Vox Romanica
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2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2015
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Kristol De StefaniFrancesco Sestito, I nomi di battesimo a Firenze (1450-1900). Dai registri di Santa Maria del Fiore un contributo allo studio dell’antroponimia storica italiana, Roma (ItaliAteneo) 2013, xv + 439 p. (Quaderni Italiani di RIOn 6)
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Camilla Bernardasci
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Besprechungen - Comptes rendus 273 1 I nomi degli italiani. Informazioni onomastiche e linguistiche socioculturali e religiose, Roma/ Venezia 1982. 2 I nomi di persona in Italia. Dizionario storico ed etimologico, Torino 2005. 3 Studi di antroponimia fiorentina. Il Libro di Montaperti (an. MCCLX), Göteborg 1953 e Nuovi studi di antroponimia fiorentina. I nomi meno frequenti del Libro di Montaperti (an. MCCLX), Stoccolma 1955. Transparenzskala, die in Offlinestudien genutzt werden kann, wenn die Stimuluspräsentation visuell erfolgt (Grundtyp I). Konstitutiv für eine Transparenzskala sind ihrer Meinung nach die verschiedenen Grade an formaler Übereinstimmung (absolute bis minimale Transparenz) sowie die inhaltlich semantisch-kognitiven Relationen (transparente metaphorische Similarität bis hin zu opaker Kontiguität). Es folgt ein Abschlusskapitel, das die wichtigsten Schlussfolgerungen der Arbeit zusammenträgt, aber leider keine weiteren Forschungsdesiderata aufzeigt. Insgesamt handelt es sich bei der hier besprochenen Doktorarbeit um eine bemerkenswerte qualitative lexikologisch-semantische Studie, die vor dem Hintergrund der Kognitiven Linguistik Hypothesen zur Motivierbarkeit von lexikalischen Einheiten (v.a. Metaphern und Metonymien) anhand fragebogengenerierter empirischer Daten überprüft und aufgrund derer ein innovatives Modell formal-semantischer Transparenzgrade entworfen wird. Claudia Schmitz Italoromania Francesco Sestito, I nomi di battesimo a Firenze (1450-1900). Dai registri di Santa Maria del Fiore un contributo allo studio dell’antroponimia storica italiana, Roma (ItaliAteneo) 2013, xv + 439 p. (Quaderni Italiani di RIO n 6) La pubblicazione di Francesco Sestito si inserisce nel filone antroponimico italiano. Tra i tanti lavori pubblicati in questo ambito si ricordano qui quelli di E. De Felice 1 , di A. Rossebastiano/ E. Papa 2 e di R. Brattö 3 . Gli studi citati trattano o di onomastica del Novecento, o di onomastica del Duecento. Rispetto a questi, la pubblicazione qui recensita ha il pregio non solo di colmare una lacuna temporale non considerata dagli altri lavori, ma anche di considerare l’intervallo che va dal 1450 al 1900 in chiave diacronica, proponendo un esaustivo studio di crononomastica. Il corpus sul quale si basano le analisi di Sestito è costituito dai registri dei battezzati inseriti nell’Archivio di Santa Maria del Fiore di Firenze (consultabili in rete all’indirizzo http: / / archivio.operaduomo.fi.it/ battesimi): si tratta quindi di documenti che coprono un ampio arco temporale, compreso tra il 1450 e il 1900, rappresentativi di buona parte dei nati fiorentini. L’analisi di Sestito, tuttavia, non si limita soltanto ai dati relativi ai nati nel capoluogo toscano: per ogni epoca è presente il confronto con i dati onomastici già disponibili, perché pubblicati, per altre città italiane (in particolare, il parallelo è possibile - anche se non per tutti i secoli - con i registri di Ivrea e Siena, con i censimenti dell’Ospedale del Salvatore di Roma e con i registri dello Stato Civile dell’Archivio di Stato di Venezia - in quest’ultimo caso Sestito non fa riferimento a una pubblicazione, ma si è occupato personalmente della rielaborazione dei materiali). I dati provenienti dalle altre città italiane permettono di collocare l’analisi della situazione fiorentina in un contesto più ampio, mettendo in risalto eventuali concordanze o differenze. Besprechungen - Comptes rendus 274 4 La Romagna dei nomi. Dai figli della rivoluzione ai figli della globalizzazione, Ravenna 2005. 