eJournals Vox Romanica 73/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2014
731 Kristol De Stefani

Jacques Elfassi/Cécile Lanéry/Anne-Marie Turcan-Verkerk (ed.), Amicorum societas. Mélanges offerts à François Dolbeau pour son 65e anniversaire, Firenze (SISMEL – Edizioni del Galluzzo) 2013, xiv-1222 p. (Millennio Medievale 96)

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2014
Gerardo  Larghi
vox7310325
Besprechungen - Comptes rendus 325 du topos, le locus terribilis, à l’opposé peut-être de son contrepoint, n’est pas qu’un simple artifice. S’il participe évidemment à l’ancrage de l’œuvre dans un genre (de l’épreuve arthurienne à la quête policière notamment), il se double généralement d’autres dimensions - historiques (cf. Artus de Bretagne), symboliques (cf. La Tour d’Amour), voire politiques (cf. Les lettres persanes) - qui permettent d’en renforcer l’intérêt narratif. Preuve s’il en est que, comme le prétend Conan Doyle, «L’horreur ne va pas sans l’imagination». Laurent Bozard H Jacques Elfassi/ Cécile Lanéry/ Anne-Marie Turcan-Verkerk (ed.), Amicorum societas. Mélanges offerts à François Dolbeau pour son 65 e anniversaire, Firenze (SISMEL - Edizioni del Galluzzo) 2013, xiv-1222 p. (Millennio Medievale 96) Nelle 1022 pagine di questo ponderoso volume sono raccolti i 54 contributi che amici e colleghi hanno voluto dedicare a François Dolbeau per il suo 65° genetliaco. La ricchezza dei lavori e l’ampiezza dello spettro di temi e argomenti affrontati, rendono l’idea degli interessi del festeggiato e insieme della estensione della sua fama. I contributi spaziano, infatti, dalla storia dell’Africa cristiana nei primi secoli (giustamente noto è il ritrovamento, da parte di Dolbeau, di 26 nuovi sermoni agostiniani in un codice cartusiano del XV secolo), alle raccolte di leggende medievali, alla agiografia, la liturgia, l’esegesi biblica. Assai utili e interessanti si rivelano però i contributi nel dominio della storia della lingua latina medievale, della semantica ed è soprattutto su di essi che si concentrerà la nostra attenzione. Apre il volume l’articolo di R.Alexandre, B. Bon e A. Guerreau-Jalabert, «Variations graphiques, variations morphologiques et lemmatisation du latin médiéval» (3-18), nel quale i tre operatori del Comité Du Cange affrontano la questione delle variazioni grafiche e morfologiche a partire dall’esperienza maturata in quanto linguisti e storici con il Novum Glossarium Mediae Latinitatis. Ne discende una riflessione sul concetto stesso di lemma e una discussione dei criteri seguiti per stabilire un nuovo lemmario del latino post-classico. Le analisi di M. Banniard, «Sur la notion de latin tardif à la lumière des systèmes langagiers d’Augustin» (26-36) affrontano la questione della lingua nei secoli della Tarda Antichità e in special modo del nesso tra lingua letteraria e lingua vivente, giungendo alla conclusione che la lingua di Agostino d’Ippona, per quanto personale era comunque costruita «dans le cadre normal d’une langue vivante commune, le latin tardif s’inscrivant simplement comme du latin classique ayant vécu quelques siècle de plus» (35). P. Chiesa, «Una misteriosa Vita medievale di papa Celestino I (fra Mantova e Bologna? )», (131-54), studia questo testo agiografico prodotto in Italia del Nord nel pieno Cento, e ne fornisce una pregevole edizione critica. Anche G. Dahan, «Les correctoires du XIII e siècle du livre d’Esther» (165-87), si occupa di questioni filologiche, ma in questo caso si tratta delle esperienze ecdotiche che nella Parigi del XIII secolo furono condotte sul testo biblico, ragguagliandoci così sul fatto che già a quella altezza cronologica si conduceva il confronto tra varianti (168), si ipotizzavano correzioni e aggiunte fondandosi su criteri paleografici, lessicografici, prosodici, grammaticali (169-70 e 175), si conoscevano l’ebraico (170-73), e il greco (173-74). Certo non si può parlare di edizioni criticamente condotte ma rimane il fatto che pur se desiderosi unicamente «de repérer et d’analyser les variae lectiones» (174) quei sapienti maneggiavano strumenti che sono ancora attuali per ogni filologo. Altrettanto interessante risulta l’indagine condotta da J. Dalarun, «Bribes franciscaines et ‹loi de Dolbeau›» (189-208), relativamente a tre leggende