eJournals Vox Romanica 75/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2016
751 Kristol De Stefani

La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago

121
2016
Paolo  Gresti
vox7510210
Vox Romanica 75 (2016): 210-223 La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago Résumé: Le manuscrit D 465 inf. de la Bibliothèque Ambrosienne de Milan (ayant appartenu à l’érudit italien Gian Vincenzo Pinelli, qui possédait l’une des plus riches bibliothèques de l’Europe du XVI e siècle) transmet, entre autres, un petit traité de phonétique de la langue provençale qui a été attribué à Onorato Drago par Pio Rajna. Le savant a probablement raison: dans la lettre adressée à Alfonso d’Avalos qui accompagne un vocabulaire de l’occitan compilé par le même Drago, l’érudit affirme avoir déjà écrit, avant le vocabulaire, des «brevi regule» de la langue d’oc: d’après Rajna il s’agit justement de notre traité. Onorato Drago travaillait en utilisant un chansonnier troubadouresque que d’Avalos lui avait donné: malheureusement, aujourd’hui on ne sait plus rien de ce manuscrit. Nous proposons ici une nouvelle édition de la lettre de dédicace adressée à Alfonso d’Avalos ainsi que du petit traité de phonétique (le vocabulaire a déjà été publié, il n’y a pas longtemps, par Carla Maria Marinoni), en corrigeant l’édition, méritoire mais vieillie, de Rajna 1880. Drago montre qu’il connaît bien la langue des troubadours; toutefois, son œuvre n’a pas une grande valeur en soi, mais en tant qu’élément important dans le riche panorama des études des érudits italiens du XVI e siècle concernant la langue et la poésie des troubadours. Keywords: Onorato Drago, Provençal phonetics, History of the troubadours, Gian Vincenzo Pinelli Onorato Drago e Alfonso d’Avalos Ciò che rimane del ricchissimo patrimonio librario appartenuto a Gian Vincenzo Pinelli 1 è oggi conservato a Milano, presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana che, voluta dal cardinale Federigo Borromeo, aprì i battenti l’8 dicembre del 1609 2 . 1 Nato a Napoli nel 1535 da Cosmo, nobile di origini genovesi, e da Clemenza Ravaschera, Gian Vincenzo si trasferì a Padova negli ultimi giorni di settembre del 1558, come si evince da una lettera datata 18 settembre 1558 che Bartolomeo Maranta spedisce a Ulisse Aldovrandi: «... hora perché fra otto giorni parte di qua il S. or Gio. Vinc. o Pinelli per Padova ...» (cito da De Toni 1911: 24 N2); si veda anche Gualdo 1607: 14-15. Pinelli raccolse attorno a sé un cenacolo di studiosi, scienziati e letterati (tra gli altri: Galileo Galilei, Sperone Speroni, Paolo Sarpi, Giusto Lipsio, Torquato Tasso), e formò negli anni una ricchissima biblioteca, «perhaps the best private library in Italy in the second half of sixteenth century» (Grendler 1980: 386). Sulla biblioteca di Pinelli si è scritto molto, soprattutto negli ultimi anni: si vedano, per esempio Rivolta 1914, Rivolta 1933, Raugei 1988, Rodella 2003, Gresti 2004, Nuovo 2005, Nuovo 2008, Ferro 2008, Raugei 2015. Gian Vincenzo, sul quale manca uno studio d’assieme (utilissima è ancora la citata biografia di Paolo Gualdo, uno dei sodali di Pinelli), morì a Padova all’inizio di agosto del 1601. 2 Borromeo aveva conosciuto Pinelli a Padova, ed era ben conscio dell’enorme valore della biblioteca dell’erudito. La quale, peraltro, subì gravissime perdite durante il trasporto da Padova a Napoli, dove fece tappa e dove venne acquistata all’asta dal Borromeo. E ancora, molti stampati andarono perduti durante il terribile bombardamento alleato che Milano subì nella notte tra il 14 e il 15 febbraio del 1943. La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago 211 3 In una delle integrazioni agli Studi provenzali in Italia (inserita da Segre nell’elenco delle aggiunte bibliografiche sparse, elenco Mat C), Debenedetti annota: «Ambros. R 71 sup. è di provenienza pinelliana, v. G. Bertoni (edizione? )» (Debenedetti 1995: 404). Il codice in questione è il canzoniere che i provenzalisti siglano G, uno dei pochi a conservare anche la notazione musicale. Giulio Bertoni ritiene non improbabile che il manoscritto, copiato