eJournals Vox Romanica 73/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2014
731 Kristol De Stefani

Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento

121
2014
Sandra  Covino
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Vox Romanica 73 (2014): 1-16 Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 1 Résumé: Ce travail étudie l’influence exercée sur la linguistique italienne par quelques protagonistes de la recherche linguistique européenne entre le XIX e et le XX e siècles: F. de Saussure, H. Schuchardt, J. Gilliéron, Ch. Bally, L. Spitzer et d’autres. En particulier, il met l’accent sur l’œuvre de B.Terracini et B. Migliorini et sur les éléments qui permettent d’illustrer les contacts de ces deux chercheurs et leur ouverture aux tendances les plus avancées de la linguistique européenne de leur temps, à partir des critiques formulées par Terracini et Migliorini à l’égard des méthodes de la dialectologie traditionnelle. L’époque prise en considération est celle de la transition du paradigme neogrammatical aux nouvelles orientations de la linguistique européenne qui s’imposent au début du XX e siècle (de la théorie systématique du mélange linguistique introduit par Schuchardt à la géographie linguistique). Nous nous proposons également d’illustrer la contribution décisive de ces deux «pionniers» à la fondation scientifique et à la définition du profil institutionnel de disciplines académiques telles que l’histoire de la langue et la sociolinguistique italiennes. Mots clé: Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini, Storia della linguistica italiana, Linguistica europea tra Otto e Novecento, Teorie sulla variazione linguistica Keywords: Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini, History of Italian Linguistics, European Linguistics of the 19 th -20 th century, Theories of Linguistic Variation 1. Introduzione Questo articolo è dedicato a due figure di primo piano nel campo degli studi linguistici italiani nella prima metà del secolo scorso, Benvenuto Terracini e Bruno Migliorini, o meglio all’influsso esercitato sulla loro opera da alcuni protagonisti della ricerca linguistica europea tra Otto e Novecento: Ferdinand de Saussure, Hugo Schuchardt, Jules Gilliéron e i rispettivi allievi Charles Bally, Leo Spitzer, Karl Jaberg. Terracini e Migliorini furono tra i primi a entrare in contatto, direttamente o indirettamente, con tali grandi maestri e a farne conoscere gli scritti in Italia, contribuendo a un profondo rinnovamento tematico e metodologico della nostra tradizione glottologica. Determinante è stato, infatti, l’apporto fornito dai due «pionieri» alla fondazione scientifica e alla definizione del profilo istituzionale di discipline come la storia della lingua italiana e la dialettologia di orientamento sociolinguistico. I nodi teorici offerti dalle critiche che sia Terracini sia 1 Si propone qui, con alcune modifiche, il testo della comunicazione presentata al XXVII e Congrès International de Linguistique et de Philologie Romane (Nancy, 15-20 luglio 2013), nella section 15: Histoire de la linguistique et de la philologie, il cui temario sollecitava, tra l’altro, studi «portant sur la réception de Saussure par les romanistes». Sandra Covino 2 2 Tra il 1911 e il 1913 sarà poi lettore di italiano presso l’Akademie für Sozial- und Handelswissenschaften di Francoforte. 3 G. Nencioni 1969: 467-72 parlò di un Terracini «folgorato dalla geografia linguistica» e illustrò «l’inesausta personale elaborazione di quel vivifico esempio» in tutta la sua opera. Migliorini rivolsero alla dialettologia di stampo ascoliano, in un’epoca di trapasso dal paradigma neogrammaticale ai nuovi indirizzi della linguistica europea di primo Novecento, sono ancora oggi al centro della nostra riflessione e determinano interrogativi più che mai attuali sul rapporto tra «fenomeno» e «sistema», nonché sull’impianto e sulla rappresentazione di ricerche relative alla lingua e al contatto di varietà in contesti sociali caratterizzati da un crescente plurilinguismo. 2. La geografia linguistica e lo «spirito del parlante» nella riflessione teorica di B. Terracini Dopo la laurea a Torino nel 1909, Terracini si trasferì per un semestre a Parigi per frequentare l’École des Hautes Études 2 . Qui - come ha scritto Maria Corti 1970: 12-13 - «trovò ... studiosi con cui stabilì quel sottile rapporto di derivazione culturale che consente il riconoscimento dei propri maestri»; è d’obbligo citarne almeno due: Antoine Meillet, che con le sue lezioni sulla storia della lingua greca al Collège de France gli offrì uno straordinario esempio di indagine sui fattori storici nei processi di sviluppo delle lingue, e soprattutto il già ammirato Gilliéron, di cui Terracini 1926 ci ha lasciato un indimenticabile ritratto, utile a capire la rilevanza del suo incontro con la geografia linguistica 3 . Carlo Alberto Mastrelli 1989: 73, negli atti del convegno per il centenario della nascita del linguista piemontese, ha indicato tra i frutti dell’esperienza parigina il «cambiamento di rotta» che il lavoro sulla parlata di Usseglio subì nell’Appendice, pubblicata nel 1914 sempre nell’Archivio glottologico italiano, con il sottotitolo Varietà nel parlare di Usseglio. Nella prima parte del