eJournals Vox Romanica 70/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2011
701 Kristol De Stefani

Brent A. Pitts (ed.), Revelacion (BL Royal 2.D.XIII), London (Anglo-Norman Text Society) 2010, ix + 160 p.

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Daniele  Ruini
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Brent A. Pitts (ed.), Revelacion (BL Royal 2.D.XIII), London (Anglo-Norman Text Society) 2010, ix + 160 p. Col titolo di Revelacion è pubblicata, per le cure di Brent A. Pitts, una versione anglo-normanna in versi dell’Apocalisse realizzata nella seconda metà del XIII secolo. In particolare, delle quattro versificazioni in lingua d’oïl dell’Apocalisse giunte fino a noi (alle quali lo stesso Pitts aveva dedicato nel 1983 un articolo riassuntivo), si tratta dell’unica tràdita da più di un manoscritto. L’adozione del titolo di Revelacion, che compare in tre dei dieci testimoni dell’opera, è giustificata dall’editore coll’esigenza di distinguere questo testo dagli altri volgarizzamenti antico-francesi. L’edizione, complessivamente piuttosto accurata, è aperta da un’introduzione dedicata, per lo più, all’analisi della tradizione manoscritta (descrizione dei testimoni e collatio codicum) e alla lingua del testo. Nelle pagine iniziali si dà conto della diffusione dell’Apocalisse durante il Medioevo; il successo del testo, una delle fonti del «meraviglioso medievale», è documentato sia dall’ampio numero di commentari latini ad esso dedicati, sia dalle numerose opere profetiche che ad esso si sono ispirate. Assai diffuso fu anche l’impiego dell’Apocalisse come soggetto iconografico, come è attestato, tra l’altro, dalla quantità di codici miniati che hanno trasmesso il testo. Lo stesso si verifica anche nei volgarizzamenti in lingua d’oïl, Revelacion inclusa; tutti i testimoni della versione edita da Pitts - prodotti tra la fine del XIII e la prima metà del XIV secolo, e tutti di origine insulare - sono infatti accompagnati da un apparato iconografico. Tale circostanza, da un lato, spinge Pitts a riconoscere nella funzione sussidiaria di accompagnamento delle immagini lo scopo precipuo del testo. Dall’altro lato, consente invece di ricondurre l’alto numero di testimoni all’esistenza di un’ampia produzione in serie di Apocalissi miniate, particolarmente vitale in territorio inglese. Lo confermerebbe la circostanza per cui, in un paio di casi, il medesimo illustratore opera in due diversi manoscritti (AT e bK). Le descrizioni dei dieci testimoni (quasi tutti contenenti unicamente la Revelacion) sono concise ma esaustive. Non sarebbe forse stato inutile aggiungere i dati relativi alle dimensioni di ciascun codice, forniti solo per il testimone-base R (London, BL Royal 2.D.XIII). Si tratta infatti di uno dei criteri extra-testuali alla base della classificazione dei manoscritti in tre famiglie (cf. p. 29: «Family γ MSS are generally much larger in format than the MSS of the other two families»). Questo dato era invece stato fornito da Paul Meyer («Version anglo-normande de l’Apocalypse», R 25 (1896): 174-257), a cui risale l’individuazione delle tre famiglie α , β e γ . Come si è detto, tale classificazione, accolta da Pitts (il quale l’ha integrata coi tre testimoni BbY ignoti a Meyer), si basa innanzitutto su dati para-testuali, come il livello di completezza del testo, l’organizzazione della mise en page (ovvero il rapporto tra testo e illustrazione) e la presenza di un commento che contraddistingue la famiglia γ . In tutti i manoscritti, che si presentano come veri e propri picture-books, la maggior parte delle pagine sono occupate dall’illustrazione dei vari episodi. Mentre però le famiglie α (BfPRY) e β (K) sono caratterizzate da uno schema verticale tale per cui l’illustrazione, che occupa la prima metà della pagina, è seguita dal testo latino della Vulgata e della parafrasi francese, nella famiglia γ (AbCT) tale schema è alterato dalla presenza, per ogni episodio, di un commento francese in prosa noto come «‹non-Berengaudus› commentary» (si tratta dello stesso che accompagna l’Apocalisse antico-francese in prosa del ms. Paris, BnF fr. 403). Ciò fa sì che nei codici