5 Nomi e cultura. Riflessi della cultura italiana dell’Ottocento e del Novecento nei nomi personali, Venezia 1987. Il punto forte del contributo di Sestito è però senz’altro il metodo e il rigore con i quali i dati sono stati raccolti, quantificati e analizzati. A differenza dei precedenti studi, infatti, le analisi si basano su quantificazioni statisticamente rilevanti valutabili grazie a degli indici, dei quali si darà conto in seguito, elaborati proprio per la descrizione della realtà onomastica considerata. Dati questi presupposti, risulta chiaro che il volume di Sestito costituisce una svolta nell’ambito della ricerca antroponimica in Italia. Il volume è suddivisibile in quattro parti: la prima parte comprende due capitoli introduttivi, nella seconda parte si presentano i dati, nella terza si propone un’analisi sistematica della distribuzione onomastica dal 1450 al 1900 e nella quarta parte trovano spazio le osservazioni conclusive. I primi due capitoli del volume (1-17) illustrano i presupposti e gli obiettivi dello studio e si occupano della presentazione delle fonti e del metodo di lavoro. Nel primo capitolo, dopo aver messo in luce i punti deboli, soprattutto da un punto di vista metodologico, degli studi di T. Dalla Valle 4 e di E. De Felice 5 , sono elencati gli obiettivi dello studio, tra i quali si possono ricordare la volontà di «rielaborare e di pubblicare dei dati sulla diffusione dei nomi personali del passato» (8) e la necessità di osservare un metodo scientifico basato su dati concreti. Come risulta chiaro nel corso della lettura del volume, gli obiettivi che vengono annunciati all’inizio del contributo sono stati ampiamente perseguiti. Nel secondo capitolo si illustrano in modo dettagliato ed esaustivo i criteri adottati per l’utilizzo delle fonti e per la successiva elaborazione dei dati. Delle registrazioni contenute nei registri fiorentini non sono state considerate tutte le annate: dal 1450 al 1800 si è tenuto conto di rilevazioni decennali, mentre dal 1800 al 1900, periodo in cui, come si vedrà, il repertorio antroponimico tende ad evolvere più velocemente, le rilevazioni hanno una frequenza quinquennale. Metodologicamente importanti sono poi le osservazioni relative al trattamento delle varianti grafiche e fonetiche e delle forme abbreviate: soprattutto per quel che riguarda i dati più antichi, registrati in un periodo in cui non erano ancora state stabilite norme grafiche, le varianti sono infatti moltissime, motivo per cui, fino al Seicento, le microvariabili non vengono valutate separatamente; per quel che concerne le abbreviazioni, se ne dà conto fino al Seicento, mentre a partire da quella data vengono considerate alla pari delle forme non abbreviate. Nel terzo capitolo (19-167) vengono presentati i dati sotto forma di tabelle. Per ogni annata presa in analisi vengono indicati i 50 nomi maschili e femminili più diffusi secondo i registri battesimali fiorentini. Oltre al rango, si riporta anche il valore assoluto delle occorrenze e la frequenza percentuale. All’inizio di ogni tabella sono poi indicati altri parametri con rilevanza statistica: «il numero di individui che ... compongono [l’universo], maschile o femminile [di quell’annata], il numero delle forme onomastiche, gli indici di concentrazione [si distinguono due indici di concentrazione: IC (10), che corrisponde alla percentuale di bambini che vengono nominati sulla base dei primi 10 nomi per frequenza, e IC (30), ossia la percentuale di bambini nominati in base ai nomi dei primi 30 ranghi], il semiuniverso [numero di nomi necessari a denominare almeno il 50% dei battezzati], il numero di nomi dominanti [nomi con una frequenza maggiore del 5%] e la somma del numero dei nomi dominanti e di quelli ad alta frequenza [nomi con una frequenza maggiore del 2%]» (19). Si insiste su questi indici, sia nel volume, sia in questa sede, perché è proprio grazie alla loro presenza che lo studio di Sestito si distingue da altri studi di onomastica in ambito italiano: grazie all’approccio statistico è possibile costruire una base solida sulla quale fondare poi le analisi concernenti le tendenze onomastiche del periodo di tempo studiato. Le tabelle Besprechungen - Comptes rendus 275 contenenti i dati sono accompagnate sistematicamente da un commento che permette di ricostruire, già all’altezza del terzo capitolo, delle prime osservazioni pertinenti in merito all’evoluzione delle tendenze dell’antroponimia fiorentina dal 1450 al 1900. Dalla