Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2015
741
Kristol De StefaniDal discorso alla norma: prestiti e calchi tra i fenomeni di contatto linguistico
121
2015
Massimo Cerruti
Riccardo Regis
vox7410020
Vox Romanica 74 (2015): 20-45 Dal discorso alla norma: prestiti e calchi tra i fenomeni di contatto linguistico* Abstract: This paper deals with the main sociolinguistic mechanisms underlying contact-induced phenomena, especially as they are observable in Italo-Romance. Starting from the discussion of Myers-Scotton’s and Van Coetsem’s models of language contact, we will first try to rework some basic concepts of these models, in order to depict a grid of analysis of matter replication phenomena (borrowing, i. e. prestito) and pattern replication phenomena (calque, i. e. calco). We will then address the diachronic development of some cases of borrowing and calque, and hence their social diffusion, by referring to the speech/ language dichotomy (in our terms, discorso and norma respectively). Finally, we will attempt to model the range of language contact phenomena with special attention to the Italo-Romance situation. Parole chiave: contatto linguistico, prestito, calco, discorso, norma coseriana Key words: language contact, borrowing, calque, speech, Coserian norm 1. Introduzione Il lavoro che qui si propone riguarderà i meccanismi di attuazione e diffusione di alcuni fenomeni del contatto linguistico, specialmente per come si presentano nell’area italo-romanza o in situazioni in cui risultano coinvolte varietà italo-romanze. Il punto di partenza sarà costituito dalla discussione di due modelli generali del contatto linguistico, sviluppati rispettivamente da Carol Myers-Scotton e Frans Van Coetsem, che si basano su presupposti in certa misura avvicinabili. Rielaboreremo, in primo luogo, alcuni concetti cardine di questi modelli, allo scopo di giungere ad una griglia di analisi dei fenomeni di prestito e calco, da intendersi qui come gli esiti di due processi di passaggio di elementi da una lingua fonte a una lingua ricevente; processi che, sulla scorta di Matras/ Sakel 2007, possiamo chiamare «replicazione di materiale» (matter replication), ovvero di elementi dotati di sostanza fonetica, e «replicazione di schemi strutturali» (pattern replication), ovvero di categorie grammaticali, proprietà, regole, schemi sintattici, valori funzionali, significati. Tratteremo poi degli sviluppi diacronici, e dunque della diffusione sociale - dal discorso (nel senso della parole saussureana) alla norma (nel senso * Una prima versione di questo contributo è stata presentata al seminario Bilingual Speech: Models and issues on classification and analysis of code mixing phenomena, tenutosi presso la Libera Università di Bolzano/ Freie Universität Bozen il 22 maggio 2014. Siamo grati ai partecipanti al workshop per i molti suggerimenti che ci hanno fornito e che speriamo di essere riusciti, almeno in parte, a far confluire in questa nuova stesura. A Massimo Cerruti si devono i §3., 4., 6.2, a Riccardo Regis i §1., 2., 5., 6.1, 7. Dal discorso alla norma 21 coseriano del termine: cf. §6.) -, di alcuni casi di prestito e calco, con particolare attenzione al rapporto esistente tra questi e alcuni fenomeni ad essi contigui. Tenteremo, da ultimo, di fornire su queste basi una modellizzazione dei principali fenomeni di contatto linguistico di area italo-romanza. La distinzione che impiegheremo nel prosieguo tra replicazione di materiale e replicazione di schemi strutturali riprende un’opposizione ben acclimatata in letteratura. Già Weinreich 1953: 31, ad esempio, descrive con precisione i due processi (alludendo al coinvolgimento, nel caso del transfer di morfemi, di una lingua fonte e di una lingua ricevente, nel caso del transfer di strutture o proprietà, di una lingua modello e di una lingua replica), senza tuttavia assegnare loro un nome specifico. Come mostra la Tab. 1, che non ha ovviamente alcuna pretesa di esaustività, l’attribuzione di un’etichetta al trasferimento di materiale e al trasferimento di schemi strutturali ha a lungo impegnato i linguisti, conducendo ad una notevole proliferazione terminologica: Tab.1. Replicazione di materiale e replicazione di schemi strutturali nella letteratura M atras / s akel 2007 Matter replication Pattern replication M atras 2009 (borrowing) (calque) Haugen 1950 Borrowing Importation Substitution Heath 1984 Borrowing Structural convergence, or calque Gusmani 1986 Prestito Calco Johanson 1998 Global copying Selective copying Heine/ Kuteva Borrowing Lexical replication Grammatical 2005, 2010 replication Haspelmath 2009 Borrowing Lexical borrowing Structural borrowing Dal nostro punto di vista, risulta particolarmente utile la distinzione tra replicazione di materiale e replicazione di schemi strutturali, da un lato, e prestito e calco, dall’altro, perché permette di separare, rispettivamente, i processi di carattere generale dalle realizzazioni di tali processi. Massimo Cerruti / Riccardo Regis 22 2. Lingua matrice e lingua matrice composita: il modello Matrix Language Frame Il modello Matrix Language Frame (d’ora innanzi, MLF) è stato elaborato tra i primi anni Novanta e i primi anni Duemila da Carol Myers-Scotton; se ne trovano un’ampia presentazione in Myers-Scotton 1993, 2002 e una sintesi piuttosto articolata in Myers-Scotton 2006: 241-87. Sebbene non siano mancati, anche in tempi più recenti, contributi aventi per oggetto il modello e la sua applicazione (cf. ad esempio Myers-Scotton/ Jake 2009, Jake/ Myers-Scotton 2009, Myers-Scotton 2013, Myers-Scotton/ Jake 2014), gli assunti di base sono rimasti pressoché immutati dal 2002 in avanti. Il modello MLF si fonda sul principio che, nel contatto linguistico, il contributo dei codici coinvolti è asimmetrico e, per conseguenza, un «quadro strutturale di lingua matrice» (Matrix Language Frame) è sempre analizzabile o identificabile (cf. Myers-Scotton 2002: 8). Due opposizioni sono centrali per il funzionamento del modello: quella fra morfema sistematico (system morpheme) e morfema di contenuto (content morpheme) e quella fra lingua matrice (matrix language) e lingua incassata (embedded language). I morfemi sistematici sono quelli caratterizzati dal tratto [- assegnatore/ ricevitore di ruolo tematico], i morfemi di contenuto dal tratto [+ assegnatore/ ricevitore di ruolo tematico]; i primi sono tipicamente dei morfemi grammaticali (determinanti, morfologia di flessione e di accordo, ecc.), i secondi delle parole piene (nomi, verbi, ecc.). La lingua matrice è la lingua che stabilisce l’ordine superficiale dei morfemi (come previsto dal Morpheme Order Principle: cf. Myers-Scotton 1993: 83) e da cui provengono obbligatoriamente i morfemi sistematici che intrattengono rapporti morfosintattici esterni alla testa che li governa (come illustrato nel System Morpheme Principle: cf. nuovamente Myers-Scotton 1993: 83); la lingua incassata, dal canto suo, può fornire tutto ciò che non è appannaggio della lingua matrice, e in particolare i morfemi di contenuto. Il modello MLF ammette poi che esistano delle «isole di lingua incassata» (Embedded Language Islands), ovvero dei segmenti monolingui interamente formulati nella lingua incassata. Nel corso degli anni, il modello MLF è andato arricchendosi di due modelli di supporto, che ne hanno precisato alcuni aspetti non marginali: il 4-M Model e l’Abstract Level Model (Myers-Scotton 2002: 16-23). Il primo modello identifica quattro tipi di morfema, allo scopo di rendere meno rigida la contrapposizione tra content morpheme e system morpheme: accanto ai 1) morfemi di contenuto, che restano quelli poco sopra definiti, si individuano tre sottocategorie di morfemi sistematici: 2) morfemi sistematici precoci (early system morphemes: determinanti, marca -s del plurale), 3) morfemi sistematici tardivi «ponte» (late bridge system morphemes: preposizioni semplici, genitivo sassone) e 4) morfemi sistematici tardivi «esterni» (late outsider system morphemes: marche di accordo). Morfemi di contenuto e morfemi sistematici precoci sono attivati al livello concettuale e possono assegnare o ricevere ruolo tematico (i primi) oppure no (i secondi); i morfemi Dal discorso alla norma 23 1 Berruto 2001: 269N paragona tale distinzione a quella, ormai classica, tra prestito di necessità (Bedürfnislehnwort in Tappolet 1913: 54-55) e rispettivamente prestito di lusso (Luxuslehnwort in Tappolet 1913: 55-58). sistematici tardivi, invece, sono assegnati strutturalmente e possono far riferimento ad informazioni grammaticali al di fuori della proiezione massimale della testa («esterni») oppure no («ponte»). Il modello 4-M ha il merito di chiarire che i morfemi sistematici a cui allude il System Morpheme Principle sono, in realtà, soltanto quelli tardivi ed esterni. L’Abstract Level Model, che riprende le formulazioni di Levelt (1989), stabilisce che per ogni lemma del lessico mentale esistono tre livelli di struttura lessicale astratta, che fanno riferimento alla (i) struttura lessicale-concettuale, alla (ii) struttura predicativo-argomentale e agli (iii) schemi di realizzazione morfologica. Dei morfemi di lingua incassata, perché possano comparire in un discorso bilingue, viene verificata la congruenza rispetto alle controparti della lingua matrice: verrà consentito l’accesso solo ai morfemi di lingua incassata che si riveleranno, in base ai tre livelli sopra citati, sufficientemente congruenti. Come risulta dal breve resoconto che se ne è fornito, il modello MLF appare specialmente adatto per descrivere il funzionamento del code-switching intrafrasale (o code-mixing o enunciazione mistilingue), ma ad una condizione di base: che il rapporto fra i codici coinvolti sia asimmetrico, di modo che risultino chiaramente identificabili