eJournals Vox Romanica 72/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2013
721 Kristol De Stefani

Philippa Ji-hyun Kim, Pour une littérature médiévale moderne. Gaston Paris, l’amour courtois et les enjeux de la modernité, Paris (Champion) 2012, 218 p. (Essais sur le Moyen Âge 55)

121
2013
Gerardo  Larghi
vox7210357
espace en fonction de son utilité pour l’homme, etc. . . . Mais c’est une autre ressemblance encore qui paraît devoir apporter le plus de poids à l’étude de C. Prud’Homme: celle qui voit l’élaboration chez Deschamps et Froissart de pratiques semblables lorsqu’il s’agit d’enquêter sur l’Autre, et qui fondent sur le témoignage direct - choses vues, choses entendues - la condition de leur accès à la vérité. C. Prud’Homme offre ici une étude serrée de la manifestation de la figure de l’auteur dans le cadre viatique; les analyses des pièces de Deschamps et Froissart, si elles cèdent quelques fois au descriptif, soutiennent cependant dans leur ensemble des vues assurées sur la problématique choisie. Une remarque cependant: il eût été porteur de s’attarder sur la porosité de la notion même de «discours sur le voyage», plutôt que d’en faire une notion aussi close sur elle-même. La question de la nature, explicite ou implicite, de la réflexivité qui peut s’y manifester, devrait être posée: de la réponse qui sera donnée dépendra un élargissement de la thématique, ainsi que du corpus qui pourra y être attaché. De même, par la possibilité de son inscription au sein d’éléments textuels autres et englobants, le discours sur le voyage nous semble devoir générer des effets de transition qui, une fois reconnus, incitent eux aussi à ouvrir son champ d’application. Philippe Simon ★ Philippa Ji-hyun Kim, Pour une littérature médiévale moderne. Gaston Paris, l’amour courtois et les enjeux de la modernité, Paris (Champion) 2012, 218 p. (Essais sur le Moyen Âge 55) L’amour courtois è un tema che, per quanto sfuggente nella sua definizione ultima e enigmatico nella sua fattualità storica, non smette di appassionare i critici che da oltre un secolo gli dedicano le loro riflessioni, talora, a dire il vero, con risultati non pari alla tenacia profusa. Il libro che qui presentiamo s’iscrive precisamente entro le indagini che intendono far luce sul concetto di amour courtois precisamente attraverso lo scavo dell’ambiente culturale, filosofico e sociale che gli diede i natali. La ricerca, che si muove sulla scorta del filone di studi inaugurato da Ursula Bähler, allarga i propri orizzonti fino a esplorare le radici della disciplina accademica professata da coloro (o meglio da colui, Gaston Paris) che precisarono i confini e i contenuti dell’amor cortese, nonché i rapporti tra la filologia romanza ed i movimenti romantici e decadentisti. L’autrice si è formata negli atenei coreani ma si è perfezionata ad Harvard e a Parigi ed oggi è docente nelle università statunitensi; il libro è il frutto della sua tesi di dottorato. L’indagine si divide in quattro capitoli. Il primo di essi esplora il movimento decadentista, e il decadentismo in quanto concetto filosofico professato da ambienti e circoli parigini che ebbero intensi contatti, intellettuali e umani, con Gaston Paris: ne emerge un profilo del padre della filologia romanza decisamente nuovo, di cui Kim non si priva di sottolineare le contraddizioni, le pulsioni, le passioni sentimentali, ma anche i più carnali desideri. Il secondo capitolo introduce il lettore nel salotto letterario e artistico del fondatore della rivista Romania, ed in particolare ne analizza le relazioni umane e culturali con de Bourget, teorico del decadentismo letterario, e soprattutto con Sully Prudhomme, poligrafo premiato, tra critiche e polemiche, con il primo Nobel per la letteratura. L’autrice qui segue dappresso la tesi secondo cui nell’elaborazione della concezione amorosa avrebbe giocato una parte importante, l’amicizia personale tra Paris e Prudhomme, il rapporto nato cioè tra due uomini egualmente frustrati nei loro desideri personali, e sempre anelanti a un nostalgico, e dunque irraggiungibile, amore idealizzato. Rispetto alla struttura complessiva del volume, stona però un po’ aver dedicato un cospicuo numero di pagine (una quindicina 357 Besprechungen - Comptes