inedite francescane. Il nodo della questione, dal punto di vista di Dalarun, è quello relativo alla precedenza delle redazioni lunghe o brevi Besprechungen - Comptes rendus 326 di un dato testo. Lo studioso, prima di editare le opere, ne induce la priorità delle versioni più lunghe e conclude che le leggende subirono un’opera di scorciamento che rispondeva a bisogni di ordine liturgico. P. Gautier Dalché, «Notes sur la tradition du De rebus in Oriente mirabilibus» (237-70), indaga su questo testo conservato da tre testimoni sconosciuti e da un testimone ora scomparso. Fino ad oggi di quest’opera erano note tre redazioni, delle quali lo studioso fornisce una utile e precisa descrizione, ma è possibile anche leggerlo in tre volgarizzamenti e in numerosi excerpta conservati dalla tradizione indiretta. Dopo aver passato in rassegna gli studi anteriori relativi a tale opera, Gautier Dalché si sofferma sul ruolo che essa giocò nella cultura di Gervasio di Tilbury (242-47) e sulla sua presenza nei Mirabilia del tilberense (251-58). Particolarmente stimolante risulta il saggio di A.-V. Gilles-Raynal, «Un miracle de saint Saturnin au XII e siècle: une fable politique? » (271-92), nel quale l’autrice scandaglia minuziosamente un testo agiografico fino a farvi emergere la presenza di tracce di avvenimenti storici che interessarono il Languedoc del XII secolo. Se ne desumono orme delle lotte legate alla riforma gregoriana, e vi si mettono in luce i riflessi che nella letteratura coeva lasciarono le guerre condotte dal prototrovatore Guglielmo IX d’Aquitania per conquistare Tolosa, le tensioni esistenti tra ambienti canonicali e ambienti monastici, la rilettura che i religiosi condussero degli avvenimenti coevi e il tentativo di sottoporre un testo pur sempre religioso ad una riscrittura finalizzata alla propaganda. Da storico di vaglia qual è, D. Iogna-Prat prosegue nella sua indagine sul «L’Église comme espace d’intégration sacramentelle» (379-401), vale a dire sulla identificazione tra la Chiesa come spazio sacramentale e la Chiesa come comunità. In questo articolo, assai importante e denso di suggestive considerazioni, lo studioso ripercorre il nesso esistente tra architettura religiosa, liturgia e società nel medioevo (394-5). In questo senso anche i rinvii che Iogna-Prat fa ai romanzi di Chretien de Troyes e l’analisi che attraverso di essi egli propone della nozione di matrimonio nel XII secolo sono ricchi di interesse, e se pur non si può non concordare con il fatto che la cerimonia del matrimonio tra Erec e Enide «accorde une place infime, et pour tout dire dérisoire, au rite religieux» (395), ci trova meno concordi il fatto che per il grande autore champenois «l’amour ne peut s’épanouir que sur les marges, hors du mariage, dans l’adultère» (ib.). Sulla tradizione storiografica limosina, particolarmente ricca e stimolante soprattutto in relazione al deserto che caratterizza la produzione di altre zone dell’Occitania, si è chinato J.-L. Lemaître, «Le Majus chronicon Lemovicense et la chronique de Geoffroy de Vigeois» (417-33), il quale dimostra come la vasta compilazione duecentesca riprenda ampi stralci testuali dalla cronica di Goffredo Vigeois. All’interazione tra la politica religiosa di Luigi IX di Francia e la liturgia, dedica invece la sua attenzione C. Maître, «Une corona spinea cistercienne» (435-60), la quale ricollega un Officium composto in ambiente cistercense all’arrivo in Francia della reliquia della Corona di Spine e fornisce una pregevole edizione del testo discusso. Sulla produzione agiografica in terra occitana si è chinato L. Morelle, «La réécriture de la Vita Adalhardi de Paschase Radbert au XI e siècle: moment, contexte et modalités» (485-99) discutendo sia l’identità dell’autore del testo, che la data di composizione della seconda redazione e le ragioni storiche e politiche che ne presiedettero alla riscrittura. Come noto il testo primigenio della Vita Adhalardi fu ripreso in ambiente monastico nell’XI secolo. Morelle arriva a dimostrare che San Gerardo di Corbie, il riformatore religioso fondatore del monastero aquitano de La Sauve-Majeure, non s’incaricò personalmente di rivedere e sistemare la veneranda agiografia, ma che intorno al 1060 preferì sovrintendere al suo riadattamento, espurgandone i