Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2015
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Kristol De StefaniMichael Zimmermann, Expletive and Referential Subject Pronouns in Medieval French, Berlin (De Gruyter) 2014, x + 246 p. (Linguistische Arbeiten 556)
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Giampaolo Salvi
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Besprechungen - Comptes rendus 333 Ergänzung steht. Auch in diesem Band wird aber nicht erklärt, welche Bedeutung die Setzung von Text in runde Klammern hat. Meine Probleme habe ich auch mit Hinzufügungen in der Schriftgröße von 10 Punkten; es wird nicht angegeben, woher diese Ergänzungen stammen (cf. 82, 323, 327, 334, 337, 338 u. a.). In dem hier herausgegebenen Werk werden dieselben Editionsprinzipien zugrunde gelegt wie in allen bislang zu Heinrich III. und Heinrich IV. herausgegebenen Bänden. Damit ist begrüßenswerter Weise ein einheitliches Verfahren gegeben. Nach einer nach meinem Urteil viel zu kurzen «Introduction» aus der Feder von X. Le Person (ix-xv), in der er auf den Inhalt des Werkes eingeht, stehen die «Compléments bibliographiques» (xvii-xix), die bibliographische Angaben ab dem Jahre 2005 enthalten, denen sich noch Angaben zum «Établissement du texte» (xxi) und zu den zwei Manuskripten (xxiii-xxiv) anschließen. Es folgt dann die nach Jahren angelegte Textedition (1-391), wobei am Ende des jeweiligen Berichtes über ein Jahr umfassende «Notes» stehen, auf die jeweils durch Zahlenangaben im Text verwiesen wird. Diese Anmerkungen, die vor allem gründlichste Kommentare zu den erwähnten Handlungsträgern bieten, machen den besonderen Wert der Arbeit aus. Anhand der hier gemachten Angaben kann jeder Leser nahezu problemlos dem Handlungsgeschehen folgen. Es schließen sich dann die Untersuchung zum «Lexique» (393-418) und der «Glossaire» (419-524) an; beide Abschnitte sind das Werk von V. Mecking. In der lexikalischen Untersuchung werden die Erstbelege von Wörtern im Journal (nach Bereichen angeordnet) untersucht sowie Neologismen und Entlehnungen aus anderen Sprachen behandelt. Das vollkommen fehlerfreie Glossar ist mit größter Gründlichkeit erstellt; in ihm werden die Erstbelege von Wörtern im Journal mit PA gekennzeichnet; es sind dies 112 (! ) an der Zahl. Abschließend folgen noch der «Index des noms de personnes et de lieux» (525-47) und die Liste der «Incipit des ‘pasquils’» (549-50). Meine Besprechung des ersten Bandes des Journal zur Zeit Heinrichs IV. hatte ich mit der Erwartung beschlossen, dass sich die «nachfolgenden Bände ... durch eine ebenso hohe Qualität auszeichnen» werden (cf. N1). Diese Erwartung ist durch den nun edierten zweiten Band voll erfüllt worden. Die Textausgabe ist sehr sorgfältig, und soweit ich an Hand von Stichproben feststellen konnte, korrekt erstellt worden. Die umfassenden Kommentare zeugen von einer profunden Sachinformiertheit des Editors. Das Glossar ist absolut fehlerfrei. Zu bedauern ist allerdings, dass sich die sprachliche Analyse auf das Lexikon beschränkt. Trotzdem wird die Fachwelt dem Herausgeberteam für diese insgesamt gekonnte Leistung zu großem Dank verpflichtet sein. Arnold Arens H Michael Zimmermann, Expletive and Referential Subject Pronouns in Medieval French, Berlin (De Gruyter) 2014, x + 246 p. (Linguistische Arbeiten 556) Lo studio di Michael Zimmermann (= MZ/ l’A[utore]), versione rivista e abbreviata della sua tesi di dottorato difesa a Costanza nel 2012, affronta il problema dell’espressione del soggetto pronominale in francese antico e medio con lo scopo di trovare una spiegazione per alcune importanti differenze tra l’uso del francese medievale, generalmente considerato una lingua in cui l’espressione del soggetto non è