈpɛtːɛnɛ] ‘pettine’, [ˈs ɔ rːɛ] ‘sorella’, [ˈs ɔ rːɛzɛ] ‘sorelle’, [ˈk ɔ ˑɛrɛ] ‘cuocere’ (e tutti gli infiniti della II coniugazione), [ˈsɛːzɛ] ‘sei’, [ˈsɛtːɛ] ‘sette’, [ˈn ɔ ˑɛ] ‘nove’, [ˈdɛːʒɛ] ‘dieci’. 36 Sulle forme degli avverbi di luogo ‘qui’ e ‘là’ a Lanusei cf. Blasco Ferrer 1988: 142. Ci si può fare un’idea della facies campidanese del vocalismo finale di questo dialetto anche dal testo trascritto in Contini 1987: ix. 37 Ho svolto rilievi a Ilbono nell’agosto 2008. Dalle carte 91-92 di Contini 1987 Ilbono risulta in area logudorese per -o e in zona di oscillazione per -e, a causa del mancato controllo della variabile vocale tonica, come già illustrato per Sèneghe e Àllai al §2 (cf. le N21 e 24). Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 129 Due sole eccezioni a questa regolarità ho potuto osservare: [ˈitːe] ‘che cosa? ’ (p.es. [ˈitːe (ˈɣaˑuli) ˈvaˑiz ] ‘che [cavolo] fai? ’) e [ɖːue] ‘ci’ (ad es. [n ɔ ɖːue ˈð ɔ rː ɔ a anˈdaˑi] ‘non ci ritorno di nuovo’) 38 . Scontate queste due eccezioni, si può dire che il dialetto di Ilbono presenti, con un modesto residuo lessicalmente idiosincratico, un regime di armonia vocalica esente da condizionamento morfologico, allo stesso modo che i dialetti di Àllai, Làconi e Meana. Immediatamente a nord-ovest di Ilbono, presentano condizioni identiche i dialetti di Àrzana ed Elìni. Le si illustra in (18)-(19) riportando fra parentesi le forme di Elìni solo se divergenti dalle arzanesi: (18) Arzana (Elìni), esiti di -o: a. [ˈfiːʒur ˈmiˑuzu ˈvunti parˈtiˑuzu] ‘i miei figli sono partiti’, [ˈfiˑɣuzu] ‘fichi’, [ˈkustuzu] ‘questi’, [ˈkurθuzu (ˈkursuzu)] ‘corti’, [ˈpiːɣu] ‘salgo’; b. [iz ˈatːrus ˈkwatːru] ‘gli altri quattro’, [ir ˈbalːuzu] ‘i balli’, [ir ˈvraθːuzu (ˈβrasːuzu)] ‘le braccia’, [is kuˈaɖːuzu] ‘i cavalli’, [ˈfraŋkuzu] ‘franchi/ lire’, [isˈtrandʒuzu] ‘forestieri’, [ˈraˑruzu] ‘rari’, [ˈandu] ‘vado’; c. [ˈp ɔ rt ɔ z ˈ ɔ ːɣr ɔ ˈnːjɛɖː ɔ z ɔ / ˈbːɛlː ɔ z ɔ / ˈv ɔ ˑn ɔ z ɔ (ˈβ ɔ ˑn ɔ z ɔ )] ‘ho gli occhi neri/ belli/ buoni’, [ˈfɛrː ɔ z ɔ ] ‘ferri’, [ˈl ɔ ˑɣ ɔ z ɔ ] ‘luoghi’, [su βiriˈkː ɔ kː ɔ ] ‘l’albicocca’, [ˈp ɔ rk ɔ z ɔ ] ‘porci’, [ˈtɛmp ɔ z ɔ ] ‘tempi’, [aˈlːɛːɣ ɔ ] ‘parlo’, [m arːɛˈɣ ɔ ːð ɔ ] ‘mi ricordo’, [ˈb ɔ lː ɔ ] ‘voglio’, [ˈdɛpː ɔ ] ‘devo’, [ˈtɛndʒ ɔ ] ‘ho/ tengo’, [ˈt ɔ rː ɔ ] ‘torno’, [ˈ ɔ tː ɔ ] ‘otto’. (19) Arzana (Elìni), esiti di -e: a. [ˈfiːni] ‘fine’, [ˈiːliʒi] ‘leccio’, [ˈomːini] ‘uomo’, [ˈpiːʒi] ‘pece’, [ˈpiʃːi] ‘pesce’, [saˈluːði] ‘salute’, [ˈbirði] ‘verde’, [k ɔ ˈziːri] ‘cucire’, [eˈrːiːri] ‘ridere’, [ˈpuˑliði] ‘pulisce’, [ˈsuˑiði] ‘succhia’, [iŋˈkuːni] ‘costì’; b. [ˈfraːði] ‘fratello’, [ˈsambani] ‘sangue’, [ˈsaːli] ‘sale’, [ˈlatːi] ‘latte’, [ˈpaːʒi] ‘pace’, [ˈfartʃi] ‘falce’, [abːaˈrːaːri] ‘restare’, [toˈrːaːri] ‘tornare’, [tuˈrːaːri] ‘tostare’; c. [anˈdʒ ɔ ːnɛ] ‘agnello’, [su ˈ ɔ ˑɛ] ‘il bue’, [sa ˈ ɔ ːʒɛ] ‘la voce’, [kaˈl ɔ ːrɛ] ‘calore’, [ˈkr ɔ ːβɛ] ‘cesta’, [ˈm ɔ ɖːɛ] ‘molle’, [ˈmɛːzɛ] ‘mese’, [nɛˈβ ɔ ːðɛ] ‘nipote’, [ˈs ɔ ːlɛ] ‘sole’, [sa ˈʒɛntɛ] ‘la gen- 38 Il revisore anonimo chiede conto della qualità di [e] (o [ɛ]? ) finale in queste due forme: poiché per Ilbono dispongo solo dei miei appunti sul campo (del 2.8.2008) ma non di registrazioni, non posso condurre al momento una verifica sperimentale. Avendo trascritto le forme in protonia sintattica, a tale condizione di ricorrenza può doversi la [e] medio-alta. Le due eccezioni hanno statuto diverso: [ˈitːe] è forma logudorese (il campidanese ha [ˈitːa]) ed ha -e etimologica ( [qu]id de[u] DES 251); al contrario [ɖːue] illoc è tipo campidanese, ed ha vocale finale epitetica, che in Campidano suona regolarmente -i (DES 404). Inoltre, la seconda è una particella clitica, mentre il pronome interrogativo può essere anch’esso soggetto a riduzione in protonia sintattica, circostanza che dovrebbe favorire nel nostro caso un processo di riduzione qual è l’innalzamento -e -i. Si noti, quanto alla forma della particella locativa, che questa costituisce in origine variante atona di campid. [(i)ˈɖːoi], documentato in antico come (i)lloi: cf. le attestazioni dalle carte volgari cagliaritane (ed. Guarnerio 1906: VI, 3: et dau illoi sa domu de Bari) e dalla Carta de Logu (ed. Besta/ Guarnerio 1905: 17, 8r: quj ’lloy anti essere) addotte dal Wagner (DES 404), che commenta: «il vocabolo dovette esistere anche in log. ant., ma si trova solo nello Stat[uto di] Castels[ardo] 168, 174, ecc. loi. (Il REW, l. c. [= 4270.1 illoc] cita un log. ant. illoe, che è la forma da supporre, ma tale forma non occorre in nessuno dei condaghi.)». La persistenza della forma uscente in -e a Ilbono (e Arzana, cf. subito oltre), dove tale forma è evidentemente residuale sottraendosi all’armonizzazione altrove regolare, suffraga il passaggio intermedio *illoe. Michele Loporcaro 130 te’, [ˈb ɔ lːɛðɛ] ‘vuole’, [ˈk ɔ ˑɛðɛ] ‘cuoce’, [iˈmː ɔ ˑɛ] ‘adesso’ 39 , [iˈn ɔ ˑɛ] ‘qui’, [ˈsɛtːɛ] ‘sette’, [ˈn ɔ ˑɛ] ‘nove’, [a sː amˈbɛsːɛ] ‘a rovescio’. Come si vede dagli esempi addotti, la qualità delle vocali atone postoniche etimologicamente medie dipende dalla vocale precedente (non necessariamente la tonica, come mostra [ˈomːini] ‘uomo’) 40 . Diversamente da quanto si è visto per Sèneghe o Baunei, qui la struttura morfo-lessicale non gioca alcun ruolo, essendo interessati tanto gli indeclinabili quanto le parole flesse, e tanto i morfemi della flessione nominale (ad es. [su ˈɣaːni]/ [is ˈkaːnizi]/ ‘il cane/ i cani’ ≠ [sa ɛrˈvɛ]/ [ir vɛrˈvɛːzɛ] ‘la pecora/ le pecore’) 41 quanto quelli della flessione verbale (ad es. [kanˈtandu] ‘cantando’ ≠ [k ɔ ˈɛnd ɔ ] ‘cuocendo’). L’unica eccezione in assoluto che ho potuto riscontrare riguarda, qui come a Ilbono, la particella locativa [ɖːue] ‘ci’ (ad es. [ˈtui ɖːue ˈβiːɣaza (iŋˈkuːni)] ‘tu ci sali (là)’), ricorrente anche negli esistenziali ([ɖːue ˈvunti] ‘ci sono’). Questa particella esce categoricamente in vocale media e i parlanti sono unanimi nel rigettare come «campidanese» (ed estranea al dialetto locale) *[ɖːui], che pure sarebbe richiesta foneticamente data la u precedente e dato il quadro generale riassunto in (18)-(19) 42 . 6. Armonizzazione incipiente: Talàna, Villagrande e Villanova Strisàili Subito a nord dell’area ora delimitata, presentante armonia vocalica, ci ritroviamo nella località dal cui dialetto siamo partiti al §2. A settentrione di Àrzana (solo cinque km in linea d’aria), ma separate da essa dal monte Idòlo (1241 m), si trovano infatti Villagrande Strisàili (700 m slm) e, tre km in linea d’aria più ad ovest, la sua frazione di Villanova Strisàili ([biɖːaˈn ɔ ˑa], 845 m slm). Superata quindi un’altra e più impervia area montuosa (monte Orguda, 1361 m e monte Olinie, 1372 m), a poco più di otto km in linea d’aria a nord di Villagrande sorge Talàna (a 682 m di altitudine). 39 Il tipo lessicale è prettamente campidanese ( modo DES 262): nel Campidano, com’è da attendersi, la vocale finale, che è epitetica, è regolarmente innalzata (immòi), mentre qui si conserva come vocale media. 40 Dai miei dati non risulta quindi confermata la differenziazione evincibile dalle carte 91-93 di Contini 1987, dove per la sola Elìni (pt. 181) si riporta un esito intermedio di -e («entre [i] et [e]», cf. sopra, N30), mentre Arzana e Ilbòno sono collocati in area di oscillazione fra -[i] ed -[e], oscillazione che alla c. 91 è indicata, quanto agli esiti di -o, per tutti e tre i centri. 41 Si ha contrazione nel caso l’armonia ingeneri uno iato omofonico (cf. Wagner 1941: 46): [bɛrˈvɛ] ‘pecora’ vervecem di contro a [ˈni] ‘neve’ nivem, da confrontare rispettivamente col campid. eβrèi e col log. nie, in cui le condizioni simmetriche del vocalismo finale garantiscono il mantenimento di uno iato con qualità vocaliche differenziate. 42 Si noti che, come già detto per Ilbono alla N38, quest’unica eccezione all’innalzamento si riscontra proprio in un morfema oggi tipico del campidanese (e dunque generalmente presentante -i) e non del logudorese. Ad Àrzana [ɖːue] coesiste coll’altra particella locativa [(ˈin)tʃi] ‘ci’ ([ˈtui (ˈin)tʃi ˈβiːɣaza (iˈn ɔ ˑɛ)] ‘tu ci sali (qui)’) - tipo comune a campidanese e logudorese (ma in quest’ultima area nella forma [(ŋ)kɛ] hince, a partire dalla quale il campidanese presenta regolare palatalizzazione di / k/ ) - che mostra invece -e finale regolarmente innalzata. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 131 6.1 Il vocalismo finale atono del dialetto di Talàna Agli sviluppi di -e -o finali nel dialetto di quest’ultimo centro accenna Blasco Ferrer 1988: 25 N50, 182 che, come già per Ilbono, diagnostica una situazione di variazione non razionalizzabile in base a fattori strutturali: «Nella nostra zona soltanto Talàna dà segni di labilità nel comportamento delle vocali finali, ma le eccezioni avvengono secondo moduli del tutto incoerenti» (Blasco Ferrer 1988: 182) 43 . Vediamo dunque in dettaglio come si presenti la situazione del vocalismo finale atono nel dialetto di questa località. I dati in (20)-(21), ordinati secondo il consueto criterio del contesto vocalico precedente, mostrano come la vocale tonica sia ininfluente. Si hanno in ogni contesto condizioni logudoresi, tanto negli esiti di -o quanto in quelli di -e: (20) Talàna (esiti di -o nei parossitoni): a. [is ˈfidːʒ ɔ z ɔ ] ‘i figli’, [ˈmiˑ ɔ z ɔ ] ‘miei’, [paˈritːs ɔ z ɔ ] ‘parecchi’, [preˈuːɣ ɔ z ɔ ] ‘pidocchi’, [ˈpiːl ɔ ˈlː ɔ ŋg ɔ z ɔ ] ‘capelli lunghi’, [a ˈtːʃiθː ɔ ] ‘(mattino) presto’; b. [ˈkand ɔ ] ‘quando’, [kaˈland ɔ ] ‘scendendo’, [alːɛˈɣand ɔ ] ‘parlando’ (e tutti i gerundi della I coniugazione), [ˈapː ɔ ] ‘ho’, [ˈanː ɔ z ɔ ] ‘anni’; c. [iz ˈ ɔ ːɣr ɔ z ɔ ] ‘gli occhi’, [ˈ ɔ ːɣr ɔ ˈnːjɛɖː ɔ z ɔ ] ‘occhi neri’, [ˈlɛdːʒ ɔ s] ‘brutti’, [is ˈp ɔ rk ɔ s] ‘i porci’, [ˈtɛndʒ ɔ ] ‘ho, tengo’, [ˈb ɔ dːʒ ɔ ] ‘voglio’, [ˈj ɔ sː ɔ / ˈdʒ ɔ sː ɔ ] ‘giù’ 44 , [n ɔ mːi suˈβɛndʒ ɔ ] ‘non mi ricordo.’ (21) Talàna (esiti di -e nei parossitoni): a. [beˈsːiˑɛ(rɛ)] ‘uscire’ (e tutti gli infiniti in -ire), [ˈpiʃːɛ] ‘pesce’; b. [su ˈlandɛ] ‘la ghianda’, [sa ˈɣraˑɛ] ‘la chiave’, [kaˈlaˑɛ(rɛ)] ‘scendere’, [paˈpːaˑɛ(rɛ)] ‘mangiare’ (e tutti gli infiniti in -are), 45 [ˈsaːlɛ] ‘sale’; c. [miˈn ɔ ːrɛ] ‘piccolo’, [ˈp ɔ ːðɛnt ˈɛsːɛrɛ] ‘possono essere’, [s iskaˈrɛʃːɛrɛ] ‘dimenticarsi’ (e tutti gli infiniti di II), [iˈmː ɔ ˑɛ] ‘adesso’, [iˈn ɔ ˑɛ/ iˈn ɔ ndʒɛ] ‘qui’ 46 . 43 Diversamente da Ilbòno e Lanusei, Talàna rientra, con Baunei e Urzulei, nel novero delle località il cui dialetto è indagato in dettaglio in quel saggio. Altrove, Blasco Ferrer 1988: 25 N50 menziona Talàna come situata in «una posizione di transizione, sia linguistica che culturale», con orientamento tradizionale verso Urzulei-Barbagia ma con recenti «irradiazioni culturali e domanda di manodopera provenienti dalla zona costiera a sud di Lotzorai». Ivi non è però specificamente questione del vocalismo atono finale. 44 In tutto il sardo, alla base della parola per ‘giù’ sta non il classico deorsum bensì una forma rifatta in *-o (*deorso, DES 460). In questa stessa rubrica (20c) andrebbe il continuatore di domo (abl.) ma il talanese, diversamente dai dialetti del Logudoro e come molti del Campidano, continua invece l’accusativo domum, come mostra l’applicazione della metafonia: [sa ˈomːu ˈn ɔ ˑa] ‘la casa nuova’. 45 Come appare dagli esempi, l’uscita originariamente propria della II coniugazione (romanza) in [ˈ-ɛrɛ] si è estesa anche a I e III (cf. Blasco Ferrer 1988: 123), sviluppo di cui va rimarcata la peculiarità, essendo qui presa a modello una classe di flessione verbale generalmente improduttiva su scala romanza. Quanto agli infiniti di II coniugazione in (21c), modello di questa refezione analogica (prodottasi probabilmente, così da rideterminare la desinenza, dopo una caduta di -r-: -are -àe -àere; cf. Pisano 2004-06: 86), essi sono rubricati fra i parossitoni in quanto la loro -[ɛ] finale è oggi trattata ovunque in sardo come se fosse di origine epitetica. 46 Blasco Ferrer 1988: 142, 146 dà per Talàna la coesistenza di inn ɛ e in ndʒi, non corrispondenti alle forme da me notate. Michele Loporcaro 132 Le parole addotte in (20)-(21) sono tutte parossitone. Nei proparossitoni, invece, quanto all’esito di -e si osserva non già un’uniforme conservazione bensì un innalzamento selettivo 47 : (22) Talàna (esiti di -e nei proparossitoni): a. [ˈbːatːili] ‘coperta sottosella’, [ˈdːebːili] ‘debole’, [ˈfiːlidʒi] ‘felce’, [ˈgrandini] ‘grandine’, [su ˈlindini] ‘lendine’, [ˈpiːβiri] ‘pepe’, [ˈordini(zi)] ‘filare/ -i’, [ˈtremːini(zi)] ‘treppiede/ -i’ 48 ; b. [su ˈlumːɛnɛ] ‘il nome’, [ˈfamːɛnɛ] ‘fame’, [ˈpɛtːɛnɛ] ‘pettine’, [ˈsambɛnɛ] ‘sangue’, [ˈtrɛmːɛnɛ(zɛ)] ‘confine/ -i’, [bːesˈtjaːmɛnɛ] ‘bestiame’. Anzitutto, dunque, possiamo constatare un trattamento particolare dei proparossitoni comparabile con quello messo in luce da Burdy/ Burgmann 2003 per la vicina Villagrande. Oltre a questo, tuttavia, è possibile aggiungere che a) non tutti i proparossitoni sono assoggettati all’innalzamento di -e e d’altro canto b) tale innalzamento non è lessicalmente idiosincratico. Esso si produce, al contrario, nel contesto ormai reso familiare dalla discussione ai paragrafi precedenti, ossia dovunque la vocale precedente sia una vocale non media 49 . Questo regime determina la ricorrenza di coppie minime come [ˈtremːini] ‘treppiede’ ≠ [ˈtrɛmːɛnɛ] ‘confine’. Coppie minime, si noti, in cui l’opposizione è a carico delle vocali postoniche, mentre rimane allofonica, come in logudorese, la differenza fra [ɛ] ed [e] (e simmetricamente [ ɔ ] ed [o]). Il che rivela una importante differenza fra l’innalzamento talanese di -e in proparossitono e il regolare innalzamento campidanese di -e e -o. Quest’ultimo infatti produce, com’è noto, un’opacizzazione del contesto di applicazione della metafonia con conseguente fonologizzazione di opposizioni / ɛ/ ≠ / e/ , / ɔ / ≠ / o/ ignote al logudorese: [ˈbeːni] ‘vieni (imper.)’ veni ≠ [ˈbɛːni] ‘bene’ bene, [ˈolːu] ‘olio’ oleum ≠ [ˈ ɔ lːu] ‘voglio’ *voleo, [ˈoːru] ‘orlo’ orum ≠ [ˈ ɔ ːru] 47 La limitazione alla sola -e dipende da condizioni generali del sardo: uscite in -o si hanno nella morfologia verbale (I pers. sing., gerundio ecc.) e negli indeclinabili. Fra i sostantivi, pochissimi - perlopiù di prestito - escono in -o: fra questi l’unico proparossitono è, in molte varietà logudoresi, [isˈt ɔ ːɣ ɔ m ɔ ] ‘stomaco’ (log. sett., per assimilazione alla vocale interna; altrove, p.es. a Busachi, regolarmente [isˈt ɔ ːmaɣu], Wagner 1941: 38). 48 Il tipo [ˈtremːini] è registrato da DES 760 per Villagrande Strisàili e per la non lontana Gáiro, ma anche per Perdas De Fogu, S. Antioco, Santadi. Wagner lo spiega come assimilazione di nasalità (la geminazione di -mè regolare in quest’area) a partire da un *tripine che si continua, con diverse varianti, nei dialetti dell’Italia meridionale e in portoghese. Poiché una -itonica avrebbe dato [i], si potrebbe forse pensare ad un’importazione di forma con vocalismo italico, come nel caso di so per sum (cf. Wagner 1938-39: 161). 49 Tra la gran copia di dati talanesi addotti in Blasco Ferrer 1988, contraddicono questa generalizzazione, se ho ben visto, solo due forme: in ndʒi (p. 142; ma i miei informatori hanno [iˈn ɔ ndʒɛ]; cf. sopra (21c) e N46) e a ttʃíθθu ‘le ore che precedono l’alba’ (p. 147), per il quale (così come per le altre forme ogliastrine ivi registrate: a kkitθo Urzulei, a ttʃísso Baunei) Blasco Ferrer 1988: 148 pensa ad una continuazione diretta di citius con «conservazione dell’uscita ereditaria in -u». Anche in questo caso, come per la parola talanese per ‘qui’, i miei dati divergono, avendo i miei informatori [a ˈtːʃiθː ɔ ] ‘(al mattino) presto’. Per le forme in -o, Blasco Ferrer suppone un «adeguamento a táɳɖo», mentre Wagner (DES 252) pensa ad una commistione fra il positivo cito e citius, originariamente comparativo ma già presto usato nel latino imperiale come concorrente del positivo originario (cf. anche oltre, al § 9). Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 133 ‘oro’ tosc. oro (cf. Virdis 1978: 26; 1988: 900; Piras 1994: 208-17) 50 . In altre parole, -[i] ed -[u] da -e e -o non esercitano in campidanese azione metafonetica, diversamente da -i e -u originarie. A Talàna invece l’innalzamento finale ricorre solo nei proparossitoni in (22a), dove è determinato da una [i] postonica 51 . Quest’ultima, già prima che si producesse il passaggio di -[ɛ] ad -[i], doveva provocare innalzamento metafonetico così come tuttora accade in logudorese: ad es. [ˈoːmine] ‘uomo’, [ˈdebːile] ‘debole’. Tale innalzamento è rimasto l’effetto di una regola allofonica anche dopo l’alterazione della vocale finale 52 , mentre l’assenza d’innalzamento in parossitono ha impedito la fonologizzazione di opposizioni alla campidanese fra toniche medio-alte e medio-basse. Negli sviluppi di -e finale, alcuni casi particolari si possono agevolmente spiegare. Il nome della ‘scrofa’ a Talàna è [sa ˈmːaːðriɛ], tipo lessicale caratteristico del campidanese 53 . Questo è da matrem per Wagner 1921: 113, che però renderebbe conto della fonetica del campidanese comune [ˈmardi] (o del più conservativo [ˈmaːðri] di Mògoro, Asuni ecc.) ma non di una forma come la nostra. In DES 514 Wagner rivede l’etimo riportando a matrix il tipo campidanese comune e all’obliquo matrice (sulla scorta delle attestazioni antiche: matrike; et suis matrikes, CSMB 10; 214, ecc.) forme come quella talanese: «la base di queste voci è matrice e non matre» (cf. anche Paulis 1996: 256 N380). Non vi discute però la fonetica delle varianti [ˈmaːðriɛ] (anche a Baunei), [ˈmardja] (Làconi, Meana, Atzàra) 54 , il cui accento e la cui sequenza vocalica d’uscita non si spiegano col solo matricem richiedendo invece un livellamento accentuale paradigmatico su matrix, alla stregua di *púllitrum sp. potro, fr. poutre, con riaccentazione secondo il nominativo púlliter (Lausberg 1976 2 : 197 N3), ovvero un incontro di due basi (matricem x matrem) 55 . Date 50 Bolognesi 1998: 20-21, d’altro canto, nel quadro della fonologia generativa, propone per il campidanese odierno rappresentazioni soggiacenti identiche alle logudoresi (e dunque ritiene che il sistema fonologico sia rimasto pentavocalico), trattando sia la metafonia che l’innalzamento finale alla stregua di regole fonologiche sincroniche. 51 Eccezionale, fra i dati che ho raccolto, il comportamento del continuatore di homine ([ˈkust ˈomːɛnɛ] ‘quest’uomo’, [ˈmɛːðaz ˈomːɛnɛzɛ] ‘molti uomini’), che presenta applicazione di metafonia alla tonica, come è da attendersi data -ipostonica, ma dove quest’ultima risulta poi irregolarmente alterata in vocale media. Se non ho trascritto male, potrebbe aversi qui il primo accenno di autonomizzazione alla campidanese del timbro della tonica rispetto alla vocale seguente. 52 Come è da attendersi, questa regolarità allofonica tocca egualmente le due vocali medie (cf. per / ɔ / ad es. [ˈordini] ‘filare’) e interessa anche voci di prestito, quali il toscanismo [ˈdːebːili] ‘debole’. 53 Il logudorese continua invece (ipsam) suem [sa ˈzuˑɛ] (DES 717). 54 Ulteriori dati su questo tipo lessicale nell’area di transizione in Blasco Ferrer 2002: 374, che riporta [ˈmarðia] Samugheo, Sorgono, [ˈmaðria] Àllai, [ˈmarðie] Ortueri, seguendo il DES («tutti da matricem»). 55 La caduta di -cintervocalica si osserva anche in mad -ried -u ‘(animali) che hanno già figliato’ (DES 514), collettivo formato da matricem con suffisso -etu -etum. D’altro canto, non scompare generalmente in sardo -x (come -s) finale: log. [ˈsɛːzɛ] sex o la discussa forma nominativale log. [ˈrɛːzɛ] ‘razza, stirpe’, spregiativo res (DES 667-68). Per il campid. [ˈmardi], tale circostanza parlerebbe a favore della prima etimologia del Wagner, matre. Michele Loporcaro 134 queste condizioni etimologiche, è comunque evidente che talan. [ˈmːaːðriɛ] non è un proparossitono originario tale da ricadere pleno iure sotto la regolarità fonologica riportata in (22a) 56 . Per certi versi simmetrico è il caso di [ˈpreːði] ‘prete’: qui, sincronicamente, si ha un’eccezione, perché -e finale in parossitono non s’innalza mai, neppure se preceduta da [i u] (cf. (21)). Ma etimologicamente siamo di fronte a un proparossitono originario con [-i-] interna: la voce deriva infatti dal tosc. ant. preite ( praebyter, REW 6635) 57 , che nel campidanese ha scalzato l’autoctona forma accusativale conservata invece nel log. [peˈiːðru], bittese [preˈiːteru] ( praebyterum, REW 6740; cf. Wagner 1939-40: 112 N2) 58 . L’originario preite è dunque assimilabile agli altri esempi addotti in (22a): l’innalzamento di -e finale in -i vi si sarà prodotto in una fase a tutt’oggi attestata, poco lontano, nel [ˈpreˑiðɛ] di Baunei 59 , il cui dialetto non conosce l’innalzamento di -e neppure in proparossitono (cf. §3). 60 Solo successivamente si sarà avuto a Talàna l’assorbimento di -iinterna. Il passaggio intermedio è restituito dal dialetto della vicina Villagrande, dove l’assorbimento di -inon è ancora del tutto compiuto: Burdy/ Burgmann 2003: 58 riportano infatti [ˈpreˑiði]/ [ˈpreːði] in variazione 61 . 56 A ciò si aggiunga che, se anche così fosse, potremmo esser di fronte ad una dissimilazione a contatto del tipo già descritto anche per dialetti presentanti armonizzazione totale degli esiti di -e ed -o (cf. sopra la N25). 57 In fiorentino la monottongazione preite prete s’è prodotta nel secondo Duecento (cf. Castellani 1952: 106-10), mentre nel toscano occidentale, fonte diretta dei toscanismi del sardo, essa è ancor più tarda (cf. Castellani 2000: 287s.). 58 Traccia del conflitto si ha nell’antico campidanese, dove le carte volgari dei secc. XI-XIII edite da Guarnerio 1906 attestano sia prebiteru (IX, 4) sia preidi (X, 2) (Wagner 1939-40: 112 N2). 59 Wagner 1941: 47 dà tale forma come estesa nella fascia centrale dell’isola, da Baunei e Dorgali, ad est, sino a Busachi, ad ovest, passando per Désulo, Tonara ecc. Cf. anche la carta num. 1 ‘prete’ in Wagner 1939-40: 124. 60 Per Baunei mi risulta -e -e stabile in ogni contesto (cf. sopra (3)): non solo [ˈdɛdːʒɛ] ‘dieci’, ad esempio, ma anche [ˈklaˑɛ] ‘chiave’, [ˈnudːʒɛ] ‘noce’, [ˈrudːʒɛ] ‘croce’, [ˈbiːðɛrɛ] ‘vedere’, [ˈiɳɖɛ] ‘ne’, ecc. La vocale finale è stabile anche nei proparossitoni con [i] tonica e [i] interna postonica: [ˈiːlidʒɛ] ‘leccio’ (cf. la N15). Blasco Ferrer 1988: 142 riporta per Baunei in ɔ ́ ndʒi ‘qui’, che rappresenterebbe un innalzamento (isolato, fra i suoi dati) nel contesto - si è qui visto - che di norma a tale innalzamento offre maggior resistenza. Dai miei informatori di Baunei ho effettivamente [iˈnːondʒi] (ma con vocale medio-alta, come per applicazione della metafonia). Come a Talàna e Villagrande, dunque, questo innalzamento di -e -i non corrisponde ad unguem al modello campidanese, dove la metafonia non si applica davanti a vocali alte finali insorte secondariamente. 61 Si noti inoltre, nuovamente, che la forma talanese mostra applicazione dell’innalzamento metafonetico in presenza di -i secondaria da -e. Vero è che la vocale tonica doveva già esser innalzata per il contatto con -iinterna (come si osserva nella forma di Baunei) prima della cancellazione di quest’ultima. Ma ad ogni modo, poiché la metafonia resta processo allofonico a Talàna come in logudorese, sincronicamente si ha [ˈpreːði] ← / ˈprɛdi/ . Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 135 6.2 Condizioni qualitative e quantitative sull’innalzamento L’esempio di preite *[ˈpreˑiði] talan. [ˈpreːði] offre spunto per una precisazione sul contesto rivelatosi pertinente per l’innalzamento di -e in questo dialetto come in quello di Villagrande Strisàili (§2): la posizione finale di proparossitono. Mentre a parole come quelle elencate in (22) la definizione di proparossitono si attaglia senza alcun dubbio, per [ˈpreˑiði] o ad es. per il toponimo Strisàili 62 la categorizzazione come (pro)parossitono dipende dall’analisi della sequenza vocalica come iato o come dittongo. Si tratta di questione proverbialmente complessa, che non possiamo qui affrontare né in generale né in relazione ai dialetti indagati. Burdy/ Burgmann 2003: 58, per il villagrandese, scelgono la via di cercar di motivare la proparossitonia per ognuna delle parole di questo tipo, ed in effetti per molte di esse si possono addurre argomenti, come la mancata monottongazione di -auin caule [ˈkaˑuli] (a Villagrande come a Talàna), che ha colpito regolarmente il dittongo -auin tutto il sardo (ad es. log. e campid. paucum [ˈpaːɣu]) 63 . Ma anche ammettendo che [ˈpreˑiði] o [ˈkaˑuli] vadano analizzate come parole piane contenenti un dittongo, sarebbe comunque ravvisabile una caratteristica strutturale comune rispetto a proparossitoni di struttura C.CV(C).CV come quelli in (22): un dittongo è infatti fonologicamente bimorico. In un dittongo discendente, dunque, alla tonica segue un’ulteriore mora così come accade se dopo la tonica ricorre un’altra sillaba atona (con nucleo monottongale). In fin dei conti, data l’una o l’altra analisi delle sequenze vocaliche in questione (CV.CV o C.V.CV), la distanza della vocale atona finale dalla tonica, se computata in more, risulta comunque maggiore che non nei parossitoni C.CV. È questo, evidentemente, il fattore decisivo: l’innalzamento è un processo d’indebolimento, che è stato favorito ceteris paribus dalla maggior distanza rispetto al segmento vocalico tonico. 