in Veneto alla fine del XIII secolo, poté passare in Francia, anche se ritornò poi in Italia «in sèguito a vicende sconosciute»; il viaggio di andata e ritorno sarebbe testimoniato «da una piccola indicazione, che si rinviene nelle prime pagine del manoscritto: cioè nel margine inferiore di una carta dell’indice si legge: Q 157 (questa indicazione Q fu adoperata per la collocazione di un certo numero di opere che vennero di Francia. Comunicazione del dr. Ratti)» (Bertoni 1912: xxx e N1). Non mi pare comunque che Bertoni accenni all’ingresso dell’importante canzoniere nella biblioteca di Pinelli. L’ultimo studioso del codice, Francesco Carapezza, riporta quanto scritto da Bertoni, ritenendo però «del tutto incerta» la parentesi francese (Carapezza 2004: 69). 4 Una descrizione sommaria della parte occitanica del manoscritto ambrosiano è in Debenedetti 1995: 291-92. Tornerò presto sull’argomento. 5 Ma nella numerazione moderna, a matita, salta il f.246 (ma si veda più avanti); all’interno di quasi tutte le unità codicologiche che formano la miscellanea c’è una numerazione originaria, risalente al momento della trascrizione, e una numerazione dei fascicoli più recente rispetto a quella di Pinelli (vedi qui N10), ma probabilmente ancora seicentesca, dunque ben più antica rispetto alla numerazione continua dei fogli. 6 In una lettera del 28 maggio 1558 a Francesco Martelli, Ludovico Beccadelli definisce Barbieri il piloto della lingua provenzale (Debenedetti 1995: 310). L’opera più importante, anche se incompiuta, di Giovanni Maria Barbieri è L’arte del rimare, o Dell’origine della poesia rimata, come vuole il suo unico editore, Girolamo Tiraboschi (cf. Tiraboschi 1790). Barbieri muore nel 1574. Il codice che testimonia con maggiore evidenza il pur periferico interesse di Gian Vincenzo Pinelli per le letterature romanze d’Oltralpe, e in particolare per il provenzale, è quello che porta oggi la segnatura D 465 inf. 3 , costituito dall’assemblaggio di fascicoli che nella biblioteca pinelliana erano verosimilmente sciolti; le unità codicologiche che ci interessano maggiormente, cioè quelle di argomento romanzo, sono trascritte - com’è normale per siffatte miscellanee - da mani diverse, tra le quali non manca ovviamente quella dello stesso Pinelli 4 , e occupano buona parte del manoscritto, dal f.185 alla fine (f.347) 5 . Questa parte del codice è preceduta, probabilmente pour cause, dalla celebre lettera autografa di Ludovico Barbieri nella quale il figlio di Giovanni Maria parla a Jacopo Corbinelli, tra le altre cose, dei libri provenzali posseduti dal padre, ritenuto già ai tempi suoi, e con ragione, il miglior conoscitore della langue d’oc nell’Italia del XVI secolo 6 . Il manoscritto è ben noto ai provenzalisti. Certo, non pochi materiali in esso contenuti sono descripti, e perciò scarsamente utili nella prospettiva ecdotica; non mancano tuttavia pezzi unici, soprattutto di argomento grammaticale o genericamente linguistico, come il trattatello di cui qui si discorrerà. Presi nel loro complesso, i fascicoli provenzali della miscellanea ambrosiana rappresentano una preziosa testimonianza dell’interesse che gli eruditi italiani del XVI secolo nutrivano nei confronti della letteratura e della lingua occitaniche. Il codice ambrosiano è uno dei cinque testimoni del Donat proensal (D), ed è l’unico manoscritto che trasmette due traduzioni italiane del trattato, anonime (d 1 Paolo Gresti 212 7 Si veda Marshall 1969: 3-8 e, in particolare per le traduzioni (la cui edizione sinottica è in corso di stampa), Gresti 2004 e Gresti 2016. 8 Stengel 1878: xxvi. 9 Per l’edizione si veda Marinoni 1989; per le notizie su Drago (1512-79) si veda Debenedetti 1911 e la voce di Elisa Mongiano e Margherita Spampinato Beretta nel DBI, vol. 41 (1992): 652-54. 10 La segnatura MM2 (di solito seguita da un altro numero distanziato da una linea) è quella originaria apposta da Pinelli, come si apprende dall’inventario fatto nel 1609, al momento dell’ingresso all’Ambrosiana dei volumi pinelliani (ms. B 311 suss.): «Mazzo segnato a tergo MM2 contiene per la maggior parte versi in lingua provenzale». Si veda in proposito Barbero 2007: 18 e Nuovo 2007: 48-52; la numerazione delle unità codicologiche è invece posteriore, come si è detto, probabilmente seicentesca e risalente al momento in cui i materiali sciolti di Pinelli sono stati assemblati a formare il codice D 465 inf. 11 Rajna 1880: 38. 