Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniF. Benozzo/G. Brunetti/P.Caraffi/A. Fassò/L. Formisano/G. Giannini/M. Mancini (ed.), Culture, livelli di cultura e ambienti nel Medioevo occidentale. Atti del IX Convegno della Società Italiana di Filologia Romanza, Bologna, 5-8 ottobre 2009, Roma (Aracne) 2012, 1136 p.
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Gerardo Larghi
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La quatrième partie de l’ouvrage traite du mythe et de l’écriture, de la théorie du mythe, «mythocritique» et «mythanalyse»: Corin Braga (Université Babe-Bolyai, Cluj-Napoca, Roumanie), «L’Église contre l’Utopie. Antiutopies primitivistes et tératologies» (385-99). L’auteur étudie la réaction des Églises catholique et protestantes face à la question de l’Utopie en particulier durant la période du XVII e au XIX e siècle. Simona Corian Ioan (Université de Bucarest), «Le mythe de Tombouctou, un ingrédient pour les constructions identitaires africaines» (401-16). Comme l’expose l’auteure, le but de cette communication est de fournir une lecture des discours identitaires réalisée à la lumière de l’imaginaire et des mentalités, de déchiffrer à partir de ces points de vue les mécanismes d’élaboration des nouvelles identités (401); l’Afrique subsaharienne, au lendemain de l’indépendance, est le terrain idéal pour de telles entreprises méthodologiques. Helder Godinho (Université nouvelle de Lisbonne), «L’amour comme texte de médiation: l’exemple du Moyen Âge» (417-25). H. Godinho prend, entre autres, les exemples de Dumart le Galois, de Gui de Warewic du Lai de l’Ombre et du Roman de la Rose ou de Guillaume de Dole de Jean Renart, l’épisode des gouttes de sang sur la neige dans Perceval de Chrétien de Troyes pour illustrer l’amour par oïr dire, qui serait, pour l’auteur un simple «effet de texte». «Ce qui compte, c’est moins la personne que la signification que nous recevons à son propos» (418). Blanca Solares (Universidad National Autónoma de México), «Uixtocíhuatl ou la nature sacrée du sel» (427-45). L’étude réunit un ensemble de récits relatifs à la déesse du sel pour tenter de comprendre la persistance d’un mythe complexe et retrouver les éléments spécifiques de son histoire et de sa source mythique et archaïque. Jean-Jacques Wunenburger (Université Lyon III, Jean Moulin), «L’art brut, un imaginaire aux extrêmes? » (447-58). La communication se propose d’examiner la question de la créativité des schèmes imaginatifs et celle des rapports du sauvage et du primitif dans la peinture du XX e siècle, en l’occurrence chez Gauguin, qui conduit l’auteur à la question de l’art pariétal préhistorique. Françoise Bader (École Pratique des Hautes Études, Paris), «Un drôle d’oiseau: la khalkida-kúmindin d’Homère (Iliade, 14, 286-291)» (461-81). F. Bader analyse la strophe de la langue des dieux de l’Iliade, compare avec l’avestique et constate que l’identification de l’oiseau est donnée pour incertaine; Homère, ornithologue expérimenté par tout l’art avec lequel il met en scène l’oiseau imitatrix de la «danse» guerrière et des branches de sapin, le poète va se faire «imitateur» à son tour, en expert de l’alphabet, des nombres et des emplois de l’isopséphie. Philippe Le Guillou (Inspecteur général de l’Éducation nationale), «Mystère breton» (483-86) L’auteur chante la Bretagne mythique, celle de l’ancienne forêt, celle des premiers sanctuaires: Brocéliande, l’Arrée, Huelgoat, l’Argoat, le Menez Hom . . . et conclut que «les veilleurs vocaux de Landévennec demeurent les garants de l’éternité des mythes et des rites» (486). Marie-Claire Gérard-Zai ★ F. Benozzo/ G. Brunetti/ P. Caraffi/ A. Fassò/ L. Formisano/ G. Giannini/ M. Mancini (ed.), Culture, livelli di cultura e ambienti nel Medioevo occidentale. Atti del IX Convegno della Società Italiana di Filologia Romanza, Bologna, 5-8 ottobre 2009, Roma (Aracne) 2012, 1136 p. Questo ponderoso volume che qui recensiamo raccoglie in 1136 pagine ben 56 contributi racconta visibilmente la fase di trasformazione che la scuola filologica italiana sta attraversando. Gli interventi nell’assise bolognese, infatti, consentono di verificare che nel momento storico in cui un gruppo di maestri noti e riconosciuti continua a produrre materiali e a 279 Besprechungen - Comptes rendus testare ipotesi di