obbligatoria, e quello delle lingue romanze moderne in cui, come in italiano e spagnolo, vale la stessa caratteristica. L’A mette a confronto le varie ipotesi sincroniche e diacroniche formulate nella letteratura precedente con i dati da lui raccolti con lo scopo di mostrarne l’inadeguatezza empirica e per formulare poi un’ipotesi alternativa. La generalizzazione dell’espressione del soggetto che caratterizza il francese moderno viene infine ricondotta all’influsso della grammatica normativa. Besprechungen - Comptes rendus 334 Nel primo capitolo (Introduction, 1-7) MZ presenta tre differenze tra il francese medievale da una parte e l’italiano e lo spagnolo moderni dall’altra per quello che riguarda l’espressione del soggetto: 1) nel francese medievale un soggetto pronominale compare in contesti in cui l’italiano e lo spagnolo moderni richiedono un soggetto non-espresso: nostre Seignur li aparut altre feiz si cume il out fait en Gabaón/ il Signore gli apparve un’altra volta, così come ø aveva fatto a Gabaon; 2) nel francese medievale il soggetto può rimanere non espresso in contesti in cui in italiano e spagnolo sarebbe normalmente espresso (cf. qui sotto); 3) il francese medievale possiede la categoria del soggetto espletivo, normalmente presente solo in lingue in cui l’espressione del soggetto è obbligatoria, e assente quindi dall’italiano e dallo spagnolo. Il resto del libro è dedicato principalmente alla risoluzione dei problemi (1) e (3), trattati come problemi sintattici: quali sono in francese antico e medio le condizioni sintattiche che impongono l’espressione del soggetto, risp. permettono la sua non-espressione, e quindi quando è necessaria l’inserzione di un soggetto espletivo? Il problema (2) è invece un problema piuttosto pragmatico/ testuale: quali sono le condizioni discorsive che favoriscono o rendono obbligatoria l’espressione del soggetto in quelle lingue (o in quelle strutture) in cui la sua espressione non sarebbe di per sé obbligatoria? come mai il francese antico non segnala esplicitamente il cambio di soggetto in (Adad) truvad tel grace vers le rei que la súer sa reïne li dunad à mullier, mentre un testo italiano ben costruito normalmente lo segnala: (Hadad) entrò talmente nelle grazie del re che quello gli diede in sposa la sorella della sua regina? - in quanto problema pragmatico il problema (2) non viene più esplicitamente toccato dall’A, che si accontenta di stabilire le condizioni sintattiche per la non-espressione del soggetto. Questa differenza tra francese medievale e italiano/ spagnolo viene quindi lasciata senza spiegazione. Il secondo capitolo (The development of subject pronouns in Medieval and Classical French, 8-43) contiene nella prima parte una rassegna della letteratura sull’uso del pronome espletivo e referenziale in francese antico, medio e classico (8-25), mentre la seconda parte è dedicata alla presentazione del corpus utilizzato (26-29) e dei dati raccolti, riassunti in varie tabelle (29-43). Il corpus è costituito da 19500 proposizioni (principali o subordinate) estratte equamente da 13 testi distribuiti su un arco di tempo che va dal XII al XVII secolo (la distribuzione cronologica è tendenzialmente uniforme, ma con una maggiore concentrazione di testi [non spiegata] nella seconda metà del XV sec.). L’analisi preliminare dei dati mostra che: l’uso dei pronomi soggetto espletivi e referenziali cresce (anche se non in maniera sempre uniforme) in funzione del tempo, è maggiore nelle frasi subordinate rispetto alle principali e in posizione preverbale rispetto a quella postverbale; non si notano invece differenze tra le diverse persone (il che sembrerebbe escludere che l’espressione del soggetto dipenda dalla differenza in distintività delle