passaggi ritenuti superflui e trasformandone il contenuto secondo una visione più confacente alla nuova epoca, quella, non dimentichiamolo, del Movimento di Pace, e dunque di poco precedente alla Riforma gregoriana (496-97). M. Pérez González, «El léxico latino medieval del reino de León desde Alfonso VI hasta 1230» (547-70), e E. Pérez Rodríguez, «El léxico latino medieval del reino de León Besprechungen - Comptes rendus 327 hasta Alfonso VI (1065-1109)» (571-88), a partire dalla considerazione che «el reinado de Alfonso VI (1065/ 72-1109) suposo una renovación importante del léxico medieval leonés en bastantes campos léxicos» (548), analizzano a lungo e meticolosamente i cambiamenti subiti nel lessico mediolatino della regione iberica rispettivamente dai 37 anni di regno del monarca ispanico fino al 1230, e nel periodo antecedente alla salita al trono del sovrano. D. Poirel, «Les Templiers, le diable et le chanoine: le Sermo ad milites Templi réattribué à Hugues de Saint-Victor» (635-63) affronta la delicata questione attributiva di una epistola di Ugo di San Vittore, e specificamente della lettera ai templari. Al termine di un esame esemplarmente condotto su argomenti di ordine paleografico, stilistico, linguistico, storico e culturale, Poirel giunge alla conferma della attribuzione al maestro vittorino, ed a considerare che «l’intérêt principal du travail de première main sur les textes médiévaux ... vient précisément de ce qu’il nous offre l’occasion ... d’être étonné, dérouté, pris à contre-pied; qu’il nous oblige ... à réfléchir autrement sur le passé humain, d’après les documents et non d’après nos seuls préjugés» (658). Nella parte finale del saggio trova posto anche l’edizione del testo studiato. Anche J.-P. Rothschild, «Un De contrarietatibus in sacra Scriptura attribué à Garnier de Rochefort, tiré du De tropis loquendi de Pierre le Chantre» (741-68) si dedica all’analisi ed alla edizione di un testo prodotto in ambiente cistercense tra la fine del XII secolo e l’inizio della centuria successiva. L’opera in questione è un Trattato destinato a chiarire punti oscuri del testo biblico, punti destinati ad essere chiariti in favore di polemisti, predicatori ed esegeti, anche al fine di poter ribattere alle considerazioni che su di essi andavano accumulando gli eretici e quei dialectici come Abelardo che tanto poco successo raccolse nell’ambiente dei monaci bianchi. Su un tema lessicografico si sofferma X.Varela, «A propósito de la voz castanea en la documentación medieval de Galicia» (843-52), il quale analizza la presenza della voce castanea in testi giuridici. A.Vauchez, «Un texte hagiographique inédit du XIII e siècle relatif à saint Homebon de Crémone (m. 1197)» (853-64) oltre a editare da par suo, per la prima volta, una collezione di miracoli attribuiti a Sant’Omobono da Cremona e nota come collezione Omnipotens Deus. Il maestro francese dimostra inoltre come questo testo componga parte del materiale agiografico relativo al Santo, e come la sua seconda parte sia appartenuta alla seconda Vita di Omobono, composta da un chierico cremonese tra 1220 e 1240. M. E.Vázquez Buján, «Pulmo dans le Liber glossarum» (865-74), approfondisce la questione dell’origine di due glosse al termine pulmo presenti nel Liber Glossarum, rintracciandone la fonte in un trattato dell’autore tardo latino Vindiciano e in Isidoro di Siviglia. Segnaliamo infine il contributo che J.Verger, «Les hurlements de Moab et la conversion des philosophes, ou la naissance d’une culture chrétienne selon Ælred de Rievaulx» (875- 86) dedica alle Homeliae de oneribus propheticis Isaiae, stesa dal religioso tra 1163 e 1164, e nella quale l’abate inglese commentò i capitoli 13-16 del profeta israelita. Lo studioso mette in luce il debito che Aelredo contrasse nei confronti della coeva riflessione teologica, l’importanza da lui accordata ai sensi allegorici (da lui qualificato come mistico o profetico) e tropologico (877), ma anche i riflessi che in esse lasciarono gli avvenimenti storici contemporanei, come le tensioni tra Enrico II Plantageneto e Tommaso Becket. Il materiale esaminato lascia inoltre trasparire il dibattito che in quei decenni si accese intorno all’atteggiamento da tenere di fronte agli antichi sapienti, ai filosofi pagani. Gerardo Larghi H