eJournals Vox Romanica 73/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2014
731 Kristol De Stefani

Michele Loporcaro/Vincenzo Faraoni/Piero Adolfo di Pretoro (ed.), Vicende storiche della lingua di Roma, Alessandria (Edizioni dellOrso) 2012, xiii + 390 p. (Lingua, cultura, territorio 42)

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2014
Ricarda  Liver
vox7310303
Besprechungen - Comptes rendus 303 1 Dalla pubblicazione presente non risulta se il titolo del colloquio era identico al titolo del volume. Michele Loporcaro/ Vincenzo Faraoni/ Piero Adolfo di Pretoro (ed.), Vicende storiche della lingua di Roma, Alessandria (Edizioni dellOrso) 2012, xiii + 390 p. (Lingua, cultura, territorio 42) Il volume da presentare riunisce i contributi del colloquio sulla storia del romanesco tenuto presso l’Università di Zurigo dal 17 al 19 settembre 2009 1 . Il titolo Vicende storiche della lingua di Roma è un omaggio a Clemente Merlo il quale, nel 1929, aveva avviato gli studi scientifici sul romanesco antico con un saggio intitolato in questo modo. Gli autori dei 15 saggi contenuti nel volume sono tutti specialisti in materia, esperti eminenti del romanesco in prospettiva glottologica, storico-linguistica e sociolinguistica. La lettura del volume permette dunque al lettore di farsi un’idea delle acquisizioni che la ricerca attuale apporta all’argomento. Il volume è strutturato in tre parti. La prima parte, «Aspetti di grammatica storica del romanesco», è dedicata a diversi problemi della storia linguistica del romanesco dalle Origini ai giorni nostri. La seconda parte tratta del «Romanesco dall’Ottocento ad oggi attraverso i testi» e la terza delle «Dinamiche sociolinguistiche», con particolare riguardo alla situazione contemporanea. L’introduzione degli editori (vii-xiii) riassume in modo conciso il contenuto dei singoli contributi. Tre indici alla fine del volume (Indice dei nomi di persona 335-44, Indice dei nomi di luogo 345-47, Indice delle forme 349-90) rendono più agevole la consultazione dell’opera. Qui di seguito ci limitiamo a segnalare brevemente il contenuto e l’intento dei 15 contributi. Nella prima parte del volume, così come nella seconda, sono contenuti 6 contributi, nella terza parte invece solo tre. Prima parte: Aspetti di grammatica storica del romanesco I. Paolo d’Achille, «Questioni aperte nella storia del romanesco: una rilettura di dati documentari» (3-27). Nel primo capitolo Paolo d’Achille, autore di numerosi saggi sul romanesco di tutte le epoche, presenta una panoramica generale dell’evoluzione diacronica del dialetto di Roma. L’analisi acuta e dettagliata di vari problemi fonetici, morfologici, lessicali e di sintassi permette la retrodatazione di diversi fenomeni e con ciò la dimostrazione di una continuità fra romanesco antico e moderno. Con questa nuova prospettiva l’autore non vuol negare la periodizzazione tradizionale del romanesco in due fasi, ma tiene a mettere in rilievo la presenza (sebbene limitata) di certi fenomeni che documentano una continuità a tutti i livelli di analisi, e rende attenti a non vedere le due fasi come eccessivamente compatte al loro interno (5). II. Vittorio Formentin, «Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale» (29-78). L’interpretazione di un documento recentemente trovato permette a Formentin di avanzare nuovi risultati rispetto alla metafonia delle vocali toniche medio-alte (e, o). Si tratta di un registro di Giovanni Cenci per i lavori di riordino del viridarium papale degli anni 1368/ 69. L’autore descrive il ms. e le mani degli scriventi (ben 9! ) per passare poi all’analisi della lingua. Da quest’ultima risulta che la metafonesi delle vocali medio-alte all’epoca in questione era un fenomeno in regresso. Il documento esaminato rispecchia una fase media in cui la metafonesi si sarebbe conservata solo in nomi con referente personale e in certi fossili arcaici. III. Vincenzo Faraoni, «La sorte dei plurali in -ora nel romanesco di prima fase» (79-101). L’autore pone la domanda se il tipo di plurale in -ora, ben documentato in epoca preletteraria in tutte le parti della Penisola, largamente attestato nei testi romaneschi di prima fase, Besprechungen - Comptes rendus 304 2 Ma cottío nel DEI viene derivato da quotidie! 