64 62 Burdy/ Burgmann 2003: 62 dubitano che -e finale, mantenuta nel toponimo ufficiale fin oltre metà del Novecento (il Wagner scrive ancora Strisaile: cf. ad es. DES 404, 764 ecc.) abbia mai corrisposto a una pronuncia locale, dato che le attestazioni antiche radunate in Cocco 1984-86, III: 233-35, 241 hanno regolarmente Strisaili. Se anche l’innalzamento qui non si è prodotto, una eventuale resa ufficiale con -e a partire da -i originaria andrebbe comunque inquadrata (come falsa ricostruzione) nella fenomenologia che stiamo trattando. 63 Da DES 236 [ˈkaˑulɛ] caule è riportato come compattamente logudorese e centrale, mentre in campidanese coesistono [ˈkaˑuli] (ad es. ad Asuni) con forme rustiche presentanti monottongazione (ad es. [ˈkaːβi] ad Assòlo, [ˈkaːʁi] a Senis, Nureci), il che presuppone la bisillabicità dell’etimo latino. 64 La definizione del contesto in termini di more richiede un’ulteriore specificazione: si deve trattare di more associate a segmenti vocalici. Infatti, anche alle consonanti in coda viene attribuito peso morico, ma in dialetti come il talanese o il villagrandese l’innalzamento non si produce regolarmente nei parossitoni con sillaba tonica chiusa. Il revisore anonimo suggerisce qui che, date queste condizioni, «avremmo a che fare più con una proprietà segmentale che prosodica». Si consideri tuttavia che la distinzione è collocabile anche a livello puramente prosodico, dato che le more attribuite alle consonanti in coda sono frutto dell’assegnazione di «peso per posizione» (Hayes 1989: 258), mentre quelle delle vocali interne di proparossitono così come quelle associate a secondo elemento di dittongo sono invece soggiacenti. Michele Loporcaro 136 Questa formulazione permette fra l’altro di ridurre a fattor comune la condizione della proparossitonia rispetto a quella della qualità della vocale precedente: come si è visto, sono più prone all’applicazione dell’innalzamento le vocali medie che ricorrono dopo vocale non media. In questo caso la distanza strutturale, misurata in tratti distintivi, fra le vocali condizionante e condizionata, è maggiore che non date due vocali entrambe medie. In altre parole, favorisce l’applicazione del mutamento una maggior distanza tra elemento condizionante e bersaglio del processo, sia essa in termini di qualità o di quantità vocalica. 6.3 Villanova e Villagrande Strisàili Torniamo ora al punto di partenza del nostro viaggio in Sardegna centrale, per mostrare come la razionalizzazione ora prodotta delle condizioni talanesi si applichi anche al dialetto di Villagrande e di Villanova Strisàili. Come si vedrà confrontando i dati qui addotti per Villanova con quelli riportati per Villagrande al §2, la situazione nei due centri è largamente coincidente. Iniziamo col dare un quadro complessivo del vocalismo atono finale per il dialetto di Villanova. Qui, come si mostra in (23), -o finale è generalmente stabile: (23) Villanova Strisàili (esiti di -o nei parossitoni): a. [ˈfiːʒ ɔ r ˈmiˑ ɔ z ɔ ] ‘figli miei’, [ˈfakː ɔ / ˈfatːʃ ɔ ] ‘faccio’, [ˈiʃː ɔ ] ‘so’, [pr ɔ ˈmːint ɔ ] ‘prometto’, [ˈpundʒ ɔ ] ‘pungo, ferisco (con arma da taglio)’, [ˈskuːð ɔ ] ‘picchio, lancio (ad es. un sasso)’ excut(i)o, [aˈbːiːz ɔ ˈmːɛˑ ɔ ] ‘a mio avviso’ 65 , [ˈintr ɔ ] ‘dentro’; b. [kuˈaɖː ɔ z ɔ ] ‘cavalli’, [ˈand ɔ ] ‘vado’, [ˈbaːʒ ɔ ] ‘valgo’, [ˈkand ɔ ] ‘quando’; c. [ˈnɛːm ɔ z ɔ ] ‘nessuno’, [arːɛˈnɛʃː ɔ ] ‘riesco’, [ˈbɛndʒ ɔ ] ‘vengo’, [ˈb ɔ ːʒ ɔ ] ‘voglio’, [ˈfɛrdʒ ɔ ] ‘picchio’ ferio, [ˈp ɔ θː ɔ ] ‘posso’, [prɛˈfːɛrdʒ ɔ ] ‘preferisco’, [mi ˈzɛtːʃ ɔ ] ‘mi siedo’. Fa eccezione [ˈkwatːru] ‘quattro’: in questa forma, l’unica fra quante ho raccolto a presentare l’innalzamento campidanese -o -u, tale innalzamento fa capolino in uno dei contesti fonologicamente favorevoli, dopo vocale non media 66 . 65 Forma obsoleta, ricordata ma non più usata dai miei informatori, corrispondente etimologicamente all’italiano a mio avviso ma costituente qui forse un arcaismo morfologico per la conservazione delle uscite ablativali in -o. Che alla base stia qui un sostantivo della IV, visus, non contraddice a quest’ipotesi, data l’espansione di forme della II a danno di quelle della IV, attestata dalle continuazioni sarde di isolate forme ablativali (ad es. log. [ˈd ɔ ːm ɔ ] ‘casa’ domo) così come dei plurali di nomi di IV, che presuppongono ovunque un -os sostituito per tempo all’originario -us: ad es. log. (Bonorva, SS) [sal ˈmaːn ɔ z ɔ ] ‘le mani’, [sal ˈfiːɣ ɔ z ɔ ] ‘i fichi’ (femm.). 66 Si osservi inoltre che qui il mutamento nel vocalismo si accompagna alla selezione del tipo lessicale campidanese [ˈkwatːru], di contro a log. [ˈbːatː ɔ r ɔ ] ‘quattro’. Non si dànno d’altra parte, a quanto mi consta, varietà che presentino in questa voce conservazione del vocalismo atono logudorese insieme all’esito campidanese di qu iniziale (*[ˈkwatː( ɔ )r ɔ ]), mentre dato l’esito consonantico logudorese (e conservativo) si hanno da un lato casi di innalzamento (ad es. [ˈbːatːuru] a Narbolia, [ˈbːatːru] a Fordongianus, S. Vero Milis), dall’altro di resistenza del vocalismo atono logudorese (come a Sèneghe, cf. (7c) e N23), resistenza che si estende a ridosso della fascia di tran- Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 137 Gli esiti di -e compaiono invece diffratti, presentandosi l’innalzamento con assoluta regolarità nei proparossitoni con vocale tonica e postonica interna non media ((24a)), mentre i proparossitoni in cui -e è preceduta da vocale media la mantengono inalterata ((24b)): (24) Villanova Strisàili (esiti di -e nei proparossitoni): a. [ˈbːatːili] ‘coperta sottosella’ coactile, [ˈtʃiːʒiri] ‘cece’, [ˈkartʃini] ‘calcio (all’indietro, del cavallo)’ 67 , [ˈkaˑuli] ‘cavolo’, 68 [ˈdːebːili] ‘debole’, [ˈfiːliʒi] ‘felce’, [ˈiːliʒi] ‘leccio’, [ˈlindini] ‘lendine’, [ˈomːini] ‘uomo’, [ˈorðini] ‘filare’, [ ɔ ˈrː ɔ ˑali] ‘rovere’, [(or)ˈrundini] ‘rondine’, [ˈpiːβiri] ‘pepe’, [ˈpinːiʒi] ‘cimice’, [ˈpoɖːini] ‘farina grezza, crusca’, [ˈpuːliʒi] ‘pulce’, [ˈrandini] ‘grandine’, [santumːiˈaˑili] ‘ottobre’ (letter. San Michele), [su ˈzeˑiði] ‘erba della patata’ segite, [ˈtreːβini/ ˈtremːini] ‘treppiede’; b. [ˈsambɛnɛ] ‘sangue’, [ˈsɛmːɛnɛ] ‘seme’, [ˈnumːɛnɛ] ‘nome’. Il confronto tra (24a-b) mostra come sia dirimente qui per l’esito di -e la qualità della vocale postonica di proparossitono. Infatti, le tre parole in (24b) hanno rispettivamente vocale tonica bassa, media e alta senza che ciò influisca sulla finale: dirimente è [ɛ] postonica, che inibisce l’innalzamento. Per converso, in tutti i proparossitoni in (24a) la vocale finale innalzata è preceduta da [i] interna. Si noti ancora come pure qui, esattamente come a Talàna, ricadano fra le parole soggette a innalzamento quelle presentanti una sequenza vocalica includente la tonica (ad es. [ˈkaˑuli]), e come anche qui in proparossitono la tonica subisca metafonia, non solo in voci di tradizione diretta (ad es. [ˈpoɖːini]) ma anche in prestiti (ad es. [ˈdebːili]), a riprova del persistere della metafonia come processo allofonico sincronicamente attivo. Eccezione solo apparente è [ ɔ ˈrː ɔ ˑali], dove