lavoro (non a caso il volume si apre con una interessantissima relazione di Valeria Bertolucci Pizzorusso sulla quale torneremo tra poco), una giovane generazione di studiosi sta lentamente mettendosi alla prova sperimentando strumenti di indagine magari ancora poco sofisticati ma che a breve promettoni di dare sorprendenti risultati, nel contempo assimilando il meglio del passato. In sostanza gli articoli raccolti in questi Atti riservano al lettore numerose piacevoli sorprese. Come si diceva il volume spazia tra molteplici campi d’indagine e perciò in ragione di tale complessità, oltre che della vastità e ampiezza dei temi affrontati nel corso del Congresso, analizzeremo questi atti dividendo i contributi secondo argomento. Un gruppo di testi è dedicato a questioni inerenti alla lirica italiana delle origini. Tra questi spiccano anzitutto le pagine di La Vita Nova nella cronologia dantesca. Nuove considerazioni, il contributo di Valeria Bertolucci Pizzorusso nel quale la docente pisana esamina la cronologia delle opere dantesche giungendo ad avanzare, sulla base di considerazioni largamente condivisibili, l’ipotesi che la Vita Nova sia stata stesa quando il fiorentino aveva già «reso il debito contratto con se stesso di ‹dire di lei quello che mai non fue detto d’alcuna›? » (21), in altri termini quando la Commedia aveva già preso forma o era almeno un work in progress. La congettura offre l’indubbio pregio di ricollocare il libello entro il pieno sviluppo del pensiero e della poesia dantesca, togliendolo da una posizione «ancillare» rispetto all’opus maggiore e riconoscendo a questo «prodotto letterario, un peso specifico ben maggiore di quello che gli si è tradizionalmente attribuito» (23). Daniela Delcorno Branca nella sua fatica su Diffusione della materia arturiana in Italia: per un riesame delle tradizioni sommerse ha invece preso spunto dalla convinzione che «in Italia quanto a ‹matière de Bretagne› si sia conosciuto ben di più di quanto risulti dalla documentazione esplicita» (323). La studiosa, autorità riconosciuta in materia, ripercorre le esili tracce lasciate da manoscritti, lettori, costruttori e poeti, individuando i circuiti lungo i quali si mossero i testi tristaniani (Delcorno Branca riprende l’ipotesi che sia esistito un Tristan di Thomas in «lingua lombarda»), e rinvigorendo l’antica convinzione che Chrétien de Troyes sia stato letto nella Firenze duecentesca. Silvia Emmi, Raffigurazioni femminili nelle figure retoriche dei Federiciani, sottopone ad analisi retorica le figure femminili contenute nei canzonieri del circolo fredericiano, mentre Maria Sofia Lannutti si è chinata nel suo contributo Per l’interpretazione della canzone 105 di Petrarca, su una delle canzoni più enigmatiche dei Rerum Vulgarium Fragmenta, della quale con maestria mette in luce il rapporto con la Commedia oltre che con i testi sacri e che reinserisce nel contesto, calcolato e mai casuale, della struttura del Canzoniere, fino ad ipotizzare che in essa l’autore, con un linguaggio criptico e iniziatico, metta in scena «l’incontro con la divinità» reso possibile «solo a chi abbia portato a termine un lungo viaggio nella propria interiorità, di conoscenza attraverso la sofferenza» (653). Denise Aricò, Un personaggio singolare nel De casibus virorum illustrium di Boccaccio, ripercorre invece attraverso i secoli fino a Mistral, la fortuna del personaggio boccaccesco della lavandaia catanese Filippa. Congruentemente al titolo delle assise, un discreto numero d’interventi si è concentrato su temi di storia della cultura, incrociando diversi livelli e competenze, dall’indagine teologica all’analisi di motivi folklorici, dalla storia del diritto alla storia delle mentalità. Così Anna Airò ha seguito le tracce de Il motivo della moglie di Putifarre tra silenzio e parola: confronti letterari dal 428 a. C. al 1270 a. D., a partire dall’antichità classica, ellenica ed ellenistica in particolare, fino a Marie de France ed al Roman de Silence. Lucia Baroncini ha presentato nelle pagine di «In hora mortis nostrae». La disputa tra il diavolo e l’angelo sull’anima del peccatore, i risultati di un’indagine di lungo periodo su un aspetto dei miracoli della Vergine Maria, e specificamente del Suo intervento al momento del transitus, in favore degli umili e dei devoti; Cinzia Foltz