eJournals Vox Romanica 73/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2014
731 Kristol De Stefani

Maurizio Dardano (ed.), Sintassi dell’italiano antico. La prosa del Duecento e del Trecento, Roma (Carocci) 2012, xiii + 593 p. (Lingue e Letterature Carocci 152)

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2014
Eduardo  Blasco Ferrer
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Besprechungen - Comptes rendus 299 1 Cf. G. Salvi/ L. Renzi, Grammatica dell’Italiano Antico, 2 vol., Bologna 2010. Italoromania et Ladinia Maurizio Dardano (ed.), Sintassi dell’italiano antico. La prosa del Duecento e del Trecento, Roma (Carocci) 2012, xiii + 593 p. (Lingue e Letterature Carocci 152) Un desideratum della storia della lingua italiana è stato esaudito: finalmente un lavoro di sintassi storica dell’italiano antico, firmato da professionisti della disciplina inaugurata da Bruno Migliorini. In effetti, malgrado la presenza di vari lavori sulla grammatica dell’italiano antico, mancava tuttora una disamina organica che trattasse l’insieme delle fenomenologie dell’italiano nel periodo medievale con un metodo di analisi ben consolidato nelle cattedre di Linguistica italiana (e, prima della riforma disciplinare, di Storia della lingua italiana). Ideatore e coordinatore del lavoro è il ben noto studioso della lingua italiana medievale Maurizio Dardano, il quale informa i lettori nell’Introduzione (ix-xiii) del volume che mi accingo a presentare qui che il progetto della sintassi storica nacque nel 2001, allorché nel Dipartimento di Italianistica dell’Università Roma Tre si costituì l’Archivio della sintassi dell’italiano antico, che aveva come oggetto precipuo di indagine la prosa dei secoli XIII e XIV, e che funse da centro di aggregazione di un congruo numero di specializzandi e di giovani italianisti, riuniti ora nei capitoli del libro. Le coordinate temporali scelte dal curatore sono già una premessa di garanzia sulla rappresentatività del materiale riunito e indagato, poiché ricoprono il periodo di massima diffusione dell’italiano prima della svolta del Quattrocento, che con la sua crisi istituzionale sembra additare cambiamenti di portata sistemica. Inoltre, Dardano sottolinea l’impiego di principi funzionalistici, pragmatici e testuali nelle analisi condotte nel volume. Il campo della ricerca (1-35) è il primo capitolo, firmato da Dardano, nel quale vengono illustrati i principali parametri definitori del lavoro. Le tipologie testuali coprono tutti i livelli della prosa media (racconti, cronache, scritti di memoria e agiografici, fino a scritture di carattere pratico, nonché i volgarizzamenti) e poetici. Le analisi dei diversi settori della sintassi si ispirano alla linguistica storica e al funzionalismo, e offrono perciò uno spaccato nel contempo sincronico e diacronico. Interessante mi sembra il fatto, giustamente messo in rilievo da Dardano che, contrariamente alla tesi vulgata, i risultati delle ricerche esemplificate nel volume dimostrano che l’italiano ha mutato fisionomia tra l’età medievale e moderna, con cambiamenti di ampia portata (e ne discute la regola Tobler-Mussafia, che come si sa si sfalda gradualmente nel Quattrocento). Un altro aspetto molto gratificante che emerge da tutte le trattazioni nel volume riguarda l’attenzione rivolta alla traiettoria dei fenomeni indagati nel francese e nello spagnolo antichi, ma anche il controllo di altre lingue non neolatine. L’organizzazione testuale costituisce, infine, un punto sul quale il Nostro si sofferma a lungo per meglio sottolineare i benefici risultanti da un’indagine che ha tenuto in considerazione principi di linguistica testuale. Prima della definitiva stesura dei capitoli, i dati raccolti sono stati collazionati con quelli contenuti in lavori recenti di ampia portata, nella fattispecie la Grammatica dell’Italiano Antico 1 . Il capitolo 2, Il verbo tra sintassi e semantica (36-68), è firmato da Maurizio Dardano e Gianluca Colella. Dardano tratta alcuni aspetti riguardanti la struttura argomentale, i ruoli tematici (semantica dei casi), la distinzione