presentazione dei dati del repertorio maschile emerge che il panorama onomastico fiorentino è sostanzialmente stabile dalla metà del Quattrocento fino all’incirca alla metà dell’Ottocento. La fondamentale staticità del repertorio è documentata anche dal fatto che le frequenze dei nomi propri legati ai protagonisti di importanti eventi storici, religiosi o letterari relativi a Firenze e, più in generale, alla storia della Penisola, non subiscono un incremento significativo nei periodi in questione. Tuttavia, anche se con qualche esitazione, a partire dalla seconda metà del Settecento si cominciano ad avere le prime avvisaglie di un cambiamento: infatti, a Firenze inizia a diffondersi l’usanza secondo la quale ai trovatelli venivano dati nomi «insoliti e diversificati» (96), il che comporta l’introduzione di forme inusuali all’interno del repertorio e, allo stesso tempo, un aumento della dispersione. Pur mantenendo un certo grado di stabilità complessiva, la situazione comincia ad evolvere gradualmente, per cui, ad esempio, alla fine del Settecento si ha a Firenze la massima affermazione di Luigi, il «nome più simbolico della monarchia francese» (102) e, nel 1800, di Ferdinando, antroponimo evidentemente legato alla figura del sovrano del granducato (queste tendenze non sono però sistematiche, come rivela il caso di Napoleone, nome poco diffuso anche all’inizio del 1800). La svolta vera e propria avviene verso la metà dell’Ottocento, quando comincia a prendere piede, nel capoluogo toscano, il fenomeno delle mode. L’evoluzione del panorama onomastico acquista velocità e risulta «abbastanza percepibile la ricerca di forme innovative, variamente debitrici di riferimenti storici, mitologici o letterari in senso lato ... e per lo più prive di connotazione religiosa» (127), a scapito, naturalmente, dei grandi classici. «[A] quanto pare qualsiasi forma può raggiungere alte frequenze in tempi brevi e ridimensionarsi altrettanto in fretta, cosa poco concepibile fino a solo un cinquantennio prima circa» (140): esemplare è il caso di Gino, un nome «privo di tradizione e di riferimenti religiosi, storici o letterari» (154) che si trova, nel 1885, al rango 1. Il fenomeno delle mode è accompagnato anche dalla tendenza ad attribuire ai nuovi nati i nomi di personaggi importanti, come nel caso di Umberto nel periodo che va dal 1880 al 1900. Da questi argomenti Sestito trae una conclusione importante: «[t]utto sembra confermare che nel pieno Ottocento si sia avuta per la prima volta dopo secoli una rivoluzione nel repertorio antroponimico italiano, almeno stando alla realtà di Firenze» (165). Per quanto riguarda il repertorio femminile, esso condivide la maggior parte delle caratteristiche del repertorio maschile (staticità - almeno fino al 1770 -, concentrazione dell’universo in poche forme ad altissima frequenza, ecc.). In aggiunta presenta però anche una caratteristica ignota all’universo maschile: il predominio indiscusso di una forma, Maria, che condiziona la distribuzione di tutti gli altri nomi dell’universo antroponimico. Di fatto Maria è un nome che è stato quasi sempre presente nel patrimonio antroponimico italiano, la cui frequenza, però, nel 1660 subisce un incremento fino a raggiungere il primo rango superando Caterina e presenta, per la prima volta, una frequenza molto alta (20.68%). Sulla base dei dati raccolti da Sestito emerge che le frequenze di Maria resteranno notevoli fino alla fine delle rilevazioni considerate, con la conseguenza che Maria perde la sua funzione originaria, ossia quella di distinguere un individuo, e viene considerata come una «marca da apporre indiscriminatamente a tutte, o alla maggior parte, delle rappresentanti di un sesso» (79) (Maria raggiunge la frequenza massima - 71.23% - nel 1740 e subisce una forte riduzione - fino a raggiungere una frequenza del 7.35% - solamente nel 1895, quando il sistema di nominazione basato sulle mode è ormai affermato a Firenze). Nella parte centrale del volume, occupata dai capitoli da 4 a 8 (169-344), viene sintetizzata, analizzata e interpretata la situazione onomastica di Firenze secolo per secolo (dal Quattrocento all’Ottocento). Ogni capitolo è dedicato a un secolo ed è strutturato per lo più Besprechungen - Comptes rendus 276 allo stesso modo (repertorio