Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniMarie Anne Polo de Beaulieu (ed.), Formes dialoguées dans la littérature exemplaire du Moyen Âge. Actes du colloque, Paris (Champion) 2012, 494 p. (Colloques, congrès et conférences sur le Moyen Âge 14)
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Maria Teresa Rachetta
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ben, «les lettres ou ‹épîtres› dédicatoires, imprimées, témoignent généralement de ses relations avec des Français» (37). In ihnen offenbart sich die intellektuelle Welt Lemaires. Die Widmungsschreiben werden gern in Latein abgefasst (fünf der 14 hier edierten Schreiben sind in Latein geschrieben), denn «le latin est préféré pour les lettres de dédicace adressées aux humanistes» (38). Und sie sind immer «partie intégrante du paratexte des éditions imprimées» (39). Es ist richtig, wenn Schoysman als Kriterium für die Aufnahme von Texten in diesen Editionsteil das Vorhandensein einer Adresse und eines Datums zugrunde legt. Und man kann ihr nur zustimmen, wenn sie sagt: «Les lettres imprimées en prose, avec adresse et datées, ne sont . . ., à côté des lettres manuscrites, que l’une des facettes de l’écriture épistolaire . . . au début du XVI e siècle» (40). Editionstechnisch verfährt die Herausgeberin in diesem zweiten Teil wie im ersten: Jedem edierten Brief werden bibliographische Angaben vorangestellt, hier noch ergänzt durch die sehr informative Rubrik «Circonstances de la publication». Und jeder Brief wird auch hier begleitet von ausführlichen und äußerst gehaltvollen Anmerkungen. Der Annex (235-44) enthält zwei in Latein geschriebene Briefe des aus Toulouse stammenden Humanisten Jean de Pins (1470-1537), den Lemaire wahrscheinlich im Jahre 1509 in Lyon kennen lernte. Diese Briefe sind an «Maior» adressiert, in dem Schoysman und andere mit gutem Grund Lemaire erkennen wollen. «Ce sont des lettres d’éloge rédigées dans un latin extrêmement ornatus, des officia, ces services que se rendent les humanistes en se citant et se célébrant les uns les autres» (11). Es handelt sich hier also um eine «fonction toute particulière (de l’)art épistolaire» (11). Der Textausgabe sind vorangestellt ein kurzes «Avertissement» (9-11) und eine ausführliche «Introduction» (13-48), die detailliert über die unterschiedlichen Arten der hier edierten Briefe informiert und dazu alle notwendigen Angaben macht. In dem innerhalb der Einleitung stehenden Abschnitt «Note philologique» (40-48) werden im Wesentlichen die Editionsprinzipien dargelegt. Es folgen der Edition die «Liste chronologique des lettres» (245-9), ein umfassendes «Glossaire» (251-75), das richtigerweise nur «les formes disparues ou celles dont le sens ou l’emploi grammatical diffèrent de l’usage du français contemporain» (251) verzeichnet, ein «Index des noms propres» (277-84), eine sehr umfassende und systematisch gegliederte «Bibliographie» (285-305) und schließlich die «Table des matières» (307-10). Zusammenfassend kann ich feststellen, dass Schoysman eine ausgezeichnete Textausgabe vorgelegt hat, für die man ihr dankbar sein kann. Besser kann man es nicht machen! Arnold Arens ★ Marie Anne Polo de Beaulieu (ed.), Formes dialoguées dans la littérature exemplaire du Moyen Âge. Actes du colloque, Paris (Champion) 2012, 494 p. (Colloques, congrès et conférences sur le Moyen Âge 14) La presente raccolta costituisce una nuova testimonianza di come il carattere esemplare della letteratura sia oggi uno dei campi di studio più proficuamente indagati della medievistica: l’attenzione ormai pluridecennale ad esso dedicata consente di accedere ai risultati di un vasto lavoro di scavo storico 1 , una sintesi dei quali è qui fornita da Jean-Claude Schmitt, 349 Besprechungen - Comptes rendus 1 Sostanziato tra l’altro in numerose raccolte di saggi analoghi a quella qui presa in esame: J. Berlioz/ M. A. Polo de Beaulieu (ed.) 1992: Les Exempla Médiévaux: introduction à la recherche, nelle «Conclusions» (445-50).Al di là di ciò, il volume rappresenta un ottimo esempio di impostazione di ricerca ad ampio raggio sulla base di un’idea di lavoro ancora largamente da sfruttare, definita ma