rendus [49-64]) alla dimostrazione dell’esistenza di un «salon de Gaston Paris» di cui nessuno ha mai dubitato. Le fonti al riguardo non souo abbondantissime, tanto che proprio la limitatezza delle informazioni lascia il lettore «un peu sur sa faim», cosa di cui non può certo essere incolpata la studiosa. Ma da lei invece ci si sarebbe attesi uno sfruttamento meno superficiale dei dati raccolti: nel momento in cui Kim cerca di entrare nella materia delle conversazioni, la studiosa è costretta di accontentarsi di giudizi piuttosto banali, o di caute ipotesi per lo più fondate sulla logica deduttiva piuttosto che non su prove testimoniali.Aver radunato (quasi) tutte le testimonianze circa la sussistenza di questo circolo culturale e intellettuale non aggiunge dunque granché a quanto si sapeva, e le citazioni che Kim accumula intorno a questo punto riescono ad illustrare solo lateralmente i contenuti dei dibattiti che avvenivano in quelle domeniche pomeriggio a rue de Varennes e nelle altre abitazioni del grande maestro parigino. Nella terza parte l’autrice indaga il tema della creazione dell’amor cortese da parte dell’amico e collega di Paul Meyer. Queste pagine rappresentano il cuore dello studio: in esse Kim dimostra ad abundantiam che Paris non intese mai esaltare l’amor cortese, che ai suoi occhi rappresentava anzi un esempio di artificiosità, di amore «razionalistico», una degenerazione di quell’amore «puro» tipico della poesia bretone. Simile deformazione, nel pensiero di Paris, sarebbe da addebitarsi ad «éléments propres au milieu de cour français, tels que la courtoisie et l’art d’amour» (103). Volendo stabilire la priorità dei romanzi versificati sui corrispondenti testi in prosa, Paris finì dunque per teorizzare il decadimento della passione verso il sentimento artificioso, il declino dalla spontaneità tristaniana alla artificiosità del Lancelot, in ultima analisi arrivando ad opporre decadenza e Naturpoesie. Occorre a tal proposito notare, con favore, che l’autrice non aderisce a quelle interpretazioni psicanalitiche che ci hanno consegnato un Gaston Paris un po’ troppo «pascoliano» e secondo le quali il maestro d’Oltralpe avrebbe in fatti elaborato la teoria di un amore invincibile ma irraggiungibile solo in quanto innamorato della sorella. A ragione Kim volge il suo sguardo invece in direzione degli studi filosofici e scientifici della seconda metà dell’Ottocento, analizzando l’amor cortese alla luce del linguaggio allora utilizzato nelle opere letterarie e nei saggi critici, relazionandolo con le sensibilità intellettuali cui esso dava voce. In questo senso si deve rimarcare la particolare pregnanza del riferimento che l’autrice fa alla seconda tra le Considerazioni Intempestive di Nietzsche («De l’utilité et de l’inconvénient des études historiques pour la vie»), e alla centralità del dibattito su Storia, Filologia e Filosofia per la cultura di quei decenni. Questa parte del lavoro è anche indubbiamente la più interessante e quella apportatrice degli spunti più avvincenti, per quanto anch’essa soffra di una certa carenza di meditazione su certuni passaggi. Colpisce, ad esempio, la genericità e la carenza informativa con cui Kim affronta la questione ecdotica, pur così decisiva per quella generazione di filologi (123-27). Le parole stesse con cui è introdotta questa parte del libro, «la discipline de Gaston Paris - la philologie - était, sur le plan idéologique, une création de l’époque, c’est-à dire de la deuxième moitié du dix-neuvième siècle» (123), avrebbero quanto meno dovuto essere sfumate e precisate, se non altro perché, a voler lasciar cadere la questione cronologica, l’elaborazione del cosiddetto metodo di Lachmann non fu né istantanea né univoca, ma fu il frutto di un processo assai lento e complesso, sul quale pesarono plurimi fattori 1 attivi in un 358 Besprechungen - Comptes rendus 1 Sul punto sarebbe stata utile la meditazione delle pagine di G. Fiesoli, La genesi del lachmannismo, Firenze 2000, di E. Montanari, La critica del testo secondo Paul Maas. Testo e commento, Firenze 2003, oltre che (almeno) di L. Castaldi/ P. Chiesa/ G. Gorni, «Teoria e Storia del Lachmannismo», Ecdotica 1(2004): 55-81, ma anche di quanto negli ultimi anni si va producendo attorno al