maschile, repertorio femminile, nomi maschili e femminili - in cui si considerano le varianti maschili e femminili dello stesso nome -, diffusione e concentrazione, variantistica, possibili influssi esterni - storia, religione, letteratura, altro - sulla scelta del nome, confronto con altri repertori italiani - ecc.), il che permette di studiare in diacronia anche solamente alcuni degli aspetti caratterizzanti dell’universo antroponimico fiorentino. Nel quarto capitolo (169-202), dedicato al 1400, partendo da alcune considerazioni sull’antroponimia nel Medioevo e, in particolare, sulla «rivoluzione agionimica» che ha caratterizzato il primo Trecento - momento in cui il repertorio onomastico si incentra fondamentalmente sui nomi di santi -, si analizzano in primo luogo la situazione del repertorio maschile, per il quale si registra la supremazia di alcuni nomi - Giovanni, Francesco e Piero - già presenti in passato e fondamentalmente legati alla tradizione cristiana, e di quello femminile, che pure conferma la presenza, ad alta frequenza, di un numero limitato di forme, soprattutto agionimiche - Caterina e Maria. La stabilità dei patrimoni antroponimici è garantita dalla forte tradizione familiare che caratterizza il secolo in questione: l’usanza di dare a un neonato il nome di un parente defunto garantisce il riciclo delle forme già diffuse in passato. Caratteristica del Quattrocento (e, in parte, del Cinquecento, ma non dei secoli successivi) è anche la tendenza ad utilizzare al femminile nomi diffusi al maschile (il contrario, invece, non si registra). In generale, il repertorio femminile quattrocentesco, benché resti saldamente legato alla tradizione, appare leggermente meno rigido di quello maschile, come risulta evidente, ad esempio, considerando la diffusione di ipocoristici e di alterati di forme note, del tutto assenti nell’universo maschile e sporadicamente conservati in quello femminile. Dai dati emerge che il repertorio antroponimico è ancora scarsamente influenzato dal clero, dalle forme ispirate dalla letteratura e dai personaggi noti dell’epoca. Il capitolo dedicato al Quattrocento si chiude, come sarà il caso anche dei capitoli successivi, con il confronto tra i registri di Santa Maria del Fiore e altri repertori coevi. Tra il repertorio di Ivrea e quello di Firenze, ad esempio, si registra un’ampia sovrapposizione, e lo stesso vale tendenzialmente anche per Firenze e Siena, a conferma del fatto che alcuni agionimi particolarmente diffusi dominavano non soltanto nel capoluogo toscano, ma anche in altre città d’Italia. Tuttavia, per il caso senese l’autore non manca di segnalare anche alcune divergenze rispetto al capoluogo toscano: «la maggior differenza fra i due repertori è data soprattutto dalla molto miglior accoglienza che Siena riserva a novità di vario tipo, spesso legate all’antichità classica ma non solo, e comunque generalmente non connotate religiosamente» (199). Rispetto a quello del secolo precedente, l’universo maschile cinquecentesco non presenta nessuna grande differenza: in generale, tutto il Cinquecento (capitolo 5, 203-33) è caratterizzato da una grande stabilità che vede alternarsi gli stessi nomi nei primi ranghi della classifica. Analoga a quella maschile è la diffusione degli antroponimi femminili. Nella seconda metà del Cinquecento ad aumentare, seppur in modo modesto, è però la diffusione dei nomi di ispirazione classica: lo attestano anche testimonianze dell’epoca (come nel caso, ad esempio, del religioso lombardo Sabba da Castiglione nel suo volume Ricordi ovvero ammaestramenti). Il fenomeno cerca di essere contrastato dall’attività del clero che, proprio a partire dalla seconda metà del secolo, comincia a fare pressioni e a imporre divieti nelle scelte dei nomi da attribuire ai neonati. Queste restrizioni, come verrà mostrato da Sestito in seguito, culmineranno nei due secoli successivi, quando, di conseguenza, il repertorio antroponimico sarà marcatamente concentrato sugli agionimi. Anche per il Cinquecento la sovrapposizione di buona parte dei dati disponibili per Firenze e per Ivrea è confermata; tuttavia, come già nel caso senese analizzato per il secolo precedente, Ivrea comincia a mostrare tendenze innovative, ancora assenti a Firenze: «il panorama eporediese mostra una vitalità e una