una lingua matrice e una lingua incassata. Il fatto che la vocazione principale del modello sia rappresentata dal codeswitching non ne ha scoraggiato l’applicazione ad altre manifestazioni del contatto linguistico. Per quel che qui ci interessa maggiormente, gli stessi principi che regolano il code-switching intrafrasale regolano anche, in questa prospettiva, il prestito. È opportuno ricordare che Myers-Scotton 2002: 239 distingue i cultural borrowings, i. e. «words for objects new to the culture ..., but also for new concepts» (ibidem) dai core borrowings, i. e. «words that more or less duplicate already existing words in the L1» (ibidem) 1 , e postula l’esistenza, in diacronia, di un rapporto tra code-switching e core borrowings (nel senso che, in molti casi, l’origine dei prestiti «centrali» sarebbe da rintracciarsi in switches coinvolgenti parole singole). È raro che i morfemi sistematici siano oggetto di prestito, ed in particolare è raro che lo siano i morfemi sistematici tardivi (late system morphemes, come l’of possessivo, il genitivo sassone, le marche di accordo soggetto/ verbo, i clitici, ecc.: cf. Myers-Scotton 2013: 38); quando ciò avviene, è probabile che ci si trovi di fronte ad una riconfigurazione morfosintattica e che il fenomeno coinvolto non sia più il prestito, ma la convergenza (cf. Myers-Scotton 2002: 241-242). La convergenza (che corrisponde a quello che noi denominiamo calco) sembra in effetti mettere in seria difficoltà i principi cardine del modello MLF. Del tutto simile, nei risultati, alla convergenza è l’attrition, sebbene implichi un quadro di sostituzione di lingua. Convergenza e attrition manifestano due caratteristiche principali: (a) i morfemi di superficie provengono tutti da un’unica lingua; (b) la struttura astratta soggiacente ai morfemi di superficie non proviene più da Massimo Cerruti / Riccardo Regis 24 una sola lingua (Myers-Scotton 2002: 22). Preso atto dell’inadeguatezza, in tali frangenti, del concetto di lingua matrice in senso classico, Myers-Scotton 2002: 22 introduce la nozione di lingua matrice composita, vale a dire «an abstract frame composed of grammatical projections from more than one variety». Nella prospettiva di Myers-Scotton, si ha una lingua matrice composita o quando i parlanti non hanno accesso completo alla lingua matrice obiettivo, o quando c’è competizione fra due codici per il ruolo di lingua matrice. La lingua matrice composita è dunque una terza soluzione possibile, che si affianca alla lingua matrice e alla lingua incassata e rivela, a livello di struttura astratta, il contributo di più di un codice; se però, nel caso della lingua matrice, abbiamo a che fare con una struttura astratta che può essere fatta corrispondere ad una lingua naturale (la lingua matrice di un certo enunciato sarà dunque l’italiano, il francese, l’inglese, ecc.), nel caso della lingua matrice composita, quale sia la lingua matrice resta privo di specificazione: si parla genericamente di una struttura astratta composita, che non si identifica, tuttavia, con nessuna delle lingue naturali coinvolte nel processo. Al piemontese d’Argentina della frase (1), (1) i vëddo a mia mare CLSogg1S vedo a mia madre ‘vedo mia madre’, lett. ‘vedo a mia madre’ (Giolitto 2000: 11) corrispondono il piemontese i vëddo mia mare e lo spagnolo veo a mi madre; se ne ricava che la frase i vëddo a mia mare presenta, a livello di superficie, il solo apporto del piemontese, a livello di struttura profonda, il contributo del piemontese e dello spagnolo, che affiora nel cosiddetto accusativo preposizionale. Si tratterebbe perciò, nell’ottica di Myers-Scotton, di una struttura astratta composita piemontese/ spagnolo, ma non di un piemontese composito, né, a fortiori, di uno spagnolo composito. Ci troviamo di fronte, più che ad una lingua matrice composita, ad una lingua composita; il riferimento al concetto di lingua matrice, benché corretto dall’aggettivo composito, appare fuorviante, e rischia di depotenziare i principi e le ipotesi del modello di Myers-Scotton. In conclusione, il modello MLF si occupa principalmente di code-switching intrafrasale. La lingua matrice è definibile a posteriori, sulla base di criteri linguistici interni (anche se con qualche rischio di circolarità); la padronanza (proficiency) non gioca più, almeno dal 1993 in poi, alcun ruolo nell’identificazione della lingua matrice. Le regole che gestiscono il code-switching gestiscono pure il prestito. Il modello MLF funziona molto bene quando la situazione di contatto è chiaramente asimmetrica (a livello di contributo dei singoli codici coinvolti) e quando, per conseguenza, si verifica il passaggio di materiale linguistico di superficie da una lingua all’altra. Nei casi in cui non c’è passaggio di materiale linguistico, ma soltanto di proprietà o di schemi, il modello MLF perde parte della propria efficacia; il concetto stesso di lingua matrice composita appare, come abbiamo visto, non privo di ambiguità. Dal discorso alla norma 25 2 Si noti che nella prospettiva di Van Coetsem borrowing e imposition presuppongono un certo grado di bilinguismo da parte del parlante. 3 Il modello di Van Coetsem presenta delle affinità con quello di Thomason/ Kaufman 1988; anche in questo si tengono presenti entrambe le direzioni del transfer. 3. La nozione di agentività: il modello di Van Coetsem e sviluppi successivi Il modello elaborato da Frans Van Coetsem (per cui si vedano almeno Van Coetsem 1988 e 2000) è imperniato sulla nozione di agentività, e presuppone anch’esso di fatto un rapporto asimmetrico tra le lingue coinvolte. Posto che, com’è noto, nel contatto fra due lingue il trasferimento di tratti avviene da una lingua fonte a una lingua ricevente, nella prospettiva di Van Coetsem è cruciale stabilire quale di queste due lingue sia da ritenersi agentiva. Per determinare quale sia la lingua agentiva, occorre considerare il grado di padronanza che l’attore del trasferimento - ovvero, il parlante che realizza il transfer - ha delle due lingue in contatto: risulta essere agentiva la lingua della quale l’attore del trasferimento ha maggiore padronanza. Si possono quindi riconoscere due tipi di transfer (v. Tab. 2): un primo tipo, chiamato borrowing, con agentività della lingua ricevente (LF → LR; per convenzione, la lingua agentiva è sottolineata); e un secondo tipo, detto imposition, con agentività della lingua fonte (LF → LR). Se l’attore del trasferimento ha una maggiore padronanza della lingua ricevente si tratterà di agentività della lingua ricevente; altrimenti, di agentività della lingua fonte. Quando l’attore del trasferimento ha un grado di padronanza simile delle due lingue coinvolte, la distinzione fra agentività della lingua ricevente e agentività della lingua fonte è neutralizzata (LF ↔ LR) 2 . Tab.2. Tipi di transfer, Van Coetsem 2000 Transfer Borrowing Imposition (pull transfer) (push transfer) Agentività della lingua ricevente Agentività della lingua fonte LF → LR LF → LR In altri termini: nei casi di agentività della lingua ricevente, il trasferimento di tratti avviene nella lingua di cui il parlante che realizza il transfer ha maggiore padronanza. Casi di questo tipo sono detti anche di pull transfer: il parlante «tira» nella propria lingua un tratto di un’altra lingua («the agent speaker performs a pull transfer that affects his own, linguistically dominant language», Van Coetsem 2000: 53). Nei casi di agentività della lingua fonte, invece, il transfer si produce nella lingua di cui il parlante ha minore padronanza. Per casi di questo tipo si parla anche di push transfer: il parlante «spinge» un tratto della propria lingua in un’altra («the agent speaker performs a push transfer that affects a language other than his own, linguistically dominant language», Van Coetsem 2000: 54) 3 . Massimo Cerruti / Riccardo Regis 26 Una distinzione fondamentale nel modello di Van Coetsem, poi, è quella tra dominanza linguistica e dominanza sociale (per cui cf. anche Winford 2005, 2007 e 2013). La prima nozione ha a che fare con la lingua della quale il parlante ha più padronanza, che è quindi linguisticamente dominante; ed è correlata con i meccanismi e i processi psicolinguistici che determinano l’introduzione di un’innovazione. La dominanza sociale ha invece a che fare con la posizione sociale delle lingue in contatto, per cui la lingua per gli usi «alti» è socialmente dominante; questa seconda nozione è quindi correlata non tanto all’introduzione quanto alla diffusione sociale di un’innovazione. Ciò che determina l’introduzione di un’innovazione è perciò la dominanza linguistica; che però, a sua volta, può essere influenzata dalla dominanza sociale (cf. Van Coetsem 2000: 57). Il modello di Van Coetsem si concentra dunque sui meccanismi che determinano l’introduzione di un’innovazione, per effetto del contatto, nelle produzioni linguistiche di un parlante (più specificamente, del parlante che è l’attore del trasferimento di quel tratto linguistico). Occorre sottolineare, poi, che il modello tiene conto principalmente, se non esclusivamente, di situazioni di bilinguismo individuale non bilanciato (i casi di neutralizzazione dell’opposizione tra agentività della lingua ricevente e agentività della lingua fonte, seppur menzionati, non sono mai affrontati in dettaglio); e che, sebbene sia pensato per dare conto della replicazione sia di materiale linguistico sia di schemi strutturali astratti, si focalizza di fatto sui fenomeni del primo tipo (stando per lo meno ai casi discussi in Van Coetsem 1988 e 2000). Va notato inoltre un punto problematico del modello: la lingua agentiva non è il risultato dell’analisi linguistica (lo è invece la lingua matrice nel modello MLF, pur con tutti i caveat del caso; v. §2.) ma è determinata