tema dell’ecdotica e dei suoi strumenti. arco di tempo assai lungo. Valutare l’influsso di un simile dato sul pensiero parisiano non sarebbe stato inutile soprattutto per chi, come Kim, si era proposto di studiare la genesi di un’idea in rapporto ad un’intera epoca. In questa parte del lavoro non mancano imprecisioni che rischiano di inficiare l’intero ragionamento: si veda per esempio la frase «la distance entre l’original et les variantes représente non seulement le temps, mais aussi le degré d’altération («contaminatio»), voire de décadence» (124-25), che pare lasciar intendere una assimilazione tra contaminazione e decadenza. In realtà la contaminatio, fenomeno assai noto e indagato, è una alterazione tipica delle tradizioni attive (come gran parte di quelle medievali) ed è tutt’altro che una manipolazione meccanica prodotta da quello «scriba-macchina» tratteggiato da Cerquiglini nel suo Éloge de la variante. Nella quarta parte del suo lavoro Kim si dedica alla atomizzazione del concetto di amour courtois alla luce di quanto Paris, in tre momenti ben distinti della sua esistenza, scrisse in merito alle opere di Michelet, Wagner e Mistral. È indicativo, ad esempio, che il fondatore della Romania non abbia risparmiato aspre critiche allo storico francese, colpevole, dal suo punto di vista, di aver voluto insegnare «l’amour comme un art» (138), trasformando dunque una passione in un pensiero razionale, mentre, pur lodando il grande musicista tedesco per aver studiato e riscoperto le leggende medievali e aver aperto la strada per il recupero di quei miti nati nei popoli celtici «dans cette race poétique par excellence» (146), non abbia mancato di sottolineare come Wagner abbia cercato, e trovato, nei miti antichi quei «sentiments profonds, troublants et doux» che le opere medievali seppero esprimere e cui il musicista tedesco diede voce attraverso «l’expression musicale» (149). La ricerca parisiana della purissima connessione tra parola e sentimento è anche all’origine dell’apprezzamento espresso dal filologo per Mistral, di cui lodò la lingua che sarebbe il frutto del suo stretto rapporto con la natura e con l’ispirazione del «peuple de sa région», e che permetterebbe di replicare l’antica ispirazione trobadorica e di opporsi così alla decadenza (161). Diciamo subito che la tesi di fondo del volume, tesi che l’autrice raccoglie nelle sue conclusioni, è convincente. Gaston Paris fu, in effetti, uno scienziato che applicò strumenti moderni alla romantica ricerca della purezza originaria - purezza delle leggende bretoni, purezza dell’amore «naturel, pur et puissant» (164) - che per lui si opponeva alla deriva decadente della storia. La studiosa a ragione, infatti, sostiene che «l’amour courtois est . . . le produit dérivé» della decadenza che tra XII e XIII secolo avrebbe subito la letteratura medievale. Il maestro parigino proiettando «les sentiments médiévaux profonds sur les âmes décadentes contemporaines, et les préoccupations contemporaines sur le passé» (165), ha reso moderna la letteratura medievale, inserendola nella storia sua (e nostra) coeva. Per quanto sia originale e non privo di spunti e analisi interessanti ed originali, il volume, come visto, non è privo di mende e in più punti sembra non aver attraversato quella necessaria fase di rimeditazione che ogni lavoro dovrebbe subire prima di essere dato alle stampe. Esso, ad esempio, avrebbe ricevuto ulteriore impulso e forza dalla più ponderata analisi di quei contributi che l’autrice pur includendo nella sua bibliografia sembra però ignorare: in particolare colpisce il suo silenzio sulle conclusioni cui giunse Rüdiger Schnell circa la inesistenza di una teoria o un trattato sulla fin’amor, la pluriformità dell’amore cortese, che accanto a taluni tratti comuni (esclusività, reciprocità, mezura, disponibilità a penare . . .), presenta una varietà di declinazioni che rendono complesso ogni tentativo di darne un ritratto unitario (non è necessariamente adultero; in qualche caso è incompatibile col matrimonio in altri no; non esclude affatto il pieno appagamento sessuale). Le conclusioni cui pervenne il filologo tedesco, fine ed originale conoscitore della materia, avrebbero giovato alla ricerca della studiosa d’Oltreoceano. Non si