Vox Romanica
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2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniEdoardo Vallet, A Narbona. Studio sulle tornadas trobadoriche, Alessandria (Edizioni dell’Orso) 2010, 194 p. (Scrittura e scrittori 21)
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Paolo Gresti
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altéré. Rom. 11/ 9: [345a/ 173c] est à corriger en [345a/ 173a]. Cor. 1 14/ 23: «u»; ms. {.i.}. Cf. Mt. 9/ 2: «aportero a lui .i. home». Inconséquence dans la transcription. Cor. 2 1/ 6: «la sofretanssas»: corriger en «sofretanssa». Cor. 2 1/ 6: «m[et]eissas». Selon Jean 5/ 36, Rom. 2/ 1, Éph. 6/ 9, Philip. 3/ 1, Thess. 1 2/ 14, Hébr. 10/ 1 et Hébr. 10/ 11, nous corrigerions en «m[ez]eissas». Cor. 2 3/ 7: «la ministransa»; Cor. 2 3/ 8: la ministransa; mais Cor. 2 3/ 9: l’aministransa. Vulg. ministratio. Inconséquence dans la transcription. Cf. Cor. 2 4/ 1: «aquesta aministransa». Cor. 2 6/ 9: «no mortificadi». Selon les transcriptions «no-conogudi» (Cor. 2 6/ 8) et «nofizel» (Cor. 2 6/ 15), il faudrait un tiret entre les deux éléments. Cor. 2 6/ 15: «O quals part a·l fizel ab le no-fizel? » Cor. 2 6/ 16: «O quals cossentimentz a·l temple de Deu ab las ydolas? » La construction des deux passages correspond à celle du verset Cor. 2 6/ 15: «Mais quals ajustansa de Crist al Diable? » Nous interprétons «al» du ms. non comme P3 de aver «a» + «lo (le)», mais comme une contraction de la prép. «a» + «lo (le)». Cf. BibCarp. Cor. 2 6/ 15: O cal partia de li fidel con li non-fidel? Cor. 2 8/ 4: «l’acomunalhansa», mais Cor. 2 9/ 13: «la comunalhansa». Inconséquence dans la transcription. Cor. 2 10/ 8: «me gloriejarei». N4320: [ms.] «megloiei/ arei». Chez Clédat, nous lisons «megleiei/ arei», avec -eaprès -l-. Comme l’élément -ory manque (aucune trace d’une abréviation), nous transcrivons «me gl[or]eiejarei». Cor. 2 10/ 18: [390b/ 195b] est à corriger en [390b/ 195d]. Entre N4362 et N4363 (se référant à Cor. 2) apparaît l’abréviation [Eph]. Éph. 3/ 16: «e l’home». Vulg. in . . . . . . homine. La contraction «el» devant la graphie hnous paraît justifiée. Éph. 4/ 16: «per tota juntura desotz-aministrament». Selon le texte de la Vulg. «per omnem iuncturam subministrationis», «de» est à séparer de «sotz». Éph. 6/ 18: [411b/ 206b] te/ mps; ms. {t / ps}. Col. 4/ 10: «Barnabas» non «Ba]nabas». Tim. 1 4/ 1: «se departaran»; ms. {sedepart + une lettre difficilement lisible + r ā }. Après -tnous lisons plutôt -ique -a-, cf. BibCarp. se departiren. Tim. 2 2/ 19: «deparca·s»; ms. {deparcas}. N4908: «deparcas, corrected to departa·s». La correction n’est pas faite dans le texte. Hébr. 3/ 2: «la maiso de lur»; ms. {lamaiso de/ lu + une lettre qui n’est pas bien lisible}. D’après Vulg. domo illius et BibCarp. la mayson de lui, nous lisons «lui». Hébr. 5/ 8: Dans la version du NTL manque Vulg. didicit. Hébr. 8/ 1: «essems-s’assetiec». Nous omettrions le tiret devant la construction réfléchie, cf. Cor. 1 12/ 26 «essems s’engauzisso» et Cor. 1 13/ 6 «essems s’esgauzis». Hans-Rudolf Nüesch ★ Edoardo Vallet, A Narbona. Studio sulle tornadas trobadoriche, Alessandria (Edizioni dell’Orso) 2010, 194 p. (Scrittura e scrittori 21) Il volume, rielaborazione della tesi di dottorato dell’autore, è articolato in quattro parti: «Forma» (19-78), «Struttura» (81-117), «Contenuto» (121-57) e «Natura» (161-94). Il tutto è preceduto da una «Chiave bibliografica» (7-14). L’oggetto della ricerca di Edoardo Vallet è la tornada, come noi siamo abituati a chiamare la strofetta che normalmente chiude una canzone trobadorica, con una terminologia che sembra essersi imposta solo verso la fine del XIII secolo (161s). Il vocabolo è presente, con il significato tecnico che anche noi gli attribuiamo, in Voluntiers faria di Guiraut Riquer, datata al 1276, in Totz homs deu far di Cerveri de Girona, scritta senz’altro dopo il 26 luglio 1276, e poi nei trattati scritti a cavallo tra i secoli XIII e XIV. Il vocabolo usato più anticamente per denominare la chiusa della canzone sembrerebbe essere stato, invece, fenida, che potrebbe derivare dalla terminologia mediolatina: la parte finale del canto nella musica liturgica veniva appunto chiamata finalis (169). Un indizio dell’antichità del vocabolo fenida in accezione tecnica potrebbe essere «la presenza di fenida (fiinda) come termine tecnico in area galego-portoghese», che