la metafonia è bloccata dalla [a] interposta, che in tutto il sardo produce tale effetto (cf. Loporcaro 2003b: 91). Passando ai parossitoni in -e, qui l’innalzamento ad -i appare in via di diffusione lessicale. Come sempre, il riflesso sincronico di questa diffusione è una situazione in complesso lontana dalla regolarità rispecchiata per i proparossitoni in (24a-b). I dati relativi ai parossitoni si presentano in (25)-(26), dove si illustrano rispettivamente la conservazione e l’innalzamento della vocale finale atona: sizione ai dialetti che presentano [ˈbːatːr ɔ ], come Sòrgono. Cf. sopra la N32 e cf. Blasco Ferrer 2002: 364, che circoscrive il tipo entro un’area che va da Sòrgono a est passando per Atzara sino a Ghilarza e Samugheo a ovest. Sviluppo ulteriore di [ˈbːatːr ɔ ], con epentesi (e eventualmente innalzamento), è ancora il [ˈbːatːɛr ɔ ]/ -[u] che Blasco Ferrer 2001: 390-91 riscontra in vari punti dall’estremo est - Urzulei, in Ogliastra, [ˈbːatːɛr ɔ ] - a quello ovest - rioni storici di Oristano, [ˈbːatːeru] - della fascia di transizione. Un esempio interessante di variazione sincronica, che s’inquadra bene nell’inventario ora abbozzato, mi vien segnalato per Meana da M. S. Casula: a Meana si ha oggi correntemente [ˈkwatːru] (come risulta dalla c. 32 di Contini 1987), mentre un [ˈbːatːuru] evidentemente più antiquato ricorre fissato entro filastrocche popolari. 67 Cf. sopra alla N1. 68 Collochiamo questa forma insieme ai proparossitoni in ragione di quanto detto al §6.2. Michele Loporcaro 138 (25) Villanova Strisàili (conservazione di -e nei parossitoni): a. [aˈβriːlɛ] ‘aprile’, [koˈiːlɛ] ‘ovile’, [foˈɖːiːnɛ] ‘fuliggine’, [fraˈðiːlɛ] ‘cugino’, [ˈgurtʃɛ] ‘dolce’, [ˈniˑɛ] ‘neve’, [ˈpiːʒɛ] ‘pece’ [droˈmːiˑɛ] ‘dormire’ (e tutti gli infiniti in -ire); b. [ˈkaːnɛ] ‘cane’, [ˈkarːɛ] ‘carne (viva)’, [kaˈrːaːlɛ] ‘carnale’, [ˈkraˑɛ] ‘chiave’, [ˈfartʃɛ] ‘falce’, [fɛˈðaːlɛ] ‘coetaneo’ foetalem, [ˈfraːðɛ] ‘fratello’, [ˈlandɛ] ‘ghianda’, [ˈlatːɛ] ‘latte’, [ˈpaːnɛ] ‘pane’, [ˈpaːʒɛ] ‘pace’, [ˈsaːlɛ] ‘sale’, [ˈt ɔ pːɛ] ‘topo’, [ˈbaːlɛzɛ] ‘vali’, [ˈpaːrɛðɛ] ‘sembra’, [mɛˈsːaˑɛ] ‘mietere’, [ˈnaˑɛ] ‘dire’, [paˈpːaˑɛ] ‘mangiare’ (e tutti gli infiniti in -are); c. [ˈb ɔ ˑɛ] ‘bue’, [ˈb ɔ ːʒɛ] ‘voce’, [f ɔ ɣ ɔ ˈr ɔ ːnɛ] ‘falò’, [kaˈɛntɛ] ‘caldo’, [kaˈl ɔ ːrɛ] ‘calore’, [kaˈrː ɔ ːnɛ] ‘calcio’, [ˈkr ɔ ːβɛ] ‘cesta (di asfodelo)’, [liˈ ɔ ːnɛ] ‘corbezzolo’, [marːaˈkː ɔ ːnɛ] ‘maccherone’, [ˈmɛːzɛ] ‘mese’, [nɛˈβ ɔ ːðɛ] ‘nipote’, [ˈn ɔ tːɛ] ‘notte’, [su ˈsprɛːnɛ] ‘milza’ splene, [isˈtɛrːɛrɛ] ‘stendere’ (e tutti gli infiniti di II), [ˈɛstɛ] ‘è’ 69 , [ˈtɛːnɛðɛ] ‘ha, tiene’, [suˈtːʃɛːdɛntɛ] ‘succedono’, [a sː imˈbɛsːɛ] ‘alla rovescia’, [ˈbɛːnɛ] ‘bene’, [eriˈzɛˑ ɔ ] ‘ieri’, [iˈn ɔ ˑɛ] ‘qui’, [(ˈboːnu) ˈβr ɔ ˑɛ] ‘buon pro/ appetito’, [ˈdɛːʒɛ] ‘dieci’, [ˈsɛtːɛ] ‘sette’, [ˈn ɔ ˑɛ] ‘nove’ 70 . (26) Villanova Strisàili (innalzamento di -e nei parossitoni): a. [ˈbirði] ‘verde’, [paˈliːni] ‘canestro di asfodelo largo e piatto (per conservare il pane)’, [ˈfiːni] ‘fine’, [ˈpiʃːi] ‘pesce’, [ˈtʃiːni] ‘chi’, [ˈtuˑi] ‘tu’ 71 , [iŋˈkuˑi] ‘costì’; b. [ˈaːβi] ‘ape’ 72 , [dʒuˈanːi] ‘Giovanni’, [marˈdʒaːni] ‘volpe’, [ˈmaːðri] ‘scrofa’ 73 , [nuˈraːʒi] ‘nuraghe’; c. Ø. Ciascuna delle due serie è ordinata per contesto vocalico. Ne risulta, se non una regolarità, almeno una evidente tendenza: nei parossitoni l’innalzamento, che appare comunque minoritario, non si produce mai dopo vocale media (cf. gli esempi in (25c) e l’assenza di una serie (26c)), mentre si produce variabilmente dopo vocale tonica alta o bassa. Ricadono in questa categoria le parole che risultano alla superficie proparossitone per l’applicazione di epitesi: esse si comportano come parossitone e non presentano dunque innalzamento categorico (ad es. [is ˈkraˑɛzɛ] ‘le chiavi’, pl. di [sa ˈɣraˑɛ]). Anche per questo dialetto si registrano alcuni casi particolari con -e [i], in parte spiegabili come a Talàna: [ˈpreːði] avrà subito l’innalzamento finale prima della semplificazione della sequenza [ei] interna, tuttora variabilmente presente a Villagrande (cf. Burdy/ Burgmann 2003: 58 e sopra il §6.1). Rispetto al quadro sin qui delineato, un’eccezione irriducibile è invece rappresentata da [tiˈðoːri] ‘colombac- 69 A Villagrande si ha [ˈistɛ], con la tonica irregolarmente innalzata (certo per la frequente ricorrenza in protonia sintattica) ma con mantenimento della [ɛ] finale. 70 Le stesse condizioni in [sa ɛrˈβɛ] ‘la pecora’ (pl. [ir bɛrˈβɛːzɛ]), dove tonica e postonica omofone si fondono, mentre in altri dialetti abbiamo visto operare, in questo contesto (e in questo lessema), una dissimilazione a contatto (cf. la N41). 71 La vocale è qui epitetica, ma si noti che non si innalza la [ɛ] epitetica dopo ì: ad es. [sɛtːʃɛˈðiɛ] ‘siediti’. È impedita così la formazione di uno iato omofonico. 72 Da un mio informatore di Villagrande ho [ˈaːβɛ]. Un altro villanovese ha invece [ˈaːβja]: si riscontra dunque qui un’instabilità nell’assetto fonetico-morfologico dell’uscita, in un lessema afferrato dal mutamento in corso. 73 Qui se da matrem, o se l’uscita si deve a matr(ic)em, mentre se si deve risalire a matrix la -i sarebbe originaria (cf. sopra, §6.1 e N55). Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 139 cio’ *titone (DES 743), con alterazione forse dovuta a ravvicinamento al suffisso -ore, il che però non spiega l’innalzamento di -e 74 . Ciò conferma che il passaggio a -[i] in tale parola non va inquadrato nella fenomenologia dell’innalzamento di cui discutiamo. Quanto detto dal §6.1 in qua per Talàna e Villanova si applica anche al dialetto di Villagrande. Anche qui l’innalzamento inizia a farsi strada, ed esso è sensibile non solo alla condizione prosodica individuata da Burdy/ Burgmann 2003 (proparossitonia) bensì anche alla qualità della vocale precedente. La considerazione di ambo i fattori permette di render conto compiutamente dei limiti entro i quali si produce tale innalzamento di -e. Nei proparossitoni, infatti, esso si esplica categoricamente quando la vocale precedente è alta o bassa (lo illustrano gli esempi prodotti da Burdy/ Burgmann 2003, visti in apertura in (1a)), mentre non si riscontra mai dopo vocale media ((1b)). Che anche a Villagrande sia cruciale la postonica (laddove diverga dalla tonica) mostrano esempi come orr ali roborem, préiði ‘prete’, érpii ital. erpice, sámbene ‘sangue’, ámbene ‘inguine’, ecc. 75 . Questa spiegazione ha il vantaggio di render conto automaticamente di tutti quanti i casi di mancata applicazione ((1b)), che invece da un lato sono ricondotti da Burdy/ Burgmann a spiegazioni ad hoc (come quella offerta - si è visto al §2 - per smene ‘seme’, ecc. invocando l’origine epitetica della vocale di uscita), dall’altro restano inspiegati (lpore, árbore). Nei parossitoni l’applicazione dell’innalzamento è molto meno pervasiva. Anche qui si ha però una microregolarità in un ambito morfologicamente definito, quello dei suffissi -anti (mai *-ante) ed -ɛnte (mai *-ɛnti) 76 . Per il resto l’innalzamento è sì episodico, ma interessa pressoché esclusivamente parole con vocale tonica non media ((2a)), mentre le forme non presentanti innalzamento, già riportate in (2b), ricorrono dati entrambi i contesti vocalici, ora disaggregati in (27a-b): (27) a. sa ðɛnte ‘il dente’, dɛʒe ‘dieci’, saβ ɔ ne ‘sapone’, akkarinað ɔ re ‘che scalcia (di cavallo)’; b. aβe ‘ape’, aβrile ‘aprile’, kane, kare ‘calcagno’, koíle ‘ovile’, fare ‘falce’, fraðile ‘cugino’, gure ‘dolce’, latte, nue ‘nube’, pane, pie ‘pece’, rue ‘croce’. Nei parossitoni, ad ogni modo, anche dopo vocali alte e basse, il contesto fonologicamente favorevole non basta a determinare l’innalzamento, che appare dunque - come s’è visto per Baunei dopo -á- (cf. le N16 e 19) - in via di diffusione lessicale. Di fronte alle decine di eccezioni lasciate in eredità dall’analisi precedente, che non riconosceva il condizionamento vocalico contestuale, nella nostra lettura dei 74 Si osservi di passaggio, a conferma della natura tuttora allofonica della metafonia in questi dialetti, che essa è indotta anche da questa -[i] finale secondaria. La voce ricorre - come osservano Burdy/ Burgmann 2003: 62 - con la stessa fonetica irregolare non solo a Villanova e Villagrande ma anche a Dorgali, Désulo e Baunei. 