diverse desinenze verbali); l’uso dei pronomi soggetto referenziali (ma non degli espletivi) è infine maggiore nei discorsi diretti. Il terzo capitolo (Discussion of previous approaches to subject pronouns in Medieval French, 44-109) contiene una critica delle varie ipotesi che sono state formulate per spiegare l’espressione o meno di soggetti referenziali ed espletivi in francese antico e medio, tutte rigorosamente confrontate con i dati del corpus esaminato: secondo MZ nessuna di queste ipotesi è in grado di spiegare i dati sincronici e diacronici raccolti. Nel quarto capitolo (An alternative approach to subject pronouns in Medieval French, 110-205) l’A presenta la propria ipotesi. In primo luogo rovescia il punto di vista tradizionale secondo cui il francese medievale sarebbe una lingua in cui l’espressione del soggetto non era obbligatoria: nel francese medievale l’espressione del soggetto era obbligatoria (e per questo c’era bisogno dei soggetti espletivi), in alcuni contesti il soggetto poteva però rimanere non-espresso (come del resto, ma in maniera molto più ristretta, anche in francese moderno). La domanda che ci si deve porre è quindi: in quali condizioni questo poteva avvenire? (110-18). Questi contesti sono preliminarmente individuati nelle frasi (in predominanza principali) che prevedono normalmente l’inversione del soggetto (contesti Besprechungen - Comptes rendus 335 V2) e in alcune frasi a verbo iniziale (118-30). Adottando il cosiddetto approccio cartografico alla struttura di frase (sviluppato a partire da L. Rizzi, «The Fine Structure of the Left Periphery», in: L. Haegeman (ed.), Elements of Grammar. Handbook in Generative Syntax, Dordrecht 1997: 281-337), MZ ipotizza che un soggetto pronominale senza realizzazione fonetica nel francese medievale era possibile solo se questo era retto dal verbo finito, cioè (semplificando un po’) se il verbo finito si trovava in una posizione più alta nella struttura frasale rispetto alla posizione soggetto - questa situazione si realizza quando il verbo finito abbandona la sua posizione dopo il soggetto e si sposta nella posizione testa della proiezione Fuoco (a) o della proiezione Topic (b), che dominano la parte proposizionale della frase, e quindi anche la posizione soggetto (130-36): a. [ Foc ... V [ prop Soggetto (V) ...]] b. [ Top ... V [ prop Soggetto (V) ...]] Lo spostamento del verbo era attivato quando un costituente focalizzato si spostava nello specificatore della proiezione Fuoco: in questi casi anche il verbo finito si spostava nella testa della stessa proiezione (136-62): c. [ Foc X Foc V [ prop Soggetto (V) ...]] Oppure era il verbo stesso che poteva essere focalizzato (d) o topicalizzato (e) (162-201): d. [ Foc V Foc [ prop Soggetto (V) ...]] e. [ Top V Top [ prop Soggetto (V) ...]] L’ipotesi presentata (di cui abbiamo semplificato, per ragioni espositive, il preciso apparato formale) spiega in maniera diretta perché i soggetti pronominali sono più frequenti in posizione preverbale: se infatti il verbo finito rimane nella sua posizione dopo il soggetto, non si danno le condizioni per un soggetto pronominale non realizzato foneticamente, il soggetto deve quindi essere espresso da un pronome; il soggetto può rimanere non espresso solo se il verbo finito si è spostato in una posizione che precede quella del soggetto. Siccome i processi di focalizzazione e di topicalizzazione sono più frequenti nelle principali che nelle subordinate, anche l’asimmetria tra principali e subordinate nella non-espressione del soggetto trova una spiegazione naturale: nelle subordinate il verbo si sposta meno spesso, per cui la non-espressione del soggetto è più rara (201-04). Il quinto capitolo (Outlook: The general loss of non-expressed