elastica, aperta alla valorizzazione delle specificità di testi e tradizioni senza sacrificio per la confrontabilità dei risultati. Nella sua «Introduction» (9-19), Marie Anne Polo de Beaulieu esplicita le direttive di ricerca. Il corpus dell’indagine è esteso all’intera «littérature exemplaire», quindi ad ogni genere di testo didattico facente ricorso all’uso di exempla (11-12). Una scelta felice, in quanto consente di superare i limiti (del resto altamente problematici) che una selezione basata sul genere avrebbe imposto, includendo nell’analisi testi non prototipici o marginali in termini di attestazioni o riscontri, per ragioni diverse di difficile inquadramento nell’ambito di una classificazione a base tematico-formale come anche in una a base strettamente funzionale o pragmatica (come, ad esempio, l’Estoire del Saint Grail o i sermoni sulla Passione tardomedievali). All’analisi dell’elemento dialogico spetta l’ordinamento e la razionalizzazione di tale vasto insieme di fonti. Esso viene preso in considerazione sia come dispositivo macrostrutturale, al livello dell’articolazione dei testi nel loro insieme, sia come elemento della mesostruttura, all’interno dell’exemplum nell’interazione con l’aspetto narrativo (16- 18). Oggetti così definiti, discreti ma non puntiformi, vengono sottoposti ad analisi secondo direttrici ampie e spesso intrecciate, che spaziano dallo studio dal punto di vista della retorica della persuasione all’indagine delle possibilità di sfruttamento dei testi come fonti per un’approssimazione delle effettive pratiche discorsive nell’ambito dell’oralità. In quest’ultima direzione si muove il contributo di Peter von Moos, «Du miroir des princes au Cortegiano: Engelbert d’Admont (1250-1331) sur les agréments de la convivialité et de la conversation» (103-60), un ulteriore tassello nell’ampio quadro tracciato negli ultimi decenni dall’autore. Lo Speculum virtutum dell’abate e poligrafo benedettino costituiva in origine «la théorie ou le mode d’emploi» di una compilazione perduta di materiali atti ad essere inseriti nelle conversazioni (137-39). In Engelbert la ricezione di Aristotele «comme maître de la convivialité» (150) rappresenta uno dei prodromi bassomedievali all’«émancipation d’une théorie politique profane, exempte des contraintes et interférences traditionelles de la religion» (ibidem). Carmen Cardelle de Hartmann, nell’articolo «Dialogue littéraire et récit exemplaire dans la littérature monastique de Sulpice Sévère à Grégoire le Grand» (55-68), mostra come la rappresentazione del colloquio tra un monaco più anziano ed un novizio nei testi esemplari antichi (a partire dal Gallus di Sulpicio Severo e dalle traduzioni di Rufino di Aquileia) presenti un elevato livello di stilizzazione retorica o di standardizzazione normativa (60-61). La presenza di un’«oralité fictive» (62) è in questi testi un dispositivo di mutuo accreditamento del racconto esemplare e dell’insegnamento orale. Marion Uhlig, in «Le dialogue père/ fils dans la Disciplina Clericalis et ses traductions françaises en vers» (163-79), propone un’interrogazione dei testi come fonti per l’approssimazione dell’oralità mediante lo sfruttamento della «dimension réflexive» sottesa all’elaborazione letteraria (164). Nelle Fables Pierre Aufons ad una generale riduzione dei contenuti di carattere sapienziale corrisponde l’introduzione di un «énonciateur unique» (174). Nel Chastoiement d’un père à son fil, invece, la concezione dell’insegnamento come «un savoir élitiste, que seule autorise la connivence philosophique» (177) comporta un’operazione di riduzione delle figure della cornice alla coppia padre/ figlio. 