tra Tema e Rema nei periodi, la genesi degli esistenziali, la punteggiatura. Colella espone, con chiarezza e vasta mèsse di esempi, le sottili differenziazioni riguardanti la Modalità nell’italiano antico, sottolineando in particolare la carenza di avverbi epistemici (soltanto certo e forse sono frequenti) e il denso repertorio di espressioni lessicalizzate indicanti vari tipi di modalità di contro all’uso di schemi morfologici nell’italiano moderno. Besprechungen - Comptes rendus 300 Di Gianluca Lauta è il capitolo 3, Tipi di frase (69-98). Con molta accuratezza vengono descritti i componenti principali delle frasi semplici, discutendo anche quesiti di ordine diacronico (ad es. la discussa questione riguardante il carattere non pro-drop dell’italiano antico, o la ancora assente grammaticalizzazione del costrutto che cosa nelle locuzioni interrogative). Alla Coordinazione (99-119) dedica Ilde Consales il capitolo 4. Come giustamente sottolinea l’autrice del contributo, per capire correttamente la funzionalità della coordinazione essa va trattata insieme alla subordinazione e alla correlazione. In questo modo acquista un senso la funzione della paraipotassi e perde anche di valore l’ingiusta valutazione della coordinazione quale espediente meno elaborato di allestimento testuale. Il cap. 5 è dedicato a La subordinazione completiva (120-95) ed è firmato dal curatore del volume. La griglia predisposta da Dardano per illustrare la tassonomia e la funzionalità delle subordinate completive è molto ben articolata e tiene conto di tutti gli elementi testuali che cooperano alla costruzione della frase (presenza/ assenza di morfema negativo, di congiunzione che, modi verbali, diàtesi, subordinazione semplice, multipla, mista). Le proposizioni relative (196-269) costituisce il sesto capitolo, firmato da Elisa De Roberto. Dopo una chiara descrizione della struttura cognitiva soggiacente e delle tipologie riscontrabili - con/ senza antecedente, con variazione paradigmatica/ sintagmatiche, restrittive/ non restrittive, predicative/ appositive/ continuative - l’autrice esamina molto esaurientemente ogni struttura riscontrata nel corpus e le sintetizza in una tavola sinottica (nella quale tuttavia manca il relativo nullo). Interessanti i commenti diacronici, come quello concernente la nascita di quale da una sequenza coreferenziale ille ... qualis. Giustamente De Roberto fa notare nelle conclusioni che il tipo di relative deboli è molto frequente nella lingua antica e non sembra essere subordinato a vincoli diafasici specifici. Francesco Bianco e Rosarita Degregorio firmano il capitolo 7, Le proposizioni temporali (270-307). Gli autori avviano la trattazione soffermandosi sulla netta tendenza alla semplice coordinazione additiva di proposizioni per enunciare funzioni temporali nella lingua antica, espediente che non va valutato come meno elaborato rispetto all’ipotassi, poiché esso esplica altri elementi di riferimento (è tense-iconic, sfrutta l’ordine degli eventi nella successione frasale). Molto scabro il sottoparagrafo attinente alla Paraipotassi, con tre soli esempi, che forse andava messo in rapporto al graduale sfruttamento di nuove strutture (quand’ecco) che sembrano affacciarsi verso la fine del periodo investigato. Gianluca Frenguelli firma l’ottavo capitolo, Le proposizioni causali (308-37). Dopo aver discusso le diverse relazioni logico-sintattiche ricomprese nelle espressioni di «causalità», egli passa in rassegna i diversi tipi di proposizioni causali rinvenuti nel corpus medievale (esplicative, temporali, modali), nonché di connettivi sfruttati. Allo stesso storico della lingua si deve il capitolo nono, Le proposizioni consecutive (338- 59). La differenza, di carattere cognitivo, fra le proposizioni causali e consecutive viene illustrata molto chiaramente mediante il ricorso ai vettori che pongono in rapporto «causa» ed «effetto» (La strada si è ghiacciata: perché ha fatto molto freddo vs. Ha fatto molto freddo: sicché la strada si è ghiacciata). Successivamente l’autore introduce una fine classificazione delle consecutive e