3 Cf. il dantesco «Non ante tertium equitabis», De vulg. el. I,6,2. scomparso invece dal romanesco di seconda fase, sia da considerare un tratto antitoscano. Inoltre, si domanda se la scomparsa del fenomeno sia da imputare a un effetto della toscanizzazione rinascimentale oppure se si tratti piuttosto del risultato di un’evoluzione interna al sistema. In base a un’analisi dettagliata ed acuta che confronta la storia della regressione dei plurali in -ora nelle aree toscana e romana, Faraoni arriva alla conclusione che di tratto antitoscano non si può parlare. Al contrario, la storia della scomparsa di -ora all’interno del sistema romano permette di individuare una concordanza sull’asse Roma-Firenze. IV. Michele Loporcaro, «Un paragrafo di grammatica storica del romanesco: lo sviluppo della laterale palatale» (103-32). Loporcaro tratteggia la storia della laterale palatale insorta dalla confluenza degli esiti di -li- (filium . figlio), -gl- (*ex-vigilare . svegliare) e -lg e/ i - (coll[i]gere . cogliere). Con questo esempio l’autore dimostra come una razionalizzazione degli sviluppi strutturali/ interni in diacronia possa interagire produttivamente con una visione realistica della stratificazione sociolinguistica del repertorio. Vengono inquadrate nella storia dello sviluppo [ ʎ ] a [j: ]/ [j] da un lato l’insorgenza di uno dei tratti dell’accento romano, il raddoppiamento generalizzato di jod intervocalico d’altra origine (ajjuto), e dall’altro lato la sostituzione delle forme del clitico oggetto indiretto (glie . je di seconda fase per li del romanesco antico). Non è da escludere che nel passaggio da [ ʎ ] a [j] vi sia stata un’irradiazione dal contado, concretamente dalla Sabina (112 s.). V. Luca Lorenzetti, «Etimologia e storia di due parole romanesche» (133-50). La prima delle voci esaminate dall’autore è cottìo ‘asta del pesce’, la seconda, taciuta pudicamente nell’introduzione, è paraculo. Lorenzetti discute le spiegazioni correnti di cottìo che fanno derivare la voce o da quot(t)idie o da quot e suoi derivati. Non vede difficoltà di natura fonetica o semantica in queste spiegazioni, ma ritiene poco probabile la creazione di un nome a partire da un avverbio. La sua proposta alternativa parte dal verbo cottizare ‘giocare ai dadi’, un grecismo attestato nel latino tardo (kottíz ō ‘gioco ai dadi’). Secondo l’autore, lo sviluppo semantico, da ‘azzardare, osare’ a ‘partecipare a un’ asta’non pone difficoltà. Benché in un primo momento si possano avere dubbi sulla proposta di Lorenzetti, essa è in ultima analisi convincente. Si potrebbe citare, a sostegno dell’ipotesi, anche il caso di cóttimo ‘contratto con cui si dà o si assume un lavoro retribuito in base alla produzione ottenuta’, spiegato dal DEI s.v. come grecismo risalente al greco tardo kottismós ‘gioco di dadi’, con rinvio al latino tardo cottizare ‘giocare ai dadi . osare’ 2 . Lorenzetti avverte che l’etimologia da lui proposta si trova già nel Vocabolario generale di pesca del Tommasini (1906)! La seconda parola discussa da Lorenzetti è paraculo che storicamente significava ‘omosessuale maschio passivo’, nel linguaggio gergale moderno invece ‘furbo, opportunista’. Sorprendentemente, è un testo tedesco scritto ai primi del Settecento che fornisce attestazioni preziose per la storia della parola in questione. Si tratta di una pièce teatrale d’occasione di Barthold Feind, Das verwirrte Haus Jakob, Oder das Gesicht der bestrafften (sic! ) Rebellion (1703). In una scena in cui il prepotente servo Veracio sforza il maestro di scuola Christian Tode a spogliarsi del suo vestito nero che lui, Veracio, vuole indossare per presentarsi in municipio, ricorrono più volte le espressioni para mani e para culo (in italiano). Più avanti, il testo dice: «So ferne du anders sagest, ich geb dir per mani para culo gedoppelt». Convince la tesi dell’autore secondo la quale queste espressioni ci riportano in ambiente scolastico (ecclesiastico) medievale, dove para manum era la formula con cui si «invitava» lo scolaro a ricevere botte. Dall’origine latina 3 si spiega anche l’assenza d’articolo nell’espressione italiana. Para culo nella commedia di Feind è perfettamente analogo a para mano/ mani: «offri il deretano (perché