dalla dominanza linguistica, ed è quindi stabilita a priori; a sua volta, circolarmente, l’individuazione della dominanza linguistica è demandata a criteri generali - non specificati - per il riconoscimento della lingua della quale il parlante ha più padronanza. Per di più, Van Coetsem condivide la prospettiva per cui la lingua della quale si ha più padronanza non necessariamente coincide con la lingua nativa del parlante («nativeness can be overruled by linguistic dominance», Van Coetsem 2000: 52); ancorché, indubbiamente, il caso in cui si abbia coincidenza è da ritenersi il più tipico. Proprio al caso più tipico fa evidentemente riferimento Haspelmath 2009, in una rivisitazione recente del modello di Van Coetsem. Haspelmath 2009 distingue due tipi di transfer (l’iperonimo adottato da Haspelmath è in realtà borrowing; cf. Tab. 1): il primo tipo, chiamato adoption, si ha quando un parlante importa (o «adotta») elementi di una lingua nella lingua di cui è parlante nativo («native speakers adopting elements from other languages into the recipient language», Haspelmath 2009: 36); il secondo, chiamato imposition, si ha quando un parlante introduce (o «impone») elementi della propria lingua in una lingua di cui non è parlante nativo («non-native speakers imposing properties of their native language onto a recipient language», Haspelmath 2009: 36). Lo stesso Haspelmath definisce il primo tipo nei termini di agentività del parlante nativo, il secondo nei termini di Dal discorso alla norma 27 4 Ancorché non eluda il problema di definire che cosa si intenda per parlante nativo; su tale questione, con particolare attenzione alla situazione italo-romanza, si veda Berruto 2003. agentività del parlante non nativo; dove nativo e non nativo sono da intendere nei confronti della lingua ricevente (cf. Tab. 3). Tab.3. Tipi di transfer (= borrowing), Haspelmath 2009 Borrowing Adoption Imposition Agentività del parlante nativo Agentività del parlante non nativo LF → LR LF → LR Per quanto si è detto sopra, la risistemazione di Haspelmath fotografa dunque il caso più tipico a cui sia applicabile il modello di Van Coetsem: il caso per cui, appunto, la lingua che si padroneggia meglio è la lingua di cui si è parlanti nativi. (Il che, oltretutto, elude il problema operativo di dover stabilire quale sia la lingua agentiva in base a criteri non specificati dal modello 4 ). 4. Replicazione di schemi strutturali: agentività e regole Si può provare a questo punto a elaborare una griglia descrittiva che dia conto dei diversi meccanismi in gioco nell’introduzione di un’innovazione per effetto del contatto, rispetto ai quali sia poi possibile classificare fenomeni specifici di prestito e calco. Fig.1. Agentività e regole Adozione Imposizione Regole della LR I L1 = LR L1 = LF III Regole della LF II L1 = LR L1 = LF IV replicazione di materiale / replicazione di schemi strutturali Massimo Cerruti / Riccardo Regis 28 Nello schema in Fig. 1 si sono incrociati i due tipi di transfer adoption e imposition (da intendere dunque come in Haspelmath 2009; cf. §3.) - ovvero, qui, adozione e imposizione -, con la realizzazione di regole della lingua ricevente (LR), da una parte, e di regole della lingua fonte (LF), dall’altra. Nei quadranti I e II si collocano i casi di agentività del parlante nativo della LR, e nei quadranti III e IV i casi di agentività del parlante nativo della LF. I quadranti I e III rappresentano i casi in cui l’innovazione osserva regole della LR, mentre i quadranti II e IV i casi in cui l’innovazione rispetta regole della LF; la linea che separa la realizzazione di regole della LR dalla realizzazione di regole della LF è tratteggiata, dal momento che una stessa innovazione può seguire regole sia dell’una sia dell’altra lingua. Lo schema vuole dare conto di fenomeni sia di replicazione di schemi strutturali sia di replicazione di materiale. Possiamo esaminare in questo quadro alcuni casi specifici di pattern replication, tutti riferiti a situazioni di contatto che coinvolgono l’italiano (con l’avvertenza che la discussione terrà conto soltanto delle proprietà astratte direttamente interessate dal trasferimento di un certo elemento da LF a LR). Nei quadranti I e II si collocano i casi di adozione, ovvero i casi di replicazione di tratti nella lingua di cui si è parlanti nativi. Ne è un esempio un calco traduzione come studio di caso in (2), prodotto da un parlante nativo di italiano (LR) sul modello dell’inglese (LF) case study. Il calco segue regole sia della LR sia della LF. Dal punto di vista della struttura morfologica, infatti, presenta l’ordine modificato-modificatore che anche nei composti è tipico della LR (anziché l’ordine modificatore-modificato proprio della LF); mentre dal punto di vista dell’organizzazione interna del significato conserva la «struttura lessicale-concettuale» che ha il corrispondente nella LF («struttura lessicale-concettuale» è qui da intendere nei termini di Myers-Scotton 2002: 19: «language-specific semantic/ pragmatic feature bundles ... are mapped onto entries in the mental lexicon (lemmas) as lexical-conceptual structure»). (2) Lo studio di caso rappresenta una strategia caratteristica della ricerca qualitativa (Gianluca Battilocchi, Lo studio di caso, in: Lucio Guasti (ed.), Apprendimento e insegnamento, Milano 2002: 165-99) In questa prospettiva, il calco traduzione analogo caso-studio (così come le varianti caso studio e caso di studio) in (3), prodotto anch’esso da un parlante nativo di italiano, è invece da collocarsi nel solo quadrante II. Modellato come il precedente sull’inglese case study, rappresenta un caso di adozione conforme sia alla struttura morfologica (ordine modificatore-modificato) sia all’organizzazione interna del significato («struttura lessicale-concettuale») del corrispondente nella LF. (3) Poiché il caso-studio è un metodo di ricerca, esso può essere declinato in base alla prospettiva teorica e metodologica che si intende adottare (Laura Maran, Economia e management dell’università, Milano 2009: 187) Dal discorso alla norma 29 Sempre rispetto alle proprietà astratte trasferite da LF a LR, può collocarsi altresì nel quadrante II un calco semantico quale etichetta, occorrente come in (4) nell’accezione di ‘casa discografica’; il calco è realizzato da un parlante nativo della LR e conserva il significato che ha il corrispondente label nella LF (cf. ad es. Regis 2010: 1090). (4) Morrissey ha firmato il contratto con una nuova etichetta (http: / / rumoremag.com, 16.01.2014) La griglia in Fig. 1, poi, può dare conto della replicazione di schemi strutturali anche oltre il livello lessicale. Un’interrogativa multipla come chi fa che cosa in (5), ad esempio, se prodotta da un parlante nativo di italiano (LR) rappresenta un caso di adozione di uno schema strutturale sintattico dell’inglese (LF) (v. ad es. Berruto 2012 [1987] e in stampa; Benincà 1993: 284-87; Grasso 2007; Renzi 2007: 184-185; Gandolino 2012); ed è quindi da collocarsi nel quadrante II. (5) Il nodo è stabilire chi fa che cosa nella sanità savonese e ligure (www.casaliguria.org, 19.05.2007) Nondimeno, occorre ricordare che oltre alle proprietà sintattiche di un costrutto - specie al momento del suo ingresso nella LR - possono essere replicate anche le proprietà di significato di singoli schemi fissi. L’interrogativa multipla, ad esempio, pare essere entrata in italiano come replicazione di poche formule fisse, del tipo di chi è chi (su modello dell’inglese who’s who; cf. Cortelazzo 1983, 79, Grasso 2007); ma cf. più avanti (§6.). Altri fenomeni di livello sintattico possono invece collocarsi contemporaneamente nei quadranti I e II, poiché seguono regole sia della LR sia della LF. È il caso ad esempio di un costrutto quale grazie di/ per+infinito semplice, come in (6), prodotto da parlanti nativi di italiano sul modello dell’inglese thank you for+present infinitive. Il costrutto replica una regola strutturale della LF ma è realizzato secondo regole semantiche proprie della LR: a differenza infatti del modello inglese, che ha valore di anteriorità, il corrispondente italiano ha valore di posteriorità, coerentemente col significato temporale che l’infinito semplice ha in italiano quando compare in proposizioni subordinate (cf. Renzi 2000: 315). (6) Grazie di inviarmi i campioni richiesti (Vanelli/ Renzi 2002: 487) È evidente, dunque, come nei casi di adozione la lingua materna dei parlanti possa intervenire sulle proprietà astratte trasferite da LF a LR, dettando alcune sue regole (come in (2) e in (6)); fatto salvo in ogni caso, per definizione, il passaggio di regole anche della lingua di cui non si è parlanti nativi. Veniamo ora ai fenomeni di imposizione, ovvero ai casi di replicazione di tratti dalla lingua di cui si è parlanti nativi. Su questo versante, possiamo considerare un calco traduzione come Massimo Cerruti / Riccardo Regis 30 5 L’enunciato è parafrasabile grosso modo come ‘di solito, quando il telefono squilla sto stirando’; l’evento ha carattere di consuetudine ma è presentato rispetto a un singolo istante di focalizzazione, ossia con accezione progressiva. (7) scuola vocazionale (Clivio 1986: 139) registrato nell’italiano di Toronto (LR). Il composto è prodotto sul modello dell’inglese (LF) vocational school (‘scuola professionale’) da parlanti delle seconde e terze generazioni di immigrati italiani in Canada, che hanno l’inglese come lingua materna e l’italiano come «lingua ereditaria» (heritage language). Va da sé che il calco scuola vocazionale trova collocazione nei quadranti III e IV, poiché ha la «struttura lessicale-concettuale» del corrispondente in LF ma segue la regola di struttura dei composti che è tipica della LR (modificato-modificatore). Si può aggiungere che nell’italiano di Toronto