saggio, ricavata dalla tesi di laurea, al di là di una minuziosa descrizione fonologica secondo gli schemi tradizionali, l’autore si era già proposto «di distinguere nelle varie tendenze sorprese tra la moltitudine dei parlanti, i fenomeni che stanno per tramontare, o dan segni di minore vitalità, da quelli che invece s’annunziano come recenti innovazioni»; tra questi «tutti i mutamenti dovuti al novissimo influsso del piemontese» (Terracini 1911-13: 199), cioè della varietà panregionale di maggiore prestigio. Nell’Appendice il linguista si spingerà ancora più avanti: dichiarerà esplicitamente, infatti, di volere abbandonare «la semplice esposizione descrittiva di una sola parlata» e di tutti quegli elementi apparentemente «uniformi e immobili», approfondendo invece «il movimento e la varietà del parlare», nonché la molteplice «natura» dei mutamenti, siano essi innovazioni provenienti da paesi limitrofi o fatti locali, in cui è possibile scorgere - se il punto d’origine è vicino nel tempo - l’attività individuale Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 3 4 Ma cf. già, a questo proposito, Gauchat 1905: 222: «L’unité du patois de Charmey, après un examen plus attentif, est nulle.» dei parlanti ed è possibile studiare i processi di espansione cronologica, attraverso le generazioni, e topografica, attraverso le varie parti e frazioni del villaggio (cf. Terracini 1914-22: 105-6). Alla base di tali propositi appaiono le stesse convinzioni teoriche che ispireranno la recensione negativa dedicata da Terracini al Cours di Saussure nel 1919, due anni dopo la stroncatura schuchardtiana: l’oscillazione e la fluidità del sistema linguistico e l’impossibilità di separare sincronia e diacronia, lingua e sua attualizzazione. Negli atti già citati per il centenario terraciniano, compare anche un saggio di Corrado Grassi 1989 sulla geografia linguistica, in cui viene affrontata la problematica dell’unità del punto linguistico, con particolare riferimento alla comunicazione presentata da Terracini nel 1959 al Congresso triestino della Società per il Progresso delle Scienze e alla diversa posizione di Terracini rispetto a quella di Jaberg. Partendo dalla celebre affermazione di Jaberg/ Jud 1928: 216 «die lautliche Einheit der Dorfmundart ist ein Mythus» 4 , Grassi 1989: 65 osserva: dopo aver coerentemente e congiuntamente sviluppato l’intuizione gillierionana secondo la quale nella varietà del punto andava cercata la varietà dell’area, Jaberg e Terracini divergono nel senso che mentre il primo si limita a relativizzare il valore delle risposte riportate sulle carte dell’AIS, Terracini si propone di dare un nuovo valore unitario al punto linguistico. ... egli affronta ... il problema stesso del sistema linguistico, che ai suoi occhi si configura non già come insieme di parti costituenti fisse, ma come materiale ... in movimento perpetuo, mosso da stimoli esterni predominanti, al quale solo l’atteggiamento concorde dei parlanti può dare senso unitario. Con Jaberg Terracini condivide invece la complessa interpretazione delle cause e della fenomenologia del mutamento linguistico, processo il cui motore non è individuato solo nel prestigio culturale della lingua dominante, ma chiama in causa differenziazioni diastratiche, geografiche e associative che intervengono nella creazione di forme e di serie di forme miste. All’alternativa dell’accettazione o del rifiuto dell’innovazione si affianca infatti «una terza possibilità», l’elaborazione di «strategie di difesa in cui materia indigena e materia forestiera vengono variamente utilizzate per salvaguardare l’autonomia della parlata stessa. Si tratta - scrive ancora Grassi 1989: 66 - del principio della «vitalità» linguistica di ascendenza gillieroniana, che anche Terracini, come Jaberg, ha applicato all’analisi dei microsistemi morfologici». Il pensiero corre facilmente a quei gioielli di microgeografia linguistica e sociale che sono Minima. Saggio di ricostruzione di un focolare linguistico (Susa), dedicato significativamente a Jaberg, e lo studio su Forno di Lemie, colonia bergamasca in Val di Lanzo, incluso nella parte finale del contributo alla Silloge per il primo centenario ascoliano (cf. Terracini 1937a e 1929: 658-68). Sandra Covino 4 La produzione dialettologica terraciniana successiva al suo ritorno in Italia dall’esilio argentino, causato dalle persecuzioni razziali, appare ricca di realizzazioni: basti pensare alle attività e agli scritti legati alla direzione dell’ALI, assunta nel 1947 (anno in cui Terracini fu chiamato a succedere a Matteo Giulio Bartoli sulla cattedra torinese di glottologia). Tra i contributi più importanti, il Saggio di un Atlante linguistico della Sardegna, pubblicato (con Temistocle Franceschi) nel 1964. Più che soffermarsi su singoli scritti, va espressa qui una considerazione di fondo: sin dalle prime ricerche giovanili la cifra più personale della dialettologia terraciniana appare il rilievo attribuito allo «spirito del parlante», al suo atteggiamento di fronte alla propria lingua. Tale principio ispirerà l’intero arco della sua riflessione teorica: basti pensare alla centralità che la «persona storica del parlante» e la sua libertà ancora rivestono in Lingua libera e libertà linguistica (Terracini 1970 [1963]), libro considerato suo «culmine intellettivo» (Beccaria 1976: 21). Non a caso fu proprio il glottologo torinese - nel saggio dedicato a Schuchardt e alla sua critica del metodo comparativo, composto a Tucumán e incluso tre anni dopo nella Guida allo studio della linguistica storica (Terracini 1949: 205-33) - a mettere in luce il «ruolo avuto nell’opera di Schuchardt dalla nozione humboltiana di Sprachthätigkeit, l’attività linguistica dell’individuo», grazie alla quale la storia della parola era divenuta «la storia di quelli che l’hanno pronunciata» (cf. Venier 2012: 70). Più avanti vedremo come il magistero di Schuchardt e l’individualismo linguistico furono fattori decisivi anche del dialogo con Leo Spitzer. A proposito dell’attività del parlante, ci sia consentito un salto al 2011; nel decalogo indirizzato ai linguisti del nuovo millenio da Alberto A. Sobrero, al punto 6 si legge: Ricorda che il parlante ha sempre ragione. È una verità lapalissiana, ma spesso la dimentichiamo: non esiste in natura la lingua, esiste il parlante. Ed è lui che fa e disfa ... Il tuo problema è dunque quello di capire i suoi comportamenti ... E per capirli devi avventurarti nel suo orizzonte cognitivo, nella sua cultura e nella sua storia, entrare nel suo ambiente, pensare con la sua testa ... Ricreare la sua lingua dall’interno. Tutt’altro che facile, ma affascinante. E avventuroso (Sobrero 2011: 55). Gilliéron e il suo allievo Terracini avrebbero potuto sottoscrivere tale precetto, ancora vitale per la sociolinguistica italiana contemporanea, specie per quella scuola torinese le cui radici affondano nel terreno del magistero terraciniano. A illuminarne il valore, è utile ricordare un altro merito di Terracini: egli fu il primo linguista in Italia ad affrontare la problematica delle lingue in contatto, a cui finirà per riportare, in un’originale chiave interpretativa, anche il principio ascoliano delle reazioni di «sostrato» e la sua possibile applicazione alle lingue antiche (cf. Terracini 1921, 1937b, 1961). Vincenzo Orioles 2002: 496 ha giustamente richiamato l’attenzione sulla «disposizione di Terracini a prefigurare anche terminologicamente alcuni costrutti centrali del plurilinguismo, della sociolinguistica e dell’interlinguistica, da lui denominati facendo ricorso a espressioni ancora allo stadio preteorico Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 5 5 Il saggio di Orioles prende in esame nozioni fondamentali introdotte in Italia da Terracini nel campo della ricerca dialettologica e, più in generale, negli studi sulle dinamiche bilingui, come quella - già analizzata sopra - di «vitalità linguistica» e quelle di «italiano regionale», «prestito» e «regressione linguistica»; a quest’ultima formula si collega il fenomeno dell’«ipercorrettismo» e altre tipologie di attrazione analogica che contribuiscono nell’orizzonte della geografia linguistica a demolire il principio dell’ineccepibilità delle leggi fonetiche. 6 Come ha osservato M. Loporcaro 2010: 188, pur criticando la linea schuchardtiano-idealistica nella quale inserisce Terracini. Sposa invece l’esegesi ascoliana del linguista torinese D. Santamaria 1994 e 2006. 7 Sulla storia della rivista, cf. Franceschini 2012. ma che in futuro avrebbero acquistato valenza di tecnicismo», a cominciare dallo stesso concetto di «varietà linguistica» 5 . Sin dagli esordi della sua riflessione linguistica, Terracini era stato profondamente attratto da Schuchardt, abbracciando «una teoria sistematica della mistione linguistica», di cui riconosceva in Schuchardt il precursore e dalla quale scaturiva l’auspicato superamento dell’«antitesi fra stato e mutamento linguistico». Nel già citato saggio Paleontologia ascoliana e linguistica storica (Terracini 1929: 649-53 e N33), lo studioso contrappose il «valore metodico» di quella teoria alla linea di ricerca che da Saussure risaliva ai neogrammatici e allo stesso Ascoli; linea di cui per primo colse acutamente la continuità 6 . Nella Guida, Terracini 1949: 138-39, riprendendo l’accusa di Gilliéron alla glottologia tradizionale «di non cogliere nella storia della parola che episodi statici trascurando tutto il vero e proprio movimento intermedio», espliciterà ancora più chiaramente il suo pensiero: De Saussure, forse il più acuto teorico del neogrammatismo, ammise ... che la linguistica fondata sul concetto di legge, viene semplicemente a ricostruire uno stato linguistico, un sistema nella sua contemporaneità. La linguistica può, secondo questa concezione, da uno stato integrarne un altro comunque anteriore; in che modo da uno si passi all’altro, confessa di non sapere dire, non coglie insomma che successive immagini di contemporaneità. 3. Migliorini e la prima scuola ginevrina postsaussuriana Il trasferimento a Friburgo, dove insegnerà Filologia romanza dal 1933 al 1937, certo contribuì a rafforzare l’inserimento di Migliorini nel panorama linguistico internazionale del tempo; basti pensare proprio alla collaborazione con Vox Romanica, che Jud e Arnold Steiger avevano appena fondato: il primo numero ospitò l’articolo su I nomi italiani del tipo bracciante (Migliorini 1936) 7 . In realtà la sua formazione di francesista e l’intensa attività di recensore svolta negli anni Venti per la rivista La Cultura, diretta dal suo maestro, Cesare De Lollis, aveva già impresso agli interessi di Migliorini quell’apertura europea che caratterizzerà il suo ruolo di fondatore degli studi sull’italiano contemporaneo e la robusta base teorica che i suoi scritti presuppongono ma che risulta spesso nascosta, come ha osservato Tullio Sandra Covino 6 8 Ben illustrato da R.Tesi 2009: 164-66, al quale si rimanda. 