75 La qualità di tale postonica può anche, come in orr ali, esser secondaria. 76 Anche qui Burdy/ Burgmann 2003: 60 N31 ricorrono ad una spiegazione ad hoc, invocando un influsso analogico degli avverbi/ preposizioni innanti/ adenanti. Michele Loporcaro 140 dati ne rimangono due sole: séði ‘erba della patata’ e tiðóri ‘colombaccio’. Quest’ultima voce, si è già detto a proposito di Villanova, presenta -i anche in altri dialetti non toccati dall’innalzamento e non richiede dunque spiegazione in questo quadro. La parola séði è invece un’eccezione solo apparente: se si muove dall’etimo segitem di DES 694, come fanno Burdy/ Burgmann 2003: 57, si può supporre un innalzamento di -e finale, regolarmente determinato dalla -ipostonica di proparossitono prima che essa venisse cancellata dalla sincope; lo stadio intermedio è ancora visibile a Villanova ([su ˈzeˑiði], cf. (24a)) 77 . 7. Innalzamento sporadico di - E in proparossitono a nord dell’area di transizione Ciò non vuol dire, ovviamente, che eccezioni non ne esistano affatto. Se si passano infatti in rassegna i dialetti con vocalismo finale saldamente logudorese a nord della zona grigia, si trovano certamente varietà con vocalismo compatto e privo di oscillazioni 78 , ma si riscontrano anche alcune deviazioni dalla norma. Si prenda ad es. il dialetto di Busachi (cf. già sopra (11d)), per il quale l’AIS (pt. 954) registra generalmente -e finali conservate, ma d’altro canto alla carta I 163 ‘il piede; i piedi’ dà u β$i; o p$z e e alla c. III 435 ‘la volpe’ riporta u marǵni. Quest’ultimo - tipo lessicale attestato nei dialetti centrali, ogliastrini e campidanesi ([maˈrjaːne] ad es. a Nuoro, [marˈdʒaːne] a Urzulei, [marˈdzaːne] a Dorgali; cf. le forme registrate in DES 506) - è evidentemente penetrato nel dialetto di Busachi dalle varietà parlate più a sud: esso è stato inserito fra i nomi della classe flessiva in -/ i/ , pl. -/ is/ che in tutto il logudorese esiste (sia pur nutrita di lessemi interamente di prestito ovvero uscenti in morfemi indotti da serie di prestito, come -/ ˈeri/ : cf. Wagner 1952: 75-78, Pinto 2011: 63-64) ed è distinta da quella in -/ ɛ/ , pl. -/ ɛs/ : ad es. bonorvese [bindzaˈtːeːri, -izi] ‘vignaiolo, -i’, [karabːiˈneːri, -izi] ‘carabiniere, -i’. In un tale sistema con opposizione -/ ɛ/ ≠ -/ i/ mantenuta, dunque, la penetrazione di un singolo prestito da sud con -/ i/ in luogo di -/ ɛ/ originaria ([marˈdʒaːni] a Busachi) non è di per sé indizio della penetrazione del processo fonologico d’innalzamento. Così come privo di valore diagnostico circa lo stesso processo è il caso di [ˈpɛˑi], sempre a Busachi, poiché come mostra il plurale [ˈpɛːz e ] si ha qui dissimilazione della sequenza omofonica in iato insorta per la caduta di -d-, sequenza che invece nel plurale s’è semplificata in / ɛ/ 79 . 77 Lo stadio ancora precedente andrà ricostruito dunque come *séɣiðe, non coincidente col nuor. sɛ́ɣete (Wagner 1921: 113), che invece potrà regolarmente risalire all’allotropo latino classico segetem (non considerato né in DES 694 né in REW 7786). 78 Così ad esempio ad Aùstis presentano -[ɛ] finale anche tutti i proparossitoni, inclusi quelli con [i] tonica e/ o postonica: [ˈdebːilɛ] ‘debole’, [ˈiːliɣɛ] ‘leccio’, [ˈlendinɛ] ‘lendine’, [ˈomːinɛ(ze)] ‘uomo/ -ini’, [ˈrundinɛ] ‘rondine’, [ˈpoɖːiɣɛ] ‘dito’, [ˈsoːriɣɛ] ‘topo’, [sa ˈðreːβiðɛ] ‘treppiedi’, [ˈpoɖːiɣɛ] ‘dito’; così anche [ˈpreˑiðɛ] ‘prete’ (cf. Baroni 2010: 34-35, Genasci 2010: 34). 79 Nell’ALI (c. I 47) per Busachi si registra invece u b éi; dúoṡ pèiṡ, con livellamento dell’alternanza per generalizzazione dell’allomorfo che l’AIS riporta per il solo singolare. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 141 Altro caso forse comparabile è quello della parola ‘chiave’, che suona in logudorese e nuorese [ˈkraˑɛ], logud. sett. [ˈdʒaˑɛ] (con perdita ovunque della -v-; DES 278). Eppure ad esempio a Fonni ho raccolto (nel 2010) [sa ˈkˑraˑi, sas ˈkraˑizi] ‘la chiave, le chiavi’, mentre l’ALI IV 317 (Fonni vi è il pt. 751) ha ancora ṡa kráe, dùaṡ kráeṡ. La medesima carta ALI riporta però forme in -i per altri punti i cui dialetti hanno altrimenti vocalismo atono finale con mantenimento delle medie: Oranì (pt. 741), Orgòsolo (pt. 742), Olìena (pt. 743), Bonàrcado (pt. 746). Evidentemente anche qui si tratta, per questi dialetti, di innovazione recente, forse favorita dal contesto postvocalico in cui la -/ ɛ/ si trovava a ricorrere (benché non si abbia qui iato omofonico). È senza dubbio possibile che un vaglio più accurato del lessico dei dialetti di quest’area riveli ulteriori casi simili. Ma al di là di queste isolate eccezioni c’è un ambito fonologicamente definito entro il quale simili innalzamenti postonici si addensano: quello dei proparossitoni in -e. Nei dialetti parlati immediatamente a nord e ad ovest dell’area considerata al §6, area nella quale l’innalzamento di -e in proparossitono per armonizzazione con la vocale tonica e/ o postonica è regolare, troviamo infatti un innalzamento di -e solo in alcuni dei proparossitoni che presentano le condizioni fonologiche appropriate. Si presentano i dati relativi in (28) (le quattro località sono disposte da NE a SW): (28) a. Urzulei: [ˈdebːili] ‘debole’, [ˈtʃiːdʒiri] ‘cece’, [ˈpiːβiri] ‘pepe’; b. Désulo: [ˈdebːili] ‘debole’, [ˈtʃiːdʒiri] ‘cece’; c. Aritzo: [ˈdibːili] ‘debole’ (in variazione con [ˈdibːilɛ]), [ˈtʃiːdʒiri] ‘cece’, [ˈpiːβiri] ‘pepe’; d. Atzara: [ˈpiːβiri] ‘pepe’. In questi dialetti non solo si ha in generale conservazione regolare di -e e di -o finali ma la si riscontra anche, specificamente, nei proparossitoni uscenti in -e etimologica, quale che sia la vocale tonica e/ o postonica: (29) a. Urzulei: [ˈoːminɛ] ‘uomo’; b. Désulo: [ˈiːlidʒɛ] ‘leccio’, [ˈlɛpː ɔ rɛ] ‘lepre’, [ˈpiːβɛrɛ] ‘pepe’, [ˈsɛmːɛnɛ] ‘seme’, [ˈtrɛmːɛnɛ] ‘dirupo’; c. Aritzo: [ˈfiːilidʒɛ] ‘felce’, [ˈpinːidʒɛ] ‘cimice’, [ˈomːinɛ] ‘uomo’, [ˈtreːβiðɛ] ‘treppiedi’; d. Atzara: [ˈfiːliɣɛ] ‘felce’, [ˈiːliɣɛ] ‘leccio’, [ˈomːinɛ] ‘uomo’, [ˈpinːiɣɛ] ‘cimice’, [ˈpuːliɣɛ] ‘pulce’, [ˈsamːinɛ] ‘sangue’, [ˈsoːriɣɛ] ‘topo’. Evidentemente si ha qui la spia di un’incipiente estensione della condizione prosodico-fonologica sull’innalzamento di -e vista all’opera al §6 a Talàna, Villagrande e Villanova Strisàili, estensione ancora in via di diffusione lessicale. Anche qui un più sistematico scrutinio del lessico dei dialetti di questa zona a vocalismo atono finale logudorese potrebbe forse rivelare una messe più ampia di casi di innalzamento in proparossitono del tipo registrato in (28). Michele Loporcaro 142 8. Influsso di fattori esterni Non si è finora parlato di fattori esterni, i quali pure, in linea di principio, si può ritenere abbiano influito sul corso dei mutamenti che abbiamo considerato. Poiché l’innalzamento campidanese appare in espansione già nel corso del Medioevo, l’assetto dei confini politici nella Sardegna giudicale parrebbe un candidato a prima vista plausibile per l’esercizio di un tale influsso. Ad esempio, a parità di latitudine, si potrebbe ritenere che l’appartenenza al giudicato di Cagliari, favorendo le comunicazioni sull’asse sud-nord col centro di irradiazione delle innovazioni, ne abbia accelerato la diffusione, mentre il confine del giudicato di Arborea, che verso l’estremo ovest correva a sud dell’area oggi di transizione, potrebbe averla frenata 80 . L’ipotesi non pare tuttavia suffragata dai dati, poiché lungo la fascia di transizione dialetti con le medesime caratteristiche s’incontrano entro i territori già appartenenti all’uno e all’altro giudicato. Delle due zone individuate con compiuta armonia vocalica, quella più ad est (Àrzana, Elìni, Ilbono) è in territorio già cagliaritano, mentre quella più ad ovest (Àllai, Meana, Laconi) fu nel Medioevo arborense (cf. rispettivamente le carte in Blasco Ferrer 2003: 22-23, 44-45). Lo stesso si può ripetere per i dialetti in cui l’innalzamento è condizionato al contempo fonologicamente e morfologicamente: Sèneghe appartenne al giudicato di Arborea, Baunèi a quello di Cagliari 81 . Certo, a nord di Sèneghe il confine rispetto al vocalismo compiutamente logudorese del dialetto di Santu Lussurgiu coincide con quello fra i giudicati arborense e turritano, ma d’altro canto Bonàrcado, che linguisticamente ha condizioni simili a quelle santulussurgine, era come Sèneghe arborense. Non è possibile dunque individuare corrispondenze sistematiche fra gli assetti del vocalismo finale che abbiamo qui discusso e i confini medievali. Il che non vuol dire negare in toto la rilevanza di fattori esterni. Si prenda ad esempio il caso di Atzara, subito a nord di Meana, ovvero della zona centrale ad armonia vocalica. Ad Atzara si osserva regolare continuazione del vocalismo logudorese postonico 82 : 80 Ringrazio l’amico Maurizio Virdis per aver discusso con me della questione. 