ha ripercorso le orme de Il topos dei Neuf Preux nell’immaginario cavalleresco medievale, e Salvatore Luongo, ne l’Illusione magica 280 Besprechungen - Comptes rendus e ingratitudine: incrocio di culture nell’esempio XI del Conde Lucanor, quelle del tema dell’allievo ingrato e degli incantesimi attraverso la riscrittura, da più punti di vista originale, che di essi fa don Juan Manuel nel più celebre racconto del Conde Lucanor. Il contributo di Matteo Meschiari su Vedere luoghi, dare nomi alle terre. Topoanalisi e toponomastica del Nuovo Mondo, si pone tra l’etnologia e l’antropologia, mentre Nicola Morato, Poligenesi e monogenesi del macrotesto nel Roman de Meliadus, affronta il tema, assai meno inconsueto per i filologi, della formazione del ciclo di Guiron, e in particolare giunge, al termine di un’analisi stringente, ad ipotizzare l’esistenza di un «originario testo pre-ciclico del Roman de Meliadus» (731). Tiziano Pacchiarotti, Teatro medievale, livelli di cultura e discorso. Bilancio e prospettive di ricerca sul genere profano, a partire da una critica sugli studi che si sono susseguiti in merito alla nascita delle forme teatrali profane nel contesto sociale della Arras duecentesca, ricolloca i jeux nel rapporto con la tradizione che li precedette e con i differenti livelli di cultura arrageoise. Anche Gioia Paradisi dedica il suo intervento a un tema di filologia oitanica, in L’ordine delle passioni e il viaggio dell’anima. Gli ‹affetti naturali› nella parafrasi del Cantico dei Cantici di Le Mans, risalendo magistralmente la corrente della tradizione monastica e della speculazione filosofica medievale, giunge a precisare il senso del lemma affect. Il contributo di Sonia Maura Barillari, Il modello latino dell’Espurgatoire seint Patriz di Marie de France: analisi comparativa fra il volgarizzamento oitanico e il ms. Madrid, El Escorial, lat. T.I.12 (ff. 193va-206rb), è incentrato sul problema del testo latino su cui Marie condusse il suo volgarizzamento del Tractatus, esemplare che la studiosa arriva ad identificare in un codice anteriore al testimone E ma affine a questi (131). Da parte sua Philippe Ménard si sposta nel Trecento francese per tratteggiare la figura di Jean le Long ‹translateur› et interprète d’Odoric, così come Mattia Cavagna che ritorna in Ancora sulla mancata ricezione della Divina Commedia in Francia: il purgatorio alla fine del Medioevo secondo quattro fonti francesi, su un tema dibattuto ma che gli consente di limitare l’idea di ‹trionfo del purgatorio› «alla cultura italiana influenzata dalla Divina Commedia», e di sostenere che la concezione di uno spazio ultraterreno autonomo per accogliere transitoriamente le anime destinate al Paradiso «rimane sconosciuta fino all’estrema fine del Medioevo» così come la costruzione del poeta fiorentino (245). Nell’ampio e circostanziato contributo di Fabrizio Cigni, Per un riesame della tradizione del Tristan in prosa, con nuove osservazioni sul ms. Paris, B.N.f. fr. 756-757, il filologo pisano analizza l’intero corpus di testimonianze relative al romanzo prosastico, concentrando la propria attenzione però sul codice ora parigino ma di cui egli riconduce l’origine al ricco e fervido ambiente italiano trecentesco (napoletano o padano? ). Anche Matteo Ferretti in Per la tradizione del Roman de la Rose di Guillaume de Lorris: note sulla composizione e sul pubblico del ms. Paris, B.N.f. fr. 12786, esamina un codice (nella fattispecie il canzoniere francese k), alla ricerca dei suoi «aspetti effettuali»: la storicità, la composizione originaria, il copista e il luogo in cui agì, il committente, giungendo ad ipotizzarne la provenienza da ambienti parigini fine duecenteschi e inizio trecenteschi (404-07). Affine ad essi è lo studio che Marina Tramet dedica a Il Roman de la Violette: il manoscritto di San Pietroburgo e il suo programma iconografico, nel quale la studiosa rileva la presenza di uno stile originale, che conserva un «carattere medievale e simbolico nonostante la sua relativamente tarda data di redazione» (968). Ai fabliaux, come luoghi deputati dagli intellettuali medievali alla parodia non solo di testi ma anche di contesti letterari e culturali, sono per contro dedicate le riflessioni di Martina Di Febo, Sul Connebert di Gautier le Leu: satira e parodia delle metonimie cortesi. Sulle