9 Sui rapporti tra Migliorini e Bally, cf. pure Nencioni 1976: 10-11 e Colussi 2009: 151-54. 10 Illuminante la netta distinzione, non solo terminologica, sostenuta da Migliorini 1972: 56-58, tra una stilistica di pertinenza della critica letteraria, la quale si concentra sull’«uso singolo, momentaneo, che ne fa un determinato scrittore per i suoi fini estetici», e una stilistica di pertinenza della linguistica, che studia le varianti «nel sistema della lingua usuale di un determinato periodo», orientamento secondo il quale - teneva a precisare Migliorini - operava Bally. De Mauro 1995, dietro la proverbiale concretezza dei dati linguistici presentati. Sorvolando sull’influsso di autori francesi, come Albert Dauzat, e, nella generazione precedente, Arsène Darmesteter 8 , vale la pena soffermermarsi sull’ispirazione costante che Migliorini ricavò dai rappresentanti della prima scuola ginevrina postsaussuriana, in particolare da Bally e Henri Frei. Ghino Ghinassi 1990: xv ha posto l’accento sulla «viva approvazione» con cui Migliorini presenta sistematicamente i libri di Bally; approvazione a cui si accompagna «l’augurio che i metodi del maestro ginevrino si diffondano anche in Italia». Matteo Viale 2009, in una intelligente ricognizione sulla produzione miglioriniana di grammatiche scolastiche, ne ha mostrato la novità dell’impostazione, incentrata - almeno per quanto riguarda le prime edizioni di La lingua nazionale (1941) - sullo sviluppo di capacità espressive e sull’attenzione agli aspetti sociali, affettivi e psicologici del linguaggio, tanto cari a Bally 9 . Particolarmente importanti appaiono la recensione alla seconda edizione del Traité de stylistique française e quella al volume Le langage et la vie (cf. Migliorini 1921 e 1926). Nella prima delle due, Migliorini riporta le parole conclusive del trattato: nel passo Bally lamentava il fatto che fino ad allora si fosse temuto «d’avilir les études universitaires en y faisant une place véritable aux langues modernes», le quali, viceversa, devono considerarsi, «à un très haut degré, des objets dignes d’une recherche scientifique». La polemica verrà ripresa quasi alla lettera da Migliorini nella Premessa alla prima edizione del volumetto Lingua contemporanea del 1938. L’impronta del saussurismo di Bally, messo in rilievo nella recensione a Le langage e la vie, è fortemente presente nel saggio Aggettivi derivati da sostantivi, evidentemente anche in omaggio al dedicatario della raccolta in cui esso è contenuto, i Mélanges de linguistique offerts à Charles Bally, appunto. «La creazione d’un vocabolo nuovo - vi scriveva Migliorini 1990 [1939a]: 188 - non si può studiare altrimenti che nella concretezza d’un sistema sincronico». In altre parole i bisogni espressivi da cui nasce l’innovazione «finiscono col trovare, nei singoli momenti di ogni lingua, sempre nuovi assestamenti», per quel principio di equilibrio che in tutti i sistemi di segni, aveva osservato Frei nella Grammaire des fautes, oppone e al tempo stesso concilia la spinta alla differenziazione e quella all’unificazione. Eloquente la conclusione del saggio: «Tra le innumerevoli varietà delle lingue individuali i gruppi linguistici trascelgono volta per volta quelle socialmente più utili, mirando a mantenere una sufficiente unità: le necessità dell’espressione sono subordinate a quelle della comunicazione» 10 . Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 7 11 G. Devoto 1968: 123, ricordando «il lungo dialogo con Benvenuto», respinse quelli che, in epoca di trionfante strutturalismo, avvertì come tentativi di «diluirne ... la cristallina posizione Il principio, enunciato da Frei 1929: 18, che «fait dépendre la correction ou l’incorrection des faits de langage de leur degré de conformité à une fonction donnée qu’ils ont à remplir» fu spesso applicato da Migliorini nei suoi giudizi di maggiore o minore accettabilità, relativi all’accoglienza di neologismi e forestierismi, nonché nelle proposte di orientamento normativo (neopurismo e glottotecnica): l’osservazione risale ancora a Ghinassi 1990: xvii; altri interventi hanno messo in rilievo il ruolo del rodigino nella diffusione della terminologia stutturalista e le precoci aperture verso le teorie del Circolo Linguistico di Praga (cf. Fanfani 2002: 262 e Viale 2009: 296 N9). Stimoli più diretti e frequenti, tuttavia, Migliorini ricavò dall’incontro con Spitzer, di cui fu il primo recensore italiano, come ricordò Gianfranco Folena 1979: 6, in occasione della giornata commemorativa dedicata dagli allievi al maestro da poco scomparso. Viale 2010 ha ricostruito con dovizia di particolari il colloquio a distanza che si aprì con il romanista austriaco; un dialogo vivificato da sollecitazioni reciproche, tanto che si è parlato di «una specie di partita doppia, un rapporto di dare e avere» (Ghinassi 1990: xxv). Va sottolineata in