350 Besprechungen - Comptes rendus Carcassone; J. Berlioz/ M. A. Polo de Baulieu (ed.) 1998: Les Exempla Médiévaux. Nouvelles perspectives, Paris; J. Berlioz/ M. A. Polo de Beaulieu (ed.) 1990: L’animal exemplaire au Moyen Âge (V e -XV e siècles), Rennes; M. A. Polo de Beaulieu/ P. Collomb/ J. Berlioz (ed.) 2010: Le Tonnerre des exemples. Exempla et méditation culturelle dans l’Occident médiéval, Rennes. Una serie di altri contributi è caratterizzata da una prospettiva più strettamente storicoletteraria, proponendo analisi della forma dialogica entro tradizioni testuali di grande ampiezza o altamente modellizzanti come chiave per lo studio delle eventuali discontinuità strutturali riscontrabili in esse. Carlo Delcorno, in «Les dialogues des pères du désert et les exempla des prédicateurs» (23-53), analizza i processi di riscrittura applicati ai dialoghi compresi nelle Vitae Patrum e nelle raccolte di apoftegmi nell’ambito del loro riuso nelle «summe exemplorum» e nelle raccolte di reportationes, proponendo una prima analisi formale di un corpus generalmente considerato solo in relazione ai meccanismi compilativi. Cristiano Leone, in «De la Disciplina Clericalis à l’Alphunsus de Arabicis eventibus: vers une redéfinition des protagonistes» (359-75), propone un esteso sondaggio della tradizione connessa alle riscritture della Disciplina che consente di collocare in una tendenza, quella cioè alla semplificazione della cornice, le varie strategie di determinazione concreta dei personaggi mediante l’imposizione di nomi propri, entro la quale si collocano le particolari scelte operate dall’autore dell’Alphunsus. Peter Tóth, in «La vision du Christ dans le Jardin de Gethsémani. Un exemplum théologique sous la forme d’un dialogue pseudo-apocryphe» (423-43), presenta e discute un interessante caso di sviluppo tardivo di materiale apocrifo, nel contesto della produzione omiletica francescana di XIV e XV secolo e in particolare dei cosiddetti sermoni sulla Passione. Attraverso un vasto dossier documentario, l’autore dimostra la vitalità dell’etopea a carattere esegetico nella divulgazione di contenuti teologici, nella fattispecie l’epistemologia di Giovanni Duns Scoto. La maggior parte degli interventi è tuttavia dedicata all’analisi dell’elemento dialogico al servizio dell’interpretazione o della migliore storicizzazione di singole opere. In quest’ottica Bruno Judic, in «Le recueil fondateur: Les Dialogues de Grégoire le Grand» (69-87), presenta risultati di una ricognizione operata su alcuni codici dei Dialogi redatti tra IX e XIII secolo in area francese dando conto delle forme concrete assunte dalla praenotatio nominum, ovvero dalla marca specifica della struttura dialogica nella mise-en-page. La forte permanenza di tale impostazione anche nelle raccolte agiografiche che trasmettono la sola Vita Benedicti induce l’autore a suggerire convincentemente la possibilità di attribuire ai Dialogi un ruolo rilevante nella permanenza della forma dialogata nella tradizione delle raccolte di exempla. L’ipotesi che tale forma possa essere ricondotta ad «un archétype remontant à Grégoire lui-même» (87) attende, invece, ulteriore approfondimento sulla base di dati più estesi. Andrea Livini, nel contributo «Dialogisme et didactique au cours du haut Moyen Âge: quelques observations sur la diversité des fonctions des Disputationes carolingiennes» (89- 101), circostanzia ulteriormente la sua proposta di ricollocazione critica dell’enigmatica e controversa Cena Cypriani sulla base di ipotesi relative alla ricezione altomedievale del testo. La marcata e caratterizzante finalità didattica già fondamentale nella ricezione contemporanea all’opera e poi determinante per la fortuna medievale del testo sarebbe indicata dalla presenza in esso di enigmi in prosa analoghi a quelli contenuti negli Joca Monachorum e nella Disputatio Pippini regalis et nobilissimi iuvenis cum Albino scholastico di Alcuino di York (96). L’ipotesi, sicuramente innovativa, attende però ulteriori verifiche, in particolare una più analitica considerazione delle rielaborazioni della Cena ad opera di Rabano Mauro e di Giovanni di Montecassino e soprattutto la precisazione del peso relativo e dell’esatta collocazione della finalità didattica nell’economia di un’interpretazione complessiva di un testo intricato come la Cena Cypriani. Catherine Nicolas, nel contributo «Exemplum et dialogisme poétique dans l’Estoire del Saint Graal: l’éclairage mutuel des recueils d’exempla et du roman» (181-93), recupera all’attenzione critica un testo atipico e relativamente trascurato. Il concetto di «dialogisme» consente di fornire un’interpretazione della sezione finale