Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniJean-Yves Casanova, Historiographie et littérature au XVIe siècle en Provence: l’oeuvre de Jean de Nostredame, Turnhout (Brepols) 2012, viii + 504 p.
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Gerardo Larghi
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Besprechungen - Comptes rendus 349 constituera - comme on l’a dit - non seulement un modèle en soi, mais encore la référence désormais incontournable pour un genre qui a joui d’une très grande fortune pendant au moins deux siècles, et qui mérite(rait) de retrouver une place dans les dictionnaires, anthologies et histoires littéraires. Maria Colombo Timelli H Jean-Yves Casanova, Historiographie et littérature au XVI e siècle en Provence: l’œuvre de Jean de Nostredame, Turnhout (Brepols) 2012, viii + 504 p. Storico, storiografo e poeta, da (quasi) tutti ritenuto un falsario oltre che uno studioso, la figura di Jean de Nostredame non manca certo di atouts per suscitare l’interesse degli occitanisti, siano essi medievisti o seizièmistes, linguisti o letterati. Non sorprende pertanto che questa controversa figura sia stata argomento di una tesi di dottorato che è ora divenuta un volume della collana delle «Publications de l’Association Internationale des Études Occitanes» edito in bella veste tipografica da Brepols. La competenza dell’autore poi, trattandosi di uno specialista come Jean-Yves Casanova, spiega bene anche la qualità del lavoro, che fin da subito si candida a divenire un punto di riferimento per chiunque si occupi di Nostredame, ma anche, e più in generale, di storiografia occitana, di rapporti tra umanisti e letteratura trobadorica, di storia della tradizione. Una paziente ricerca condotta direttamente sui manoscritti e nelle biblioteche provenzali, infatti, ha consentito a C. di chiarire numerosi punti della biografia e della vita culturale del famoso umanista, oltre a mettere a disposizione degli studiosi il testo dei Mémoires Historiques conservati in un manoscritto autografo convenientemente studiato da Casanova (222-24) e altrettanto ben pubblicato (225-355) e riccamente chiosato in abbondanti note, di pertinenti considerazioni e precise contestualizzazioni. Soprattutto però C. ha saputo dimostrare quanto possa essere fruttuoso un corretto rapporto tra filologia e storia, cioè tra la ricostruzione di un testo e del percorso da esso compiuto e la capacità di scrutare ad ampio raggio il divenire di fenomeni e avvenimenti. La figura stessa di Nostredame rappresenta la simbiosi tra due discipline assai più simili di quanto si soglia pensare, se non altro perché fare filologia significa fare storia, dacché la filologia si occupa proprio della ricostruzione critica di quelle fonti storiche che sono i testi, della loro minuziosa analisi, dell’evoluzione che subirono nel tempo e dell’uso che di essi fu fatto nel corso dei secoli. Nostredame in questo rappresenta davvero il prototipo dello storico moderno. Come ben mette in luce lo studio di C. il funzionario aixois, infatti, primo fra tutti gli storici provenzali recuperò negli archivi documenti, atti notarili, cronache e romanzi medievali, fondando le proprie ricostruzioni proprio su tale documentazione di prima mano. Dalle pagine di C. emerge un Nostredame dal profilo certo di un falsario (ma più avanti si vedrà quanto questa etichetta possa essere inappropriata per descrivere l’agire di Nostredame), ma di un falsario che costruì le proprie invenzioni su una solida base documentaria (scientifica oggi diremmo), che non si trattenne dall’attribuire a poeti ben noti, versi che egli pescò tra le opere proprie o altrui, ma non prima di averli sapientemente riscritti, adattandoli all’ideologia che ne guidava la penna. Non stupisce perciò che au fil des pages vengano corretti, e sovente anche smentiti, i giudizi negativi su Nostredame provenienti da due autorità quali Camille Chabaneau e Paul Meyer, le cui valutazioni si fondavano certo su un minuzioso studio dei documenti ma risentivano ampiamente del clima positivista e della convinzione che la verità storica fosse raggiungibile solo prescindendo dalle convinzioni ideologiche dell’autore. Ricollocando invece Nostredame nella sua epoca, ricostruendone legami biografici e culturali, ricomponendone la visione del tempo e della storia, studiando Besprechungen - Comptes rendus 350 1 Su di esso si veda ora quanto dice F. Barberini, Intavulare. Tavole di canzonieri romanzi. Canzonieri provenzali. 