subject pronouns in Classical French, 206-19) affronta il problema dell’imporsi nella norma scritta del XVII sec. dell’espressione obbligatoria del soggetto: questa viene ricondotta alla pressione dei grammatici che consigliano non soltanto l’espressione obbligatoria del soggetto, ma anche di evitare le costruzioni a inversione, cioè proprio quelle in cui la non-espressione era possibile. A partire dalla norma scritta il cambiamento si sarebbe poi diffuso gradatamente nella lingua parlata. Il volume si chiude con un’ampia bibliografia (220-39) e con un indice delle materie (240-46). Il volume di MZ è ricco di osservazioni e di dati e offre un quadro chiaro dei problemi studiati. Le soluzioni proposte non costituiscono però sempre un progresso rispetto a quanto stabilito dalla ricerca precedente. Uno dei cavalli di battaglia dell’A (cf. per es. p. 112) è la riclassificazione del francese medievale da lingua in cui il soggetto non era espresso obbligatoriamente a lingua in cui l’espressione del soggetto era invece obbligatoria. In questo MZ rimane prigioniero di una dicotomia che i fatti hanno mostrato da tempo essere troppo grossolana: dal momento in cui ci si è resi conto che l’obbligatorietà nell’espressione del soggetto nel francese medievale (e in altre lingue affini) dipendeva dal contesto sintattico (L.Vanelli/ L. Renzi/ P. Benincà, «Typologie des pronoms sujets dans les langues romanes», in: Actes du XVII e Congrès Besprechungen - Comptes rendus 336 International de Linguistique et Philologie Romanes, vol. 3: Linguistique descriptive, phonétique, morphologie et lexique, Aix-en-Provence 1985: 163-76, ma già J. Haiman, Targets and Syntactic Change, The Hague 1974: 121-24), la tipologia dell’espressione del soggetto non può più limitarsi a classificare le lingue in due gruppi contrapposti, ma deve tener conto di parametri più raffinati (come soggetto preverbale/ soggetto postverbale, soggetto referenziale/ soggetto espletivo, ecc.) e classificare le lingue di conseguenza. Così (con le dovute semplificazioni), se l’italiano rimarrà una lingua a soggetto non-obbligatorio e il francese una lingua a soggetto obbligatorio, il francese medievale sarà una lingua a soggetto preverbale obbligatorio e a soggetto postverbale non-obbligatorio, il tedesco una lingua a soggetto referenziale obbligatorio, a soggetto espletivo preverbale obbligatorio e a soggetto espletivo postverbale non-obbligatorio, ecc. L’analisi proposta dall’A non è altro che un’ulteriore elaborazione di quella proposta per la prima volta da Paola Benincà (in: Vanelli/ Renzi/ Benincà, cit.), poi ripresa ed elaborata in vari modi negli anni seguenti da diversi autori. MZ la sviluppa all’interno dell’approccio cartografico. Senza voler entrare troppo nei particolari tecnici, noterò che l’analisi ha una struttura asimmetrica che non viene giustificata: mentre lo spostamento del verbo nella testa della proiezione Fuoco può essere correlato a un elemento focalizzato che occupa lo specificatore di questa proiezione (c), il suo spostamento nella testa della proiezione Topic non permette una simile correlazione, anzi sembra escluderla (questo non viene detto espressamente, ma si deduce dalle strutture presentate; e cf. anche p. 135: «the directly preverbal constituent ... may be shown to consistently have a focus interpretation» - analogamente a p. 138 e 140). A parte il problema tecnico della giustificazione di questa asimmetria (perché il verbo può spostarsi nella testa della proiezione Topic solo quando il suo specificatore è vuoto, mentre può spostarsi nella testa della proiezione Fuoco anche quando il suo specificatore è occupato? ), questa analisi presenta anche un problema concettuale non indifferente: l’A deve assumere che