opere cristianiane (de Troyes), si soffermano a loro volta Anatole Pierre Fuksas, Personaggi, società e natura nel Chevalier de la Charrette di Chrétien de Troyes (v. 247-398), e Lucilla Spetia, Il ruolo della Natura nella tessitura originale dello Chevalier au Lion. Secondo la ricercatrice «Yvain può definirsi a tutti gli effetti un romanzo della Natura, in 281 Besprechungen - Comptes rendus cui essa è onnipresente in tutte le sue manifestazioni più comuni» (951), nel quale si sperimenterebbe un «superamento della visione antropocentrica del mondo animale di ispirazione cristiana», visione «aderente a quella elaborata dalla scuola di Chartres e ispirata alla dottrina platonica» (954). La tesi, non nuova, richiederà però successivo approfondimento, soprattutto alla luce di quanto la riflessione filosofica più aggiornata va rimarcando circa i reali contenuti della Scuola di Chartres e, specificamente, sul suo rapporto, assai più dialettico di quanto si supponga, con il pensiero di Alano di Lilla 1 . Ad argomento romanzesco è dedicato anche l’intervento di Antonio Pioletti, Esercizi sul cronotopo 2. «Ce est la roe de Fortune». La Mort le roi Artu, nel quale è esaminata l’evoluzione della materia arturiana alla luce della duplice (innovativa) concezione del tempo e della storia nel corso del Duecento. Daniele Ruini nel suo articolo Nella tradizione della Conception Nostre Dame di Wace: una sezione inedita della Bible di Jehan Malkaraume? , scandaglia la particolare tradizione rappresentata dal manoscritto Paris B.N.f.fr. 1527, nel quale il testo dello storico anglo-normanno è seguito da una serie di episodi della vita di Gesù basati sorprendentemente non sui Vangeli apocrifi bensì sui testi canonici (915), oltre che le analogie tra questi couplets e la trecentesca Bible di Jehan Malkaraume; probabilmente, questa la conclusione dello studio, le due opere sono da ricondurre ad un medesimo ambiente e sarebbe stato lo stesso Jehan a riscrivere il testo di Wace (934). A temi di linguistica anglo-normanna è stata dedicata invece la comunicazione di Oreste Floquet che si sofferma Sull’e parassita anglonormanna nei nessi muta cum liquida, fenomeno fonologico che riguarda «tutta l’area settentrionale, includendo, dunque, anche il normano e il piccardo», e che trova una propria spiegazione nei «fattori contestuali, sociali e storici che ne hanno favorito lo sviluppo e l’accettazione nella comunità» (420). Proseguendo da parte sua nell’indagine che da tempo va conducendo sullo specifico genere dei salut d’amor ma allargandola agli esempi oitanici, Hedzer Uulders nel suo contributo su Ambienti culturali e generi letterari: il caso del salut d’amour antico-francese, a partire da una analisi delle opere conservate nel ben noto ms. B.N.f.fr. 837 dimostra la stretta affinità tra questi e le complaintes, il loro occupare una posizione intermedia tra lirica e narrativa, il loro compartecipare ad alcune dinamiche di genere (985). Il contributo di Patrizia Gasparini, Philippe Mousket e Anonimo di Béthune: relazioni e debiti nella storiografia sui re di Francia, sonda la produzione storica e le cronache in volgare nella prima metà del Duecento, analizzandone il disegno storiografico, le relazioni con le fonti latine, in particolare quelle prodotte nel fecondo e politicamente impegnato ambiente monastico di Saint-Denis, e il rapporto con la Chronique Rimée di Philippe Mousket. Un’ulteriore sezione di testi è rivolta ad argomenti prettamente linguistici. In una linea più «tradizionale» si pongono l’interessante contributo che Alvise Andreose ha dedicato a Il morfema di II persona singolare nel veronese medievale, che consente di riconoscere nello sviluppo dei morfemi -es, -is latini in area veneta «una tappa anteriore a quella documentata in italiano antico» (106) e quello che Mariafrancesca Giuliani ha dedicato a L’immagine linguistica del movimento nello spazio e nel tempo: in margine alla voce andare del TLIO, mentre il corposo contributo di Francesco Benozzo/ Mario Alinei, Dalla linguistica romanza alla linguistica neoitalide, intende rimettere in discussione alcuni fondamenti della stessa filologia romanza sulla base dei principi e dei risultati cui sono pervenute le indagini fondate sulla «teoria della continuità». I problemi sollevati nelle dense pagine dei due studiosi