confronta anche il ricorso a siffatta struttura nei testi narrativi e argomentativi. Matteo D’Arienzo e Gianluca Frenguelli firmano insieme il capitolo 10, Le proposizioni finali (360-80). La discussione iniziale su «causa, motivo, movente» rende chiara la differenza tra «causalità» e «finalità». Interessante è il sottoparagrafo sulla Condivisione di relazioni, che sottolinea - fra altro - l’impiego del congiuntivo nelle completive allo scopo di enunciare una «finalità». L’articolo si chiude con una rassegna dei connettivi. Gianluca Colella firma il capitolo 11, Le proposizioni condizionali (381-412). L’autore, con molta chiarezza, introduce una distinzione più congrua alle varie tipologie di costrutti condizionali riscontrate (predittivi e non predittivi all’interno degli indicativi, a seconda del Besprechungen - Comptes rendus 301 2 Cf. E. Blasco Ferrer, «Tipologia delle presentative romanze e morfosintassi storica. Fr. c’est e Prov. -i (estai, fai, plai)», ZRPh. 119/ 1 (2003): 51-91. fatto che l’evento venga considerato non attuale o dato per vero, e controfattuali, che esprimono nella protasi un contenuto che il parlante sa per certo essere irreale). Rifacendosi a Dancygier, Colella sfrutta la differenza tra moduli epistemici neutri e negativi all’interno dei predittivi, i secondi esprimenti la «perplessità» del parlante circa la realizzazione della condizione. L’autore esamina dettagliatamente connettori e uso di modi e tempi, nonché le configurazioni sintattiche del rapporto tra protasi e apodosi. Diversi fatti di discontinuità (abbandono graduale del congiuntivo presente, maggiore varietà di connettori) tra italiano antico e moderno emergono limpidamente da quest’accurata indagine. Ilde Consales firma anche il capitolo 12 su Le proposizioni concessive (413-40). Con fine scaltrezza filologica l’autrice enuncia prima le caratteristiche logiche del rapporto concessivo - segnatamente il ruolo determinante di ciò che lei chiama il controargomento -, per poi analizzare dettagliatamente i connettori, anche con una suddivisione che tiene conto della loro originaria funzione sintattica (temporali, causali ecc.). Una chiara tassonomia in tipi di concessive serve a illustrare il materiale italiano antico (da sottolineare la sottile distinzione introdotta dall’autrice tra fattuali, limitative e correttive). Le proposizioni comparative (441-65) è il capitolo 13, firmato da Adriana Polo, che dopo introdurre la classificazione delle strutture esamina nei particolari i connettori italiani antichi. A Le proposizioni modali è dedicato il capitolo 14, firmato da Francesco Bianco. Il rapporto modale, secondo l’autore, ammette oltre il semplice come anche il tipo analitico nello stesso modo in cui. La distinzione tra modali esplicite ed implicite viene limpidamente illustrata, segnalando opportunamente la ricorrenza del correlatore così. Le costruzioni assolute (478-517) costituiscono il capitolo 15, firmato da Elisa De Roberto. Gerundio (Essendo Giorgio arrivato tardi, Carla non è potuta rientrare) e Participio (Uscito Giulio dalla stanza). La griglia di parametri definitori e di analisi consente di scoprire alcune tipologie non più vitali nell’italiano moderno (ad es. il tipo con verbi inergativi: cenato ogni gente, e rassettate a sedere). Il capitolo 16, l’ultimo, firmato da Gianluca Colella, è dedicato a Il discorso riportato (518-34). Colella, con ragione, attingendo i termini da Genette, aggiunge ai discorsi diretto, indiretto e indiretto libero anche il discorso diretto libero e il discorso narrativizzato, e apporta significative precisazioni alle classificazioni note (un solo es.: il tipo «verbo + completiva» per il discorso narrativizzato non sembrava attestato, ma l’autore ne segnala un esempio già nel Decameron). Ugualmente arricchiscono le nostre conoscenze dei modi verbali diverse attestazioni di strutture con verbi direttivi al passato che nella concordanza selezionano un passato remoto nella subordinata. Il volume chiude con una vastissima Bibliografia (535-73), che riporta una molto equilibrata rappresentatività internazionale di