in queste strutture di topicalizzazione sia il verbo a fungere da topic della frase (178-84); ora, normalmente ci aspetteremmo che un topic si riferisca a un individuo specifico, e questo è difficilmente affermabile delle forme flesse del verbo. Anche la questione trattata nel quinto capitolo è risolta un po’ sbrigativamente: non si vuole negare che la grammatica normativa abbia avuto un ruolo importante nella stabilizzazione del sistema francese, ma sembra eccessivo attribuirle un ruolo di iniziativa nel cambiamento linguistico - anche non tenendo conto dell’altissimo numero di illetterati su cui la grammatica della lingua scritta non avrà avuto nessuna presa, se accettassimo questa ipotesi diventerebbe difficile spiegare i cambiamenti simili avvenuti in altre varietà (per es. i dialetti italiani settentrionali) in cui non c’è stata nessuna normativizzazione dello stesso tipo. Mi sembra inoltre che MZ interpreti male le sue fonti: la lotta dei grammatici del classicismo non è contro l’uso della lingua parlata, ma contro il «vecchio stile» della letteratura barocca, in nome di una lingua più semplice e più vicina alla lingua colloquiale (come appare dalle fonti citate a p. 211). Le norme grammaticali del classicismo, in questo campo (ordine delle parole, soggetto obbligatorio), non scatenano un cambiamento, ma codificano un cambiamento che doveva già essere avvenuto nella lingua spontanea, come era già avvenuto in altre varietà romanze contemporanee. L’influsso della norma sulla lingua parlata c’è stato di sicuro, ma sarà stato piuttosto un effetto di «canalizzazione», di regolarizzazione e, poi, di cristallizzazione del cambiamento - un problema che meriterebbe di essere studiato attraverso un confronto con le varietà che si sono sviluppate libere dalle pressione di ogni norma. Passiamo ora ad alcune osservazioni più di dettaglio. Scelta dei testi: nella lista di principi relativi alla scelta dei testi (26) figura quello che l’edizione usata si deve basare su un unico manoscritto (per garantire l’omogeneità linguistica); stupisce quindi vedere che per la Chanson de Roland l’A abbia scelto l’edizione Segre, che è basata sulla recensione completa dei manoscritti. Besprechungen - Comptes rendus 337 Raccolta e valutazione dei dati: dall’esemplificazione delle p. 49-52 appare che MZ considera soggetto pronominale non solo quello espresso da un pronome personale, ma anche quello espresso da un pronome dimostrativo (2i: ce, 2m: cellui) e addirittura quelli espressi da un sintagma nominale complesso con un dimostrativo come testa (2f: ceulx du party de ça, 2k: cil des nés, 2l: celui qui disoit ...). In tutti questi casi si tratta di soggetti semanticamente più ricchi rispetto a un soggetto non-espresso. Ma per una valutazione corretta dell’alternanza soggetto espresso/ soggetto non-espresso si sarebbe dovuto tener conto solo dei pronomi personali, semanticamente equivalenti a un soggetto non-espresso, oltre che dei rari casi di ce usato come espletivo, come in (14d) a p. 75 (ma non quello di (10d) a p. 68 (= (68f) di p. 200), in cui abbiamo il sintagma complesso ce que il me contoit). Un fattore di cui è difficile tenere conto nella valutazione dei dati studiati dall’A, è quello della recuperabilità dell’antecedente: nei contesti in cui l’espressione del soggetto non è obbligatoria, il soggetto può tuttavia essere espresso se l’individuazione del referente è in qualche modo difficile. Ora, le condizioni (per noi non sempre chiare) in cui questo avveniva, dipendevano certamente dalla strutturazione del testo e variavano dunque da testo a testo. Possiamo quindi trovare che l’espressione del soggetto postverbale diminuisce percentualmente in un testo cronologicamente posteriore, ma questo non