sono vasti e complessi, mettendo in campo cognizioni di ordine paleologi- 282 Besprechungen - Comptes rendus 1 Illuminanti in questo senso sono ad esempio le pagine di C. Chiurco, Alano di Lilla. Dalla metafisica alla prassi, Milano (2005): 158-88 e 286-331. co, etnologico, filologico, archeologico e linguistico, arrivando gli autori a sostenere che le lingue romanze risalgono a una unità linguistica paleolitica, che esse sarebbero «relitti di lingue pre-romane affini al latino», affini alle lingue italidi. Nel Neolitico poi erano presenti «diversi Latini più arcaici e come tali più vicini a quello che noi chiamiamo ‹Latino volgare›» (183). Per quanto la dimostrazione dell’assunto sia in più punti da sottoporre a critica, oltre che dimostrare di soffrire di qualche «salto logico» (così ad esempio alle p. 183 e 197-99 laddove, rispettivamente, le ricostruzioni dei rapporti dialetti - lingue letterarie non ci sembrano del tutto perspicue, e dove risulta abbastanza misterioso perché la presunta relazione tra la «funzione trovatore» e la «funzione cacciatore» proceda solo in una direzione), i temi affrontati meritano di essere ripresi in esame e presentati all’attenzione della comunità scientifica. Un ristretto nucleo d’interventi pubblicati in questi Atti è poi dedicato a questioni inerenti l’Occitania medievale. Proseguendo in un’indagine già affrontata in contributi precedenti, Marco Bernardi ha scandagliato la Fortuna e tradizione della poesia oraziana in area trobadorica. Il nesso tra le opere del poeta classico e la più antica lirica romanza è cercato non attraverso le citazioni dirette (riassumibili sostanzialmente in un unico riferimento presente in Bernart Marti), ma nella circolazione di manoscritti, nella compulsazione dei testi oraziani garantita dalle glosse marginali rinvenibili nei volumi pergamenacei, nell’uso che i magistra scholarum fecero dei versi latini come strumento di formazione dei loro allievi. In altri termini la ricerca rappresenta una tappa nell’individuazione dei modi e dei contenuti propri dell’istruzione ricevuta dai trovatori e, benché non tutti i risultati siano egualmente innovativi (ad esempio era già noto il ruolo delle abbazie come Saint-Martial di Limoges o Saint-Jean d’Angely), l’aver circoscritto all’area pittavino-limosino-perigordina ed ai decenni contemporanei di Guglielmo IX, l’origine delle glosse oraziane contenute nel ms. parigino B.N.f. lat. 7979, ci consente di intravedere i possibili nessi tra lo studio dei carmina e le elaborazioni poetiche del prototrovatore. I contributi di Gaia Gubbini, Auzelhs de lonh, e Sara Pezzimenti, Bernart de Ventadorn e Rodolfo di Faya: due «pittavini» alla corte di Enrico ed Eleonora, sono dedicati ad alcune tra le figure principali delle prime stagioni trobadoriche, ovverosia Jaufre Rudel e Bernart de Ventadorn. Nel suo articolo la Gubbini sottopone ad analisi retorica l’incipit del celebre vers rudelliano, collegandolo alla figura della annominatio, e accostando il binomio doulz chans d’auzels de lonh / amor de lonh, alla coppia lemmatica avia - aves che si riversò nella cultura medievale attraverso la Rhetorica ad Herennium. Da parte sua Sara Pezzimenti si è chinata sulla questione del rapporto tra Bernart de Ventadorn e la corte plantageneta di Enrico II o, meglio, con la corte di Eleonora d’Aquitania. Lo studio oltre a riprendere una suggestione di Rita Lejeune e a immedesimare Bernart «se non con un cadetto della famiglia vicecomitale, almeno con un poeta che fosse, oltre che vicino all’escola n’Eblo, anche esponente della corte dei signori limosini» (822), suppone (a partire dalla sua dichiarazione in Lancan vei per mei la landa, di essere pel rei . . . engles e normans) anche un viaggio del trovatore nell’isola britannica e un suo legame stretto con la figlia di Guglielmo X. Questa relazione sembra confermata, secondo Pezzimenti, dall’insolita titolazione di reina dels Normans con cui il lirico limosino apostrofò la nobildonna in Pel doutz chans que.l rossignols fai. Secondo la studiosa quest’espressione sarebbe rivolta a Eleonora e porrebbe l’accento su «un preciso aspetto del suo profilo politico, la sovranità sulla Normandia, quindi su una regione settentrionale dell’impero, acquisita solo tramite il matrimonio con Enrico» (826), oltre che a collocarne i rapporti