12 Marinoni 1989: 16. e d 2 ), anonime e risalenti al XVI secolo 7 . Quando Edmund Stengel si accinse all’edizione critica del Donat, che uscì a stampa nel 1878, per la collazione di D si giovò della collaborazione di Pio Rajna 8 . Due anni dopo vide la luce, nel settimo fascicolo del Giornale di filologia romanza, l’articolo dello stesso Rajna intitolato «Un vocabolario e un trattatello di fonetica provenzale del secolo XVI». Il cosiddetto vocabolario, opera, come si legge nella didascalia iniziale, di Luigi Onorato Drago 9 , si trova ai f.231r°-244v° del codice ambrosiano, preceduto da una lettera dedicatoria a Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto; i fogli costituiscono l’unità originariamente segnata MM2-3 (26 della numerazione post-pinelliana) 10 . Il fascicolo è composto da 14 fogli numerati da 1 a 13 (la numerazione antica inizia infatti al f.232r° e termina al f.244r° della numerazione moderna); i f.231 e 244 fungono da coperta: sul recto del f.231 ci sono segnatura e titolo del fascicolo: «Vocab. o d. lingua provenz. d’Honor. to Drago» (la mano in questo caso è quella di Pinelli, ma solitamente i titoli dei fascicoli, del resto presenti in modo asistematico, sono dovuti a un’altra mano, sempre la stessa per tutta questa parte del codice); il verso del foglio è bianco, come pure il f.244r°-v°; è bianco anche il f.243r°-v°. La filigrana è la stessa per tutto il fascicolo (cappello cardinalizio che sovrasta un ovale al cui interno si trovano sei piccoli cerchi; non c’è nulla di simile nell’inventario di Briquet). Secondo Pio Rajna le mani che trascrivono il fascicolo sono due: le prime due colonne del Vocabolario con parte della terza pajono di pugno dello stesso raccoglitore di questa Miscellanea, cioè del Pinelli, al quale accadeva non di rado d’incominciar lui le trascrizioni, che poi dava da continuare ad amanuensi di mestiere. Uno di costoro ebbe anche stavolta da eseguire il resto, come già aveva trascritto, se non erro, la lettera d’invio 11 . Di parere diverso Carla Maria Marinoni, la quale ritiene invece che la copia del Vocabolario (o Glossario, come preferisce la studiosa) si debba nella sua integrità allo stesso scriba che ha copiato la lettera dedicatoria a Alfonso D’Avalos 12 . Ha ragione Rajna, poiché la mano che copia le prime due colonne del vocabolario e arriva fino a circa metà della terza (f.233v°: alegoratz) è senz’altro di Pinelli: l’eru- La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago 213 13 È probabile che questo foglio sia stato messo nel posto sbagliato dopo l’ultima rilegatura, moderna, del codice. È comunque fuori posto anche come f.246. 14 Sto lavorando alla possibilità di individuare i percorsi delle due traduzioni d 1 e d 2 , e spero di poter presto rendere noti i risultati delle mie ricerche. 15 Cfr. Rajna 1880: 44. Si veda anche qui di séguito. 16 Sul quale si veda la voce a cura di Gasparo De Caro in DBI, vol. 4 (1962): 612-16. dito avrà cominciato a trascrivere la lista di parole provenzali con la loro traduzione mentre il copista si occupava della trascrizione della lettera dedicatoria. Prima della fine dell’unità codicologica (e dopo il f.242, f.11 della numerazione antica) è inserito un foglio di dimensioni leggermente più grandi, con la numerazione moderna 242bis: mi pare che né Pio Rajna né Carla Maria Marinoni accennino all’esistenza di questo foglio. Vi è trascritta, parallelamente al lato lungo della pagina, e solo sul recto, una lista di parole provenzali con traduzione; il modulo molto piccolo e il ductus veloce indurrebbero a ritenerlo un foglio di appunti vergati da una sola mano, che interviene in due tempi, giacché un numero esiguo di parole è aggiunto con l’inchiostro più scuro. Solo raramente c’è coincidenza con i lemmi del vocabolario: non è dunque possibile