dell’Estoire, caratterizzata da un 351 Besprechungen - Comptes rendus ricorso massiccio all’exemplum e da una scarsa coerenza strettamente narrativa, nei termini di discorso relativo a «une vérité moins dogmatique, plus personelle et plus intime» rispetto a quella filosofico-teologica, nell’ambito di una «poétique de la demostrance» (189). Victoria Smirnova, in «Le Dialogus miraculorum de Césaire de Heisterbach: le dialogue comme axe d’écriture et de lecture» (195-218), propone di riconnettere la forma del Dialogus Miraculorum ad una diretta imitazione dei Dialogi gregoriani. Nonostante la scrupolosità dell’argomentazione addotta l’ipotesi che Cesario di Heisterbach non abbia conosciuto alcuna altra raccolta di exempla inquadrata in una struttura dialogica appare di non semplice dimostrazione: la mancanza di testimonianze positive dell’esistenza di copie di altri eventuali modelli ad Heisterbach e in altri luoghi di attività e relazioni di Cesario (198- 99) sembra essere solo parzialmente probante vista la scarsità degli inventari e l’entità del materiale non conservato. Nella Appendix I l’autrice suggerisce l’ipotesi di una diretta relazione imitativa tra il Dialogus Noviciorum di Tommaso da Kempis e il Dialogus Miraculorum, nonchè l’esistenza di una seconda redazione del Dialogus Noviciorum, posteriore all’entrata di una copia del Dialogus Miraculorum ad Agnetienberg, monastero di residenza di Thomas, nell’ambito della quale sarebbe stata imposta la forma dialogica (218). Entrambe le ipotesi attendono e meritano ulteriore approfondimento, in particolare la seconda in relazione alla sua conciliabilità con il dato per il quale «la comparaison des deux ouvrages dans toutes leurs parties démontre que Thomas ne recourt pas directement au Dialogus miraculorum» (217) e con la constatata vastissima circolazione dell’opera di Cesario nell’ambiente di attività di Thomas (ibid.). Alice Lamy, in «Les formes dialoguées dans le De vita philosophorum et poetarum de Walter Burley (1274-1344)» (219-32), propone una lettura della raccolta di vite di uomini illustri a confronto con la sua fonte principale, l’opera di Diogene Laerzio. L’analisi tipologica presentata è efficace, ma avrebbe meritato di essere approfondita in una prospettiva pienamente storica mediante l’integrazione con i dati offerti dal dibattito corrente relativo alla probabile attribuzione del De vita ad un autore anonimo italiano (probabilmente veneto) operante tra 1317 e 1320 2 e soprattutto dalle ricerche sulla storia del testo delle Vite di Diogene Laerzio, che hanno già fornito articolate ipotesi sulla traduzione latina fonte immediata del De vita (denominata versio Aristippi) 3 . Amy Suzanne Heneveld, in «Le Donnei des amants: un dialogue d’exempla pour un enseignement amoureux» (233-42), fornisce una lettura del Donnei organica e innovativa rispetto alla definizione di opera mista, di transizione tra «monde des clercs et le monde proprement dit» (233) che era di Gaston Paris. L’autrice interpreta il Donnei come un’opera in cui «un discours érotique prend des tournures cléricales, et des paroles de séduction fournissent une opportunité d’échanger le savoir» (238), nella direzione quindi di una interpretazione più organica e sfumata dell’opera, non del tutto ignota agli studi poiché già in parte percorsa in un saggio di Keith Busby 4 . L’autrice, inoltre, propone una datazione del testo più bassa rispetto a quella avanzata da Paris: anziché la fine del XII secolo, più adeguata sarebbe il pieno XIII. Alla base si tale ipotesi l’autrice pone i versi 15-16 del Donnei «Oï 352 Besprechungen - Comptes rendus 2 M. Grignaschi 1990: «Lo pseudo Walter Burley e il Liber de vita et moribus philosophorum», Medioevo 16: 131-90; M. Grignaschi 1990: «Corrigenda e addenda sulla questione dello ps.Burleo», Medioevo 16: 325-54; Il Chronicon di Benzo d’Alessandria e i classici latini all’inizio del XIV secolo. Edizione critica del libro xxiv «De moribus et vita philosophorum», ed. M. Petoletti, Milano 2000: 35 N38. 3 T. Dorandi 2009: Laertiana. Capitoli sulla tradizione manoscritta e sulla storia del testo delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, Berlin: 201-28. 