eJournals Vox Romanica 72/1

Vox Romanica
vox
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2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2013
721 Kristol De Stefani

Joseph Bédier, Le roman de Tristan et Iseut. Édition critique par Alain Corbellari, Genève (Droz) 2012, lxxxii + 293 p. (Textes Littéraires Français 619)

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2013
Paolo  Gresti
vox7210325
Celui-ci est mémorable. A. Roncaglia y repousse la montée néo-traditionaliste et les modèles d’interprétation totalisants, ainsi que «la suggestione d’analogie esterne, la tentazione di supplire alle lacune documentarie e di sormontare le aporie interpretative estrapolando anacronisticamente da altri domini» (3) 6 . La tradition de la chanson de geste sent l’école, la chancellerie, la curie et prend racine dans l’histoire, dans ses affrontements et enjeux : par exemple, «la spedizione di Spagna rappresentata nel Roland non ha per scopo la liberazione del cammino di Sant’Iacopo, ma l’annessione feudale della Spagna al patrimonio di San Pietro» (20). Toute ambiguïté sur la voie à suivre est exclue. D’autres contributions portent sur des questions ponctuelles d’interprétation du texte (§4, 8-11). Il est regrettable qu’elles n’aient pas toutes produit l’écho souhaité. Par exemple, l’explication du surprenant vers 6 du Roland, «fors Sarraguce, ki est en une muntaigne» (§9 [1959]) - la muntaigne n’est pas une quelconque élévation de terrain, mais une «terre inculte, couverte de bois ou de buissons», suivant le sens de muntaña dans le vocabulaire épique castillan et l’emplacement vraisemblable de la Saragosse historique -, ne semble pas connue de nombreux éditeurs et traducteurs de la chanson: cf., par exemple, Jonin 1979 et 2 2005, Moignet 1985, Burgess 1990, Short 1990 et 1994, Dufournet 1993, Duggan/ Rejhon 2012 7 . Pourtant, elle est jugée tout à fait pertinente par C. Segre 8 . De même, l’explication du toponyme Durestant - il s’agirait de la barre de l’estuaire du Douro (§8 [1990]) -, qui permet de reconnaître toute la précision des mots d’Aelroth aux vers 869-70 (la Péninsule ibérique toute entière, de sa frontière orientale à son extrêmité occidentale), n’a pas percé (cf., par exemple, Short 1994 et 2005, Dufournet 1993, Cortés 1994, Duggan/ Rejhon 2012), bien qu’elle ait été mise en avant aussitôt dans une édition prestigieuse 9 . Il est à espérer que cette mise en recueil donne un deuxième souffle aux recherches les plus abouties du maître italien et qu’elle aide à mettre en perspective «il suo credo positivista, il suo metodo ‹documentario›, il suo anelito di recupero integrale» 10 , avec toute l’empathie que cette démarche inspire. Gabriele Giannini ★ Joseph Bédier, Le roman de Tristan et Iseut. Édition critique par Alain Corbellari, Genève (Droz) 2012, lxxxii + 293 p. (Textes Littéraires Français 619) Il Roman de Tristan et Iseut che il grande filologo Joseph Bédier pubblicò per la prima volta nel 1900 ebbe un enorme successo, tanto d’aver superato ormai le seicento edizioni, e d’essere stato tradotto in trentotto lingue: nella lista, davvero impressionante (lxvii-lxx) manca, almeno, la traduzione italiana di Baccio Ziliotto, pubblicata per la prima volta nel 1920 a Milano, e riproposta poi recentemente da TEA (Milano 1988). 325 Besprechungen - Comptes rendus 6 Malheureusement, le savant ne se trompait pas au sujet des dérives à venir. Cf. Palumbo 2008: 244-46. 7 Les responsables de cette traduction revèlent l’ampleur de leur insouciance dans la note au vers. Cf. The Song of Roland, translated by J. J. Duggan/ A. C. Rejhon, Turnhout 2012: 452. 8 «Comment présenter la Chanson de Roland à l’Université», RLiR 60 (1996): 5-23 (22). En revanche, les spécialistes espagnols se montrent peu convaincus par la proposition : cf. L. Cortés (éd.), La Chanson de Roland, traduction par P. Gabaudan, Paris 1994: 37 N7 et M. de Riquer (ed.), La Chanson de Roland. Cantar de Roldán y el Roncesvalles navarro, Barcelone 2003: 48. 9 C. Segre (éd.), La Chanson de Roland, traduite de l’italien par M. Tyssens, Genève 1989: I, 303. 