12. Paris, B.N.f.fr. 12472, Modena 2013. la coerenza e la struttura interna delle sue opere, C. può cogliere le ragioni che ne guidarono l’agire, mettere in luce i motivi che presiedettero alla scelta di temi, strumenti e argomenti, finanche comprendere le false attribuzioni dello storico provenzale. Da dove venne, c’è da chiedersi, l’interesse di Nostredame verso l’occitano? In fondo la sua fu l’epoca dell’umanesimo, del latino e i suoi rapporti con l’istituzione parlamentare provenzale furono tutt’altro che coincidenti (31), tanto che «la restitution du passé provençal opérée par Jean de Nostredame est au service d’une société parlamentaire aixoise qui privilégie l’intégration française» (41). Le cosiddette «falsificazioni» o, come meglio C. ama definirli, i «déplacements historiques», dello storico cinquecentista si collocano dunque a quel fecondo incrocio tra letteratura e storia che caratterizza l’intera produzione dell’autore dei Mémoires. Quelle «notizie infondate» contro cui si scagliò l’erudizione ottocentesca, sono dunque più di uno «spostamento lessicale» e non nascono tanto dalla passione dello scrittore per l’oggetto del proprio studio quanto piuttosto esse sono il portato di un progetto fondato su vaste ed erudite ricerche archivistiche e bibliotecarie che consentirono a Nostredame di aprire nuove piste di ricerca, di portare alla luce autori fin lì sepolti tra polverose carte, insomma di fare opera pienamente storica, seppure di quella storia provinciale che caratterizzò una parte della produzione storiografica di quei tempi (144-48). Ovviamente affrontare il tema delle falsificazioni ha implicato per Casanova anche un’analisi dei rapporti che l’autore oggetto dello suo studio intrattenne con il mondo trobadorico e specificamente con i trovatori provenzali. Diciamo subito che le pagine che il professore di Pau dedica all’argomento sono assai interessanti e contengono numerose considerazioni utili anche al medievista, per quanto qui e là risentano di una conoscenza non sempre puntuale della bibliografia specifica. Da esse emerge nettamente come «l’historien aixois» si sia servito «de la littérature de chevalerie pour inscrire l’histoire de Provence dans une dynamique nobiliaire» (128) e come l’irruzione del letterario nello storico e la trasformazione dei nomi non siano altro che strumenti atti a «mettre en valeur le personnage et la Provence» (ib.). Nell’opera di Nostredame «la Provence ne se définit pas obligatoirement par une série de faits historiques, mais également par une œuvre littéraire inscrite dans le passé provençal» (129): storia letteraria e storia generale si intrecciano, non sono separate, e ciò gli consentì di creare, forse inconsciamente ma senza che questo tolga valore alla sua ideazione, «un champ d’études hors du commun: l’histoire du texte d’oc» (ib.). In altri termini l’opera di Nostredame è anzitutto un portato della cultura propria della sua epoca, della quale ovviamente testimonia i limiti ma anche gli interessi e le passioni (152 e soprattutto 201-14). La prospettiva adottata da Casanova risulta dunque assai interessante, e non manca di aprire interessanti piste di lavoro circa l’identificazione di tutte le fonti adottate dallo storico provenzale (133), i rapporti tra Nostredame e la letteratura coeva o immediatamente successiva (139-41), ma anche i più tardi félibres (151). Un discorso a parte merita l’analisi che il docente universitario francese conduce circa i tre famosi sonetti citati da Nostredame e di cui il ms. occitanico siglato f dagli studiosi 1 , attribuisce la paternità rispettivamente a Jacme Motet, Blacasset e Bertran de Lamanon e che invece, a giudizio di Chabaneau, furono