4 K. Busby 1989: «The Donnei des Amants and Courtly Tradition», Medioevo Romanzo 14: 181-95. ses oiselès chanter/ Un respondre, autre oposer», che costituirebbero la chiave per un’identificazione netta dei personaggi umani del Donnei come magister (il narratore), opponens e respondens (gli amanti), ruoli codificati entro la pratica del dibattito universitario dopo il 1230. L’ipotesi, piuttosto rischiosa in quanto dipendente dal tentativo di attribuire, sulla base di questi due versi, una connotazione metaforica secondo una particolare accezione tecnica al complesso dell’opera, è del resto inficiata dalla topologia delle due forme nei versi in esame: nel dibattito universitario «l’opponens commençait le débat, et le respondens répondait» (236); rigido ordine contrario a quello attestato qui 5 . La questione della datazione andrà comunque approfondita e confrontata con l’analisi della versificazione, che Paris riteneva arcaica sulla base della sostanziale assenza di brisure du couplet e per la ricorrente cesura in quarta sede 6 . Bénédicte Boudou, in «Échanges de proverbes dans les dialogues des Nouvelles Récréations et Joyeux Devis de Bonaventure des Périers (1544)» (243-56), fornisce un’interessante analisi di un riuso relativamente tardo di materiali esemplari rimontanti a fonti medievali. Essi vengono sottoposti a dei «procédés d’oralisation» di ascendenza teatrale (244-45). Tali riscritture giocano un ruolo fondamentale nell’economia dell’opera, caratterizzata da situazioni problematiche generate dall’ambiguità della lingua orale (nel caso dell’uso di omonimi o di parole polisemiche), dalla specificità degli idiomi locali o dall’uso del registro scritto in un contesto non appropriato (245-46). Corinne Denoyelle e Denis Lorée, in «Placides et Timeo: le dialogue comme propédeutique à l’exercice du pouvoir» (289-307), si dedicano allo studio di un singolare testo in prosa francese composto tra XIII e XIV secolo, dialogo tra precettore e allievo che combina informazione enciclopedica e miroir du prince, in una sorta «d’hapax littéraire» (291). L’interesse dell’approccio degli autori risiede nell’analisi dei dialoghi mediante una strategia strettamente narratologica che prevede una distinzione dei tipi delle tipologie di dialogo in relazione all’azione (292). Julie Jourdan, in «La voix de l’ennemi: dialogues entre le diable et l’homme dans le Ci nous dit (Chantilly, Musée Condé, mss. 26-27)» (309-27), analizza la rappresentazione delle interazioni dialogiche tra la figura diabolica e gli uomini, laici e religiosi, all’interno del testo del Ci nous dit (composto tra 1315 e 1330) congiuntamente alla resa di essi nell’apparato iconografico nel codice di Chantilly, cronologicamente molto vicino alla composizione dell’opera. La disamina dell’autrice illustra l’analogia tra dialogo e immagine: «comme elle, le dialogue active et rend présent» (327). Anne-Zoé Rillon-Marne, in «Musique et poésie dans les conduits dialogués de Philippe le Chancelier» (329-55), ricostruisce un interessante corpus di sei componimenti, tutti attribuiti dalla tradizione manoscritta o attribuibili a Filippo il Cancelliere, che rappresentano gli unici esempi di componimenti dialogati nella produzione parigina inquadrabile nel genere del conductus tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII (331). La varietà delle scelte formali adottate sia sul piano letterario che su quello musicale (con la possibilità, nel caso del componimento Anima iuge, di ipotizzare un adattamento sotto forma di mottetto) configura la possibilità di individuare in questo corpus un elevato livello di spe- 353 Besprechungen - Comptes rendus 5 Inoltre respondre e oposer costituiscono una coppia largamente attestata in francese antico con caratteri sia sinonimici che antonimici almeno a partire da Chrétien de Troyes, («A li sole [i. e. sé stessa] opose et respont» in: Kristian von Troyes, Cligés, ed. W. Foerster, Halle 1901: 114, v. 4408), a testimonianza dell’articolata storia della cooccorenza dei due verbi precedente la tecnicizzazione in ambito universitario. 