con Bernart tra 1154 e 1167. Tali rapporti sarebbero poi stati favoriti dalla presenza nell’entourage reale di Rodolfo di Faya, un angioino che fu siniscalco nel Poitou plantageneto oltre che suocero del visconte Eble IV de Ventadorn. L’indagine è metodologicamente interessante, fondandosi anzitutto sulla compulsazione e la lettura diretta delle fonti storiche, e le conclusioni cui giunge sono innovative, avvincenti e 283 Besprechungen - Comptes rendus convincenti. Nondimeno alcune affermazioni in essa contenute andrebbero meglio precisate, a partire dalla giustificazione del titolo di reina dels Normans: in nessuna carta, come ben dice Pezzimenti, se ne rinviene traccia, ma per comprenderne la pregnanza occorrerebbe tener conto che la titolatura non sempre rispecchiò le concrete condizioni politiche, tanto che appellativi regali furono attribuiti, in circostanze particolari, anche a chi non vantava diritti in materia. Dicendola Reina di una terra che era un ducato, in altri termini, Bernart potrebbe semplicemente avere voluto indicare che Eleonora ne deteneva la potestas, si era impadronita, in quanto regina, della facoltà di governo, senza necessariamente aver voluto alludere ad una particolare azione politica. Altrettanto dicasi in merito alla (corretta) osservazione secondo cui la frase Dei gratia solo dopo il 1172-73 trovò posto nella «titolatura di Enrico» (825, N17); la sua comparsa sarà da collegarsi però non solo alla rivolta di Enrico il Giovane, quanto anche (o soprattutto) ai risvolti politici che ebbe l’affare Beckett: rievocando attraverso di essa l’origine divina del suo potere, Enrico ne affondava le radici nella trascendenza, dandogli (e dandosi) una più piena legittimazione proprio in uno dei momenti di massima crisi, ponendo così il proprio diritto al di fuori di ogni aleatoria e contingente vicenda politica. Andrà anche sottoposta ad ulteriori verifiche l’ipotesi (formulata peraltro con estrema cautela) di un Bernart de Ventadorn accompagnatore dei visconti limosini alla corte plantageneta (841). Ad argomenti prettamente linguistici sono dedicate le pagine di Maria Sofia Corradini, Varianti perifrastiche del futuro e clitici in occitano medievale: acquisizione ed analisi dei dati. La studiosa, appoggiandosi su una vasta documentazione e su una bibliografia appropriata, documenta l’esistenza della perifrasi infinito + habeo in luogo della forma sintetica del futuro, sembra dipendere da «precisi fattori diatopici e diacronici» (295), essendo radicata soprattutto nell’area occidentale del dominio occitanico. Corradini sottolinea anche, opportunamente, i riflessi che questo fenomeno può avere sulla prassi ecdotica, soprattutto in sede congetturale (296-98), oltre che, aggiungiamo noi, quando ci si trovi di fronte a situazioni diffrattive. Proprio alla pratica ed alla teoria ecdotica sono dedicati alcuni articoli contenuti in questi Atti. Particolarmente interessante, dal nostro punto di vista, appare quello di Massimiliano De Conca, Approcci linguistici per l’ecdotica occitanica: il Lessico dei trovatori del periodo classico (LTC), nel quale lo studioso mantovano esemplifica la proposta di approntamento di un lessico dei trovatori che presenti agli studiosi tutti i dati di ordine linguistico, documentario, lessicale e lessicografico, e nel quale siano radunate le forme impiegate nel corpus trobadorico. De Conca applica questo modello a tre vocaboli (anjovenc, auzir, estlutzir-se) tratti dal canzoniere di Arnaut Daniel. Indubbiamente un tale repertorio allargato all’intero corpus dei trovatori costituirebbe un valido ausilio per i ricercatori e consentirebbe notevoli avanzamenti nella scienza ecdotica. Da parte sua Riccardo Viel, Ecdotica e Commedia: le costellazioni della tradizione nell’Inferno e nel Paradiso dantesco, attraverso un’analisi delle tradizioni manoscritte delle cantiche dantesche, avanza la congettura che la Commedia non abbia avuto un archetipo unico, o che esso possa aver subito l’influenza di tradizioni precedenti. Inferno e Paradiso dunque potrebbero aver avuto percorsi divulgativi differenti, essendo le loro tradizioni profondamente influenzate «dall’interferenza tra tradizione in vita e tradizione postuma», ciò che implica la necessità di sottoporre a nuova collazione completa tutti i testimoni (1016). Affrontando il