81 Per la -u postonica ricorrente nel dialetto di Baunei in [as ˈfiːɣuz u ] ‘i fichi’, [az ˈaːɣuz u ] ‘gli aghi’, [aɾ ˈmaːnuz u ] ‘le mani’, una spiegazione storica ancor più remota si suggerisce in Blasco Ferrer 1988: 95-96, 1989: 50, Blasco Ferrer/ Contini 1988: 838, ravvisando in tali forme delle reimportazioni di plurali di IV declinazione in -us prodottesi in tarda età imperiale ad opera di coloni italici. Come argomentato in Loporcaro 2005a, questa spiegazione esterna è innecessaria, rientrando tali dati nella portata della spiegazione interna qui riassunta: vi si è avuto innalzamento della vocale del suffisso -os - generalizzatosi ab antiquo in Sardegna anche ai sostantivi di IV declinazione - date vocali toniche non medie in regime di armonia vocalica parziale (cf. sopra, (4)). 82 Diversamente Contini 1987: 443, ove si legge: «Elle [= «L’isophone méridionale de -e final stable»] remonte ensuite jusqu’au nord d’Atzara (156)». Atzara è collocata, con questa formulazione, in area d’innalzamento -e -i, mentre secondo la carta 92 si troverebbe in zona di oscillazione kane/ -i. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 143 (30) Atzara (esiti di -o): a. [ˈkitːs ɔ ] ‘presto’, [ˈintr ɔ ] ‘dentro’, [eˈrːiˑ ɔ ] ‘rido’, [ ɔ ˈkːiˑ ɔ ] ‘uccido’, [ˈbːufː ɔ ] ‘bevo’; b. [iz ˈaːɣ ɔ s] ‘gli aghi’, [ˈtand ɔ ] ‘allora’, [ˈkand ɔ ] ‘quando’, [ˈand ɔ ] ‘vado’, [kanˈtand ɔ ] ‘cantando’, [isˈtrandʒ ɔ z ɔ ] ‘forestieri’; c. [ˈb ɔ ːʒ ɔ ] ‘voglio’, [k ɔ ˈɛnd ɔ ] ‘cucinando’, [ˈk ɔ mm ɔ ] ‘adesso’, [iz ˈ ɔ ːɣ ɔ z ɔ ˈnjɛɖː ɔ z ɔ ] ‘gli occhi neri’. (31) Atzara (esiti di -e): a. [aˈβriːlɛ] ‘aprile’, [iˈɣuˑɛ] ‘costì’, [iˈnuˑɛ] ‘dove’, [su ˈβiːɣɛ] ‘la pece’; b. [ˈkaːnɛ] ‘cane’, [ˈpaːɣɛ] ‘pace’, [ˈsaːlɛ] ‘sale’, [ˈfraːðɛ ɣaˈrːaːlɛ] ‘fratello (carnale)’, [ˈfaˑɛ] ‘fava’, [ˈfaˑɛðɛ] ‘fa’; c. [anˈdʒ ɔ ːnɛ] ‘agnello’, [iˈnː ɔ ːɣɛ] ‘qui’, [d ɔ ˈl ɔ ːrɛ] ‘dolore’, [ˈmɛːzɛ] ‘mese’, [ˈsɛtːɛ] ‘sette’, [ˈn ɔ ˑɛ] ‘nove’, [ˈdɛːɣɛ] ‘dieci’, [ˈb ɔ ˑɛ] ‘bue’, pl. [i ˈβ ɔ ˑɛs], [ˈk ɔ ˑɛðɛ] ‘cuoce = cuocere’, [ˈm ɔ ɖːɛ] ‘molle’, [ˈs ɔ rːɛ] ‘sorella’. Come si vede, il contesto vocalico precedente non influisce (a distanza) sull’esito della vocale finale 83 . Lo stesso vale anche per i proparossitoni, in cui si conserva generalmente -e finale anche dopo vocale alta, come già sopra mostrato in (29d), con l’eccezione di [ˈpiːβiri] ‘pepe’ ((28d)). Al di fuori dei proparossitoni, l’unica altra eccezione che ho rilevato è [ˈpiski] ‘pesce’, che per più d’uno dei miei informatori non può uscire in -[ɛ] 84 . Per tale eccezione è pensabile una spiegazione extralinguistica: la parola sarà venuta con la cosa 85 . In questa località dell’interno, infatti, il pesce proviene da Cabras, dove la parola suonava appunto fino a non molto tempo addietro [ˈpiski] giacché Cabras, borgo peschereccio 7 km a ovest di Oristano, è già in area di innalzamento ma è l’ultimo centro a sud-ovest che - sino alle inchieste dei primi del Novecento (rispecchiate dal percorso dell’isoglossa 1 nella carta di Virdis 1988: 908, cf. sopra fig. 1) - conserva le velari davanti a vocale palatale 86 . 83 Anche qui si osservano però le dissimilazioni, a contatto di -ee -ítoniche, delle -e finali, sia etimologiche (con gli esiti simmetrici in [sa eˈβreˑ], [iz eˈβreˑizi] ‘la pecora, le pecore’, e in [su ˈniˑe] ‘la neve’) sia epitetiche ([su ɣaˈfːeˑ] ‘il caffè’, [iɣuˈɖːeˑ] ‘là’), di cui già sopra alle N25, 26. 84 Si trattava di quattro atzaresi da me intervistati nel bar del Corso il 26. 7. 2008. D’altro canto, il parlante intervistato il 7. 7. 2010 (il sig. Mario Demelas) presenta invece [ˈpiskɛ]. Non è dunque, questa forma parossitona in -[i] da -e, neppure propria del dialetto di tutti gli atzaresi bensì solo di alcuni. 85 Ringrazio Ignazio Putzu per avermi suggerito questa spiegazione. Analogo potrebbe essere il caso delle forme con -i finale ćíćiri ‘cece’ (Baunei, pt. 959) e (vaslu) ćíširi (Fonni, pt. 947) registrate in AIS VII 1383, di cui sopra alla N15. 86 La situazione, rispetto alle inchieste primo-novecentesche, oggi appare mutata. Tutte le persone che ho consultato a Cabras (luglio 2009) mi hanno dato la forma [ˈpiʃːi], che costituirà espansione recente dell’esito campidanese già da tempo stabilizzato nella vicina Oristano. Del pari ho registrato qui gli esiti ormai campidanesi [ˈpaːʒi] ‘pace’ ([sa ˈβaːʒi] ‘la pace’ si oppone a [sa ˈβaːɣi] ‘la paga’), [ˈʃːi] ‘sapere’, [n ɔ ɖːu ˈʃːiu] ‘non lo so’. Restano però le condizioni originarie in altri lessemi: ad es. in [ˈdɛːɣi] ‘dieci’, [pisˈkɛːra] ‘peschiera’, [ˈkɛːru] ‘voglio’ quaero (tipo lessicale logudorese, di contro al campid. [ˈb ɔ lːu] voleo), [kriˈkːai] ‘cercare’ (di contro a campid. [tʃiˈkːai]), [kː ˈɛsti] ‘c’è’ (qui)’, di cui a Cabras è inaccettabile la variante palatalizzata campid. [ntʃ ˈɛsti], mentre vi si ha il campid. [ɖːu ˈɛsti] ‘c’è’ (lì/ non marcato)). Com’è evidente già da questi pochi esempi, la palatalizzazione campidanese delle velari appare attualmente in via di diffusione lessicale. Michele Loporcaro 144 9. Condizioni fonologiche sulle eccezioni lessicali? Il fattore esterno, qui nel senso del rapporto fra Wörter und Sachen, può aver concorso nel caso specifico con la condizione fonologica favorevole, dato che questa parola presenta [i] tonica, risultando dunque maggiormente esposta - data la dinamica generale che abbiamo sin qui tratteggiato - a recepire l’innalzamento. E in effetti non sarà fortuito che i casi isolati di innalzamento di -e ed -o i quali pure si registrano in dialetti a vocalismo logudorese subito a nord della zona con armonia vocalica (o con innalzamento di proparossitono) interessino tutti parole con vocale tonica non media. Così a Bonàrcado, che conserva generalmente -[ɛ] -[ ɔ ], ho registrato però [ˈintru] ‘dentro’ (forma nella quale *-/ ɔ / è giudicata agrammaticale dai parlanti da me intervistati, opponentesi a [ˈintr ɔ ] ‘entro’, I sg. di [binˈtraːrɛ]), [ˈkitːsu] ‘presto’, [ ɔ ˈkːanːu] ‘quest’anno’, [ˈkandu] ‘quando’ 87 . Per i primi tre sono disponibili spiegazioni etimologiche e/ o morfologiche: rispettivamente intro x intus (DES 422), citius senza incrocio con cito (DES 252) e sostituzione della -[u] d’ascendenza accusativale alla -o originaria di hoc anno (DES 568s, REW 4161) 88 . Ma due considerazioni inducono a dubitare che una spiegazione puramente lessicale sia sufficiente. Da un lato una simile spiegazione è indisponibile per [ˈkandu] quando, per il quale non si può che pensare a un’isolata penetrazione dell’innalzamento campidanese. Dall’altro, per i tipi intro intus e citius (senza incrocio con cito intus) condizioni etimologiche particolari si dovrebbero postulare non solo per Bonarcado ma anche per altri dialetti a vocalismo logudorese parlati nelle vicinanze dell’area di transizione: [ˈintru] ‘dentro’ si ha anche a Samugheo e a Désulo 89 , il cui dialetto ha però [ˈkitːs ɔ ] ‘presto’ (che a Désulo coesiste col più marcatamente locale [ˈkitːʃ ɔ ]) 90 , mentre [ˈkitːsu] si registra come a Bonàrcado anche a Paulilàtino e Ortueri 91 . Per [ ɔ ˈkːanːu] ‘quest’anno’ la forma in -[ ɔ ], riportata come logudorese da Spano 1851: 236, 327 alla pari con quella in -[u] ma definita rara da Wagner (DES 568), è nella vicina Santu Lussurgiu (AIS VII 1247) e poi, in pieno 87 Non mi è stato invece confermato dai miei informatori - da cui ho raccolto [n ɔ ˈtːɛndz ɔ ˈðempuzu] ‘non ho tempo’ - il [ˈtɛnʒu] ‘ho’ (sospetto anche per il consonantismo) riportato per Bonàrcado da Contini 1987: 444 N25. 