di questa famiglia - di dimensioni superiori rispetto a quelli di α e β - l’illustrazione possa venire a trovarsi non all’inizio ma a metà della pagina. Inoltre, sia β sia, in maniera più netta, γ si contrappongono ad α per una consistente abbreviazione del testo nei capitoli iniziali e per il fatto di presentare un episodio (91 = Ap. 17, 6-18) assente invece in α . γ presenta inoltre tre episodi (94 = Ap. 18, 9b-20; 110 = Ap. 21, 9-27; 112 = 22, 6-15) mancanti sia in α sia in β . Come stabilito da Meyer, la famiglia α è quella che, eccetto 336 Besprechungen - Comptes rendus per alcune lacune, meglio rappresenta lo stato del testo originario, mentre β costituisce uno stadio intermedio tra α e γ . Proprio a causa delle differenze tra le tre famiglie, Meyer suggeriva l’opportunità di fornire un’edizione sinottica di ognuna di esse; se un’edizione critica deve senza dubbio basarsi su α , la divergenza delle lezioni di β e γ è tale che può più comodamente essere affidata ad una trascrizione integrale piuttosto che ad un apparato tradizionale. Lo studioso francese compì il primo passo verso l’edizione complessiva del testo fornendo la trascrizione di β e γ (quest’ultima secondo T), nonché dei primi 335 versi e degli ultimi 21 versi di α (secondo R). Ora, grazie all’edizione integrale di α , il lavoro di Pitts si offre come un completamento dell’edizione di Meyer, pur non affrancandosene del tutto. Se, infatti, sarebbe stato probabilmente inutile riproporre le trascrizioni di β e γ già offerte dallo studioso francese, Pitts avrebbe però potuto tenerne conto in quei limitati casi in cui queste due famiglie trasmettono lezioni preferibili a quelle di α (cf. infra). In questo modo si sarebbe potuto approntare un’edizione critica che, invece di limitarsi ad α , ambisse a risalire più in alto nella tradizione del testo. La parte conclusiva dell’introduzione è dedicata all’analisi linguistica. L’editore osserva come il testo presenti notevoli irregolarità sia per quanto concerne le rime - spesso sostituite da assonanze - sia nella versificazione. A proposito di quest’ultima, solo il 20 % dei versi risultano octosyllabes regolari, per il resto oscillando tra le 5 e le 15 sillabe. Ciò dipende, naturalmente, dai criteri particolari che regolano la versificazione anglo-normanna 1 . A questo fattore Pitts ne aggiunge, convincentemente, un altro, ovvero l’influsso del testo latino della Vulgata: alcune anomalie metriche sembrerebbero la conseguenza dello sforzo di fedeltà nei confronti del modello da tradurre. Allo stesso motivo può essere attribuita un’altra irregolarità della versificazione, ovvero la presenza di sequenze di 3, 5 e 9 versi monorimi, il che infrange la normale successione dei couplets. A tale riguardo si osserva che si ritrova la medesima caratteristica in un’altra versificazione biblica in lingua d’oïl coeva alla Revelacion, ovvero la Bible di Jehan Malkaraume (cf. J. R. Smeets, La Bible de Jehan Malkaraume, vol. 1, Assen/ Amsterdam 1978: 96-103). Come si è detto, l’edizione è basata sul testimone R (London, BL Royal 2.D.xiii); le lezioni divergenti degli altri testimoni della famiglia α sono raccolte in un apparato collocato in coda al testo. L’edizione è inoltre completata da un glossario esaustivo, da tre appendici e da una serie di note testuali. Quest’ultime sono per lo più dedicate alla descrizione delle illustrazioni che accompagnano il testo, mentre solo raramente sono impiegate per chiarire gli interventi compiuti dall’editore. A tale riguardo, una maggiore generosità sarebbe stata opportuna soprattutto in quei casi in cui le correzioni al manoscritto-base sono giustificate dal confronto colla fonte latina e non trovano quasi mai appoggio nella varia lectio: v. 91 (fere fa), 108 (diseint diunt), 139 (ke tenoit tenant), 145 (misse mussé), 216 (escriz frei escriverey), 371 (e en miluy en miluy), 460 (veuz voices), 548 (en testes en [lur] testes), 859 (est venu de jugement vent de son jugement), 1061 (en bu sunt de tut gens en beverunt tuz genz), 1076 (en lu en tey). Pitts omette di fornire il testo latino dell’Apocalisse che affianca la parafrasi francese nel testimone-base. Ciò