opera dell’ingegno dello storico provenzale. Come noto, in effetti, Nostredame fu tra i possessori del codice ora parigino ed è dunque assai probabile che egli abbia tratto da lì i versi, mentre un esame paleografico conduce Casanova ad escludere che egli ne sia stato il trascrittore e a supporre che i versi siano il frutto di una «réecriture de poèmes de Mote, Blacacet ou de Lamanon par un copiste du XIV e ou du Besprechungen - Comptes rendus 351 2 Al contrario di quanto egli sostiene, infatti, la forma Dieus era invariabile già in occitanico antico (169) e la tradizionale e regolare declinazione bicasuale fu sottoposta anche in quei secoli a fortissime tensioni. Ne approfitto anche per segnalare che erroneamente Casanova nega l’esistenza di un trovatore di nome Rascaz del quale invece ci sono note non solo la biografia ma anche alcuni versi (si veda ora la voce su Bermon Rascas curata da S. Guida in S. Guida/ G. Larghi, Dizionario Biografico dei Trovatori, Modena 2014). XV e siècle ou d’une fausse attribution» (169-99). Se tale conclusione ci appare accettabile, assai meno lo sono, invece, alcune considerazioni linguistiche di Casanova che comunque non inficiano il risultato della sua riflessione 2 . Siamo insomma di fronte ad un’opera che presenta indubbiamente grande utilità sia per lo studioso della letteratura occitanica cinquecentesca che per il medievista e lo storico della Provenza. Gerardo Larghi H Anne-Marguerite Frýba-Reber/ Pierre Swiggers (ed.), L’œuvre scientifique de Cyprien Ayer (1825-1884). Grammaire, Pédagogie et Dialectologie, Louvain (Peeters) 2013, 180 p. (Orbis Supplementa 39) Tout historien de la langue, philologue ou dialectologue sera reconnaissant aux deux auteurs de la réédition d’une publication de Cyprien Ayer, de 1878, peu accessible aujourd’hui: Introduction à l’étude des dialectes du pays romand (141-80, section IV de cette étude). Cette réédition est précédée de trois chapitres intéressants: I. Cyprien Ayer, l’œuvre d’un savant engagé (3-29); II. L’œuvre grammaticale et linguistique de Cyprien Ayer (31-98); III. Cyprien Ayer: réseau scientifique et réception (99-129); IV. Introduction à l’ouvrage cité de C.Ayer par A.-M. Frýba-Reber et P. Swiggers (130-39). Ce recueil entend apporter une documentation inédite sur la vie et la carrière scientifique du Fribourgeois, né en 1825, à Sorens, en Gruyère, Nicolas-Louis-Cyprien Ayer. Son riche parcours professionnel englobe des domaines très divers: journaliste engagé (collaborateur du Patriote jurassien, du journal radical Le Confédéré et de L’Émulation et à partir de 1859, rédacteur de L’Union démocratique), c’est également un homme politique, radical militant, un pédagogue, précepteur à Cracovie puis professeur à Neuchâtel, un homme de lettres et un homme de pouvoir. Sa carrière scientifique de grammairien et de linguiste nous intéresse particulièrement: sa Grammaire comparée de la langue française, parue en 1876 et souvent rééditée jusqu’à la fin du XIX e siècle, a connu un succès considérable; sa Phonologie de la langue française reflète notamment la modernité et l’ouverture d’esprit du Recteur de l’Académie de Neuchâtel de 1873 à 1875 et de 1878 à 1879, grand admirateur du philologue Friedrich Diez. Ce dernier, fondateur de la philologie romane, ne ménage pas ses éloges à la parution de sa Grammaire (14, 15 et 16); en outre, Arsène Darmesteter lui consacre une recension élogieuse et le ministère de l’Instruction publique en France propose de recommander la Grammaire de Cyprien Ayer pour les études préparatoires à l’agrégation, en 1877 (14, N26). Cependant le nom de ce savant engagé, de ce défenseur du francoprovençal n’est connu aujourd’hui que du cercle restreint des spécialistes: comme le font remarquer les deux éditeurs (3), Cyprien Ayer n’est même pas cité dans le Dictionnaire historique de la Suisse (DHS), mis à jour récemment. C’est à Daniel Maggetti (L’Invention de la littérature romande (1830-1910), Lausanne 1995) que l’on doit la redécouverte de cette figure intellectuelle romande originale de la seconde moitié du XIX e siècle. Nous