il composto scuola vocazionale coesiste con sinonimi come vochescine scuola e vocheggine scuola (Clivio 1986: 140-41), che hanno ordine modificatore-modificato e un prestito adattato come primo elemento, introdotti invece da immigrati parlanti nativi di dialetti meridionali. Per quanto riguarda il solo quadrante IV, possiamo citare un paio di casi di interferenza di sostrato in ambito italo-romanzo: in entrambi l’italiano è la LR e un dialetto settentrionale (il piemontese in (9)) è sia la LF sia la lingua materna del parlante. (8) chiudi la porta quando che vai via (Telmon 1993: 123) (9) quando squilla sono lì che stiro (Cerruti 2014: 290) Nel primo caso, (8), il parlante «impone» all’italiano una regola del dialetto, il doppio complementatore (quando che); nel secondo (9), a una costruzione dell’italiano di valore locativo, essere lì che/ a+V/ infinito, viene «imposto» il valore aspettuale progressivo che la costruzione consimile ha in dialetto (l’evento di stirare è colto infatti in un singolo istante del suo svolgimento, quando squilla 5 ). In questo secondo caso, poi, l’imposizione di una regola del dialetto innesca il processo di grammaticalizzazione del costrutto; ma su questo punto torneremo al §6. A differenza dunque di quanto accade nell’adozione, nei casi di imposizione la lingua materna dei parlanti può governare totalmente le proprietà astratte trasferite da LF a LR; senza interventi «regolatori» da parte della lingua di cui non si è parlanti nativi (come in (8) e (9)). Le categorie di «adozione» e «imposizione» consentono dunque di descrivere il ruolo giocato dalla lingua materna dei parlanti nell’introduzione di un’innovazione per effetto del contatto; e, applicate a fenomeni di pattern replication, contribuiscono a delineare i meccanismi in grado di determinare l’apporto di più lingue alla struttura astratta degli enunciati. In altri termini, possono dare conto dei meccanismi alla base di quell’abstract frame che Myers Scotton definisce (in maniera problematica, come si è discusso al Dal discorso alla norma 31 §2.) «lingua matrice composita». Per quanto si è detto, è chiaro infatti come sia la lingua materna sia la lingua non materna dei parlanti - o, da un’altra angolatura, sia la LF sia la LR - contribuiscano alla struttura soggiacente degli enunciati da (2) a (9). In certi casi, le due lingue partecipano entrambe della struttura sintattica dell’enunciato; come in (5), dove l’inglese fornisce il costrutto dell’interrogativa multipla e l’italiano detta ad esempio l’ordine postnominale degli aggettivi interni al sintagma sanità savonese e ligure. In altri casi, una delle due lingue fornisce la struttura lessicale-concettuale di alcuni «lemmi» (nel senso di Myers-Scotton 2002: 19 s.), come l’inglese in (2), (3) e (4), o determina le proprietà semantiche un dato costrutto, come l’italiano in (6); oltre, eventualmente, a intervenire a livello della struttura sintattica dell’enunciato. 5. Replicazione di materiale: agentività e regole Se il modello di Van Coetsem applicato ai fenomeni di pattern replication aiuta ad illuminare alcuni aspetti del funzionamento di quella che Myers-Scotton chiama lingua matrice composita, la sua applicazione ai fenomeni di matter replication induce a riflettere sulle dinamiche del prestito, e sulla delicata transizione tra code-switching e prestito non adattato (che affronteremo al §6.). Continuando a seguire la scansione in quadranti prevista dallo schema in Fig. 1, i primi due casi d’interesse riguardano il prestito lessicale nella sua accezione più classica, quando cioè l’adozione di un elemento alloglotto avviene nella lingua di cui si è parlanti nativi e in presenza di regole della LR (quadrante I). In piemontese troviamo un prestito adattato recente, del cui uso in àmbito scritto ci dà testimonianza l’esempio (10): (10) E ’l so can da bistëcca che a nuffia e a sbërlecca (‘e il suo cane da bistecca che annusa e lecca’) (fonte: http: / / www.feco.it/ fujn/ stran074.html, inizio anni 2000) La forma bistëcca ([bis ˈ t ə k ː a]), che ha come fonte l’it. bistecca e segue la regola della LR per cui, nei prestiti dalla lingua nazionale, la vocale media anteriore dell’italiano è realizzata come [ ə ] prima di geminata, ha oggi affiancato le voci biftech ([bif ˈ t ɛ k]) - di genere maschile, già attestata nei dizionari ottocenteschi: cf. ad esempio Sant’Albino 1859 e Gavuzzi 1891 - e bistech ([bis ˈ t ɛ k]) - parimenti di genere maschile, registrato in alcuni dizionari moderni di piemontese: cf. ad esempio Brero 2001. Una storia molto diversa, dal punto di vista sociolinguistico, è raccontata dal termine forwardare ([forwar ˈ da ː re]) ‘rispedire, inoltrare un messaggio a un altro utente senza apportarvi alcuna modifica’ (GRADIT), prestito morfofonologicamente adattato dall’inglese (to) forward, [ ˈ f ɔː w ə d], tipico del linguaggio informatico, o del metalinguaggio della comunicazione mediata dal computer. Qui ad essere coinvolte sono due lingue standard, con l’inglese che svolge ormai sull’italiano un Massimo Cerruti / Riccardo Regis 32 forte influsso adstratico, specialmente per quanto concerne alcuni settori del lessico. L’esempio (11) è tratto da un forum in rete, in cui il verbo forwardare compare alla I persona del presente indicativo: (11) ti forwardo la mail di camy? (fonte: https: / / it.groups.yahoo.com/ neo/ groups/ myhomestudio/ conversations/ topics/ 6145; 21.07.2004) Il quadrante II, quello dell’adozione con regole della LF, è il più problematico da trattare, in quanto è abbastanza raro trovare parlanti che, pur avendo come L1 la LR, riproducano una parola della LF senza alcun adattamento fonomorfologico. Ciò può nondimeno avvenire in situazioni di bassa distanza strutturale fra i codici in contatto, e più in generale in situazioni di bilinguismo diffuso a livello comunitario, come è appunto il contesto di lingua cum dialectis esemplificato in (10). A tal proposito, sembra interessante osservare che, nel parlato spontaneo di locutori che hanno come lingua madre il piemontese, si può riscontrare l’impiego del termine bistecca privo di adattamento fonetico: (12) le bis ˈ tek ː e a mi m ˈ pjazu pa pi ... nuj l an ˈ tyti kun la bis ˈ tek ː a (‘le bistecche a me non piacciono più ... noi ce l’hanno tutti con la bistecca’; parlato spontaneo; Regis 2005: 35) Vediamo ora che cosa succede sul versante dell’imposizione, ovvero quando la LF è anche la lingua di cui si è parlanti nativi, e in presenza di regole della LR (quadrante III). Molti degli attuali dialettismi rintracciabili nel lessico dell’italiano hanno cominciato la loro storia come regionalismi, ovvero parole di uso locale, maturate in un contesto preunitario in cui la L1 era rappresentata dal dialetto (per la distinzione fra dialettismo e regionalismo, cf. Canepari 1990: 90-91). Si veda il caso di panettone, prestito adattato fonomorfologicamente dal milanese panaton, [pana ˈ to ŋ ]/ [pana ˈ tu ŋ ] (la voce panaton de Danedaa ‘pan grosso, qual si suol fare il giorno di Natale’ è registrata in Capis/ Biffi 1606: 35). È interessante che il termine sia attestato per la prima volta, secondo il GDLI, nelle lettere di Ugo Foscolo e compaia tra virgolette: (13) M’andava mangiando il «panattone» (Ugo Foscolo, Epistolario 1 [1794-1804], ed. P. Carli, Firenze 1949: 364) È molto probabile che Foscolo, nato a Zante da famiglia greco-veneziana, avesse appreso dell’esistenza del dolce e della parola dialettale che lo designa durante i suoi frequenti e prolungati soggiorni milanesi, e che nel contesto milanese, allora prevalentemente dialettofono, fosse maturato l’adattamento di panaton alla fonetica e alla morfologia dell’italiano, nella forma panattone, in séguito panettone. Il quadrante IV è dedicato all’imposizione con regole della LF. L’esempio scelto coinvolge un segnale discorsivo, [bo ŋ ] ‘basta’, assai comune nell’italiano regionale Dal discorso alla norma 33 piemontese di parlanti che possono avere come L1 tanto l’italiano quanto il dialetto: (14) Loro fanno la coda per conto suo, noi per conto loro [? ], [bo ŋ ].. Allora ce n’è dieci, tu sei undicesimo.. (parlato spontaneo; Regis 2005: 51) Che il codice principale del parlante in questione sia il dialetto è dimostrato dall’occorrenza di due tratti substandard di area settentrionale, da considerarsi nella fattispecie calchi dal piemontese, l’uno di tipo semantico, l’altro di tipo strutturale: cf. rispettivamente l’uso del possessivo suo con il valore di ‘loro’ (in piemontese so è insensibile al numero del possessore) e il mancato accordo tra verbo esistenziale e soggetto plurale (ce n’è dieci, piem. ai na j’è des, it. standard ce ne sono dieci). Come si sarà già notato, nei casi di adozione la LF è più tipicamente una lingua di adstrato, come negli esempi (2), (3), (4), (5), (6) e (11), o di superstrato, come in (10) e (12); mentre nei casi di imposizione la LF è una lingua di substrato, come in (7), (8), (9), (13) e (14). 