propensione alla ristrutturazione del repertorio anche superiori a quello fiorentino coevo, molto più conservativo e lento nell’accogliere innovazioni» (221). Anche il confronto con Besprechungen - Comptes rendus 277 il repertorio senese mette in evidenza il conservatorismo e la staticità di Firenze: a Siena, perlomeno nella prima parte del secolo, trovano infatti spazio numerose forme laiche ispirate all’antichità classica assenti nel capoluogo toscano. Verso la fine del secolo, invece, i due repertori tendono ad allinearsi. Il quinto capitolo si conclude con la costatazione che per il caso fiorentino non ha senso parlare di un «‘Rinascimento onomastico’ ... inteso come una sostanziale frattura - caratterizzata da espansione e arricchimento del repertorio - rispetto a un periodo classificabile come medievale» (230-31). Se nel repertorio maschile non si rilevano particolari novità nel passaggio dal Cinquecento al Seicento (capitolo 6, 235-58), lo stesso non vale per il repertorio femminile nel quale, come si è già detto, a partire dal 1660 il predominio di Maria comporta una rottura dell’equilibrio tra le forme di ampia diffusione che dominavano la classifica da parecchio tempo. La conseguenza logica di questo fenomeno è l’aumento dei valori degli indici di concentrazione rispetto ai secoli precedenti. Inoltre, testimonianze dirette confermano che le pressioni del clero si fanno più marcate rispetto al secolo precedente, per cui la tendenza a concentrarsi prevalentemente sulle forme religiose, a scapito delle altre (di ispirazione classica o laica in generale), raggiunge il suo culmine. Per il Seicento il confronto disponibile è solo con il repertorio di Siena il quale, per la prima parte del secolo, «seppur avviato anch’esso alla contrazione del repertorio in poche forme agionimiche, continu[a] a mostrare qualche traccia della vivacità e dell’originalità che l’aveva caratterizzato nel Cinquecento» (254). Nel corso del secolo la situazione senese, dove Maria occupa il primo rango, seppure con un’incidenza minore rispetto a quella fiorentina, tenderà ad allinearsi a quella di Firenze. Il panorama del repertorio maschile del Settecento (capitolo 7, 259-80) si conferma molto statico e saldamente legato alla tradizione, sia familiare sia religiosa; tuttavia, alcuni lentissimi cambiamenti cominciano a mettersi in moto. Per quel che riguarda la parte femminile del repertorio, come già noto, il Settecento è segnato dalla supremazia di Maria, che condiziona la distribuzione di tutte le altre forme. Interessante è l’approfondimento dedicato alla scelta dei secondi nomi per le nate nel 1740, anno in cui Maria raggiunge i valori di frequenza più alti, dal quale da una parte emerge che al 99% delle bambine battezzate veniva dato, oltre a Maria, anche un secondo nome e, dall’altra, che i secondi nomi più frequenti corrispondono alle forme effettivamente più diffuse all’epoca. «Il panorama settecentesco (sia femminile, sia, come si è visto, maschile), non troppo diversamente da quello della seconda parte del secolo precedente, appare ... spiccatamente ‘di antico regime’, quasi immobile e nettamente favorevole ad alcune forme di grande tradizione e significato religioso, e fra l’altro ampiamente diffuse anche fra l’aristocrazia europea dell’epoca» (261). Dai dati analizzati da Sestito emerge che il Settecento è il secolo in cui l’antroponimia religiosa appare più nettamente preponderante. Accanto a questa tipologia onomastica si affianca la categoria antroponimica legata alle dinastie dei regnanti (la quale, a sua volta, comprende buona parte degli agionimi maggiormente diffusi). Il confronto dei documenti di Santa Maria del Fiore con i registri di Siena conferma infine che il Settecento è un’epoca ampiamente conservatrice: «a parte la coincidenza di numerosi tipi ad alta frequenza nelle due città, sono ravvisabili in entrambe alcune tendenze che si sono definite ‘di antico regime’ (nettissima prevalenza di agionimi maggiori, alta concentrazione, conservativismo e modesta incidenza di fenomeni di moda)» (280). L’Ottocento (capitolo 8, 281-344) è il secolo di svolta per quel che riguarda il panorama onomastico italiano: sono infatti di introduzione ottocentesca molti dei nomi che ritroviamo ancora oggi nel nostro patrimonio antroponimico