risulterebbe dalla «sopravvivenza in un’area periferica di 316 Besprechungen - Comptes rendus un prestito dall’occitanico risalente al XII sec. (epoca dei primi contatti con la lirica trobadorica)» (170). L’invenzione della tornada non è da ricercare all’interno della lirica in lingua d’oc; alcuni studiosi hanno cercato, com’è noto, stretti contatti, addirittura rapporti di filiazione, tra la lirica araba e quella occitanica, ma in verità il retroterra culturale più vicino ai trovatori è costituito dalla «familiare produzione in versi mediolatina» (191). Ed è da lì, dalla clausola con la quale si concludono poemi e epistole latine nel Medioevo, che verosimilmente i trovatori hanno derivato l’idea della tornada. Non appena si comincia a sfogliare il volume, ci si rende subito conto che il volume di Vallet è molto tecnico - come deve essere uno studio sulle tornadas trobadoriche; si tratta dunque in massima parte di un’opera di consultazione. La sensazione viene confermata dalla lettura soprattutto (ma non solo) delle prime due sezioni, così dense di esempi, grafici, schemi. Ebbene, stando così le cose, è evidente che il libro di Vallet manca di una parte importante: gli indici. Senza gli indici degli autori e dei componimenti, senza un riepilogo delle forme metriche analizzate, un lavoro che potrebbe essere di grande aiuto allo studioso di lirica trobadorica rischia di rimanere quasi lettera morta, perché si renderebbe necessaria una rilettura ogni volta integrale. La mancanza è davvero grave e inspiegabile: con uno sforzo minimo e un numero di pagine tutto sommato irrisorio si sarebbe reso questo lavoro usufruibile, e dunque decisamente più utile. Le prime due parti del volume non sono facilmente riassumibili, per l’alto numero di esemplificazioni e di schemi. L’autore comincia chiarendo quali sono le regole che presso i trovatori presiedevano alla composizione della tornada (regole largamente codificate nelle Leys d’Amors), questo «ornamento metrico-retorico largamente sfruttato dai trovatori» (21); in seguito, affronta e analizza vari casi di variazioni rispetto alla norma, e di infrazioni, reali o presunte. Davanti a una tornada metricamente irregolare l’editore di testi trobadorici dovrebbe chiedersi, prima di annunciare infrazioni alla norma compositiva, se ci possano essere stati, durante la trasmissione manoscritta, incidenti tali da giustificare l’irregolarità, che deve esser data almeno come presunta. Secondo Vallet in questi casi «è molto più verisimile ipotizzare un guasto nella tradizione manoscritta piuttosto che delle infrazioni alla norma»; deve essere chiaro, però, che non è lecito eccedere neppure nell’intransigenza disciplinaria, e forse è un po’ troppo recisa l’affermazione che chiude il pensiero dello studioso: «basti ricordare che ci si trova in un contesto lirico in cui l’atto poetico si esaurisce quasi completamente nella cura della forma» (48). Troppo recisa, questa affermazione, ma anche a doppio taglio: lo scarto dalla norma potrebbe essere interpretato come un modo potente per affermare proprio la primazia della forma. Siamo d’accordo sul fatto che l’innovazione metrico-retorica non è cifra stilistica che si possa rintracciare in ogni poeta, per quanto grande sia la sua arte; tuttavia il rapporto tra tradizione manoscritta, ed eventuali suoi incidenti, e struttura anomala della tornada andrà attentamente analizzato caso per caso, non tralasciando alcuna possibilità. Faccio un solo esempio. La canzone Farai chansoneta nueva, trasmessa dal solo canzoniere C (Paris, B. N. f. fr. 856) 1 è a coblas singulars, ed è chiusa da una tornada a rims pure singulars, il che costituirebbe un’infrazione alla norma: nelle canzoni di questo tipo, infatti, le tornadas «sono le uniche strofe autorizzate a ripetere i timbri di un’altra» (19-20), in altri termini esse ripetono di norma la parte finale - timbri compresi - dell’ultima cobla. Scrive dunque Vallet: «Se si considera che la chansoneta ha conservato cinque stanze, ben due in meno rispetto ai suoi omologhi metrici Farai un vers de dreit nien (183.7) e Pos vezem de novel florir (183.11), è facile immaginare che sia andata perduta proprio l’ultima cobla dalla quale la tornada mutua i timbri» (51). Aggiunge lo 317 Besprechungen - Comptes rendus 1 Il codice attribuisce il componimento al Coms de Peytius, quindi a Guglielmo IX, ma vi sono forti e giustificate resistenze