stabilire se chi ha scritto questo foglio si sia basato sull’elenco di Drago. Con l’inchiostro più scuro è scritta anche, in testa al foglio, sempre sul lato lungo, una frase di non facile lettura (tra parentesi quadre le parole dubbie): «Nel plur. si omette la s finale propria del solo [nom.] singolare, e [dei] casi obliqui plurali». In basso a sinistra, dunque dalla parte della legatura, si legge, di mano moderna, il numero 246 a matita, rovesciato rispetto all’altra numerazione moderna 13 . Più avanti nel codice, al fascicolo MM2-5 (28), si trova invece il breve testo che Rajna ha battezzato trattatello di fonetica provenzale: si tratta di quattro fogli numerati anticamente da 1 a 4 (f.258-261); il verso del f.261 è bianco. Il fascicolo che separa il vocabolario dal trattatello contiene una delle due traduzioni del Donat proensal di cui il codice ambrosiano è testimone (d 1 ): la stessa mano copia d 1 e il trattatello, e anche la carta (con una filigrana doppia simile a Briquet 3089) è la medesima. È molto probabile che i materiali che occupano questi due fascicoli siano arrivati a Pinelli nello stesso tempo; e non sarebbe azzardato, credo, ipotizzare che essi abbiano la medesima provenienza, purtroppo ignota 14 . Il fascicolo che contiene il trattatello è privo di coperta, dunque è senza titolo e non riporta il nome dell’autore: l’attribuzione è merito di Pio Rajna. Lo studioso basa la propria ipotesi sulla dichiarazione che apre la lettera al D’Avalos; Drago afferma di avere «in brevi regole rinduto quanto ha avisato fusse di bisogno per sapere le compositioni de gli antichi poeti provenzali acconciamente leggere» 15 : parole che sembrano alludere al contenuto del trattatello. La composizione di questo prontuario fonetico è legata, perché prossima anche se leggermente anteriore, al momento in cui Drago compila il vocabolario. Purtroppo, la lettera di dedica ad Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto (1502-46) 16 , è priva di data. Alfonso d’Avalos divenne Capitano Generale dell’esercito imperiale d’Italia dopo la morte del suo Paolo Gresti 214 17 Rajna 1880: 35. 18 Marinoni 1989: 11 e N5. 19 Onorato Drago figura come sostituto del vicario ducale in una seduta del Consiglio cittadino: il 18 marzo secondo Dedebenetti 1911: 460, il 18 aprile secondo la voce del DBI. 20 Faccio notare solo di passaggio che l’intestazione della lettera dedicatoria, come vedremo tra poco, ci informa che d’Avalos non è solo Capitano Generale della M[aestà] C[esarea], ma ne è anche Luogotenente. Si tratta con tutta evidenza di un’espressione che può avere un significato generico, e tuttavia in non pochi documenti milanesi dell’epoca pubblicati da Marco Formentini sembra che Luogotenente o Locumtenens sia usato come sinonimo di Governatore o Gubernator. Per quanto riguarda il d’Avalos, egli viene detto solo Capitaneo generale di Sua Maestà, e simili, in documenti che risalgono al 1537, quando egli in effetti non è ancora Governatore; ma un documento del 7 settembre 1543 inizia: «Alphonsus de Avalos de Aquino Marchio Vasti Aimonis Caes. predecessore, Antonio di Leyva, avvenuta in Provenza il 15 settembre 1536: Pio Rajna colloca la lettera dedicatoria, e dunque la compilazione del vocabolario, nel decennio compreso tra la fine di quell’anno e il 1546, anno della morte di Alfonso. Aggiunge lo studioso: restringere maggiormente i confini, e pretendere che non s’abbia a venire più in qua del 1538 perché il Davalos non è detto altresì governatore di Milano, sarebbe cosa peggio che imprudente: di fianco alla dignità maggiore, era naturale che la minore si potesse tacere 17 . Di diverso parere Carla Maria Marinoni, per la quale non è privo di significato il silenzio di Drago circa il titolo di governatore di Milano, carica che d’Avalos ottenne nel febbraio 1538, e conservò fino alla morte. Il terminus post quem per la compilazione del vocabolario coinciderebbe dunque con il settembre del 1536, quello ante quem con il febbraio del 1538 18 . Sarebbe interessante capire in quale occasione Drago e d’Avalos si siano potuti conoscere, ma i dati a disposizione sono scarsi. Drago