tema delle edizioni di testi in cui si sia individuata l’esistenza di una redazione «che rivesta particolare interesse sul piano storico-tradizionale», Michelangelo Zaccarello, Problemi filologici connessi all’edizione di testi educativi e precettistici: l’Epistola a Ramondo dello pseudo-S. Bernardo, propone al termine della sua disamina, di seguire una terza via tra la soluzione bédieriana e quella su base stemmatica. In tali casi, secondo lo studioso, oggetto della ricostruzione dovrebbe essere un particolare assetto del testo, e tale restauro andrebbe condotto con «gli strumenti familiari della ricostruzione ge- 284 Besprechungen - Comptes rendus nealogica» (1045). Diversa invece la prospettiva in cui si pone lo studio di Paolo Galloni, Un tentativo di concettualizzazione cognitiva del passato: l’«oralità testuale» altomedievale. Secondo l’indagatore, infatti, sarebbe possibile individuare un livello testuale scritto che però rivelerebbe le tracce della performance recitativa. Il latino medievale in altri termini potrebbe nascondere le orme di una «oralità testuale» in cui «materiale concettualmente appartenente alla tradizione scritta latina andò incontro a un trattamento che risentiva dei modi di elaborazione tipici dell’oralità» (477). Molteplici sono le implicazioni che tale ipotesi (approssimabile per la verità a quella freudiana dei lapsus ma anche, per rimanere in ambito filologico, al metodo seguito da Hélène Carles nella sua recentissima indagine sul latino nelle carte alverniati) getta sulla linguistica, sull’ecdotica, sulla storia dei testi delle origini. Il rapporto tra due lingue, e dunque tra due culture, passa sovente, oggi come sempre, attraverso lo strumento dei volgarizzamenti. Un gruppo di testi compresi negli Atti è infatti dedicato alle implicazioni che le traduzioni possono aver avuto nel rapporto tra le diverse civiltà. Paolo Divizia nel suo contributo su Il Tresor di Brunetto Latini tra fonti e volgarizzamenti: il caso della Formula vitae honestae, affronta la questione delle fonti dell’opus magnum del maestro di Dante, oltre che «alcune questioni metodologiche legate alle serie ricorrenti di opere nei manoscritti miscellanei e all’emendatio ex fonte, con una digressione sui concetti di originale, archetipo e varianti d’autore» (357 e N1). Considerazioni critiche sono dedicate anche alla fattispecie nota come «archetipo d’autore», cioè ad un capostipite dovuto all’autore e nel quale compaia già un errore. Da parte loro Elisa Guadagnini/ Giulio Vaccaro, in «Selonc ce que Tulles dit en son livre». Il lessico retorico nei volgarizzamenti ciceroniani, forniscono materiale utile alla riflessione circa il rapporto tra la lingua latina e la formazione del lessico politico nell’Italia del Duecento. Ad un tema prossimo a questo sono dedicate le considerazioni circa La Rhetorica ad Herennium fra traduzioni, compendi e filiazioni, nelle quali Laura Ramello indaga la fortuna del trattato retorico su cui l’intero medioevo fondò buona parte della propria cultura in materia retorica. Graziella Pastore, «Maintes choses qui sont dignes de grant memoire». La traduzione francese dei Facta et dicta memorabilia di Valerio Massimo e il suo tempo (XIV-XV sec.), approfondisce l’indagine in merito ad un esempio medio francese di volgarizzamento e Gaetano Lalomia, Dalla Disciplina clericalis all’Italia. Viaggio di testi, viaggi di cultura e identità culturale, ricostruisce i percorsi sincretistici seguiti dall’autore del noto trattato pedagogico. Alla prassi ed alla teoria della traduzione in due diversi ambiti medievali sono dedicate le dense pagine di Margherita Lecco, «Translater» nell’Estoire des Engleis di Geoffrei Gaimar, e di Serena Lunardi, «Volgarizzare» e «isporre» in una versione italiana inedita della Consolatio Philosophiae. Eccentrici rispetto a questi ambiti, ma ricchi di spunti utili alla riflessione in materia di storia del rapporto tra cultura medievale e cultura moderna sono gli interventi di Giovanni Picchiura, Forme della parodia: le molteplici funzioni della similitudine nell’Inferno di Topolino, e, soprattutto, di Stefano Rapisarda, «Why Negroes Should Study Romance Languages and Literatures» (1933). W. Napoleon Rivers tra nobili intenzioni e mistificazioni filologiche, il quale ha tra l’altro anche il pregio di suggerire agli