particolare la condivisione dell’interesse per la lingua contemporanea, specie per quanto riguarda fenomeni di innovazione lessicale e microsintattica: mi limito all’esempio dei neologismi anteguerra e dopoguerra, analizzati da Migliorini in un articolo del 1931, con il precedente del saggio di Spitzer L’avant-guerre «Vorkriegzeit», pubblicato l’anno prima nella Zeitschrift für französische Sprache und Literatur. Dopo il trasferimento negli Stati Uniti di Spitzer, provocato pure nel suo caso dalle persecuzioni razziali, i rapporti si allentarono, non solo per ovvie difficoltà logistiche, ma anche per il progressivo distacco di Spitzer dai temi più strettamente grammaticali (comunque mai del tutto abbandonati) ed il più netto orientamento verso l’attività di critico e teorico della letteratura. 4. Terracini, Migliorini e il trait d’union schuchardtiano Parabola analoga a quella di Spitzer seguì l’attività di Terracini: dopo il 1938, e ancor più durante l’esilio in Argentina (dove fu costretto ad abbandonare ricerche più specialistiche), l’analisi di tipo letterario-stilistico e l’approfondimento teorico finiranno per divenire prevalenti. Corti 1970: 16-17 ha indicato nella comunicazione presentata nel 1936 da Terracini 1938 al Congresso internazionale dei linguisti di Copenhagen, intitolata Semantica evolutiva e la persona storica dell’individuo linguistico, un vero e proprio spartiacque tra un primo modo di indagine linguistica e un secondo, nel quale più sensibile appare l’influsso dell’indirizzo idealistico di tipo crociano-vossleriano; si irrobustisce infatti la «teorizzazione del linguaggio come atto sintetico unitario, per cui il significato di una parola non esiste che nella sintesi soggettiva, in forza della quale ogni elemento di una frase acquista il preciso potere espressivo ed evocativo della realtà» 11 . Parallelamente si avverte il Sandra Covino 8 idealistica». Analogamente Nencioni 1969: 476-79, pur sottolineando l’attenzione di Terracini per la «nuova metodica», negò alcun «reale ‹cedimento› a concezioni strutturaliste», e, a proposito dell’interesse verso «la scuola di Ginevra nel suo esponente più accettabile in Italia», sottolineò come «il dinamico rapporto ballyano tra lingua e vita ... serv[ì] ad avvalorare il soggettivismo di Terracini, benché grande fosse la differenza - di cui egli si rendeva ben conto - tra l’espressività o affettività del parlante ballyano e l’umanistica espressione dell’individuo terraciniano». Al contrario, C. Segre 1986 [1979]: 264-65 utilizzò la «mediazione» di Bally per rafforzare la sua tesi di una vicinanza di Terracini a Saussure, e si spinse ad affermare che «avrebbe poco senso collegare Terracini con le teorie idealistiche, e in particolare con Croce», indicando piuttosto in Cassirer «una delle stelle polari della [sua] riflessione». Ricerche più recenti hanno approfondito proprio i legami di Terracini con lo storicismo diltheyiano e «con la tradizione kantiana della filosofia del linguaggio che va da Humboldt a Cassirer»: cf. Porzio Gernia 1994 (a p. 343 la cit.) e Morresi 2007. Abilmente conciliatorio il giudizio di G. L. Beccaria 1981, che, alludendo al «bivio» dell’ultimo scritto di Terracini 1968, ha affermato: «dovremmo per la verità piuttosto parlare di ‹trivio›, data la singolare posizione di Terracini al trivio fra vecchio comparatismo da un lato, dall’altro il personalissimo storicismo suscitato anche dalle energie della scuola idealistica e le prospettive infine, già evidenti in più antichi saggi ..., di indirizzo strutturalistico autonomamente rielaborato o respinto in modi altrettanto personali». trasferimento dell’interesse verso la lingua degli scrittori: da Dante a Pirandello. Si capisce, dunque, come - all’opposto di Migliorini - l’ammirazione e la profonda sintonia nei confronti di Spitzer si radicheranno per Terracini proprio sul terreno della stilistica letteraria e della semantica storica connessa con la storia delle idee, filoni di ricerca prevalenti nell’ultimo Spitzer, alla cui opera Terracini dedicherà ampie disamine in volumi come Analisi stilistica del 1966 e nel più divulgativo Introduzione alla stilistica del 1954. Negli Atti del XXXVI Convegno di Bressanone, «Leo Spitzer. Lo stile e il metodo», da cui si è già citato un altro contributo, Guido Lucchini 2010: 54 e 59-60 ha giustamente avvertito che occorre prudenza nell’uso del termine «idealismo» linguistico a proposito di Spitzer; sarebbe forse più opportuno, al di là della comune reazione antinaturalistica di primo Novecento, parlare di individualismo linguistico nel solco della lezione di Gilliéron e soprattutto di Schuchardt. Anche Alvise Andreose 2010: 270 nel saggio sugli studi etimologici, incluso nello stesso volume, ha sottolineato l’ascendenza schuchardtiana di molti principi ispiratori di Spitzer, pienamente condivisi - aggiungiamo noi - da Terracini: l’idea che il mutamento semantico sia sempre motivato e mai meccanico; la rivendicazione della psicologia del parlante come motore del mutamento linguistico; il principio secondo cui «jedes Wort hat seine eigene Geschichte». Schuchardt dunque è un importante trait d’union tra Spitzer e Terracini, che dalla linea huboldtiana-schuchardiana ricava anche quel concetto di «forma interna» della lingua, come espressione stessa della «storicità dei parlanti», che ricorre in molti suoi scritti di critica stilistica. Da parte sua, Migliorini considerò Schuchardt «il maestro ideale», come ha affermato Massimo Fanfani 2009: 29, ricordando il proposito, da lui coltivato fino agli ultimi anni, di tradurre il Brevier, «assemblato» e pubblicato nel 1922 da Spitzer. Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 9 12 Sull’interesse di Migliorini per «l’europeismo linguistico», cf. Tesi 2009: 165-66, da cui è tratta la citazione a testo. 13 Le citazioni sono tratte da Ghinassi 1988: x-xi, che chiarisce bene i debiti della Storia di Migliorini verso il pensiero di Meillet. Nella raccolta di scritti Lingua e cultura, molti dei quali di chiaro valore programmatico, colpisce l’inclusione di due profili biografici: quello di Hugo Schuchardt è il primo e precede quello di De Lollis (cf. Migliorini 1948: 209-12 e 213-18). I motivi dell’attrazione avvertita verso questa figura di linguista ecclettico e antidogmatico sono, almeno in parte, coincidenti con quelli di Terracini, e si intuiscono proprio dai tratti della personalità e delle teorie di Schuchardt messi in evidenza nel necrologio miglioriniano: in primo luogo la polemica antineogrammaticale, consegnata al famoso manifesto del 1885, ed il ruolo di precursore della geografia linguistica; in secondo luogo l’attenzione per oggetti di studio all’epoca disdegnati dalla ricerca accademica, le lingue in contatto e le mescolanze linguistiche (l’italiano e il tedesco parlato dagli slavi, i pidgin, le lingue creole, la lingua franca), nella più generale convinzione che «ogni lingua è e non può non essere che mista», a cui fa da naturale pendant l’interesse verso le lingue artificiali, difese dai molti detrattori in base alla costatazione che in ogni lingua, anche in quelle naturali, si contemperano « φύσις » e « θέσις » (si ricordi che Migliorini sarà costretto a mettere da parte la passione esperantistica per l’ostilità dell’ambiente accademico); infine, il collegamento posto tra il «fatto linguistico singolo» e «quei fasci di altri fatti che si presume abbiano con esso una continuità storica» o una vicinanza «psicologica». Su tale base Migliorini istituisce un parallelo tra Schuchardt e Meillet, che viene oggi considerato tra l’altro «il vero fondatore di una ‹linguistica europea› basata su fenomeni di convergenza e interlinguismo» 12 . E certo incise profondamente nella formazione di Migliorini il trattato Linguistique historique et linguistique générale (1921), dove Meillet definisce la lingua «éminemment un fait social», «une institution sociale», e dove si afferma che «le seul élément variable auquel on puisse recourir pour rendre compte du changement linguistique est le changement social» 13 . Nell’articolo di apertura della rivista Lingua nostra, fondata nel 1938 con Giacomo Devoto, saggio che ripropone la prolusione miglioriniana al primo corso di Storia della lingua italiana tenuto sulla cattedra fiorentina, Migliorini attribuisce esplicitamente a Gilliéron il merito di avere arricchito l’indagine linguistica di una terza dimensione, una prospettiva in cui si tien conto, oltre che dello spazio e del tempo, della stratificazione sociale. Se la dialettologia neogrammaticale, portata - per la preminenza attribuita alla fonetica - a una troppo schematica bipartizione tra «parole dotte» e «parole popolari», di discendenza diretta dal latino volgare (e perciò privilegiate nella ricostruzione etimologica), aveva preso in considerazione solo lo «strato popolare o addirittura plebeo, la storia della lingua - affermava Migliorini 1948 [1939b]: 29 - deve tener conto di tutti gli strati sociali». Sandra Covino 10 14 Il riferimento è a Schuchardt e alle considerazioni di Nencioni 1989 [1946]: 70-71, secondo cui il concetto di unità idiomatica finì per essere ammesso, come «propria categoria essenziale», dalla linguistica contemporanea e da quella posteriore allo Schuchardt, «per l’esigenza di riconoscere una storica determinatezza ed una interna strutturalità a quei complessi linguistici che di volta in volta vengono ricondotti sotto di essa»; né il linguista tedesco cadde mai, «pur scorgendo dietro ogni fatto linguistico l’individualità del parlante ..., in un soggettivismo come quello del Vossler». La necessaria «tridimensionalità» dell’analisi linguistica era stata già sostenuta dallo studioso nella Prefazione al Vocabolario romanesco di Filippo Chiappini. Sull’importanza teorica di tale introduzione ha richiamato l’attenzione ancora De Mauro 1996: 637; in essa tra l’altro si legge: Escludere gli strati superiori per considerare soltanto gl’inferiori ... è una semplificazione comoda, ma scientificamente arbitraria, in quanto suppone a priori che solo lo strato inferiore sia il genuino portatore della tradizione, e sopravvaluta quest’ipotetica evoluzione naturale di contro all’azione culturale esercitata dagli strati superiori. Sempre più chiara si va delineando l’inferiorità di questa glottologia che potremmo chiamare «bidimensionale» in confronto di una linguistica «tridimensionale», la quale cioè tiene esplicitamente conto delle differenze degli strati sociali-linguistici nell’ambito delle singole comunità e delle loro influenze