era stato nominato dal duca di Savoia, Carlo II, giudice di Mondovì alla fine di gennaio del 1535, ma divenne effettivo solo a partire dall’ottobre di quell’anno; coprì la carica fino al 1536 19 . Dopodiché, fino all’inizio degli anni Cinquanta, si perdono le sue tracce, e non è escluso ch’egli sia ritornato nel nizzardo, sua terra d’origine. Secondo Carla Maria Marinoni (p. 12, N6) Drago potrebbe aver incontrato d’Avalos proprio nel 1536, durante la campagna militare nella quale, al rientro da una fallimentare spedizione in Provenza voluta da Carlo V, il Capitano Generale riuscì a riprendere alcuni territori piemontesi che erano stati occupati dai francesi. Un altro possibile luogo d’incontro potrebbe però essere Nizza, città del ducato di Savoia nella quale il 18 giugno 1538 fu stipulata la pace tra Francesco I e Carlo V; alle trattative era presente il papa, Paolo III, e sicuramente il d’Avalos, visto il suo ruolo militare; non si può escludere che nella rappresentanza del ducato di Savoia fosse compreso anche Onorato Drago. Ma a quella data Alfonso d’Avalos era già stato nominato Governatore di Milano, e dunque questa occasione d’incontro non è evidentemente da prendere in considerazione qualora si volesse seguire l’ipotesi della Marinoni 20 . La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago 215 Majest. Cap. ac in dominio Mediolani Loc. Ten.» (si veda Formentini 1881). Del resto, nella Relazione inedita dello Stato di Milano di Giovan Battista Guarini si legge: «A tutto lo Stato presiede un supremo Ministro col titolo di Governatore Generale: il quale anco viene chiamato Luogotenente di S. M. in Italia» (citato da Papini 1957: 82); e in Rezasco 1881 troviamo che luogotenente può valere governatore in alcune zone almeno della Repubblica di Venezia (Friuli, Candia, Cipro): s. Luogotenente. E dunque, se l’espressione della M. C. Luogotenente non si interpretasse in senso generico, ma riferita alla nomina a Governatore di Milano? È chiaro che in tal caso il terminus post quem della lettera e del vocabolario di Onorato Drago si sposterebbe al febbraio del 1538. Né Rajna né la Marinoni prospettano una tale ipotesi. 21 Aggiunto nell’interlinea dal copista. 22 Aggiunto nell’interlinea dal copista. 23 Rajna stampa preme. 24 Onorato Drago era infatti originario di Sospello, presso Nizza. 25 seperate, ms. e Rajna. 26 esemplari in Rajna. 27 Come avverte già Rajna, dopo sia nel ms. c’è un altro non, che evidentemente va soppresso. 28 Aggiunto nell’interlinea dal copista. 29 affetionatamente in Rajna. All’Eccellentiss. et Illustriss. Signore .S.Alfonso D’Avalos Marchese del Guasto, della M. C. Luogotenente et Capit. Generale, L. Honorato Drago. Seguendo di Vostra E. il commandamento, dapoi haver in brevi regole rinduto quanto ho avisato fusse di bisogno per sapere le compositioni de gli antichi poeti provenzali acconciamente leggere, ho hora in queste poche carte quasi tutti i vocaboli raccolti, et brevemente isposti in lingua tosca, che in quegli scritti a’ taliani più erano ad intendere difficili, et meno a’ toschi somiglianti. La quale opera, se più stata sarà differita 21 di compiere che ’l desio di V. E., et l’obligo mio 22 , a quella non richiedeva, scusi da un lato la moltitudine delle occupationi, con le quali mi prieme 23 questo officio, ch’io tengo; et dall’altra parte la troppa difficultà dell’impresa. Imperò che, quantunque la lingua mia materna dalla provenzale poco sia per la propinquità di paesi differente 24 , sì è tutta fiata et questa et la mia da quella, che usata hanno quegli scrittori, cambiata, che se vivi essi fossero, non troppo agevole a lloro sarebbe lo intenderle. Tuttavia maggiore m’è la fatica stata per l’ignoranza di colui che ’l libro di V. E. ha scritto. Che, non intendendo costui la lingua, il più delle parole ha corrotte et guaste, quelle sciolte scrivendo che legate esser doveano fra loro, et quelle legando che separate 25 erano da porre; et oltre ciò sovente d’una due dittioni n’ha fatte, et due una fa parere. Per la qual cosa restato mi sono io alquanto aspettando che l’aiuto d’altri essemplari 26 alquanto di