10 S. Guida, «Aurelio Roncaglia (1917-2001)», CN 62 (2002): 5-15 (12). Nell’Introduction (vii-lxiii) Alain Corbellari ripercorre le tappe dell’opera (la genesi, le fonti usate da Bédier, lo stile, la visione che il grande filologo aveva del mito, la fortuna del Roman) e spiega i criteri dell’edizione. Per quanto riguarda le fonti, Bédier usa tutte quelle a sue disposizione (che sono in pratica quelle che ancor oggi conosciamo, fatta eccezione per un frammento di Thomas, scoperto in anni più recenti), i testi francesi in prosa e in verso (romanzi, lais, folies . . .), e le riscritture italiane e tedesche: a queste ultime Bédier ha riservato spesso un trattamento di decisa semplificazione, probabilmente perché la sua conoscenza dell’antico tedesco non era perfetta. In ogni caso, «en dépit de l’hétérogénéité des modalités, l’utilisation des sources . . ., on ne décèle pas, dans le texte du roman de Bédier, la moindre rupture du rythme narratif» (xxvii). Si è parlato, per questo Tristan et Iseut, di ricostruzione alla Viollet-le-Duc: dunque il filologo «qui a toujours refusé le mirage des reconstitutions éditoriales lachmanniennes» (xxviii) si sarebbe lasciato tentare in questo caso dalla possibilità di ricreare un Ur-Tristan di sapore vagamente lachmanniano? In effetti, è noto che Bédier basa l’edizione del 1890 del Lai de l’Ombre su uno stemma di tipo lachmanniano, perché lì affondano le radici del bédierismo. Prosegue Corbellari - e non si capisce quanto il pensiero dello studioso moderno si identifichi in quello di Bédier - scrivendo che «l’illusion de ceux qui croient reconstituer l’archétype d’une tradition manuscrite est précisément qu’ils croient en la vérité de leur restitution» (xxix). Ma è giusto precisare, per quanto la questione sia alquanto marginale rispetto al volume qui recensito, che per il filologo lachmanniano serio la vérité dello stemma proposto non è mai assoluta, perché l’albero delle testimonianze manoscritte, lungi dall’essere un totem, o peggio una divinità, rimane un’ipotesi di lavoro perfettibile; e si dovrà aggiungere che il filologo bédieriano serio sa che il bon manuscrit si può scegliere solo e soltanto dopo un’accurata (e lachmanniana! ) recensio. E sa anche, o dovrebbe sapere, che la «semplice» correzione degli errori evidenti è un atto molto spesso soggettivo, che non si sottrae del tutto dallo iudicium dello studioso. Tanto che «la ‹realtà› fisica del codice unico non dà maggiori garanzie di ‹verità› di un sistema documentariamente misto: anche quella conservatrice è un’ipotesi di lavoro» 1 . Comunque sia, prosegue Corbellari, l’accostamento dell’operazione tristaniana di Bédier alle procedure architettoniche di Viollet-le-Duc non gettano alcuna ombra di cedimento al lachmannismo da parte del filologo francese: «conscient d’être d’abord un homme d’imagination, c’est-à-dire un artiste, le restaureur selon Viollet-le-Duc a banni de ses préoccupations l’idée de retrouver une réalité ancienne: il rêve librement et, ce faisant, retrouve par le biais de l’art un équivalent de l’unité à jamais disparue» (xxix). E così, più o meno, avrà fatto il filologo-scrittore. Particolarmente interessante il paragrafo sullo stile della prosa adottata da Bédier, perché la sua influenza «sur les traducteurs du XX e siècle est évidente» (xxix): si tratta, almeno nelle intenzioni del filologo, di un sapiente dosaggio di arcaismi inseriti in un linguaggio però attuale, benché di tipo letterario, perché, come scriveva lo stesso Bédier, «ce qui est mort est mort» (citato a p. xxx). In realtà l’attenta analisi condotta da Corbellari rivela che il filologo-narratore esita a volte tra piani diversi di arcaismi, tanto che alla fine la sua lingua «s’avère . . ., dans le même mouvement, à la fois intemporelle et très caractéristique de son temps» (xxxi). In effetti lo strumento di cui Bédier si voleva servire doveva essere un compromesso tra l’armonia della lingua del XIII secolo e la codificazione proposta nel XIX secolo da Littré; nelle revisioni del Roman Bédier procederà poi a una modernizzazione generalizzata, «signe qu’il était bien conscient des tensions provoquées par sa vision personnelle de l’archaïsme» (xxxiv). 