io ti punisca)» nella locuzione verbale, o «punizione consistente nel porgere ecc.» Besprechungen - Comptes rendus 305 nella locuzione sostantivale (145). Alla luce di questi risultati è dubbio se l’origine di paraculo sia veramente romana o addirittura di stampo romanesco. VI. Giancarlo Schirru, «Osservazioni sull’armonia vocalica nei dialetti della Valle d’Aniene e in quelli dei Monti Aurunci» (151-74). L’articolo che indaga minuziosamente i diversi tipi di armonia vocalica nei dialetti indicati è l’unico del volume che non rientra nel tema generale in senso stretto, dato che il fenomeno in questione è assente dal romanesco. Fanno notare gli editori nell’introduzione che «il contributo è rilevante per meglio inquadrare fenomeni assimilativi dei quali serba traccia ancora cospicuamente il romanesco belliano» (ix). Dopo una breve rassegna della presenza dell’armonia vocalica in area romanza, l’autore riconduce le varie manifestazioni del fenomeno a pochi parametri, distinguendo tre dimensioni: 1) dominio all’interno del quale il processo fonologico si verifica, 2) il livello prosodico sul quale gli elementi coinvolti sono situati, 3) specificazioni fonologiche implicate nel processo. In conclusione, l’armonia vocalica sembra rappresentare il tratto di congiunzione tra il vocalismo atono mediano e quello alto-meridionale. Parte seconda: Il romanesco dall’Ottocento ad oggi attraverso i testi VII. Emiliano Pichiorri, «Un popolante al Santo Padre: una lettera in romanesco del 1846» (177-93). L’autore presenta un testo da lui scoperto, accompagnato da un dettagliato commento linguistico e dall’edizione del testo alla fine. Piuttosto che di un documento scritto da un popolano come suggerisce il titolo, si tratta di un esempio di letteratura dialettale riflessa. L’intento propagandistico e satirico del testo è ovvio. Il presunto «popolante», certamente una persona istruita, scrive a papa Pio IX per ringraziarlo dell’amnistia per i reati politici (1846). Il testo è caratterizzato da polimorfia e da un alto grado di variabilità interna, dovuta alla penetrazione dell’italiano a ogni livello diastratico del romanesco dell’Ottocento. Gli stessi tratti linguistici si ritrovano nei sonetti belliani. Tuttavia, nel secondo Ottocento, si osservano nuove tendenze di sviluppo indipendenti dalla lingua nazionale. VIII. Daniele Baglioni, «Il romanesco di Hugo Schuchardt» (195-212). Baglioni presenta una nuova edizione della lettera che il giovane Hugo Schuchardt scrisse nel 1869 all’amico Alessandro d’Ancona. L’edizione è accompagnata da un acuto commento linguistico che illustra l’imitazione del Belli nella lettera, ma mette in evidenza anche tratti desueti del romanesco che mancano in Belli, come la desinenza del condizionale -ebbia che documenta un fenomeno passaggero del romanesco nel tardo Ottocento. Il documento è prezioso non solo per l’attestazione di usi linguistici dell’epoca, ma anche per l’interesse del giovane Schuchardt per la polimorfia e la commistione delle varietà locali con la lingua nazionale. Esso è l’unico testimone dell’interesse di Schuchardt per il romanesco, ma prefigura il lavoro dello scienziato austriaco nella sua maturità (Mischsprache, interferenze, pidginizzazione, creolizzazione). IX. Claudio Giovanardi, «I Sonetti romaneschi di Filippo Chiappini dai manoscritti alle stampe. Con un testo adespoto (o del Belli? )» (213-33). Il contributo esamina la produzione in versi dell’autore del primo Vocabolario romanesco, Filippo Chiappini (1836-1905; edizione postuma del Vocabolario a cura di Bruno Migliorini, 1933). Anche i Sonetti romaneschi dello stesso autore videro la luce solo nel 1927, per cura del nipote Gino Chiappini. Giovanardi analizza la vicenda editoriale, la resa grafica del vernacolo e alcuni aspetti linguistici dei Sonetti romaneschi. L’edizione del nipote Gino riesce solo in parte ad armonizzare il testo. Rimangono incertezze grafiche, e l’editore accentua certi tratti che si erano diffusi nel cinquantennio postunitario, eliminando inoltre tratti obsoleti a favore di soluzioni italianizzanti. Nella seconda parte dell’articolo, l’autore commenta diverse stesure del sonetto adespoto «In morte di P. Gregorio XVI», arrivando alla conclusione che una paternità