indica necessariamente una inversione di rotta del cambiamento diacronico - indica soltanto che il tipo di testo è tale per cui l’espressione del soggetto era meno necessaria (cioè i contesti dove il soggetto era facilmente recuperabile erano più frequenti che nel testo più antico). A questo tipo di inconveniente nella valutazione dei dati diacronici va soggetta anche l’analisi di MZ, in cui ogni fascia temporale è rappresentata da una sola opera (cf. le sue osservazioni alle p. 89, 92, 96, 101, 104, 107). Il problema può essere attutito, se non eliminato, solo utilizzando, per ogni fascia temporale, dati provenienti da più testi tipologicamente diversi. Alla differenza di tipo testuale andranno forse attribuiti anche i risultati divergenti per i discorsi diretti e le parti narrative, che quindi avrebbero una spiegazione pragmatico-testuale e non strutturale (come sembra invece pensare l’A - cf. p. 89-90, 105). Analisi degli esempi: gli esempi sono in genere analizzati correttamente. Elenchiamo qui alcuni casi in cui dissentiamo dall’interpretazione di MZ: in (1d) a p. 49, all’inizio della frase non abbiamo due subordinate separate, ma una sola, perché la gerundiva è interna alla subordinata causale: puisqu’il vous plait receuoir mon conseil, voiant l’affection dont il procéde; in (2e) a p. 50 (ripetuto alle p. 55, 78, 200): vos ne dei jo faillir, vos deve essere tonico (con il verbo quindi in seconda posizione) e non un clitico, che contravverrebbe alla legge Tobler-Mussafia; in (13c) a p. 72, néïs fa parte del soggetto (néïs li tels) e quindi il verbo non è in terza posizione, ma in seconda. In molti esempi l’interpretazione della funzione pragmatica del costituente preverbale mi sembra discutibile: in (21a) a p. 137, (28a) a p. 145-46, (32ab) e (33a) a p. 151-53, mi sembra piuttosto un topic che non un fuoco, e l’interpretazione come fuoco mi sembra senz’altro da escludere in (25a) a p. 142-43; mi sembra difficile interpretare ja come topic in (25b) a p. 143; piuttosto forzate mi sembrano anche le interpretazioni con fuoco sul verbo degli ess. (41)-(42) a p. 163-65, (64)-(65) a p. 193-96 e (68) a p. 200-201. Problemi minori nell’analisi: a p. 131 (e 141) l’A (che in questo segue A. Ledgeway, «Old Neapolitan word order: Some initial observations», in: A. L. Lepschy/ A.Tosi (ed.), Histories and dictionaries of the languages of Italy, Ravenna 2007: 121-49) assume che nei casi di ordine soggetto-verbo il soggetto sia sempre nella parte proposizionale della frase, ma questo non è compatibile con l’approccio cartografico, in quanto un soggetto con funzione di fuoco o di topic deve/ può occupare una posizione nella periferia sinistra. Le tabelle che riportano i dati numerici non danno sempre l’informazione rilevante che uno si aspetterebbe: per es. nella tabella che riassume la non-espressione, in certi tipi di subordinate, del soggetto a seconda delle persone, e nella figura che la accompagna (188-89), oltre al numero assoluto delle ricorrenze viene calcolata anche, per ogni testo, la percentuale Besprechungen - Comptes rendus 338 delle singole persone rispetto al numero totale degli esempi raccolti per quel testo. Ora, questa informazione è del tutto inutile, perché il numero assoluto di soggetti di 1., 2., ecc. persona non-espressi in un testo dipende non solo dalla lingua del testo, ma anche dal suo contenuto, cioè dal numero di occasioni in cui l’autore ha scelto di usare un soggetto di 1., 2., ecc. persona. Per questo una percentuale del 20 % di soggetti non-espressi di 1. persona in un testo in cui l’uso della 1. persona è rarissimo, non è la stessa cosa rispetto a un testo in cui il suo uso è frequentissimo. Quello che si doveva calcolare era la percentuale dei soggetti di 