e, allo stesso tempo, è in quel periodo che sono nate le tendenze onomastiche basate sull’innovazione e sull’alternanza di mode che sopravvivono a tutt’oggi. Nel repertorio maschile si assiste al progressivo declino di alcuni nomi che hanno occupato i primi ranghi della classifica per secoli, come ad esempio Andrea, Michele e Niccolò, a favore di forme innovative, quali erano ad esempio Alfredo, Augusto ed Besprechungen - Comptes rendus 278 Oreste. Nel repertorio femminile Maria continua ad occupare la prima posizione fin verso la metà dell’Ottocento, poi le frequenze si riducono progressivamente lasciando spazio a nomi privi di connotazione religiosa, letteraria o ideologica che si susseguono trasportati da evoluzioni legati alle mode. Il discorso sulle mode viene affrontato a più livelli, partendo da quello di affinità etimologica e sonora tra diverse forme, spostandosi poi su un piano politico, letterario e culturale in generale, sempre facendo riferimento alla solida base costituita dal corpus di dati di Santa Maria del Fiore e agli indici con rilevanza statistica già citati. E ancora una volta questo metodo di lavoro si rivela vincente e permette all’autore di precisare o, addirittura, di stravolgere conclusioni alle quali erano giunti altri studiosi e che si sono ormai radicate nell’opinione comune: «[s]empre la convinzione che il repertorio onomastico del passato sia stato fisso e immutabile, e qua e là sporadicamente alterato solo da apporti dovuti alla letteratura o al teatro, spinge talvolta lo studioso a costruire letteralmente la storia di un nome senza alcun fondamento documentario, ammettendo implicitamente che la sua diffusione dipenda dall’alternarsi delle fortune di opere con personaggi così chiamati» (321). In realtà, spesso non è così. Si illustra in modo approfondito, facendo riferimento ad esempi concreti, come in buona parte dei casi nel processo di assegnazione di un nome il ruolo giocato dalla letteratura e dalla lirica sia marginale o, comunque, difficilmente valutabile. Come per gli altri secoli considerati, anche il repertorio fiorentino dell’Ottocento viene confrontato con raccolte antroponimiche di altre città. Rispetto a quelli veneziani, fedeli alla tradizione, i dati fiorentini ottocenteschi si caratterizzano come innovatori e più aperti a mode onomastiche. Leggermente differente si presenta la situazione a Siena e a Roma, dove trovano spazio, come a Firenze, fenomeni legati alla moda. Decisamente diverso è invece il quadro che emerge dal confronto tra i registri fiorentini e quelli dei trovatelli napoletani: «[a] Napoli è ben percepibile un panorama molto più tradizionalista rispetto a Firenze, quasi totalmente indifferente nei confronti dei tipi alla moda nella città toscana. Pur potendo disporre di un insieme limitato - anche qualitativamente: si ricordi che si tratta esclusivamente di trovatelli - di dati rispetto a Firenze, sembra di poter ravvisare già nella Napoli dell’Ottocento una tendenza al conservatorismo e alla ricezione limitata e tardiva di mode onomastiche meglio rappresentate in altre aree italiane» (336). L’ottavo capitolo si chiude con il confronto tra il repertorio fiorentino e quello francese prima, e con quello di altri paesi occidentali poi. I capitoli 9 (345-55) e 10 (357-72) sono dedicati rispettivamente alla realtà antroponimica nel passaggio dall’Otto al Novecento e al fenomeno delle mode onomastiche. Nel Novecento il repertorio fiorentino è caratterizzato da forme innovative, mentre tra le forme più rare si contano proprio quelle più connotate religiosamente che hanno dominato i secoli precedenti. Più in generale, Sestito nota che in campo onomastico Firenze precorre i tempi rispetto all’Italia: «[u]n sensibile anticipo da parte di Firenze nell’accogliere innovazioni onomastiche è del resto documentabile anche per epoche molto recenti: benché non si abbiano dati sufficienti per ricostruire gli stadi intermedi del percorso, non è affatto improbabile che i fenomeni siano correlati, ossia che da più di un secolo il capoluogo toscano sia regolarmente in anticipo sul resto del Paese quanto all’affermazione di tipi alla moda» (348-49). Come in parte si è già potuto osservare, le innovazioni che caratterizzano Firenze si sono diffuse con grande ritardo nel resto del Paese (e alcune aree del Sud non sono state raggiunte dal fenomeno), rimasto perlopiù fedele alle tradizioni onomastiche secolari. Prima del boom economico, della diffusione della televisione e di altri mezzi di comunicazione di massa e dell’intensificazione dei collegamenti all’interno del Paese, l’Italia era fondamentalmente divisa in due parti per quanto riguarda la caratterizzazione onomastica: da una parte si trovavano le grandi città del Centro-Nord, orientate verso l’Europa e in cui le innovazioni non tardavano a prendere piede, dall’altra si avevano le campagne e buona parte del Sud, caratterizzate da un repertorio antroponimico più chiuso e restio ad innovarsi. Queste differenze si sono livellate a partire dal 1960, quando si è registrata la svolta a cui si è accennato. Besprechungen - Comptes rendus 279 6 La cote des prénoms en 2008, Neuilly-sur-Seine 2007. In conclusione, nel decimo capitolo Sestito propone delle riflessioni sul concetto di «nome di moda», riprendendo le definizioni adottate in altri lavori, ed esprime le proprie riserve in merito alle indagini che mirano a spiegare come e perché si scelga un nome: si tratta, infatti, di una procedura molto complessa, soggettiva e difficilmente indagabile con strumenti scientifici. Il capitolo si chiude facendo riferimento allo studio di J. Besnard 6 secondo il quale «per ogni nome entrato nel ciclo della moda [sono previsti] vari momenti successivi: in sintesi si ha una fase di ascesa (in cui la frequenza percentuale passa da 0.1% a 1%), una fase di conformismo, ovvero di moda vera e propria, in cui la frequenza supera costantemente l’1% e il nome viene mediamente percepito come gradevole e appropriato per un neonato, infine una fase di declino (in cui la frequenza scende dall’1% allo 0.1%), e poi un periodo generalmente lungo di ‘purgatorio’, in cui il nome, usurato dalla cospicua diffusione in tempi recenti, non è di fatto preso in considerazione, in quanto non in linea con la moda, e appare tendenzialmente sgradito» (364-65). Il volume di Francesco Sestito si chiude con una ricca appendice (373-434) in cui sono riportate alcune tabelle riassuntive delle rilevazioni considerate nel corso dello studio, corredate dai consueti valori statistici. La completezza dello studio di Francesco Sestito permette di inquadrare sotto una nuova luce parte della scena antroponimica italiana dalla seconda metà del Quattrocento ad oggi. Questo grande contributo nell’ambito dell’antroponimia diacronica italiana non può che fungere da incoraggiamento e da stimolo, nonché da modello, per gli studi futuri. Camilla Bernardasci Raetoromania Ricarda Liver, Der Wortschatz des Bündnerromanischen. Elemente zu einer rätoromanischen Lexikologie, Tübingen (Francke) 2012, 334 p. Si la lexicologie des grandes langues romanes a déjà fait couler beaucoup d’encre, il n’en va pas de même des petites langues romanes telles le romanche (le rhéto-roman des Grisons). Nous saluons donc le fait de disposer désormais d’une monographie fort bien documentée sur son lexique, et ce d’autant plus que son auteure est connue comme l’une des meilleures spécialistes en matière de linguistique romanche. L’étude en question comprend trois parties dont la première adopte une perspective synchronique appliquant les notions de base de la lexicologie à sa description, à savoir un choix de champs lexicaux (1.2), les phraséologismes (1.3) et les relations sémantiques: la synonymie (1.4.2), l’antonymie (1.4.3) et le couple polysémie vs homonymie (1.4.4). À l’opposé de la synchronie, les chapitres suivants (2 et 3) traitent le lexique dans une optique historique: la stratification étymologique du lexique (2.2) et lexique du romanche tel qu’il se manifeste dans les premiers textes (3). Dans la partie synchronique (11-47), R. L. présente tout d’abord cinq esquisses consacrées aux champs lexicaux suivants: «les désignations de la parenté», «la perception», «la communication verbale», «l’orientation dans l’espace» et «les animaux domestiques» dont le premier et le dernier me semblent particulièrement bien choisis. Leur structuration lexicale est de nature à refléter de façon exemplaire certains aspects de la vie des montagnards. Ainsi, le champ de «la désignations de la parenté» distingue quatre degrés de cousinage (14), l’inceste