belliana non è da escludere. X. Claudio Costa, «Metro e rima nelle Favole romanesche di Trilussa» (235-49). Dopo una rassegna delle numerose edizioni delle Favole romanesche di Trilussa, dalla prima nel 1901 Besprechungen - Comptes rendus 306 4 Indicazioni bibliografiche a p. 263 N4. Perché non si ritrovano nella bibliografia? fino a quella del 1947, l’autore illustra la varietà metrica dei 34 testi originari. La ragione per cui Trilussa abbandona successivamente la divisione delle poesie in strofe può essere dovuta al fatto che il poeta concepiva la favola sempre più come un testo logicamente unitario. La libertà metrica, una novità nella poesia romanesca, è forse legata alle innovazioni formali della poesia italiana contemporanea. Trilussa era in contatto con D’Annunzio, ma anche autori come Lorenzo Pignotti, l’ultimo Monti, Leopardi, Aleardi o Arrigo Boito potrebbero aver influito su Trilussa. La poesia del Trilussa è apparentemente popolare, ma si fonda su di un procedimento squisitamente artistico, miscelando strumenti colti e non, modelli tradizionali ed esperimenti innovativi. Liberandosi di Belli con una poesia moderna, Trilussa preparava «con paradosso solo apparente» (Introduzione, x) la strada al successo di Belli. XI. Pietro Trifone, «Un poeta tra italiano e romanesco: Cesare Pascarella» (251-60). L’autore di molti saggi su aspetti specifici del romanesco e di varie sintesi sulla sua storia si propone di rivalutare Cesare Pascarella, un poeta il quale, come Trilussa, viene considerato minore rispetto al Belli. Dopo aver illustrato con alcuni esempi le qualità poetiche e parodistiche di Pascarella, Trifone esamina la lingua del poeta che qualifica come «un romanesco italianeggiante» (256). Dal confronto della lingua di Pascarella con quella del Belli risulta che Pascarella conserva numerosi fenomeni fonetici dialettali di Belli, ma spesso non li mette in evidenza attraverso la grafia. Nella morfologia, la resistenza di forme dialettali già utilizzate dal Belli è ancora più accentuata. La lingua di Pascarella, senza raggiungere la ricchezza di quella belliana, sperimenta comunque una strada nuova e personale. XII. Antonella Stefinlongo, «La lingua mala di Roma Criminale. Lessico e fraseologia» (261-78). La studiosa, autrice di diversi saggi sul romanesco di taglio sociolinguistico, parte dal romanzo di Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale (Einaudi 2002) 4 . L’autore, che non è romano, rappresenta nel suo romanzo la realtà linguistica di Roma nel secondo Novecento, un italiano medio con forme romane e romanesche. De Cataldo si muove tra diversi registri linguistici (colloquiale, formale, burocratico; espressioni basse, romanamente marcate) e tra diverse varietà dialettali (romano, napoletano, siciliano, toscano). Stefinlongo esamina il lessico criminale e la fraseologia, onnipresente nel romanzo, raffrontandola con le opere di riferimento (Chiappini, Malizia, Lurati ecc., cf. la bibliografia). Arriva alla conclusione che i modi di dire tradizionali hanno perso in gran parte la relazione con il mondo attuale. Il romanzo di De Cataldo rispecchia una nuova realtà romana più dura, violenta e volgare. Parte terza: Dinamiche sociolinguistiche XIII. Rita Fresu, «Donne e uomini, popolo e clero. Strati socioculturali e dinamiche di alfabetizzazione/ italianizzazione nella Roma preunitaria» (281-99). Nei due secoli che precedono l’Unità, l’alfabetizzazione di ceti anche più bassi e delle donne progredisce fortemente e con essa la toscanizzazione della lingua. Il clero ha un ruolo importante in questo processo. Il contributo di Rita Fresu si propone di costituire un corpus che permetta una rilettura in chiave variazionale di dati linguistici in relazione a una serie di binomi dicotomici: scriventi maschili versus scriventi femminili, scriventi appartenenti al clero versus scriventi laici, dimensione pubblica/ ufficiale versus dimensione privata (283). Il corpus è costituito dall’epistolario di s. Maria De Mattias (1805-66), fondatrice della Congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo e da altri scritti della stessa, inoltre vi figurano 39 lettere indirizzate alla famiglia Merolli da suor Maria Leonarda della Passione. Come termine di paragone