Vox Romanica
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0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2013
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Kristol De StefaniStefano Telve, Ruscelli grammatico e polemista: i «Tre discorsi» a Lodovico Dolce, Manziana (Vecchiarelli) 2011, 186 p.
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Gabriele Bucchi
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Chiude il volume l’edizione di due documenti d’archivio, provenienti rispettivamente dall’Archivio di stato di Venezia e dalle Archives Nationales di Parigi e entrambi riprodotti nel libro (268 e 290), la cui illustrazione erudita si agglutina con naturalezza alle anamnesi testuali fornite nel libro. Il primo documento è il testamento di un commerciante veneziano attivo a Acri, in Palestina, redatto probabilmente a Famagosta in data 22 gennaio 1293 (per il calendario cipriota in vigore, 1294), che nomina un sir Marc Pol (per il quale l’Autrice non esclude la candidatura del viaggiatore, 258) e reca nuovi elementi sulle relazioni che, alla fine del Duecento, possono ricostruirsi tra Venezia e quello spazio d’Oltremare. Il secondo è la versione trecentesca in volgare di una lettera, che il sovrano mongolo Öljeitü, nipote del Gran Cane dei Tartari Kublai Khan di poliana memoria e da poco asceso sul trono persiano, invia nel 1305 al re di Francia Filippo il Bello per rilanciare l’alleanza antimussulmana. L’originale della lettera era edito e tradotto fin dal 1824; non, invece, questa prima coeva versione italiana, che la Bertolucci Pizzorusso colloca linguisticamente a Pisa (281) e inserisce nel panorama delle relazioni documentabili con l’Oriente. Tra i risultati che derivano dall’analisi linguistica del documento, è un profilo socio-culturale dello scrivente che la studiosa propone di identificare nel pisano Ciolo di Anastasio Bofeti, attestato come diplomatico alla corte persiana del padre e poi del fratello di Öljeitü e dunque intermediario autorevole tra Oriente e Occidente proprio in quel breve giro d’anni. Massimo Danzi ★ Stefano Telve, Ruscelli grammatico e polemista: i «Tre discorsi» a Lodovico Dolce, Manziana (Vecchiarelli) 2011, 186 p. Il volume di Stefano Telve è un importante studio monografico dedicato a una delle più e aspre e famigerate polemiche linguistiche del medio Cinquecento italiano: quella che oppose Girolamo Ruscelli a Ludovico Dolce. Nati sulla scia delle schermaglie sorte dall’edizione del Decameron pubblicata dal Ruscelli nel 1552, i Tre discorsi (riprodotti utilissimamente in edizione anastatica in un volume a parte che accompagna questo studio) rispondono alle critiche del Dolce - editore egli stesso del capolavoro boccacciano per il Giolito - mettendo impietosamente sotto accusa l’insieme della sua produzione di editore, grammatico, traduttore. Se il primo dei tre riapre la questione della veste linguistica data al testo del Decameron, il secondo prende in esame le Osservationi della volgar lingua (1550), mentre il terzo non risparmia le Trasformationi, traduzione-riscrittura delle Metamorfosi ovidiane stampate nello stesso 1553. Con questo triplice attacco il Ruscelli intendeva smascherare le manchevolezze del Dolce (diversamente da lui, già ben affermato a Venezia) e allo stesso tempo imporsi come voce autorevole in campo linguistico ed editoriale: ciò che di fatto avvenne. L’importanza dei Tre discorsi va dunque ben al di là di quella che potrebbe avere un astioso instant book scritto nell’ambito di una polemica tra letterati in competizione per fama e danari. La quantità, la diversità, l’acume delle osservazioni del Ruscelli rendono quest’opera, come ricorda Telve (12), la più puntuale definizione delle idee del viterbese in fatto di grammatica e di lingua prima dei Commentarii della lingua italiana, apparsi postumi quasi trent’anni dopo (1581). Nel primo capitolo (Ruscelli polemista, 9-38), dopo aver ricostruito le circostanze all’origine del libro, Telve si sofferma sulle tecniche persuasive messe in atto dal Ruscelli per screditare il rivale agli occhi dei lettori, avanzando le suggestive