326 Besprechungen - Comptes rendus 1 G. Contini, «Critica testuale come studio di strutture», in: G. C., Breviario di ecdotica, Milano- Napoli 1986: 139. La situazione editoriale del Roman è piuttosto complessa. L’unico manoscritto che possediamo (di mano dello stesso Bédier e di sua moglie) è «une copie soignée», anche se non manca di cancellature e correzioni, cosa che testimonia «la superposition de deux campagnes d’écriture»; probabilmente, scrive Corbellari, si tratta del «document directement remis à l’éditeur» (lvii-lviii). Tuttavia la prima edizione a stampa del romanzo non corrisponde esattamente al manoscritto, tanto che, per esempio, i capitoli nono e decimo di quest’ultimo sono confluiti in un unico capitolo nella stampa, mentre il capitolo XVII del manoscritto è stato soppresso, e la sua materia in parte eliminata, in parte redistribuita nei capitoli XVI e XVII della stampa. Bédier era solito, inoltre, introdurre modifiche anche cospicue tra un’edizione e l’altra, e il numero delle edizioni si moltiplica si può dire fin da subito. L’edizione più antica successiva alla prima che Corbellari ammette di essere riuscito a consultare è la decima, «laquelle n’est même pas datée, mais que divers recoupements nous autorisent à situer vers 1903 ou 1904» (lii): la stessa Bibliothèque Nationale de France sembra non essere in possesso di esemplari anteriori al 1914. Forse uno sguardo al di fuori del territorio francese poteva dare qualche risultato: un rapido controllo nel catalogo delle biblioteche italiane, per esempio, ha rivelato l’esistenza, ammessa la veridicità della scheda, di una copia della quinta edizione, datata 1902, presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. I testimoni usati per l’edizione critica vengono elencati alle p. lvii-lxi e sono: il manoscritto citato, ora di proprietà degli eredi della figlia dei coniugi Bédier; l’edizione di lusso del 1900 (Piazza), più corta rispetto al manoscritto per lasciar spazio alle illustrazioni di Robert Engels; l’edizione corrente dello stesso anno (Sevin et Rey, editore consociato di Piazza); la decima edizione Sevin et Rey, senza data; l’edizione di lusso del 1909; un’edizione Piazza del 1914; le tre edizioni correnti del dopoguerra, quella del 1922, quella del 1924 e quella del 1929 (sempre Piazza); e infine l’edizione maggiormente diffusa oggi, quella 10/ 18 del 1981. Malauguratamente, le ricerche di Corbellari non hanno fruttato né il ritrovamento delle bozze di stampa della prima edizione, né la scoperta di un manoscritto di Bédier più antico di quello citato; in tali condizioni l’edizione genetica dell’opera è, sfortunatamente, solo parziale. Il testo base è l’edizione del 1929 (la duecentonovantottesima): negli ultimi dieci anni di vita (Bédier muore nel 1938) sembra dunque che la furia perfezionistica del filologo-romanziere si sia placata, almeno per quanto riguarda il Roman de Tristan et Iseut (di fatto il testo che si legge oggi, per esempio nell’edizione 10/ 18, è appunto quello del 1929). Il testo critico è accompagnato dall’apparato di varianti conservate sia nelle edizioni che precedono quella del 1929, sia naturalmente nel manoscritto; le parti mancanti nell’edizione di lusso del 1900 sono racchiuse tra parentesi quadre. Essendo la versione definitiva del capitolo XVI molto diversa da quella manoscritta, Corbellari ha pensato di riproporre integralmente quest’ultima in appendice, accompagnata dalla varia lectio solo del manoscritto medesimo (233-39). Si può apprezzare l’umorismo di Corbellari quando scrive che «on nous accordera . . . qu’il ne pouvait être question de proposer une édition lachmannienne du chef-d’œuvre de Bédier! » (lvii); ma la battuta è forse un po’ fuori luogo, perché, visto il tipo di edizione, non sarebbe stato comunque proprio possibile fare un’edizione lachmanniana. L’edizione è accompagnata da una ricca bibliografia (lxv-lxxxii), e da una serie di appendici che comprendono (oltre al già ricordato capitolo XVI secondo la lezione manoscritta) l’intervento del 1919 di Rémy de Gourmont sul Roman (241-46) e l’edizione sinottica del capitolo XVII, che mostra l’uso fatto da Bédier delle fonti (247-73). Chiudono un glossario dei termini arcaizzanti usati da Bédier nella propria traduzione, l’indice dei nomi e una lista dei proverbi. Paolo Gresti ★ 327 Besprechungen - Comptes rendus