comprende inoltre perché Kim abbia attribuito importanza decisiva ad un dibattito, tutto sommato marginale, svoltosi negli Stati Uniti nel 1967 tra alcuni 359 Besprechungen - Comptes rendus studiosi della materia, quando invece sul tema si sono arrovellate alcune delle menti più preparate della filologia e letteratura medievale in una disputa complessa, articolata e prolungata. In generale poi la studiosa tende troppo sovente ad avanzare ipotesi ricostruttive dei rapporti personali e culturali fondandosi su congetture e deduzioni ardite e che la costringono a ricorrere a espressioni basate sui condizionali e fondate solo su frasi ipotetiche (72), le quali finiscono per sottrarre alle sue considerazioni una parte di credibilità. Colpisce poi il fatto che l’autrice citi i passi trobadorici in cui si rinviene l’espressione cortes’amor senza riferirsi alle moderne edizioni critiche (119), oltre che con alcune sviste morfologiche (98). Qualche perplessità suscita anche la decisione di non sciogliere sempre le abbreviazioni contenute nelle epistole citate secondo gli originali (72) oltre che una scrittura che qua e là risente di pesantezze stilistiche e di scelte lessicali improprie, forse dovute ad un pensiero formulato in una lingua differente rispetto a quella in cui è scritto il volume (si vedano ad esempio la consuetudine di scrivere Dumas Fils con maiuscola [61], ovvero il verbo rapetissent [138], la Littérature [168], crudo calco dall’inglese). Ciò detto, ed è evidente che queste mende non toccano la radice stessa della ricerca, né il punto di vista con cui la materia è affrontata e discussa, il libro risulta assai interessante, utile e fa compiere un passo avanti tanto agli studi relativi alla storia della filologia medievale romanza, quanto alle nostre conoscenze in merito alla formazione del concetto di amour courtois. Gerardo Larghi ★ André Thibault (ed.), Gallicismes et théorie de l’emprunt linguistique, Paris (L’Harmattan) 2009, 247 p. Avec ce livre, publié dans la collection Kubaba, André Thibault nous offre un recueil de neuf contributions autour de la problématique des «emprunts» lexicaux dans une perspective sociolinguistique historique. Plus spécifiquement, l’ouvrage est consacré à l’étude des «gallicismes», définis comme les néologismes créés par une langue donnée en imitant ou adaptant des mots d’origine française, que ce soit au contact de ses variantes orales ou écrites. Dans l’introduction, l’éditeur commence par une discussion de la terminologie traditionnelle, avant de présenter les différentes contributions qui s’articulent en trois axes thématiques. Les trois premières contributions portent sur les emprunts dans le cadre diglossique de la Galloromania, notamment en latin médiéval, en occitan et dans les parlers galloromans de la Suisse romande. Ensuite, nous trouvons trois articles consacrés aux gallicismes dans deux autres langues romanes, l’italien et l’espagnol, pour lesquelles le contact linguistique relève du bilinguisme individuel des traducteurs et savants. Les trois dernières contributions traitent de l’influence lexicale du français dans trois langues non-romanes, en l’occurrence l’anglais médiéval, l’anglais nord-américain et le kirundi. La première contribution de Monique Goullet s’intitule «Les gallicismes du latin médiéval» (17-44). Comme point de départ, l’auteure évoque les difficultés méthodologiques que cette recherche suscite. Car, comment identifier les mots latins venant du français, si les mots français viennent eux-mêmes du latin? Pour pouvoir parler de gallicismes, il faut au moins que le latin médiéval et la langue vulgaire aient été ressentis comme deux langues différentes par les scripteurs de l’époque. De la première partie de l’étude, consacrée à la situation sociolinguistique en France durant tout le Moyen Âge, il ressort en effet que l’on ne peut véritablement parler de gallicismes avant 900, date à partir de laquelle le vulgaire galloroman devient langue de prestige et on rentre dans une situation de diglossie. Mais ce n’est que vers la fin du XIII e siècle que les deux langues acquièrent un statut quasi égal et que la question des gallicismes devient vraiment pertinente. La deuxième partie de l’article 360 Besprechungen - Comptes rendus