reciproche. Queste differenze ... vanno considerate con particolare attenzione per i dialetti socialmente poco unitari, com’è appunto il romanesco (Migliorini 1933a: xix). Nel saggio Dialetto e lingua nazionale a Roma, pubblicato sempre nel 1933 nella Revue de linguistique romane, la vicenda della toscanizzazione del romanesco è messa in relazione non solo con un «rapporto di prestigio» (il prestigio di lingue esemplari che con il romanesco convissero e a esso si sovrapposero), ma anche con un «rapporto di quantità», che non mette evidentemente in primo piano l’attività dei parlanti, quanto piuttosto il rapporto di forza numerica e di preminenza socioculturale tra i «portatori della tradizione locale» ed i gruppi d’immigrati «portatori di tradizioni linguistiche esterne» (cf. Migliorini 1948 [1933b]: 117-19). Proprio questa felice intuizione miglioriniana è stata ripresa e approndita da Pietro Trifone 2006 [1990]: 84-91, utilizzando con articolate elaborazioni statistiche dati di censimenti risalenti al 1526 e al 1551, cioè antecedenti e successivi al celebre sacco di Roma. In rapida sintesi, si può dire che, rispetto alla lezione di Schuchardt, i principi ispiratori a cui Migliorini appare più sensibile sono senza dubbio il legame del fatto linguistico con ciò che è altro da sé (fattori ambientali, storici, culturali, ecc.) ed il rapporto con altri sistemi linguistici con i quali il fatto linguistico entra inevitabilmente e continuamente in relazione. Tuttavia, la particolare sensibilità verso tale aspetto della vita delle lingue non si traduce nella negazione di ogni loro realtà concreta e nel rifiuto del concetto di unità idiomatica, astrazione che conserva invece per Migliorini, come del resto per lo stesso «negatore in teoria» di quel concetto, tutta la sua utilità, non solo pratica 14 . Per Migliorini la lingua resta comunque un’entità ben definita: una struttura, sia pure aperta e mobile, da indagare nella sua specificità e concretezza di istituto sociale, e nei suoi profondi legami con la Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 11 15 Echi terraciniani si colgono ad esempio in un passo della prolusione miglioriniana del 1938: «La separazione tra studio sincronico ossia del dialetto o della lingua com’è in un determinato punto del tempo, e studio diacronico, ossia storico, com’è stata postulata da Ferdinando de Saussure, è molto più facile in un dialetto che in una lingua, dato che alla coscienza linguistica dei parlanti possono essere contemporaneamente presenti voci di oggi e voci d’ieri, conciliate, è vero, in un certo equilibrio di significati e di connotazioni» (Migliorini 1948: 31). storia della cultura, ma non riducibile a fatto soggettivo; tanto meno a momento esclusivamente o prevalentemente estetico; basti pensare alle considerazioni premesse alla sua opera più celebre, la Storia della lingua italiana del 1960, dove risulta ancora chiaramente avvertibile lo sforzo di superare lo scarso discrimine, insito nelle posizioni vossleriane, tra Sprachgeschichte e Literaturgeschichte (cf. Ghinassi 1988: x-xi). In Lingua libera e libertà linguistica lo stesso Terracini 1970: 191 e 193-94 ammetterà che la critica mossa da Devoto e da altri a Spitzer e all’idealismo linguistico, «quella cioè di scavalcare l’istituto per amore della creazione individuale, colpisce in qualche modo nel segno» e, a proposito del dialogo intavolato con l’autore della Storia della lingua italiana, scriverà: Con Migliorini ci divide un diverso concetto del rapporto che corre tra lingua letteraria e lingua «comune», con tutte le conseguenze concettuali e espositive che questa diversità comporta; ci unisce la decisa immersione della linguistica nella storia della cultura, e il conato di trovare nel sentimento e nel gusto dei parlanti che in qualche modo abbiano avuto l’occasione di riflettere sulla propria lingua, il punto che permetta di superare la distinzione tra storia interna e storia esterna 15 . Il lievito schuchardtiano e gillieroniano arricchisce di significati ampi e profondi l’esigenza posta da Migliorini di una «linguistica a tre dimensioni». Lo studioso vi espresse la necessità di coniugare la diacronia e la diatopia in primo luogo con la diastratia, come abbiamo appena visto, ma anche con altri aspetti della variabilità linguistica, come la diafasia (sotto la cui insegna possiamo rubricare la sensibilità, affinata dalla lettura di Bally, verso i registri stilistici e l’interesse per i linguaggi tecnico-scientifici) e come la diamesia (la distinzione tra scritto e parlato è centrale già nell’articolo sul romanesco ed è presente, soprattutto nei capitoli dal Settecento in poi, nell’impianto della Storia). Ma la terza dimensione della linguistica da aggiungere alla storia e alla geografia comprende anche un altro fattore variazionale, motore fondamentale del mutamento linguistico: la dimensione del contatto e della contaminazione esterna. Parafrasando il titolo di un celebre libro di Terracini, Conflitti di lingue e di cultura, potremmo dire che Migliorini metteva al centro della sua attenzione e della sua passione di ricercatore «contatti (e confluenze) di lingue e di cultura», le stratificazioni verticali e orizzontali che si sedimentano e amalgamano, in un equilibrio sempre dinamico, all’interno di una tradizione linguistico-culturale e nel rapporto reciproco fra tradizioni diverse. Si spiega così l’interesse per gli europeismi, Sandra Covino 12 16 Per una più ampia disamina di questi filoni di ricerca, alla luce della nozione miglioriniana di «linguistica a tre dimensioni», mi sia consentito di rimandare a Covino 2011: 8-15. La prospettiva variantistica negli studi sulla storia linguistica italiana è illustrata in D’Achille 2008. 