da parte degli studiosi nell’accreditare tale paternità. studioso in nota: «L’ultima strofe conservata contiene nei versi finali un invio: è possibile che a una certa altezza della tradizione si sia interrotta in quel punto la trascrizione del testo perché l’invio venne interpretato come segnale della fine del pezzo» (ib. N110). La canzone di Guglielmo IX Pos vezem ha effettivamente due tornadas che ripetono i timbri dell’ultima cobla, ma Farai un vers de dreit nien non ha alcuna tornada, perché l’ultima strofe funge da congedo-invio, e dunque non sembra poter entrare in gioco, qui. Oppure sì, ma aprendo una prospettiva diversa. L’assetto della chansoneta com’è descritto da Vallet è quello che risulta dall’edizione di riferimento, quella a cura di Nicolò Pasero, nella quale la strofe più corta, ultima nel ms., chiude effettivamente il componimento. Lo studioso, però, non tiene conto di un’altra possibilità, prospettata da Mario Eusebi 2 : la cobla più corta viene giudicata in realtà mutila di due versi e viene collocata dall’editore come strofe terza; a questo punto la cobla finale è quella che contiene l’invio, e la chansoneta risulterebbe senza tornada, esattamente come Farai un vers. Ecco dunque che in questo caso non saremmo di fronte né a una tornada anomala, né alla lacuna di una strofe, ma «semplicemente» alla caduta di due versi e a una errata dislocazione delle coblas nel ms. (fatto si per sé non sconvolgente). Può capitare, a volte, che i copisti non suddividano il testo di due o più tornadas, che così nel ms. appaiono come un tutt’uno spesso irregolare. Ai casi presentati alle p. 63-71 posso aggiungere quello del sirventese di Bonifaci de Castellana, Era pueys ivers es el fil (BdT 102.1), trasmesso dal solo canzoniere M (Paris, B. N. f. fr. 12474). Si tratta di un componimento di sette coblas singulars, ma capcaudadas, con schema aababbc, anche se in verità la situazione è più complessa, perché le coblas V e VI presentano varie altre riprese di rime dalle stanze precedenti; in ogni caso, il ms. presenta una sola tornada irregolare di quattro versi: la successione delle rime è infatti -el, -at, -el, -at, mentre gli ultimi quattro versi dell’ultima strofe hanno la successione -at, -el, -el, -at. È dunque chiaro che si tratta di due tornadas regolari di due versi con rime -el, -at; all’evidenza metrica si aggiunge quella contenutistica, visto che nel primo congedo il poeta scrive, rivolgendosi al giullare, «Mauret, una·m det son anel, / de q’ie·us trobei trop airat», nel secondo invece «Tramet a vos e en Sordell / mon sirventes, q’ei acabat». Rispetto al congedo o commiato della lirica italiana, la tornada trobadorica è molto meno flessibile: «oltre alla liceità di introdurvi dei timbri nuovi rispetto alla strofe precedente . . . il commiato poteva essere imbastito su più di venti combinazioni diverse dei moduli metrici della strofe» (91); il diverso legame, più libero, del congedo italiano rispetto alla sirma «potrebbe essere un effetto della ben nota scissione fra musica e testo consumatasi nella canzone italiana del Duecento» (ib.). Certo è possibile, e così si spiegherebbe - aggiungo - anche la scarsa simpatia da parte dei Siciliani, che Vallet non cita neppure, nei confronti della tornada: limitandosi ai poeti più vicini alla Magna Curia, il solo Stefano Protonotaro chiude una sua canzone, Pir meu cori alligrari, con una strofetta ad hoc, che però ripete esattamente la sirma, secondo la prassi trobadorica (si tratta di una canzone a stanze unissonans, con la fronte divisa in due piedi abc, abc, e una sirma indivisa ddeeff 3 ). Secondo Vallet, Guittone, Monte Andrea e Chiaro Davanzati avrebbero fedelmente mantenuto, nelle loro tornadas, la conformità alla sirma dell’ultima stanza (cf. 91). È un’affermazione da intendere, benché lo studioso non lo espliciti, in senso italiano: questi poeti possono bensì, nelle loro tornadas, ripetere lo schema rimico della sirma, ma non ne ri- 318 Besprechungen - Comptes rendus 2 Guglielmo IX, Poesie. Edizione critica a cura di N. Pasero, Modena 1973; Guglielmo IX, Vers. Canti erotici e amorosi del più antico trovatore, a cura di M. Eusebi, Parma 1995. 3 È dunque da correggere lo schema proposto da M. Pagano per l’edizione contenuta nei Poeti della Scuola siciliana, vol. 2, Poeti della corte di Federico II, edizione critica con commento diretta da C. Di Girolamo, Milano 2008: 351.