6. Fenomeni di contatto dal discorso alla norma Trattiamo ora più compiutamente in prospettiva diacronica alcuni dei casi sopra discussi. La distinzione di base che adotteremo è mutuata da Backus/ Dorleijn 2009: 78, che propongono di organizzare le manifestazioni del contatto intorno ai due domini denominati speech e language, da collocarsi sul versante, rispettivamente, della sincronia (= del discorso in atto) e della diacronia (= del cambiamento linguistico). L’idea di Backus e Dorleijn non è nuova, e rimanda piuttosto chiaramente all’opposizione, già in Weinreich 1953: 11, tra speech interference e language interference: «In speech, it [scilicet interference] occurs anew in the utterances of the bilingual speaker as a result of his personal knowledge of the other tongue. In language, we find interference phenomena which, having frequently occurred in the speech of bilinguals, have become habitualized and established». Weinreich pone l’accento sugli aspetti sociali del contatto linguistico, opponendo fenomeni idiosincratici (speech interference) a fenomeni stabilizzati, condivisi a livello comunitario (language interference). È lo stesso Weinreich 1953: 7 a denunciare la matrice saussuriana della propria dicotomia, quando attua una corrispondenza tra speech e parole, da un lato, tra language e langue, dall’altro. A ben vedere, però, Weinreich trascura una caratteristica importante della langue di Saussure, il suo essere anche un insieme di regole e principi astratti: «C’est à la fois un produit social de la faculté du langage et un ensemble de conventions nécessaires, adoptées par le corps social pour permettre l’exercice de cette faculté chez les individus» (Saussure 1967 [1916]: 25; corsivo nostro). Allo scopo di dare conto delle due anime della langue saussuriana, Coseriu 1967 [1952]: 55-56 propone di distinguere il sistema normal, o Massimo Cerruti / Riccardo Regis 34 anche semplicemente norma, comprendente gli elementi sociali, «es decir, normales y repetidos en el hablar de una comunidad», dal sistema funcional, il quale «se establece en el plano superior de abstracción, el de las ‘formas lingüísticas’» (corsivi dell’autore); e di porre l’uno e l’altro accanto alla realizzazione concreta della lingua, «el habla», del tutto coincidente con la parole. La norma non ha in Coseriu alcun carattere prescrittivo: è normale ciò che rientra nelle abitudini della comunità, ciò che gode di condivisione comunitaria. Riteniamo, non diversamente da Backus e Dorlejin e da Weinreich prima di loro, che gli aspetti sociali siano essenziali nel descrivere la parabola diacronica dei fenomeni di contatto linguistico; e, al fine di rendere perspicuo che è proprio a questi fattori che intendiamo riferirci, impiegheremo la coppia discorso e norma (o sistema normale, nel senso coseriano testé riportato). Più precisamente, ascriveremo al dominio del discorso i fenomeni sia di produzione individuale («originalidad expresiva absoluta» in Coseriu 1967 [1952]: 97) sia di comportamento di uno o più individui - simile a quella che Coseriu 1967 [1952]: 96-97 chiama «norma individual, es decir, un campo que comprenda todo lo que es repetición, elemento constante en el hablar del individuo mismo, eliminándose sólo lo puramente ocasional y momentáneo» e che noi potremmo denominare norma non comunitaria; mentre al dominio della norma, da intendersi qui come «norma in senso proprio», riserveremo i fenomeni di norma comunitaria, condivisi cioè al livello dell’intera comunità. Il discrimine è dunque, nella nostra prospettiva, tra ciò che è individuale (discorso) e ciò che è comunitario (norma); sempre al discorso è ascrivibile ciò che è regolare nel comportamento di uno o più individui (ma che non rientra ancora nella norma comunitaria). Non per tutti gli esempi discussi ai §4. e 5. è possibile ricostruire le vicende nel loro sviluppo temporale; per alcuni di essi, tuttavia, si può tentare di seguire, almeno per sommi capi, l’itinerario percorso dal discorso alla norma (o sistema normale). Un itinerario che, almeno in linea di principio, si svolge in quattro fasi (cf. ad es. Milroy/ Milroy 1997: 51): dopo essere stato introdotto nella produzione linguistica del singolo parlante ((i)), un elemento nuovo può diffondersi nel comportamento linguistico di quel parlante ((ii)) o nel comportamento linguistico di più parlanti ((iii)), infine nella norma condivisa da un’intera comunità ((iv)); le prime tre fasi sono riconducibili al dominio del discorso, occasionale ((i)) o regolare ((ii), (iii)), l’ultima ((iv)) al dominio della norma. Nel momento in cui l’innovazione penetrata in (i) ha provocato un mutamento linguistico a livello comunitario, è diventata parte del sistema normale ((iv)), essa svolgerà un ruolo anche sul piano del sistema funzionale, nei rapporti paradigmatici e sintagmatici con gli altri elementi della struttura linguistica. Dal discorso alla norma 35 6.1 Replicazione di materiale Al §2., discutendo dei prestiti non adattati, si era già accennato al problema della distinzione tra code-switching e prestito; e si era detto che, nell’ipotesi di Myers-Scotton 2002: 239, i core borrowings traggono (o possono trarre) avvio proprio nel discorso bilingue. Dello stesso parere di Myers-Scotton sono Backus/ Dorleijn 2009: 78-79, che considerano l’insertional code-switching come l’equivalente a livello di sincronia e di discorso del lexical borrowing, collocato quindi sul versante della diacronia e della norma. Quella tra code-switching e prestito è evidentemente una relazione credibile, ragionevole, che non deve però essere trasformata in un rapporto di causa/ effetto. Ci sembra quindi più prudente operare una distinzione tra «prestito di discorso» (cf. speech borrowing in Grosjean 1982) e «prestito di norma» (cf. language borrowing in Grosjean 1982): se infatti non è detto che i core borrowings di oggi abbiano tratto origine nel code-switching, è innegabile che i prestiti di norma attuali abbiano trascorso un periodo, più o meno lungo a seconda del contesto socio-culturale in cui si inserivano, come prestiti di discorso. Ovviamente, il prestito d’uso non esclude lo stadio precedente del code-switching, e dunque, laddove sia ricostruibile, una trafila del tipo code-switching (fase (i)) . prestito di discorso (fasi (ii, iii)) . prestito di norma (fase (iv)). Resta da affrontare, a questo punto, una categoria che sembrerebbe avere più di un punto in comune con il prestito di discorso, vale a dire il nonce borrowing (o prestito occasionale). Introdotto da Weinreich 1953: 11, quest’ultimo concetto ha conosciuto una vasta popolarità nella letteratura sul contatto linguistico a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, a séguito dell’impiego fattone da Shana Poplack e collaboratori (cf. ad esempio Poplack/ Sankoff/ Miller 1988, Poplack/ Wheeler/ Westwood 1989, Poplack/ Meechan 1995 e da ultimi Poplack 2012 e Poplack/ Dion 2012). Innanzitutto, il nonce borrowing si colloca in un quadro teorico in cui non è previsto alcun continuum tra code-switching e prestito, continuum che è invece ammesso dal prestito di discorso. In secondo luogo, il nonce borrowing è un fenomeno momentaneo, dunque non ricorrente e non regolare nella produzione del singolo parlante né a livello (sub)comunitario, mentre il prestito di discorso richiede almeno un certo grado di regolarità d’impiego. Quest’ultimo punto chiama in causa un problema più generale, inerente allo statuto del prestito. Haspelmath 2009: 41 considera contraddittorio il termine nonce borrowing, in quanto il prestito rappresenterebbe, per definitionem, «a completed process of language change». Ci sentiamo di condividere questa opinione, anche se riteniamo opportuno sottolineare che il livello di tale compimento non è sempre il medesimo, ma può variamente riguardare il discorso, ovvero uno o più individui ((ii), (iii)), oppure la norma, ossia la comunità nel suo complesso ((iv)). Se dunque, dal punto di vista della diffusione sociale, il nonce borrowing possiede lo stesso carattere idiosincratico del code-switching, dal punto di vista formale, esso presenta una notevole somiglianza col prestito adattato: l’integrazione morfologica (e sintattica) risulta infatti essere, in base alla descrizione di Massimo Cerruti / Riccardo Regis 36 6 Cf. Coseriu 1967 ([1952]: 58: «la gramática y el diccionario no contienen sólo las oposiciones sistemáticas de una lengua, sino todo que es normal en las expresiones de una comunidad» (corsivo dell’autore). Poplack/ Wheeler/ Westwood 1989: 150, uno dei tratti definitori del nonce borrowing (mentre resta facoltativa, e comunque molto variabile, l’integrazione fonetica: cf. Poplack 2012: 645). Ed è proprio questa la ragione che spinge Poplack e collaboratori a porre tale manifestazione del contatto sotto il cappello del borrowing: «Code-switches ... by definition are not integrated into a recipient language, unlike established loanwords (and nonce borrowings)» (Poplack 2012: 645; maiuscoletto nel testo). Benché la nozione di nonce borrowing sia stata talvolta definita ridondante (cf. Van Hout/ Muysken 1994: 40 e Stammers/ Deuchar 2012: 642-43), a noi sembra che la categoria descritta da Poplack e collaboratori abbia il merito di porre l’accento su una classe di fenomeni di contatto estremamente interessante, che però, a nostro avviso, non è riconducibile né al prestito né, come alcuni studiosi vorrebbero (cf. Myers-Scotton 1993, 2002), al code-switching; a questa classe di fenomeni di contatto preferiamo riferirci col termine più neutro di ibridismo, nel senso appunto di ‘lessema derivante dall’incrocio momentaneo e idiosincratico fra materiale linguistico che proviene da due codici differenti’ (cf. Regis 2006, in stampa). Ci pare pertanto di poter concludere: 1) che nonce borrowing e prestito di discorso si riferiscono a due fenomeni distinti; 2) che il prestito di discorso è un prestito a tutti gli effetti, perché ricorrente nell’impiego di uno o più individui. Ci rendiamo conto che l’obiezione circa la ridondanza del nonce borrowing potrebbe essere avanzata, forse addirittura con qualche ragione in più, per il prestito di discorso; crediamo tuttavia che la nozione di prestito di discorso sia difficilmente eludibile qualora si voglia pervenire ad una caratterizzazione non soltanto formale ma anche in termini di diffusione sociale dei fenomeni di contatto; e che sia molto utile ai fini di un tentativo di modellizzazione dei medesimi (cf. §7.). Il percorso dal discorso alla norma, attraverso le quattro fasi sopra abbozzate, può essere seguito per il piemontese bistëcca (es. (10)). Il