ipotesi che la prosa vivace e mordente dei Tre discorsi «abbia risentito dello stile della conversazione argomentativa dell’oratoria forense e politica veneziana» (28). Sul piano espressivo, la lingua della critica 316 Besprechungen - Comptes rendus ruscelliana, come dimostra l’esemplificazione addotta dallo studioso, aguzza le sue armi attraverso toni colloquiali, escursioni demotiche e gergali nonché frequenti richiami a un lessico satirico-burlesco che ne fanno un esempio di critica antipendatesca e brillante, in opposizione allo «stereotipo prettamente pieno-cinquecentesco del grammatico umanista» (38). Nel secondo capitolo (Grammatica e lingua fino ai «Tre discorsi», 39-75) Telve illustra i principî che stanno alla base della linguistica ruscelliana, con osservazioni puntuali sull’atteggiamento del viterbese nei confronti delle voci non toscane e sull’opposizione tra lingua parlata e lingua scritta (60-61). Il terzo capitolo (Il Dolce «ruscellato»: grammatica e traduzione, 77-129) infine verifica puntualmente l’impatto delle critiche ruscelliane sulle successive edizioni delle opere del Dolce, in particolare le Osservationi alla volgar lingua (riproposte nel 1554) e le Trasformationi, ristampate nuovamente nello stesso 1553, ma che già prendono tacitamente in considerazione alcune osservazioni del viterbese (è quindi da correggere quanto impropriamente ho scritto sulla seriorità della seconda edizione delle Trasformationi rispetto ai Tre discorsi a p. 113 del mio «Meraviglioso diletto». La traduzione poetica del Cinquecento e le «Metamorfosi d’Ovidio» di Giovanni Andrea dell’Anguillara, Pisa 2011). Sul piano linguistico-stilistico le correzioni del Ruscelli alla traduzione vanno secondo Telve nella direzione di una «normalizzazione di ispirazione classicista» (121) intesa a espungere dalle ottave del Dolce le numerose forme municipali e le espressioni corrive (oltre che francamente errate, come le rime imperfette). In questa direzione non andavano peraltro solo le acide osservazioni del Ruscelli, bensì anche quelle più amichevoli di un altro grande grammatico del Cinquecento, Benedetto Varchi, sollecitato dallo stesso Dolce a rivedere la veste linguistica della traduzione ovidiana nell’imminenza della seconda stampa. Attraverso un puntuale confronto tra le correzioni accolte e quelle rifiutate dal Dolce, Telve dimostra che il richiamo del Ruscelli, per quanto aspro e non privo di dileggio, a «una più severa osservanza del modello linguistico tosco-fiorentino» (133) andò sostanzialmente a segno, costringendo il rivale a compiere un’attenta revisione non solo linguistica, ma anche traduttivo-interpretativa del suo poema (pubblicato con sempre nuovi interventi fino al 1561). Il volume riproduce in appendice (135-48) i testi legati alla polemica sul Decameron, necessari a comprendere il clima da cui nacquero i Tre discorsi, e offre un utile indice delle parole e delle forme discusse nelle opere esaminate. Gabriele Bucchi ★ Hans Goebl (ed.), ALD-II. Atlant linguistich dl ladin dolomitich y di dialec vejins, 2 a pert. Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi, 2 a parte. Sprachatlas des Dolomitenladinischen und angrenzender Dialekte, 2. Teil, 7 vol., Strasbourg (Éditions de Linguistique et de Philologie) 2012 Chiunque lavori all’interno di un cantiere geolinguistico sa quanto sia difficile portare a termine, in tempi ragionevoli, un atlante; i cantieri restano tali, a volte, per decenni, senza che si approdi ad una pubblicazione, anche soltanto parziale, dell’opera. Non nascondo dunque la mia ammirazione di fronte alla recente uscita della seconda ed ultima parte dell’Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi (d’ora in poi, ALD-II; con la forma abbreviata ALD-I indicherò la prima parte del progetto 1 ). 317 Besprechungen - Comptes rendus 1 H. Goebl (ed.), Atlant linguistich dl ladin dolomitich y di dialec vejins, 1 a pert. Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi, 1 a parte. Sprachatlas des Dolomitenladinischen und angrenzender Dialekte, 1. Teil, 7 vol., Wiesbaden 2008 (3 CD-ROM, Salzburg 1999; 1 DVD, Salzburg 2002).