questa difficoltà mi havessero a sciemare. Non dimeno, non havendo io di detti essemplari copia al presente, [232v°] né veggendo di doverla havere sì tosto, non ho voluto tanto del mio travaglio conto tenere, quanto di non ritardare a V. E. il suo desiderio: al quale, se per ciò sodisfatto fia, assai ho conseguito dello intento mio il fine, se no, perdon ne cheggio; et aspetto che più da me non sia 27 richiesto, che ’n potere mio sia di 28 dare, con ciò sia cosa che quanto lo ’ngegno et diligenza mia vaglino in ciò ho tentato; né potrei fatica veruna sparmiare in che unque di commandarmi degnata si sarà V. E., a cui bascio la mano et humilmente m’accomando, quella affettionatamente 29 pregando che le opere di tanti autori con tanto già indegnamente tenute sepulte, mandi a luce esser rendute, onde obligo le habbino le anime d’essi scrittori, et coloro che nello studio et imitatione di quegli scritti si troveranno havere profitto fatto; il quale poco (spero) non fie. Con tutta evidenza, Alfonso d’Avalos doveva possedere un manoscritto provenzale ch’egli diede a Drago per compilare il vocabolario e, forse, anche per redigere il Paolo Gresti 216 30 Si veda a questo proposito Marinoni 1989: 35-62. 31 Frequentatore in gioventù di Vittoria Colonna, e autore di alcuni componimenti poetici: si veda per esempio Toscano 1988 e 2012. 32 I dipinti di Tiziano si trovano uno al Paul Getty Museum, a Los Angeles; l’altro al Museo del Prado, a Madrid. Pietro Aretino dedicò al marchese del Vasto la Marfisa, l’Angelica e la Vita di santa Caterina. Sulla cultura a Milano negli anni di Alfonso d’Avalos cf. Zaggia 2015, in particolare le p. 190-94. 33 L’analisi condotta sul vocabolario di Drago conduce Carla Maria Marinoni all’ipotesi che il canzoniere di d’Avalos doveva appartenere alla famiglia di M (B.N.f.fr. 12474), codice forse copiato a Napoli e che, negli anni che ci interessano, era di proprietà di Angelo Colocci. trattatello di fonetica 30 . Non è azzardato ipotizzare, dall’accenno ai poeti provenzali dell’inizio della lettera, che tale manoscritto fosse un canzoniere trobadorico. Del resto, sappiamo che il marchese del Vasto non era solo un valente uomo d’armi, ma anche un appassionato cultore delle lettere 31 , e protettore, con la moglie Maria d’Aragona, nipote del re di Napoli Ferdinando, di importanti artisti, tra i quali Tiziano (che gli fece due ritratti) e Pietro Aretino 32 . Conobbe Ludovico Ariosto, al quale concesse un vitalizio (e il poeta ricorda d’Avalos in due luoghi del Furioso: XV, 28-28 e XXXVII, 13, 5-8), e Pietro Bembo. E forse proprio dal cardinale-poeta gli sarà giunto il manoscritto provenzale usato da Drago, o forse da altri canali (la Provenza, dove d’Avalos si era recato in due occasioni diverse? ); non possiamo nemmeno dire se si trattasse d’un codice antico ovvero di una copia cinquecentesca 33 . Per quanto riguarda la datazione del trattatello, gli indizi sono ancora più nebulosi di quelli visti per il vocabolario; sempre che si debba conservare la proposta, del resto molto ragionevole, di Rajna, il trattatello deve essere stato scritto evidentemente prima del vocabolario (e prima della lettera al d’Avalos), anche se lo spazio temporale che separa le due operette non deve essere grande. La fonetica provenzale: edizione Nel testimone unico che lo trasmette fino a noi, il testo del trattatello è accompagnato da alcune glosse marginali, che evidentemente erano già nell’esemplare, visto che la mano che le trascrive è la stessa che copia il testo; tanto nell’opera quanto nelle glosse compare, qua e là, la mano di un Revisore, che quasi certamente è Pinelli: del resto, l’unico intervento di una certa estensione, che dunque dà qualche spiraglio di identificazione, è l’annotazione al §7 (cf. N68). Ho rivisto il manoscritto apportando alcune correzioni all’edizione di Rajna e aggiungendo alcuni rilievi, come per esempio gli interventi del Revisore, che Rajna accetta per lo più tacitamente, «dove appajano evidenti», come dichiara a p. 46. Rispetto a Rajna ho cambiato l’uso delle maiuscole e parzialmente la punteggiatura, ma ho conservato la suddivisione in paragrafi del mio illustre predecessore: con l’avvertenza che la mia edizione conta un paragrafo in meno, poiché ho fuso nel §15 i §15-16 di Rajna. La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago 217 34 Questa parola si trova all’inizio di rigo; alla fine del precedente c’è lati sottolineato. 