fatto che il termine compaia, privo di qualsivoglia adattamento, nel piemontese parlato (es. (12)) rende plausibile che il prestito (molto recente) bistëcca sia entrato in dialetto attraverso il codeswitching (tipicamente «monològo», nei termini di Regis 2005: 33-36, ossia riguardante una sola parola). Da iniziale code-switching ((i)), la parola bistecca ha conosciuto una fase di prestito di discorso, caratterizzato dalla diffusione limitata presso uno o più individui ((ii) e (iii)): cf. nuovamente es. (12)); l’aumento della diffusione ha poi causato il passaggio dal prestito di discorso bistecca al prestito di norma bistëcca ((iv)), registrato in Brero 2001 (mentre non era presente nell’edizione 1982 della stesso vocabolario). L’attestazione lessicografica è, in qualche misura, un indizio della diffusione del termine, del suo carattere normale, ma anche del suo essere disponibile, come scelta lessicale opposta ad altre, all’intera comunità (e qui ci spostiamo già sul versante del sistema funzionale, o sistema propriamente detto) 6 . Dal discorso alla norma 37 Un percorso analogo può essere ipotizzato anche per forwardare. Si noti tuttavia che, non potendosi immaginare, nemmeno nella fase di innesco, espressioni come *Ti forward il messaggio (ma, tutt’al più, ti forwardo il messaggio), forwardare non è compatibile con l’ipotesi del code-switching; la sua comparsa a livello di produzione individuale ed estemporanea ((i)) è da ricondursi alla replicazione di materiale dalla LF, con adattamento fonomorfologico. Il GRADIT fornisce come prima data di attestazione del termine il 1999; il dizionario non cita la sede di prima occorrenza, ma è probabile che si tratti di un articolo del Corriere della sera del 4 febbraio 1999, in cui si segnala l’esistenza in rete di un «dizionario del gergo telematico» (ancora oggi consultabile all’indirizzo http: / / www.science.unitn.it/ ~fiorella/ internet/ gergo/ index.html); in esso si trova forwardare, e nell’introduzione del curatore Maurizio Codogno si scopre che la «versione 1.30 che state leggendo è stata rilasciata [! ] il 15 ottobre 1995». Ciò significa che forwardare era già di uso corrente, nei primi anni Novanta, presso la categoria degli informatici ((ii) e (iii)) e che da iniziale prestito di discorso ha poi conosciuto una più ampia diffusione, trasformandosi in prestito di norma (iv); esso non è tuttavia ancora registrato in tutti i dizionari della lingua italiana (non se ne trova traccia, ad es., in Devoto/ Oli e Zingarelli). È significativo che si colgano in rete occorrenze di forwardare anche al di fuori dell’àmbito strettamente informatico, come nell’esempio che segue: (15) ho chiesto l’attivazione per il Docebo [ambiente di apprendimento in rete] alla Vanola [nome proprio], che mi ha forwardato all’help desk, che mi ha forwardato all’assistenza, che mi ha forwardato al settore didattica, che mi ha forwardato al mio docente, che mi forwardato alla Vanola (forum degli studenti di Milano Bicocca, http: / / www.studentibicocca.it/ forum/ topics/ 503 32? start=26, messaggio del 19.03.2007) 6.2 Replicazione di schemi strutturali Lo stesso tipo di itinerario può essere intrapreso da fenomeni di pattern replication; per i quali dunque, analogamente a quanto argomentato per i fenomeni di matter replication, si può ammettere un percorso del tipo «schema strutturale» (fase (i)) . calco di discorso (fasi (ii, iii)) . calco di norma (fase (iv)). Come esempio di calco semantico possiamo riprendere il caso di etichetta. Il termine, nel senso di ‘casa discografica’, è entrato nel linguaggio della critica musicale ed è venuto col tempo a diffondersi socialmente, oltrepassando i confini d’uso del settore di attività originario; fino ad essere registrato, in anni molti recenti, in alcuni dizionari (cf. ad es. Devoto/ Oli; cf. Regis 2010: 1090). Il che può essere indicativo di come lo schema strutturale originario (i) abbia ormai assunto il carattere di «calco di norma» (iv) (sull’attestazione lessicografica come indizio del carattere «normale» di un tratto lessicale replicato, v. §6.1). Come esempi di calco traduzione possiamo invece far riferimento ai già citati studio di caso e caso (di) studio. Entrambi risultano ormai appartenere al Massimo Cerruti / Riccardo Regis 38 comportamento linguistico di più parlanti (iii), specialmente in relazione a determinati settori di attività: compaiono con una certa regolarità nella pubblicistica scientifica 7 , talvolta in alternanza con il corrispondente inglese case study, e sono registrati in alcuni dizionari di settore 8 . Presentano tuttavia oscillazioni sia di forma (nella fattispecie di caso di studio, caso studio, caso-studio; cf. ad es. nota 7) sia di significato: tanto studio di caso quanto caso (di) studio mostrano di essere usati sia col valore di «metodo di ricerca basato sull’esame di un caso specifico o di più casi isolati» (come negli esempi (2) e (3) al §4.) sia con quello di «esame di un caso specifico» (come in alcuni titoli di volumi citati alla nota 7) 9 . Pare invece non essere (ancora? ) avvenuto il loro ingresso nella norma (iv), per lo meno se si ritiene decisiva l’entrata a lemma nei dizionari non di settore: né studio di caso né caso (di) studio sono infatti registrati nei principali dizionari di riferimento dell’italiano contemporaneo (Devoto/ Oli, DISC, GDLI, GRADIT, Treccani, Zingarelli) 10 . Infine, quanto a esempi di calchi morfosintattici, possiamo riprendere un paio di casi citati al §5., utili anche a esemplificare due tipi di dinamiche di evoluzione diacronica di una struttura introdotta per contatto. Il primo caso è quello dell’interrogativa multipla. Il costrutto è entrato in italiano, presumibilmente negli anni Settanta del secolo scorso, non già come schema strutturale produttivo ma piuttosto nella forma di pochi schemi sintagmatici fissi ((i) ed eventuali fasi successive a livello del discorso), del tipo di chi è chi (su modello dell’inglese who’s who) o chi fa che cosa (cf. anche Benincà 1993: 284-87; Renzi 2007: 184-85). Il costrutto ha poi acquisito col tempo una sua produttività: l’interrogativa multipla ha oggi una certa variabilità paradigmatica e ammette più di due fuochi di interrogazione (es. chi fa cosa quando, in cosa chi copierebbe chi; cf. Gandolino 2012: 77). Il caso può essere significativo perché esemplifica come la replicazione di un costrutto che nella LF 7 Si può citare, a mo’ d’esempio, la prima manciata di titoli di volumi ottenuta con ricerche ingenue su Google libri: Lo studio di caso nella ricerca scientifica (Robert K. Yin 2005), Matrix: uno studio di caso (Guglielmo Pescatore 2006), Sviluppo integrato e risorse del territorio. Un caso di studio nel Piceno (a cura di Francesco Adornato 2006), Bioplastiche. Un caso studio di bioeconomia in Italia (a cura di Walter Ganapini 2012), Lo spazio urbano come tema. Il caso-studio del centro antico di Cosenza (Aldo De Sanctis 2005); si vedano anche, qui, gli esempi (2) e (3) al §4. 8 Caso di studio è ad esempio a lemma nel Dizionario Treccani di Economia e Finanza e in un recente dizionario di Marketing quantitativo (Amedeo De Luca 2007: Dizionario tematico. Marketing quantitativo). 9 È possibile tuttavia - ma rimane in ogni modo da verificare - che sia già in atto un processo di specializzazione semantica, con esiti eventualmente diversi per settori di attività. Può non essere un caso, ad esempio, che nei due dizionari di settore citati alla nota precedente caso di studio compaia con la prima accezione nell’uno e con la seconda nell’altro: è glossato come «strategia di ricerca su piccoli campioni non rappresentativi o addirittura su casi isolati» nel dizionario di Economia e Finanza, e come «esame di un caso reale» nel dizionario di Marketing quantitativo. 10 Nondimeno, si può notare a margine che l’edizione in italiano di Wikipedia presenta la voce studio di caso (col valore di «metodo di ricerca», e non di «esame di un caso specifico»: http: / / it.wikipedia.org/ wiki/ Studio_di_caso). Dal discorso alla norma 39 è produttivo dia luogo inizialmente a non più che alcuni schemi fissi nella LR, ma possa condurre in diacronia a una struttura produttiva anche nella LR. Per quanto concerne poi il valore sociolinguistico, e quindi la diffusione sociale, del costrutto, l’interrogativa multipla può dirsi ormai «radicata nell’italiano neo-standard» (Gandolino 2012: 108; cf. anche Berruto 2012 [1987]: 116-17 e in stampa) e dunque socialmente condivisa anche a livello di norma (iv); non (ancora? ) codificata nelle grammatiche dell’italiano, ha - come vari altri fenomeni dell’italiano neo-standard - le caratteristiche di un tratto standard by mere usage (nel senso di Ammon 2004) 11 . Del resto, la nozione di italiano neo-standard intende proprio cogliere l’affermarsi di una «partially renewed standard norm of the Italian language» (Berruto in stampa), dove «norm is basically to be understood in the Coserian, statistical, social, and not in the prescriptive sense, i. e. not explicitly codified by institutions or codices» (ibidem); e lo stesso Coseriu, nel definire la norma come entità intermedia tra langue e parole, fa esplicito riferimento al concetto di «uso linguistico» (usage) di Brøndal 1939 (cf. Coseriu 1967 [1952]: 41) 12 . Un altro caso di calco morfosintattico può essere quello della perifrasi essere lì che/ a+V/ infinito, per come si presenta nell’italiano regionale piemontese (la perifrasi è diffusa anche in altre varietà settentrionali; cf. ad es. Telmon 1993: 120; D’Achille 2002: 36). Il contatto col dialetto piemontese, nel quale la corrispondente ese lì c(he)/ a+V/ infinito ha valore progressivo, ha innescato il processo di grammaticalizzazione di essere lì che/ a+V/ infinito ((i) ed eventuali fasi successive a livello del discorso), sino ad allora in uso soltanto come costrutto locativo. Da quel momento, la perifrasi ha intrapreso varie tappe del processo, venendo via via ad espandere i propri valori aspettuali fino a coprire anche l’accezione abituale. Con questa semantica, nell’area piemontese, è oggi diffusa socialmente e ha le caratteristiche di un tratto standard regionale (cf. ad es. Cerruti 2012); rappresenta, ovvero, un calco di norma (iv). Va ricordato a questo proposito che lo stabilizzarsi di un tratto all’interno di una norma valida soltanto a livello locale o regionale (seppure, come ad es. per tutti i tratti degli standard regionali dell’italiano, coesistente con la norma neo-standard panitaliana) non è in sé sufficiente a mettere in discussione il carattere «normale» di quel tratto: difatti, «in realtà, la norma è variabile secondo i limiti della comunità considerata, limiti che si stabiliscono convenzionalmente. A un unico sistema può quindi corrispondere tutta una serie di norme» (Coseriu 1969: 250; cf. Coseriu 1967 [1952]: 98). 