lavori sulle lingue romanze medievali, e un Indice analitico (575-81), anch’esso molto ben allestito. Un lavoro veramente molto equilibrato in tutte le sue parti: approccio unificato, trattazioni sincroniche e diacroniche stringate ma puntuali nelle osservazioni e ricche di nuovi spunti, tassonomie chiare e discussioni basate su un sistema di analisi ben consolidato nella linguistica italiana e perciò di facile accesso a studenti e studiosi. Le poche note critiche che seguono hanno pertanto solo carattere propositivo. A p. 8, prelevando il dato dalla Grammatica dell’Italiano Antico, Dardano rammenta l’assenza dei presentativi con ci/ vi (c’è, vi è) ancora nel Trecento, ma in realtà degli esempi desultori di ci e vi con i verbi essere e avere si trovano, ed è dunque lecito inferire che il loro uso fosse già ben consolidato 2 . A p. 13 si afferma che l’it. ant., con riguardo alla concordanza Besprechungen - Comptes rendus 302 3 A. Castellani, «Quanti erano gli Italofoni nel 1861», SLI 8 (1982): 3-26. 4 E. Blasco Ferrer 1995: 120 (l’es. è di Fede e Bellezza di N.Tommaseo). 5 A. Zamboni, «Cambiamento di lingua o cambiamento di sistema? Per un bilancio cronologico della transizione», in: Herman, J. (ed.), La transizione dal latino alle lingue romanze. Atti della Tavola Rotonda di Linguistica Storica. Università Ca’ Foscari di Venezia, Tübingen 1998: 99-127. 6 B.Wehr, Diskurs-Strategien im Romanischen. Ein Beitrag zur romanischen Syntax, Tübingen 1984. 7 A.Adler, «Lat. quin und ne und die konjunktionslose Hypotaxe im Altfranzösischen», in: Meier, H. (ed.), Neue Beiträge zur romanischen Etymologie, Heidelberg 1975: 7-51. 8 P. Ramat, «Un esempio di rianalisi: le forme perifrastiche nel sistema verbale delle lingue romanze», in: Id., Linguistica tipologica, Bologna 1984: 143-65. 9 D.Wanner, The Development of Clitics from Latin to Old Romance, Berlin 1987. 10 A. Zamboni, Alle origini dell’italiano. Dinamiche e tipologie della transizione dal latino, Roma 2000. ad sensum, presentava una situazione dissimile da quella dell’it. mod., ma qui è forse illuminante riportare quanto qualche anno fa osservò Castellani (2003: 66 3 ): Il bottegaio della riviera livornese che alla vigilia di Ferragosto, vedendo il negozio riempirsi di gente, dice io faccio presto, me ne vo, e quando s’è calmato le acque, ritorno [...] è bene sappia che l’uso ufficiale corrispondente al suo uso naturale esige l’accordo del verbo col soggetto posposto: ma non può essere giudicato italofono se lo sa e non italofono se non lo sa (del resto s’è calmato le acque, modulo ben noto alla lingua antica, è italiano quanto si son calmate le acque, solo che oggi non è riconosciuto come altrettanto ortodosso). La costruzione pragmaticamente marcata con tema dislocato a sinistra e assenza di clitico anaforico si mantiene nell’it. mod., contrariamente a quanto si dice a p. 43, sebbene in condizioni più limitate (Come Giovanni potesse conciliare tal passo con le credenze sue, dirò poi) 4 . A p. 56 c’è un rinvio a Fintel 2006 che non trova riscontro nella Bibliografia. Per una più dettagliata discussione dei fattori che concorrono nella fissazione dell’ordine SVO, e per una cronologia piuttosto bassa (sec. IV-V), andava sfruttato a p. 70 il bel lavoro di sintesi di Alberto Zamboni 1998: 105-06 5 sulla transizione dal latino al romanzo. Nella breve esposizione della paraipotassi a p. 117-18 andava ricordato il lavoro di Barbara Wehr, che dimostra come il correlatore e avesse una funzione testuale ben precisa («quand’ecco che») 6 . Per l’uso collegato del congiuntivo e l’assenza del complementatore a p. 123 sarebbe stata utile la lettura del lavoro di Alfred Adler sui verbi timendi in fr. ant. e romanzo 7 . La Bibliografia è molto ben curata e mi sentirei di dover aggiungervi soltanto un lavoro tipologico di P. Ramat sulla formazione dei tempi composti 8 , la disamina più completa sui clitici dal latino al romanzo di Dieter Wanner 9 e il volume di Alberto Zamboni sul mutamento di strutture dal latino alle lingue romanze, con particolare riguardo all’italiano 10 . Eduardo Blasco Ferrer H