35 Rajna legge simiglianti. 36 Rajna legge esprimere. 37 Il copista aveva scritto talhora, corretto dal Revisore. 38 Dopo provenzali c’è un ne cancellato dallo stesso copista. 39 Si noti che la parola dittongo è femminile, come in francese. 40 È aggiunto nell’interlinea, con un segno di inserzione; l’intervento è probabilmente del Revisore. 41 Nel corpus dell’OVI appo è sempre con l’articolo se segue un nome di popolo (appo i latini), ma Drago sembra non seguire alcuna regola in proposito: al §4 c’è, a breve distanza, appo taliani e appo gli italiani. 42 alla vocale è sottolineato; in margine c’è la seguente postilla: «In questo modo non l’usano i Provensali [Provenzali, Rajna], come né anco gli antichi italiani, che dicono: avere : onore : ora». 43 Rajna stampa leggiermente. 44 Aggiunto nell’interlinea dal Revisore, con segno d’inserzione. 45 Dopo pronuncia c’è un si cancellato. 46 Qui Rajna stampa curiosamente lei in luogo di ciò, e glossa: «cioè nella lingua Provenzale». 47 Rajna stampa comune. 48 Nel ms. c’è del, la correzione è già di Rajna. 49 La a iniziale è corretta da una e (Revisore). 50 Così nel ms.; Rajna corregge in ammollisce, ma non mi pare ci sia ragione qui d’intervenire. 51 Il di è aggiunto nell’interlinea dal Revisore. 52 Rajna stampa trova. [f.258r°] 1. Usa la lingua provenzale quelle medesime lettere che la latina 34 , sì come l’altre volgari d’Italia, Spagna, Francia, Lamagna, quanto a’ caratteri o vero figure di esse lettere; ma quanto alla possanza, ha questa, non men che le altre volgari, molti suoni di più che la latina. I quali però malagevolmente con le dette lettere si possono esprimere, quantunque con mescolanza et temperamento di quelle ciò ogni lingua s’ingegni di fare; ché ’n queste parole, filh, chant, lanh, e somiglianti 35 , quella consonante che ’nanzi H è posta altra pronuntia ha che nelle latine non habbia, o in quella medesima lingua quando H non segue, come che né H anco ivi il valor suo ritegna d’aspiratione. Ma ciò più partitamente nel luogo di esse lettere accennerò, poi che con la scrittura (come già ho detto) assai non si può isprimere 36 . 2. La medesima povertà de’ caratteri ha costretto in ogni lingua comporre due o più vocali sotto un medesimo suono et una sillaba, che diphtongi dicono i greci, e latini altresì; i quali in ciò sono da’ provenzali vinti et diversi, ché quelli menor numero ne hanno e non più di due vocali insieme in un fiato pongono, dove i provenzali tre talhotta 37 compongono. Sono dunque le diphtongi de’ Provenzali 38 le infrascritte 39 , ciò è: AI, EI, OI, UI, AU, EU, IU 40 , OU, UEI, IEU, IEI. 3. Queste lettere, K, X, Y, la lingua provenzale non usa, come che K appo 41 latini altresì di soverchio appaia, X in due consonanti si possa sciorre, et Y hora suono non habbia da I vocale in niente diverso. 4. H non congiunta con alcuna consonante, ma ’nanzi alla vocale 42 pura, quantunque nota sia d’aspiratione chiamata, tutta via leggieramente 43 si pronuncia, sì 44 che par che di soverchio si scriva. La qual pronuncia 45 in ciò 46 è commune 47 con la latina et volgare di tutta Italia e Francia e Spagna, come che greci [f.258v°] anticamente, et gli hebrei ancora più, con spirito l’esprimano; in che imitati sono dal 48 volgar de’ tedeschi et d’altri lor vicini. Dopo alcune delle consonanti la medesima nota d’aspiratione apposta, non aspiratione 49 vi reca ella alcuna che si senta, ma la precedente consonante ammolisce 50 , el natio e proprio suono le toglie; che quantunque secondo la pronuntia latina C dinanzi di 51 A, O, U duramente suoni, poco da Q differente et da K, quantunque la aspiratione vi si apponga, né altrimente si pronuntii in charus, chorus che in carus et corus, tutta via i provenzali, francesi e spagnoli nel lor volgare altramente in chascun, chose e muchos il pronuntiano che nelle parole latine, o nelle loro ove H non si truova 52 . La Paolo Gresti 218 53 Nel ms. apo, come segnalato anche da Rajna; nella lingua antica sono numerosissimi gli esempi con la scempia, ma qui correggo perché Drago scrive sempre la preposizione con la doppia. 