si analizzano le lettere coeve di scriventi laiche, Maria Conti Belli e Amalia Ruspoli Pianciani. L’analisi dei dati concentrata sulla fono-morfologia delle forme verbali (287-94) conferma una toscanizzazione avanzata, ma non totale, più forte nella lingua delle religiose che in Besprechungen - Comptes rendus 307 quella delle scriventi laiche. La conclusione che l’attività didattica delle suore contribuisce alla diffusione della lingua unitaria è poco sorprendente, e l’articolo, purtroppo, non mantiene quello che il titolo e i paragrafi introduttivi promettono. XIV. Gerald Bernhard, «Romanesco rimisurato: una piccola indagine longitudinale» (301-14). Lo studioso tedesco, autore di una poderosa monografia sul romanesco del tardo Novecento, rende conto di un’intervista effettuata, in un ambiente discorsivo di vicinanza, a distanza di nove anni dopo una prima intervista. Se l’aspettativa di nuove conoscenze sulle modalità dei mutamenti linguistici tramite studi variazionali in tempo reale (303) pare sostanzialmente giustificata, ci si domanda invece fino a che punto un’inchiesta con solo tre probandi possa fornire risultati pertinenti. Difatti l’autore stesso fa notare che i risultati ottenuti nell’intervista del 1999 differiscono poco da quelli del 1990 e che devono spesso essere relativizzati nella loro portata. XV. Massimo Palermo, «Tra ipercorrezione e parodia: aspetti della deformazione comica del romanesco dal Belli al Bombolo» (315-34). L’ultimo contributo del volume tratta dell’impiego intenzionale dell’ipercorrezione, dal Belli attraverso la poesia dialettale successiva fino al ruolo di parodia e stereotipizzazione del romanesco nella comicità del cinema e della televisione attuali. Se il Belli in «Biglietto di gentildonna» spinge il vernacolo nel territorio dell’infima loquela della plebe (317 s.) e Pascarella gioca sui consueti storpiamenti di parole latine (319), Trilussa prende di mira altre varietà di registro: italiano aulico, tecnico e popolare. La sua parodia è indirizzata a particolari figure operanti in una società più mossa e stratificata (319-21). Nel teatro dialettale di Petrolini al gioco su una forte commistione di codici dell’italiano si aggiunge quello fondato sulla deformazione di altre lingue (321). Nel cinema dialettale moderno, dato il «confine diffuso» tra le varietà del continuum italiano-romanesco, l’ipercorrettismo è più raro. Si trova al massimo nella parlata dell’attore Bombolo (Franco Lechner) nei film di Umberto Lenzi e Bruno Corbucci degli anni ’70-’80. L’analisi del romanesco parodiato da attori non romani («Dialetto romano in bocca ambrosiana», 326 s.) consente di individuare i fenomeni percepiti oggi in Italia come stereotipi del romanesco. Il volume che abbiamo presentato offre una vasta panoramica degli studi attuali sul romanesco. La parte strettamente linguistica che caratterizza la prima sezione è ricchissima di indagini approfondite e dettagliate. Anche la seconda parte, dedicata allo studio del romanesco attraverso i testi, contiene molti contributi validi. Può stupire il fatto che i lavori dedicati alla sociolinguistica, campo di ricerca privilegiato negli studi sul romanesco degli ultimi decenni, siano relativamente pochi e non sempre di livello altissimo. L’articolo di Massimo Palermo, il più interessante in questa sezione, avrebbe potuto figurare anche nella seconda parte. Ma bisogna tener presente, come avvertono gli editori nell’Introduzione (xi), che le dinamiche sociolinguistiche stanno ovunque, anche nelle prime due parti, sullo sfondo delle ricerche sul romanesco. Ricarda Liver H Patrizia Cordin, Le costruzioni verbo-locativo in area romanza. Dallo spazio all’aspetto, Berlin (De Gruyter) 2011, 119 p. (Beihefte zur Zeitschrift für Romanische Philologie 365) Comme l’indique la première partie du titre, Patrizia Cordin s’intéresse dans cet ouvrage aux constructions constituées d’un verbe et d’un locatif dans l’aire romane, où celles-ci sont supposées connaître une diffusion marginale. La deuxième partie du titre réfère à la conclusion de l’étude en ce qui concerne l’évolution sémantique qu’a connue le locatif dans cette construction romane. Le livre comporte une introduction, cinq chapitres, une conclusion et un glossaire.