1. persona non-espressi rispetto al numero totale dei contesti in cui un soggetto di 1. persona poteva essere espresso - solo un calcolo di questo genere può darci delle informazioni utili su eventuali differenze nell’espressione del soggetto pronominale a seconda delle persone (questo calcolo è invece stato fatto correttamente nella tabella di p. 41). Nel calcolo dell’elemento preverbale si sarebbe potuta prendere in considerazione anche la particella negativa (per es. in (68c) a p. 200), che nelle lingue romanze antiche, come in latino, poteva essere, oltre che clitica, anche un elemento tonico e occupare quindi la posizione Fuoco (come mostrano i casi di inversione ne-V-S). Discussione di altre ipotesi: la lunga discussione delle ipotesi alternative nel terzo capitolo è molto ben condotta. In qualche caso appare però qualche forzatura nell’interpretazione o nell’argomentazione. MZ interpreta in maniera troppo semplicistica l’ipotesi V2 applicata alle lingue romanze antiche. Nei lavori che si sono occupati di questo problema (o almeno nei migliori di questi) l’ipotesi V2 è un’ipotesi strutturale relativa all’uso di una (o più di una) proiezione nella periferia sinistra della frase in cui si sposta il verbo finito (lasciando dietro di sé il soggetto) ed eventualmente un altro costituente (come del resto nell’analisi dell’A che abbiamo presentato sopra), e non è una restrizione sull’ordine superficiale delle parole; per questo appare piuttosto ozioso mostrare che il verbo può comparire in terza o quarta posizione nell’ordine lineare (60-61, 71-72). Nell’argomentazione alle p. 83-84 due punti sono in parziale contraddizione: per dimostrare l’inconsistenza dell’ipotesi che riconduce l’espressione obbligatoria del soggetto all’influsso germanico, MZ dice che l’espressione del soggetto diventa completamente obbligatoria solo sette secoli dopo la cessazione dell’influsso germanico - l’argomento è di per sé debole, perché l’influsso germanico potrebbe aver dato l’avvio a un cambiamento che si sarebbe completato solo più tardi (per un ragionamento simile cf. anche p. 108); ma a questo l’A aggiunge che l’espressione del soggetto espletivo in antico alto tedesco non era obbligatoria (e quindi non può avere indotto la sua espressione obbligatoria nel francese) - ma neanche in francese antico l’espletivo era obbligatorio (lo sarà solo sette secoli dopo! ). L’esclusione della dislocazione a destra dai dati del francese antico (97) sembra affrettata (cf. almeno C. Buridant, Grammaire nouvelle de l’ancien français, Paris 2000: 756; ma si noti che i casi trattati da MZ sono piuttosto casi di estraposizione - la confusione tra i due tipi di costruzione risalirà all’autore della teoria criticata). Traduzione degli esempi: gli esempi sono generalmente glossati e tradotti correttamente. Ho notato solo i seguenti errori: nel testo di Ronsard a p. 21 carmes ‘carmi’ è tradotto erroneamente con charms invece di poems; in due esempi l’A non ha riconosciuto la forma el (= en+le), che ha interpretato nella glossa come un allomorfo dell’articolo (‘the’), con conseguente errore nella traduzione: es. (46d) a p. 172 (ripetuto a p. 185 e 194) e (52b) a p. 179; in (50) a p. 176, il testo dell’ed. Segre della Chanson de Roland: ne fuit por hume ‘non fugge a causa di nessuno, non si fa mettere in fuga da nessuno’ non solo viene tradotto, ma viene anche glossato come se fosse il testo dell’ed. Bédier: ne fut produme (not-was-good-man) ‘was an evil man’; la costruzione fattitiva in (56a) a p. 182: elle avoit bien ouy dire a sa mere viene tradotta she had well heard her mother being told, ma sarà ‘aveva udito sua madre dire’, con l’oggetto indiretto in funzione di soggetto dell’infinito; in (58 f) a p. 185-86, scelerier ‘cellario’ è tradotto con abbot invece di cellarer. Besprechungen - Comptes rendus 339 Osservazioni minori: a p. 27 la Chanson de Roland è datata al secondo quarto del XII sec., mentre a p. 58 è posta alla fine dell’XI - la prima è la data probabile del manoscritto di Oxford, la seconda quella (probabile) della composizione del poema. Le classificazioni delle opere in generi (27, 58) non sono sempre chiare e a volte non corrispondono a quelle tradizionali: perché il Tristan è poesia narrativa mentre il Perceval è poesia epica? Problemi di forma: gli esempi sono sempre citati con la pagina dell’edizione di riferimento: per testi che hanno suddivisioni standard sarebbe stato meglio dare il rimando anche in base alla suddivisione interna (verso, capitolo, paragrafo). Non è usuale neanche in inglese citare, come fa l’A, il cognome di Ronsard, Vaugelas, ecc. come de Ronsard, de Vaugelas, ecc. (21-22). A p. 21 (ultima citazione) un refuso: offer per offre, refuso ripetuto a p. 187, lì con una glossa sbagliata (‘offered’). Dalla bibliografia finale mancano le seguenti opere: Darin 1868, Etienne 1895, Lenerz 1985, Meyer-Hermann 1998, Meyer-Lübke 1899. In conclusione, il libro di Michael Zimmermann è un tentativo interessante di risolvere un problema molto studiato sia dalla romanistica tradizionale, sia dai più recenti approcci della linguistica moderna, soprattutto generativa. L’autore mostra un’ottima conoscenza della letteratura sull’argomento e una delle parti migliori dell’opera è senz’altro la rassegna e la serrata critica delle ipotesi precedenti. Meno soddisfacenti mi sembrano le ipotesi positive elaborate per risolvere le questioni sollevate. La raccolta e l’elaborazione di nuovi dati sono senz’altro utili, ma presentano qualche inconveniente, come abbiamo segnalato sopra. Quanto poi all’ipotesi centrale del libro, non del tutto nuova, questa si muove certo nella direzione giusta, ma la sua elaborazione presenta vari problemi sia concettuali che di fatto, per cui non mi sembra che costituisca un vero progresso rispetto alle elaborazioni precedenti della stessa idea. Giampaolo Salvi H Federica Diémoz/ Dorothée Aquino-Weber (ed.), «Toujours langue varie ...». Mélanges de linguistique historique du français et de dialectologie galloromane offerts à M. le professeur Andres Kristol par ses collègues et anciens élèves, avec la collaboration de L. Grüner et A. Reusser-Elzingre, Genève (Droz) 2014, x + 382 p. (Recueil de travaux publiés par la Faculté des lettres et sciences humaines de l’Université de Neuchâtel 59) Dans le portrait qu’il brosse de la carrière d’Andres Kristol dès les premières pages du volume, Z. Marzys souligne que les travaux de ce professeur ont été des entreprises collectives auxquelles il a de tout temps associé ses étudiants. La publication de Mélanges en son honneur est une manifestation de cet esprit d’équipe que le professeur Kristol a su insuffler à ses collaborateurs et à celles et ceux qu’il a formés. Les jeunes comptent pour le tiers des 29 chercheurs qui ont participé à la réalisation de cet ouvrage, publié d’ailleurs par leurs soins. C’est incidemment du manuscrit en patois neuchâtelois édité dans les Mélanges par les deux plus jeunes des auteurs (A.Wyssbrod et L. Grüner) qu’ont été tirés les vers en écriture cursive qui enjolivent la couverture de l’ouvrage. La grande majorité des auteurs sont ou ont été associés d’une manière ou d’une autre à l’Université de Neuchâtel ou à d’autres universités de la Suisse. Il faut voir là une marque d’estime de la part de ceux qui ont côtoyé le professeur Kristol et une indication de la solidarité des universitaires de ce pays. Certains auteurs ont tenu à appuyer leur reconnaissance en ajoutant quelques phrases à l’hommage