avrebbe potuto costituire un’integrazione utile per dirimere alcuni punti problematici che emergono dal confronto tra la versione francese e la Vulgata: - Ai v. 155-56 il senso del testo francese è opposto a quello della Vulgata: E tes overes ke sunt dreitureres / Sunt mut peior[es] des premeres (fr. Ap. 2, 19: «et opera tua novissima 337 Besprechungen - Comptes rendus 1 Cf. a questo proposito D. L. Jeffrey/ B. J. Levy, The Anglo-Norman Lyric. An Anthology. Toronto 1990, e M. J. Duffell, «Some phonological features of insular French: a reconstruction», in: R. Wright/ P. Ricketts (ed.), Studies on Ibero-Romance linguistics dedicated to Ralph Penny, Newark (DE), 103-25. plura prioribus»). Si può pensare ad un’inversione delle due parole-rima, a meno che l’incongruenza non dipenda da un errore del modello latino impiegato dall’autore. - Incomprensibile l’inserimento di un punto alla fine del v. 170 e l’assenza di punteggiatura nel verso successivo: Jo sey tes overs e ton noun. / Que tu seis vis n’est pas issi (v. 170- 71). Il confronto colla Vulgata (Ap. 3,1: «Scio opera tua quia nomen habes quod vivas et mortuus es») dimostra che la subordinata Que tu seis vis dipende da noun e che si è quindi in presenza di un enjambement. La punteggiatura corretta coincide con quella inserita da Meyer nella sua edizione: Jo sey tes overs e ton noun / Que tu seis vis; n’est pas issi. - Un errore di punteggiatura è riscontrabile anche al v. 27, in cui la virgola posta alla fine del verso separa soggetto e predicato: E tuz les linages ke de terre sunt, / Sur luy tuz se pleindrount. - Al v. 655 risulta preferibile la lezione di fP Sodome e Egipte, laddove in RBY manca la congiunzione copulativa, presente invece nella Vulgata («Sodoma et Aegyptus»: Ap. 11, 8) e tràdita anche da β e γ . - Al v. 1263 (Les moz de cest livere oyant), come già osservato da Meyer (R 25 (1896): 198, N4), R si distingue dagli altri testimoni per l’assenza del sintagma de la prophecie, che si ritrova tuttavia nella Vulgata: «Contestor ego omni audienti verba prophetiae libri huius» (Ap. 22,18). A tale riguardo si osserva che il sintagma moz de la prophecie compare anche al v. 1266 (E si nul amenuse les moz de la prophecie; cf. Ap. 22,19: «et si quis deminuerit de verbis libri prophetiae huius»), in questo caso tràdito da tutti i testimoni compreso R. Viceversa, alcuni interventi sul testo non paiono strettamente necessari: - Al v. 161 l’eliminazione della congiunzione copulativa E all’inizio del verso - motivata da ragioni prosodiche - nuoce al senso del testo (v. 159-161: E aprent / Lecherie ke trait la gent / De ydolatris a manger; cf. Ap. 2, 20: «et seducere servos meos fornicari et manducare de idolothytis»). La congiunzione è presente in tutti i testimoni. - Non del tutto convincente la correzione al v. 226 di de deus in d’eus: La moy volenté un d’eus feustes. La lezione del codice - condivisa anche da BY, mentre P ha de eussembrerebbe più vicina alla lettera della Vulgata: «Utinam frigidus esses aut calidus» (Ap. 3,15). - Superflua è la correzione al v. 322 di violes (forma tràdita da tutti i testimoni) in phioles (corrispondente al latino «phialas»). La forma viole non rappresenta necessariamente la parola «viella», come sembra pensare Pitts (cf. p. 106, nota al v. 322); potrebbe infatti trattarsi di una semplice variante grafica di fiole, phiole. Proprio col significato di ‘fiala’, viole è attestata in area anglonormanna (cfr. Anglo-Norman Dictionary s. viole 2 ; Tobler- Lommatzsch, s. vïole). - Forse non necessaria la correzione della preposizione sur in a al v. 855: A wangelizer a ceus qui desure / La terre sunt, e a genz e langages (v. 854-55). Sur, tràdita da tutti i testimoni eccetto P (che omette ogni preposizione), corrisponde infatti al testo della Vulgata: «ut evangelizaret sedentibus super terra et super omnem gentem et tribum et linguam et populum» (Ap. 14, 6). - La corrispondenza col testo della Vulgata (Ap. 18,3: «de vino irae fornicationis») rende inopportuna la correzione di De vin ire de fornication in De vin de fornication (v. 1062). Tanto più che il testo di R è confermato da tutti gli altri testimoni eccetto f: De vin de (om Y) ire de f. (BPY). Come si è già detto, l’edizione è limitata dall’assenza di qualsiasi confronto colle altre due redazioni, le quali, in alcuni luoghi, conservano lezioni superiori. Si vedano i casi seguenti: - v. 189-90: Mes devant mon Pere l’envoyera[i], / E ove mes angeles te amerei (Ap. 3,5: «et confitebor nomen eius coram Patre meo et coram angelis eius»). Cf. Mès devant mun 338 Besprechungen - Comptes rendus pere lui rejerrai / E devant les angles lui cunustrai ( β , v. 131-32); Mès devant mun piere les regerrai / E devant les angles autresi fray ( γ , v. 131-32). - v. 362-64: A lui est doné le poer / Partie de la terre a tuer. / Nul envers lui n’ad duree (Ap. 6,4: «datum est ei ut sumeret pacem de terra et ut invicem se interficiant»). Cf. E (A γ ) lui est doné ke set desus, / Les pez de la terre pur hoster, / E de sa espée la gent tuer ( βγ , v. 226-28). Evidentemente la lezione di α è stata influenzata dai successivi v. 380- 82: E donez est a lui le poer / La quart’ parti’ de la terre tuer / D’espee e de famine (corrispondenti a Ap. 6,8: «et data est illis potestas super quattuor partes terrae interficere gladio fame»). - v. 915: Seet pl[a]ies que divers[es] furent (Ap. 15,1: «plagas septem novissimas»). Cf. Seth plaies ke dreners (darraniers γ ) furent ( βγ , v. 840). - v. 951-52: ‘Vos .vii. phioles de ire pleines,’ / Sur la terre les getez meismes! (Ap. 16, 1: «Ite et effundite septem fialas irae Dei in terram»). Cf. Vos seth phioles de ire, alez / Sur (E sur γ ) la terre les espandez ( βγ , vv. 877-78). Eccetto al v. 954 (E sa phiole en terre getoit), anche α traduce nei versi successivi il verbo latino «effundere» con espandre (cf. v. 959, 974, 983, 989). - v. 1151: E les chars des tribuns (Ap. 19,18: «et carnes tribunorum et carnes fortium»). Cf. De forz et de tribuns ( βγ , v. 1182). - Il confronto con βγ permette di integrare con una buona dose di sicurezza i v. 1208-09: E jo vi .i. trone . . . / . . . e sur ceo seant (corrispondenti a Ap. 20, 11: «Et vidi thronum magnum candidum et sedentem super eum»). L’intuizione di Pitts, che scompone su due versi quello che nel codice è trascritto come un verso unico (125, nota al v. 1208), è infatti confermata dalla lezione di βγ : E jeo vi une throne blanche e grant / E sur la throne vi (om γ ) un seant (v. 1239-40). La quasi identità della prima metà dei due versi è probabilmente all’origine del saut du même au même che ha determinato la lezione di R. Per quanto riguarda l’apparato delle note (101-26), si rilevano un paio di inesattezze. Nella nota al v. 81 (Ke de or sunt admirables) si definisce un hapax l’aggettivo admirable, le cui prime attestazioni risalirebbero al 1530. Tuttavia la versione online dell’Anglo-Norman Dictionary (s. admirable) ne cita un paio di occorrenze tratte dalla Destruction de Rome, entrambe all’interno del sintagma admirable citee. Il medesimo sintagma figura, inoltre, nei seguenti testi (cf. Tobler-Lommatzsch, s. amirable): Chanson d’Antioche, Besant de Dieu di Guillaume le clerc de Normandie, Les Enfances Ogier e Berte aus grans piés di Adenet le Roi. Alla nota al v. 827 (E devant la beste - a touz ad dit -) si dice che a touz ad dit «has non equivalent in V». Tuttavia, almeno stando al testo della Vulgata, esso corrisponde a «dicens habitantibus in terra» di Ap. 13,14. Coerente con l’obiettivo dell’edizione è il confinamento in appendice (127-32) dei quattro episodi assenti in α citati più sopra. Per quanto riguarda tali brani, trascritti secondo A, si segnala al v. 977 la forma meke, corrispondente al latino «mercem» (Ap. 18, 11). Come suggerito da Meyer (R 25, 1896, p. 240, nota al v. 1064), sembrerebbe opportuno l’inserimento grafico di una r -me[r]kea rendere il vocabolo maggiormente intellegibile. Inoltre non risultano comprensibili le correzioni a tre desinenze verbali ai v. 1286-88: Son angel enveia[i]t / A ces serfs, e demostra[i]t / Ke tost covendra[it] estre feit. Si tratta, rispettivamente, di due perfetti e di un futuro alla III persona singolare: «misit angelum suum ostendere servis suis quae oportet fieri cito» (Ap. 22, 6). Daniele Ruini ★ 339 Besprechungen - Comptes rendus