11 Ammon 2004: ): «A linguistic unit ... that is regularly used by model speakers or writers in their model texts, as we may call them, becomes standard by usage. If it is standard for no other reason [ovvero, ‘if it is not established as standard through codices’; ivi, 5] it can be called standard by mere usage» (anche «uncodified standard»; ivi, 5). 12 «A propos de la distinction entre langue et parole on se demande souvent quelle est, sous ce rapport, la position de l’Usage. On peut admettre cette notion comme en quelque sorte intermédiaire entre langue et parole, à condition de concevoir l’usage comme une espèce de norme secondaire, permise par le système abstrait et supérieur de la langue» (Brøndal 1939: 96; cit. in Coseriu 1967 [1952]: 41). Massimo Cerruti / Riccardo Regis 40 In Cerruti 2014 si discute poi come la grammaticalizzazione di essere lì che/ a+V/ infinito proceda con un passo che non coincide con quello della corrispondente in dialetto (la quale, ad esempio, rivela di non essere compatibile con l’accezione abituale), sia dettato da parlanti che hanno già l’italiano e non più il dialetto come L1, e possa essere messo in relazione all’influenza che altre varietà di italiano esercitano sui comportamenti linguistici di questi parlanti. Il caso mostra quindi come un processo di grammaticalizzazione, dopo essersi innescato per contatto, proceda secondo un passo che è dettato da ragioni interne alla LR (cf. anche Giacalone Ramat 2008), indipendentemente da quanto accade nella LF 7. Conclusioni Il ragionamento sviluppato nelle pagine precedenti ha preso le mosse dalla presentazione critica dei modelli elaborati da Myers-Scotton e Van Coetsem, due fra quelli più noti dedicati al contatto linguistico (un bilancio generale è ora in Muysken 2013). Entrambi i modelli si reggono sull’assunzione di un contributo asimmetrico dei codici nel discorso bilingue, nei termini, rispettivamente, della presenza di una lingua matrice e di una lingua agentiva; entrambi i modelli, inoltre, manifestano un chiaro orientamento verso il passaggio di materiale linguistico (fenomeni di code-switching in Myers-Scotton, di replicazione/ prestito in Van Coestem) e, quando affrontano la replicazione di schemi strutturali, ricorrono a nozioni non sempre convincenti (come ad es. il concetto di lingua matrice composita proposto da Myers-Scotton). Siccome il nostro obiettivo consisteva nel giungere ad una descrizione dei fenomeni di replicazione nel loro complesso, abbiamo tentato di costruire una griglia di analisi applicabile nel contempo all’una e all’altra categoria. Al fine di raggiungere tale obiettivo, abbiamo mutuato da Haspelmath 2009 la coppia adozione (agentività del parlante nativo)/ imposizione (agentività del parlante non nativo), che rivela un chiaro debito nei confronti della coppia imitazione/ imposizione originariamente concepita da Van Coetsem, e l’abbiamo fatta interagire con regole provenienti ora dalla LR ora dalla LF. La griglia così ottenuta consente di incasellare le varie manifestazioni della replicazione di materiale (cioè, tipicamente, casi di prestito) e della replicazione di schemi strutturali (cioè, tipicamente, casi di calco), ma nulla ci dice riguardo ai rapporti sociolinguistici esistenti fra le categorie oggetto di descrizione, e nemmeno fra queste e fenomeni ad esse limitrofi. Uno schema attento alla dimensione sociale è riportato in Fig. 2: Dal discorso alla norma 41 L’idea alla base dello schema è quella, ampiamente sfruttata in §6., che le manifestazioni del contatto linguistico possano essere organizzate intorno ai due poli del discorso e della norma (o sistema normale): il primo termine allude a fenomeni idiosincratici o ricorrenti nell’uso di uno o più individui, mentre il secondo comprende fenomeni ormai disponibili all’intera comunità. Il nostro impiego di discorso e norma è soltanto in parziale sovrapposizione con le categorie discorso e sistema utilizzate da Berruto 2009: 7, che non pone infatti l’accento sulla diffusione sociale dei fenomeni ma sulla prospettiva del singolo parlante, al quale si presenteranno due soluzioni: o utilizzare, nella produzione linguistica in atto (= nel discorso), due o più codici; o utilizzare un codice soltanto, con elementi/ tratti/ proprietà di un altro codice già incorporati all’interno della struttura della LR (= nel sistema). La porzione del discorso è, nel nostro schema, più vasta della porzione della norma. Ciò è dovuto al fatto che un elemento indugia più tempo nel discorso che nella norma: come si ricorderà, e come è ribadito all’estremità destra della Fig. 2, tre sono le fasi coperte dal discorso, mentre una fase soltanto, l’ultima, è di pertinenza della norma. Al livello (i) abbiamo collocato i fenomeni individuali e idiosincratici; il posizionamento delle manifestazioni del contatto da sinistra a destra rispecchia un rapporto di implicazione, per cui ciò che si trova più a destra nello schema presuppone - implica - ciò che si trova alla sua sinistra. Sfilano innanzitutto, procedendo da sinistra a destra, le realizzazioni del code-switching, che può essere interfrasale oppure intrafrasale, con l’ulteriore suddivisione di quest’ultimo in sintagmatico (= concernente un sintagma) e monològo (= concernente una singola parola). A partire dal code-switching monològo abbiamo la prima opportunità di sviluppo verticale, ovvero il passaggio a prestito di discorso, il quale può attraversare le due fasi della diffusione nelle abitudini di un individuo (ii) o di più individui Fig.2. Fenomeni di contatto tra discorso e norma Massimo Cerruti / Riccardo Regis 42 (iii); il superamento del diaframma fra discorso e norma, e dunque l’evoluzione definitiva in prestito di norma, avviene nel momento in cui il prestito sarà condiviso dall’intera comunità. La freccia che porta dal code-switching monològo al prestito di norma è tratteggiata perché indica una possibilità di sviluppo, non uno sviluppo certo: non è detto che un code-switching monològo diventi un prestito di discorso, o che un prestito di discorso si trasformi in prestito di norma. La linea tratteggiata fra discorso e norma vuole palesare la mancanza di un netto discrimine fra i due campi. Ad esempio, nel caso in cui un prestito sia registrato in alcuni dizionari e non in altri, oppure rientri nella norma di una comunità ma non sia «codificato», esso andrà considerato «di discorso» o di «norma»? Sarà, probabilmente, un prestito di norma «incipiente», collocabile fra (iii) e (iv), in attesa di volgersi in un prestito di norma pleno sensu ((iv)). Accanto al code-switching monològo compare un’altra etichetta, «materiale di superficie», che rappresenta la seconda via di accesso al prestito di discorso/ prestito di norma. Con questa denominazione intendiamo riferirci, faute de mieux, a un trasferimento di materiale linguistico individuale e idiosincratico che non è ancora un prestito, in quanto non soddisfa il criterio della regolarità di impiego nemmeno nelle produzioni del singolo parlante, ma non può essere un code-switching. Infatti, a differenza del code-switching monològo, che prevede l’inserzione, in un enunciato formulato nella lingua A, di una parola non integrata della lingua B, il «materiale» oggetto di trasferimento è sempre integrato (almeno foneticamente, spesso fonomorfologicamente). L’ibridismo (cf. 6.) rappresenta un sottotipo di questa categoria 13 . La ratio che governa i rapporti tra «materiale di superficie», prestito di discorso e prestito di norma ritorna nella trafila «schema strutturale», calco di discorso e calco di norma. Lo «schema strutturale» è l’equivalente sociolinguistico, a livello di passaggio di proprietà astratte, del «materiale di superficie»: un trasferimento individuale e idiosincratico ((i)) che può evolvere in calco di discorso ((ii), (iii)) e calco di norma ((iv)). Torino Massimo Cerruti/ Riccardo Regis 13 Osserviamo per completezza che Regis in stampa posiziona diversamente l’ibridismo rispetto ai fenomeni di contatto linguistico. La nuova collocazione che qui si propone supera la precedente, che non correlava in modo così stretto con le fasi di diffusione dell’elemento replicato. Dal discorso alla norma 43 Bibliografia Ammon, U. 2003: «On the social factors that determine what is standard in a language and on conditions of successful implementation», Sociolinguistica 17: 1-10 Backus, A./ Dorleijn, M. 2009: «Loan translations versus code-switching», in: B. E. Bullock/ A. J.Toribio (ed.), The Cambridge Handbook of Linguistic Code-Switching, Cambridge: 75-93 Benincà, P. 1993: «La sintassi», in: A.A. Sobrero (ed.), Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, Roma/ Bari: 247-90 Berruto, G. 2001: «Strutture dell’enunciazione mistilingue