17 Sulle linee di convergenze tracciabili fra il pensiero di Terracini e quello di Weinreich, cf. i già cit. saggi di Segre 1986: 268-70 e Orioles 2002: 504-06. l’attenzione riservata ai forestierismi e ai neologismi; si spiega così lo studio dei volgari antichi e dei dialetti nella prospettiva della formazione della lingua comune di base toscana, con una decisa focalizzazione sulle varietà ibride e intermedie: gli italiani regionali, sul piano sincronico; le koinè tre-quattrocentesche, sul piano diacronico 16 . Nel 1932, in polemica con la dialettologia neogrammaticale degli epigoni ascoliani, Migliorini 1948: 16-17 aveva affermato: La sovrapposizione della lingua comune ai dialetti è un avvenimento per qualche rispetto analogo alla sovrapposizione del latino dei legionari alle lingue provinciali dopo la conquista romana: il considerarla come una iattura per il dialettologo anziché un fenomeno da studiare con occhio critico è una vera grettezza mentale, di cui daranno sfavorevole giudizio i linguisti dell’avvenire. Proprio in Conflitti di lingue e di cultura Terracini 1996 [1957]: 180 gli farà eco, richiamando la lezione della geografia linguistica sull’importanza che nei rapporti di scambio e mescolanza linguistica riveste il maggiore prestigio culturale di un «centro irradiante», la cui «vitalità» è attestata - altra faccia della medaglia della stessa realtà - dalla capacità di reazione, ricca di virtù assimilatrici, alle interferenze di correnti che premono dall’esterno: Dopo gli studi di Gilliéron possiamo dire che il quadro delle varietà dialettali di qualsiasi paese - anche d’Italia dove questa varietà rispecchia una stratificazione storica oltremodo complessa - riesce privo di valore se non viene anzitutto interpretato metodicamente come problema della formazione storica della lingua nazionale. In un magistrale intervento risalente ai primi anni Settanta, Alberto Vàrvaro 1984: 47 così sintetizzava la specificità della Storia della lingua rispetto ad altri campi e orientamenti dell’indagine linguistica: La storia della lingua si distingue ... dalla grammatica storica e da forme più sofisticate di diacronia strutturale perché studia non il rapporto storico-evolutivo fra due stati di lingua distanti nel tempo ma geneticamente relati, quanto le vicende linguistiche di una collettività in cui convivono, si sovrappongono, si integrano o si disintegrano ed insieme mutano sistemi diversi. Compito della storia della lingua è di occuparsi della dinamica di questa coesistenza, cioè dei modi, dei tempi, degli spazi dell’organizzarsi o disorganizzarsi di sistemi coesistenti. Con questo articolo si è cercato di mostrare quanto Terracini e Migliorini abbiano contribuito alla definizione e al successo in Italia di tale profilo disciplinare. Benvenuto Terracini, Bruno Migliorini e la linguistica europea del Novecento 13 5. Conclusione In conclusione, il richiamo nell’opera di Terracini e di Migliorini al ruolo della storia e a fattori culturali, psicologici e sociolinguistici, come il prestigio e la connessa capacità d’irradiazione di lingue dominanti, nelle dinamiche del mutamento linguistico risale all’influsso che su entrambi fu esercitato dal pensiero di Schuchardt, Gilliéron, Meillet, Spitzer e Bally, ma si traduce in parziale divergenza per il differente modo di concepire il rapporto tra lingua e cultura, condizionato in Terracini dal rilievo che vi assume lo «spirito del parlante» e la soggettività espressiva dell’individuo, con sensibili sbilanciamenti dell’interesse, specie nell’ultima fase della sua produzione, verso la critica stilistica, mentre in Migliorini, che pure guarda alle forme in rapporto agli utenti, acquista contorni via via più definiti, anche grazie all’incontro con Devoto, la concezione della lingua come istituto collettivo, che si articola nella moltiplicità delle stratificazioni e degli usi sociali. Molti elementi teorici e metodologici consentono di guardare ai due studiosi come a importanti figure di precursori; la loro opera anticipa, infatti, aspetti di quella focalizzazione sulle interferenze diasistemiche tra le varietà che, a partire dal celebre libro di Uriel Weinreich Languages in contact 1953 17 , si è imposta nel panorama non solo degli studi dialettologici ma anche storico-linguistici, essendo la lingua lo specchio più fedele del secolare policentrismo e multiculturalismo italiano. Perugia Sandra Covino Bibliografia AA.VV. 1929: «Silloge linguistica dedicata alla memoria di Graziadio Isaia Ascoli nel primo centenario della nascita», AGI 22-23 [numero monografico] Andreose, A. 2010: «Sugli studi etimologici di Leo Spitzer», in: Paccagnella/ Gregori 2010: 267-86 Beccaria, G. L. 1976: «Introduzione», in: Terracini 1976: 9-44 Beccaria, G. 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