studiosi occidentali una maggiore attenzione al rapporto tra «scholarship e contesto storico-ideologico» (912, N53). Concludono questi atti gli interventi che hanno acceso la Tavola rotonda sul tema «Culture, livelli di cultura e ambienti nel Medioevo occidentale: alcune prospettive» animata da Nicolò Pasero che ne ha anche curato l’Introduzione, e nella quale Alvaro Barbieri, Sciamanismo romanzo: ricognizione bibliografica e appunti di metodo su un recente filone di studi etnoletterari, Francesco Benozzo/ Andrea Fassò, La Sainte Foy, il paganesimo antico e l’emergere della poesia trobadorica, Massimo Bonafin, Tempi brevi, tempi lunghi e Simone 285 Besprechungen - Comptes rendus Marcenaro, I trovatori e la regalità. Approssimazioni metodologiche, hanno fatto il punto sulla relazione tra la filologia e l’etnografia. Rapporto assai delicato e che non ha mancato, né mancherà, di suscitare discussioni tra gli studiosi. In conclusione questi Atti dimostrano lo stato di salute della scuola filologica italiana, la sua apertura alle più moderne istanze metodologiche, culturali, filosofiche, linguistiche, storiche. Il ristretto numero di errori di stampa conferma la qualità del lavoro qui presentato. Gerardo Larghi ★ Magali Coumert/ Marie-Céline Isaïa/ Klaus Krönert/ Sumi Shimahara (ed.), Rerum gestarum scriptor. Histoire et historiographie au Moyen Âge. Mélanges Michel Sot, Paris (PUPS) 2013, 710 p. «Quelle a été, au Moyen Âge, la place de l’histoire? Qui a été historien? Comment ces historiens ont-ils travaillé? Par quel effort ont-ils reconstruit leur passé proche et lointain? Qui les a lus? Qui les a entendus? Quelle somme de connaissances, quelle image du passé ont-ils pu léguer à leurs contemporains et à leurs successeurs? Et de quel poids ces connaissances et cette image ont-ils pu peser sur les mentalités et les comportements? » 1 . Quando il compianto Bernard Guénée scriveva queste parole, oltre un trentennio fa, ad apertura del suo magistrale volume Histoire et culture historique dans l’Occident médiéval, non poteva sapere che l’argomento al quale aveva dedicato tante fatiche e tanto studio sarebbe assurto a tema di ricerche interdisciplinari e multidisciplinari, e a punto di congiunzione tra linguisti, storici, agiografi, filologi. Prova ne è la miscellanea che qui si recensisce e nella quale sono raccolti i contributi di cui amici e colleghi hanno voluto omaggiare Michel Sot, storico dell’Alto medioevo, i quali nella diversità di tempi, situazioni, fonti scrutati, hanno in comune proprio l’indagine sulla «scrittura della storia». Le appassionanti pagine che compongono questo ponderoso volume ci confermano che nell’età di mezzo, perfino verrebbe da dire nei dark ages volterriani, l’esperienza dello storiografo fu punto di propulsione per un’intera società la quale attraverso l’indagine sul passato seppe educarsi, costruire una memoria comune, affondare in un passato glorioso le radici di un presente che si voleva prestigioso. L’opera degli storici medievali assume così una valenza filologica, linguistica, sociale, istituzionale, politica: per i secoli di mezzo tanto quanto per la XXI centuria. Come detto la raccolta contiene numerosi articoli suddivisi in quattro parti, distinte per interesse specifico, ma accomunate dalla fedeltà alla via tracciata da Michel Sot, una strada che è lastricata di attenzione verso l’indagine semantica e di contaminazione tra le ricerche linguistiche, quelle archeologiche e quelle che esplorano il divenire di fatti e concetti nel lungo periodo. In altri termini il volume che stiamo recensendo dimostra non solo la vitalità dell’Accademia francese, ma più in generale la grande attualità del mestiere di storico. Data la ricchezza e varietà di temi affrontati ci si limiterà però qui a discutere nello specifico solo alcuni tra i numerosi e interessanti articoli. La prima parte del volume è dedicata al tema della storiografia in quanto esperienza politica e cioè come strumento utilizzato nel Medioevo per costruire una memoria comune ed ovviamente, dato il dedicatario, si concentra su opere scritte tra il VI e IX secolo. Attraverso una serrata analisi semantica Stéphane Lebecq, La guerre de Clotaire II et de Dago- 286 Besprechungen - Comptes rendus 1 B. Guenée, Histoire et culture historique dans l’occident médiéval, Paris 1980.