nell’Italia di Nord-Ovest e altrove», in: P.Wunderli/ I.Werlen/ M. Grünert (ed.), Italica-Raetica-Gallica. Studia lingua rum litterarum artiumque in honorem Ricarda Liver, Tübingen/ Basel: 263-83 Berruto, G. 2003: «Sul parlante nativo (di italiano)», in: H. I. Radatz/ R. Schlösser (ed.), Donum grammaticorum. Festschrift für Harro Stammerjohann, Tübingen: 1-14 Berruto, G. 2009: «Confini tra sistemi, fenomenologia del contatto linguistico e modelli del code switching», in: G. Iannàccaro/ V. Matera (ed.), La lingua come cultura, Torino/ Novara: 3-34, 212-16 Berruto, G. 2012 [ 1 1987]: Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma Berruto, G. in stampa: «What is changing in Italian today? Phenomena of restandardization in syntax and morphology. An overview», in: M. Cerruti/ C. Crocco/ S. Marzo (ed.), Towards a new standard. Theoretical and empirical studies on the restandardization of Italian, Berlin/ New York Brero, C. 2001: Vocabolario italiano-piemontese/ piemontese-italiano, Torino Brøndal, V. 1939: «Linguistique structurale», AL 1: 2-10 Capis, G./ Biffi, G.A. 1606: Varon milanes de la lengua de Milan e Prissian de Milan de la parnonzia milanesa, Milano Cerruti, M. 2009: Strutture dell’italiano regionale. Morfosintassi di una varietà diatopica in prospettiva sociolinguistica, Frankfurt am Main Cerruti, M. 2012: «Dialetto, italiano regionale, italiano neo-standard. Un confronto sullo stadio di grammaticalizzazione di perifrasi verbali consimili», in: T.Telmon/ G. Raimondi/ L. Revelli (ed.), Coesistenze linguistiche nell’Italia pree postunitaria, Roma: 605-20 Cerruti, M. 2014: «From Language Contact to Language Variation: A Case of Contact-Induced Grammaticalization in Italo-Romance», Journal of Language Contact 7/ 2: 288-308 Clivio, G. P. 1986: «Competing loanwords and loanshifts in Toronto’s italiese», in: C. Bettoni (ed.), Altro polo - Italian abroad: Studies on language contact in English-speaking countries, Sidney: 129-46 Cortelazzo, M. 1983: «Aspetti, problemi e tendenze dell’italiano contemporaneo», in: Atti del secondo Convegno degli Italianisti in Finlandia (Helsinki, 29 e 30 ottobre 1982), Helsinki: 71-85 Coseriu, E. 1967 [1952]: «Sistema, norma y habla», in: Id., Teoría del lenguaje y lingüística general. Cinco estudios, Madrid: 11-113 Coseriu, E. 1969: «Sistema, norma e ‹parola›», in: Studi linguistici in onore di Vittore Pisani, vol. 1, Brescia: 235-53 D’Achille, P. 2002: «L’italiano regionale», in: M. Cortelazzo/ C. Marcato/ N. De Blasi/ G. P. Clivio (ed.), I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, Torino: 26-42 DISC = F. Sabatini/ V. Coletti 2007: Il Sabatini-Coletti. Dizionario della lingua italiana 2008, Milano Gandolino, S. 2012: «Un nuovo costrutto in italiano? L’interrogativa multipla». Tesi di laurea inedita, Università di Torino Gavuzzi, G. 1891: Vocabolario piemontese-italiano, Torino/ Roma GDLI = S. Battaglia (ed.) 1961-2008: Grande dizionario della lingua italiana, Torino Giacalone Ramat, A. 2008: «Nuove prospettive sulla grammaticalizzazione», AION 30/ 1: 87-128 Giolitto, M. 2000: «Pratiche linguistiche e rappresentazioni della comunità piemontese d’Argentina», Éducation et sociétés plurilingues 9: 13-19 Massimo Cerruti / Riccardo Regis 44 GRADIT = T. De Mauro (ed.) 1999-2007: Grande dizionario italiano dell’uso, Torino Grasso, D. E. 2007: Innovazioni sintattiche in italiano (alla luce della nozione di calco). Tesi di dottorato inedita, Université de Genève Grosjean, F. 1982: Life with two languages. An Introduction to Bilingualism, Cambridge (Ma)/ London Gusmani, R. 1986: Saggi sull’interferenza linguistica, Firenze Haspelmath, M. 2009: «Lexical borrowing: concepts and issues», in: M. Haspelmath/ U.Tadmor (ed.), Loanwords in the World’s Languages: A Comparative Handbook, Berlin: 35-54 Haugen, E. 1950: «The analysis of linguistic borrowing», Language 26: 210-31 Heath, J. 1984: «Language Contact and Language Change», Annual Review of Anthropology 13: 367-84 Heine, B./ Kuteva, T. 2005: Language contact and grammatical change, Cambridge Heine, B./ Kuteva, T. 2010: «Contact and Grammaticalization», in: R. Hickey (ed.), The Handbook of Language Contact, Malden/ Oxford: 86-105 Jake, J./ Myers-Scotton, C. 2009: «Which language? Participation potentials across lexical categories in codeswitching», in: L. Isurin/ D.Winford/ K. de Bot (ed.), Multidisciplinary Approaches to Code Switching, Amsterdam/ Philadelphia 207-42 Johanson, L. 1998: «Code-copying in Irano-Turkic», Language Sciences 20: 325-37 Devoto/ Oli = L. Serianni/ M.Trifone (ed.) 2009: Il vocabolario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Firenze Matras, Y. 2009: Language contact, Cambridge Matras, Y./ Sakel, J. 2007: «Investigating mechanisms of pattern replication in language convergence». Studies in Language 31/ 4: 829-65 Muysken, P. 2000: Bilingual Speech. A Typology of Code-Mixing, Cambridge Muysken, P. 2013: «Language contact outcomes as the result of optimization strategies», Bilingualism: Language and Cognition 16/ 4: 709-730 Myers-Scotton, C. 1993: Duelling Languages. Grammatical Structure in Codeswitching, Oxford Myers-Scotton, C. 2002: Contact Linguistics. Bilingual Encounters and Grammatical Outcomes, Oxford Myers-Scotton, C. 2006: Multiple voices. An introduction to bilingualism, Malden Myers-Scotton, C. 2013: «Paying attention to morpheme types: making borrowability more precise», in: C. de Féral (ed.), In and out of Africa. Languages in Question. In Honour of Robert Nicolaï. Vol. 1, Language Contact and Epistemological Issues, Louvain-La-Neuve/ Walpole (Ma): 31-42 Myers-Scotton, C./ Jake, J. 2009: «A universal model of code-switching and bilingual language processing and production», in: B. E. Bullock/ A. J.Toribio, (ed.), The Cambridge Handbook of Linguistic Code-Switching, Cambridge: 336-57 Myers-Scotton, C./ Jake, J. 2014: «Nonfinite verbs and negotiating bilingualism in codeswitching: Implications for a language production model», Bilingualism, Language and Cognition 13: 511-25 Poplack, S. 2012: «What does the Nonce Borrowing Hypothesis hypothesize? », Bilingualism. Language and Cognition 15/ 3: 644-48 Poplack, S./ Dion, S. 2012: «Myths and facts about loanword development», Language Variation and Change 24/ 3: 279-315 Poplack, S./ Meechan, M. 1995: «Patterns of language mixture: nominal structure in Wolof-French and Fongbe-French bilingual discourse», in: L. Milroy/ P. Muysken (ed.), One speaker, two languages. Cross-disciplinary perspectives on code-switching, Cambridge: 199-232 Poplack, S./ Sankoff, D./ Miller, C. 1988: «The social correlates and linguistic processes of lexical borrowing and assimilation», Linguistics 26: 47-104 Poplack, S./ Wheeler, S./ Westwood, A. 1989: «Distinguishing language contact phenomena: Evidence from Finnish-English bilingualism», in: K. Hyltenstam/ L. K. Obler (ed.), Bilingualism across the Lifespan. Aspects of acquisition, maturity, and loss, Cambridge: 132-154 Dal discorso alla norma 45 Regis, R. 2005: Appunti grammaticali sull’enunciazione mistilingue, München Regis, R. 2006: «Sulle realizzazioni dell’ibridismo», SILTA 35/ 3: 471-504 Regis, R. 2010: «Per uno studio del linguaggio della critica musicale: l’apporto neologistico», in: M.T. Cabré/ O. Domènech/ R. Estopà/ J. Freixa/ M. Lorente (ed.), Actes del I Congrés Internacional de Neologia de les Llengües Romàniques, Barcelona: 1063-78 Regis, R. 2014: «Contributo alla definizione del concetto di ibridismo», in corso di stampa negli Atti del XLVIII Congresso Internazionale della Società di Linguistica Italiana (Udine, 25-27/ 9/ 2014), Roma Renzi, L. 2000: «Le tendenze dell’italiano contemporaneo. Note sul cambiamento linguistico nel breve periodo», Studi di lessicografia italiana 17: 279-319 Renzi, L. 2007: «L’italiano del 2000: cambiamenti in atto nell’italiano contemporaneo», in: A. D’Angelis/ L.Toppino (ed.), Tendenze attuali nella lingua e nella linguistica italiana in Europa, Roma: 177-200 Sant’Albino, V. di 1859: Gran dizionario piemontese-italiano, Torino Saussure, F. de 1967 [1916]: Cours de linguistique générale, Paris Stammers, J. R./ Deuchar, M. 2012: «Testing the nonce borrowing hypothesis: Counter-evidence from English-origin verbs in Welsh», Bilingualism. Language and Cognition 15/ 3: 630-43 Tappolet, E. 1913: Die alemannischen Lehnwörter in den Mundarten der französischen Schweiz, Basel Telmon, T. 1993: «Varietà regionali», in: A.A. Sobrero (ed.), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Roma/ Bari: 93-149 Thomason, S. G./ Kaufman, T. 1988: Language Contact, Creolization, and Genetic Linguistics, Berkeley Treccani = Il vocabolario Treccani, Roma, 2003 Van Coetsem, F. 1988: Loan Phonology and the Two Transfer Types in Language Contact, Dordrecht Van Coetsem, F. 2000: A general and unified theory of the transmission process in language contact, Heidelberg Vanelli, L./ Renzi, L. 2002: «Grazie + infinito semplice in italiano contemporaneo», in: H. Jensen/ P. Polito/ L. Schøsler/ E. Strudsholm (ed.), L’infinito & oltre. Omaggio a Gunver Skytte, Odense: 481-492 Van Hout, R./ Muysken, P. 1994: «Modeling lexical borrowability», Language Variation and Change 6: 39-62 Weinreich, U. 1953: Languages in contact, New York Winford, D. 2005: «Contact-induced changes. Classification and processes», Diachronica 22/ 2: 373-427 Winford, D. 2007: «Some Issues in the Study of Language Contact», Journal of Language Contact 1: 22-39 Winford, D. 2013: «On the unity of contact phenomena: the case for imposition», in: C. de Féral (ed.), In and out of Africa. Languages in Question. In Honour of Robert Nicolaï. Vol. 1, Language Contact and Epistemological Issues, Louvain-La-Neuve/ Walpole (Ma): 43-71 Zingarelli = Lo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana, Bologna, 2013