88 In quest’ultimo lessema, il mantenimento della [kː] sorda può indiziare (nota già Campus 1901: 41) trafila semidotta, anche se va tenuto presente il ruolo che può aver giocato il confine lessicale originario. 89 A Désulo ho registrato [ˈintru ˈ ɔ mː ɔ ] ‘dentro casa’ in parlato connesso, laddove la forma della preposizione, in parlato lento, è [inˈtrue], identica all’avverbio: [ˈsɛ ɔ inˈtruˑe/ *ˈintru] ‘sono dentro’. Può darsi che in questa forma tonica vi sia una contaminazione con il continuatore di ubi, comunque più agevole a partire da un precedente [ˈintru] che non da [ˈintr ɔ ]. Sempre a Désulo si ha [ ɔ ˈkːanːu] ‘quest’anno’ ma non *[ˈkːanːu] ‘quando’ bensì solo [ˈkːanː ɔ ]. 90 Ricorre [ˈkitːs ɔ ], fra i dialetti di questa fascia centrale dell’isola, anche ad Aritzo, Atzara, Busachi, Santu Lussurgiu ecc. 91 Ad illustrazione del vocalismo finale atono logudorese del dialetto di Ortueri adduce dati Blasco Ferrer 2002: 362-4: ad es. [ˈmruːɣɛðe sa eˈβrɛːɣe] ‘munge la pecora’, [ˈkrɛo] ‘credo’, [dae ˈ ɔ mo] ‘da casa’. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 145 Figura 2. Innalzamento campidanese di -e -o e isoglosse connesse. Isoglosse 92 : Simboli: 1 = confine tra vocalismo finale atono logudorese rettangolo: armonia vocalica totale degli esiti di -e ed -o (a nord) e campidanese (a sud) esagono: armonia vocalica parziale (soggetta a condizioni morfologiche) 2 = delimitazione dell’armonia vocalica soggetta pieno: armonia solo per -os anche a restrizioni morfologiche vuoto: armonia sia per -e che per -o, non per -os 3 = delimitazione dell’armonia vocalica soggetta cerchio: innalzamento di -e, soggetto ad armonia, in proparossitono a condizioni solo fonologiche triangolo 4 = area con innalzamento di -e, soggetta ad con vertice in alto: innalzamento sporadico di -e in proparossitono armonia, in proparossitono con vertice in basso: innalzamento di -o in lessemi isolati (con la riserva della possibile spiegazione etimologica alternativa, di cui al §9) rombo: vocalismo atono (fonologicamente) campidanese con oscillazioni fonetiche Michele Loporcaro Logudoro, a Bonorva, Macomer ecc. mentre [ ɔ ˈkːanːu] è documentato - oltre che, ovviamente, per i dialetti a vocalismo atono campidanese - per Bonàrcado, Sèneghe (cf. sopra, (7b)), Aritzo, Atzara, Désulo ecc. Insomma, fermo restando che per i tipi [ˈintru/ ɔ ] ‘dentro’, [ˈkitːsu/ ˈkitː(s) ɔ ] ‘presto’, [ ɔ ˈkːanːu/ ɔ ] ‘quest’anno’ le coppie di etimi proposte sono più che giustificate, allorché gli allotropi in -[u] si addensano a ridosso dell’area di transizione sembra plausibile ritenere che all’emergere di tali tipi abbia almeno contribuito la fenomenologia di cui abbiamo qui trattato: data una variazione originaria, le forme in -[u] potrebbero aver prevalso anche grazie a una diffusione lessicale in atto dell’innalzamento, favorita dal contesto fonologico (vocale tonica non media). 10. Conclusione Al di là dell’apparenza (apparenza di isolate eccezioni), anche gli esempi ora discussi - i [ˈkitːsu], [ˈintru] e [ˈkandu] in dialetti altrimenti a vocalismo compattamente logudorese - confermano come il caleidoscopio di condizioni sistemiche differenti in cui si frange, nel centro dell’isola, l’ondata dell’innalzamento delle atone medie finali procedente da sud vada razionalizzato individuando la concorrenza e la complessa interazione di condizioni fonologiche (segmentali e prosodiche), morfologiche e lessicali, senza dimenticare - laddove l’invocarli risulti economico, perché una spiegazione interna è indisponibile o insufficiente - i fattori esterni del tipo esemplificato al §8. Una tale razionalizzazione permette infine di ridisegnare la carta del vocalismo finale atono in Sardegna centrale: ne emerge come all’isoglossa principale (l’isoglossa 2 in fig. 1) - che separa i dialetti logudoresi senza innalzamento, a nord, da quelli campidanesi con innalzamento, a sud - se ne sovrappongano altre minori. Queste ultime, aggiunte ora al quadro in fig. 2, delimitano l’estensione dei sistemi ad armonia vocalica e di quelli presentanti altre forme d’innalzamento con minore incidenza. Le due aree presentanti piena armonizzazione delle atone finali esito di -e ed -o - con mantenimento dopo vocale media a innalzamento altrove (quella tra Mandrolisai e Sarcidano abbracciante Àllai, Làconi e Meana Sardo, §3, e quella ogliastrina consistente di Arzana, Elìni e Ilbono, §5) - si incuneano entro il territorio oggi a vocalismo finale campidanese costituendo viceversa, in prospettiva diacronica, la retroguardia meridionale di una parziale resistenza delle -[ɛ] ed -[ ɔ ] atone finali originarie. Territorialmente discontinue si presentano le due aree con armonizzazione fonologicamente non regolare e sensibile a condizioni 146 92 La cartina è elaborata a partire dalla carta prodotta nel 2009 dalla Digital cartographic representation/ Litografia Artistica Cartografica di Firenze per conto della Regione Sardegna. Ringrazio il Servizio lingua e cultura sarda della Direzione generale dei beni culturali, informazione, spettacolo e sport della Regione per la gentile concessione e il dott. Marco Barbieri della LCA per avermi segnalato l’esistenza della carta. Innalzamento delle vocali medie finali atone e armonia vocalica in Sardegna centrale 147 morfologiche (Baunei in Ogliastra, Sèneghe nel Montiferru, §3): esse si situano più a nord dei due cunei con armonia puramente fonologica, ai due estremi dell’area di transizione di cui costituiscono come le estreme frange 93 . Immediatamente a ovest di Baunei, e subito a nord dell’area più orientale con armonia vocalica fonologica, si trova l’area ogliastrina (Talàna, Villagrande e Villanova Strisàili, §6) in cui l’innalzamento asimmetrico della sola -e obbedisce al contempo alla restrizione segmentale (armonizzazione) e a una restrizione prosodico-accentuale, producendosi nei soli proparossitoni con [i] tonica e/ o postonica.A nord e a ovest di quest’ultima zona, infine, abbiamo documentato (con gli esempi isolati raccolti a Urzulei, Desulo, Aritzo e Atzara, §7) l’irradiazione di quest’innalzamento di proparossitono per diffusione lessicale, ovvero unicamente in un sottoinsieme (fonologicamente e morfologicamente) arbitrario delle parole presentanti le condizioni segmentali e prosodiche appropriate. In conclusione, la ricartografazione degli esiti del vocalismo finale atono in Sardegna centrale presentata in fig. 2 rende giustizia alla complessità dei dati osservativi - complessità di cui si è dato ampio saggio nelle pagine precedenti - senza ricacciarli in un caos indistinto: l’essenza della zona grigia non consiste in un’assenza di regolarità bensì nella presenza di regolarità differenziate punto per punto, regolarità più sottili che non una semplice opposizione strutturale (con relativa giustapposizione diatopica) fra innalzamento in campidanese e conservazione in logudorese. Zurigo Michele Loporcaro 93 Come si è visto al §3, tanto a Baunei quanto a Sèneghe sono all’opera restrizioni morfologiche sull’innalzamento di -o finale (interessamento esclusivo o, simmetricamente, esclusione del morfema di plurale -os), fonologicamente determinato da vocale tonica non media, mentre solo a Sèneghe viene regolarmente armonizzata -e, secondo una condizione fonologica più restrittiva di quella vigente per -o, ossia dopo vocale tonica alta. Michele Loporcaro 148 Bibliografia AIS: K. Jaberg/ J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, 8 vol., Zofingen, 1928- 1940 ALI: M. G. Bartoli/ G. Vidossi/ B. A. Terracini/ G. Bonfante/ C. Grassi/ A. Genre/ L. Massobrio, Atlante linguistico italiano, Roma, 1995s. Baroni, G. 2010: Il fenomeno dell’innalzamento delle vocali finali in sardo. Parossitoni e proparossitoni nell’area di transizione. 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