6 G. Paris 1889: «Le Donnei des Amants», R 25: 497-543 (533); A. Punzi 1988: «Materiali per la datazione del Tristan di Thomas», CN 48: 9-71 (48-53). rimentazione formale. Negli «Annexes» viene fornita l’edizione di ciascun testo e melodia relativa secondo un testimone (345-55). Christine Boyer, in «La mise en dialogue des exempla d’Étienne de Bourbon par Humbert de Romans. Le dialogue dans les exempla du De dono timoris de Humbert de Romans» (377-89) illustra le modalità di trattamento dei dialoghi nel passaggio redazionale tra le due raccolte. Particolare interesse riveste la comparazione tra la versione dell’exemplum 68 compresa nella raccolta e quella tràdita da uno dei sermoni dello stesso Humbert de Romans (388-89), istruttivo nella misura in cui la struttura dell’exemplum rimane tipologicamente molto vicina nelle due versioni. Margarida Madureira, in «Une allégorie de la lecture: la fonction du dialogue dans le Boosco deleitoso» (391-404) illustra le modalità della reinterpretazione di vaste sezioni del De vita solitaria petrarchesca nel Boosco, testo dottrinario redatto probabilmente a cavallo tra XIV e XV secolo. L’anonimo autore reinterpreta la fonte petrarchesca in una struttura dialogica mediante la resa in prima persona del racconto, che assume così i tratti di una «pseudo-autobiographie spirituelle et allégorique» (398), e l’inserimento in qualità di interlocutori diretti delle figure che nel De vita solitaria rappresentano auctoritates le cui posizioni vengono citate, riassunte e discusse (394-96). Charlotte Bonnet, in «Mise en scène et fonctions de la forme dialoguée dans le Dialogue sur le jeu (1505) de François Demoulins de Rochefort» (405-22), analizza un interessante esempio di manuale di confessione, redatto ad uso del giovane Francesco I, nel quale diverse strategie discorsive vengono messe in campo congiuntamente all’iconografia in una vera e propria «mise en scène du repentir» (420) fortemente orientata alla verosimiglianza (407-408). Di grande interesse la proposta di connessione tra il Dialogue e il commento di Filippo Beroaldo al De ludo pseudo-virgiliano. Infine, alcuni saggi sono dedicati ad una prima estensione del campo di indagine ad un contesto culturale più ampio, segnatamente alle fonti arabe. Nejmeddine Khalfallah, in «Normativité musulmane et dialogue exemplaire» (259-75), analizza la normazione dello scambio dialogico tra dotto e discepolo nei trattati di diritto, di morale, nella letteratura sufi e nella storiografia dell’ XI secolo. L’autore illustra la dettagliata classificazione dei possibili dialoghi sapienziali tramite la quale l’insegnamento privato trovava regolamentazione nell’ottica del consolidamento della struttura politico-religiosa in seguito alle agitazioni politiche e agli scismi dottrinali che avevano caratterizzato l’impero abbaside durante il X secolo (271-72). Aboubakr Chraïbi, in «Débat, sacrifice du conseiller et ruse à la Zopyre» (277-87), sfrutta la testimonianza di due testi arabi nella definizione della figura del consigliere e della sua cangiante relazione con il sovrano. Nella prima parte del saggio l’analisi verte sul capitolo 2 della versione araba di Kalila e Dimna, assente nell’originale persiano e interpolato con l’esito di fornire un modello di regalità più autoritario e deresponsabilizzato (280-82). In seguito viene analizzato il capitolo 4, variante del tema del consigliere che sacrifica sé stesso per ottenere la fiducia del nemico e garantire al sovrano la vittoria finale (come accade all’episodio del nobile persiano Zopiro narrato da Erodoto). La versione del Kalila e Dimna viene comparata alla variante trasmessa dall’Histoire de Zénobie di ambiente beduino (286-87). La raccolta offre quindi numerosi spunti sia nell’ambito della ricostruzione storica di pratiche e tradizioni che nell’interpretazione di singoli testi. L’unitarietà sostanziale dell’impostazione lo rende uno strumento prezioso in sé, il cui valore supera sicuramente la somma di quello delle sue parti. Il volume è completato da una bibliografia sommaria, da un indice dei nomi e da un indice dei manoscritti citati. Maria Teresa Rachetta ★ 354 Besprechungen - Comptes rendus
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