54 Il da è aggiunto nell’interlinea dal Revisore. 55 Rajna avverte in nota: «Il trascrittore aveva scritto stringnere, e il correttore cancellò il primo n. Ma di certo va trasportato qui uno strimesso erroneamente da quest’ultimo sopra alla prima sillaba della voce corrispondente provenzale; come non meno erroneamente pare essersi in quella voluto da lui cancellare il r». In effetti, la prima sillaba della voce provenzale è sottolineata, la r è depennata, e sopra il Revisore ha scritto stri. Quanto alla voce italiana, sembra che ci sia scritto strngnere, senza la i, anche se sembra esserci un puntino sopra la r. 56 La u è soprascritta a una a, la quale è sottolineata (Revisore). 57 Così anche Rajna; forse: nel’italiano [e] nel latino. 58 fac fagés aggiunto nell’interlinea dal Revisore, al quale si deve probabilmente anche l’accento su hages. 59 Prima di amollire c’è un amolire con una correzione, poi cancellato; del resto, anche amollire è il risultato di una correzione: il copista aveva scritto amoliire, e poi ha corretto - l’intervento sembra infatti del copista stesso - in l la prima delle due i. 60 Questa parola è scritta a fine rigo: simo, che fuoriesce leggermente dal margine, è stato cancellato dal copista e riscritto all’inizio del rigo seguente. 61 Annota Rajna: «Par che manchi qualcosa: forse un semplice h alla fine di plag o di veg; forse un ‹come plag e negh›, oppure ‹plach e vech› dopo maniera». 62 La t è frutto di una correzione del Revisore, forse da s. 63 Prima di ché c’è una parola cancellata dal Revisore, forse oue. 64 Nel ms. enutia; la correzione è già di Rajna. 65 Prima di enveggia c’è un di cancellato dal Revisore. 66 Il copista aveva scritto discesso, ma la prima delle due s è cancellata dal Revisore. quale nota fa che quasi così si pronuntii appo costoro, come in ciascuno, ciose e mucio appo taliani: se non che i non vi si sente. Dopo L, H tal suono dà nelle voci provenzali, qual appo 53 gli italiani GLI; onde così si pronuncia orgueilh, mieilh e falh, come orgoglio, meglio et faglio, in quanto alle dette consonanti s’appartiene. Così ancho NH provenzale da 54 GN italiano non è differente, come in queste dittioni: stainh, streinher, seinhor et stagno, strignere 55 , signore si può provare. 5. I et V appo provenzali hanno, sì come appo gli hebrei e latini, doppio valore; ché ’n questa parola, ieu 56 , amendue sono vocali; in questa altra, ioven, e l’una e l’altra l’officio fa di consonante, come che ’l provenzale più duramente I quando è consonante sia solito di sprimere, che né l’italiano, né ’l latino 57 . 6. Sì come nella greca lingua, le nove mute tale affinità hanno fra esso loro, che spesse volte l’una nel luogo entra dell’altra, non altrimente nella provenzale adviene che non rade fiate B in P et P in B, et ciascuna di queste due in V consonante si commuta; che saber, sap et savi si dice d’una [f.259r°] medesima radice et origine di parola. Così parimente C et G si ciedono fra loro l’uno all’altro, et I altresì, ché da hac hagés, fac fagés 58 , da pregar prec formano, et da veg vic et veia. Et è da notare che molte di quelle dictioni che appo latini e taliani da Ga cominciano, appo provenzali cangiano talvolta G in I consonante, di che gaudens et iausent sieno essempio: ché ama questa lingua d’amollire 59 la pronuntia. Per la qual cagione gerra et chantar dice, in vece di guerra et di cantare. Il medesimo 60 di molte tali dictioni in quella spesse volte si truova. G dopo la vocale nel fine della dictione, con la nota dell’aspiratione o senza, mollemente si pronuncia: ché plag e veg d’una medesima maniera puoi pronunciare 61 . D et T et essi altresì l’uno nel luogo va dell’altro, come che alcune fiate nel mezzo delle dictioni D o si perda et 62 dilegui o si muti in Z, ché 63 ’n aveire mancha, in auzir è nel Z cangiato; ma in auias et enveia 64 et altre tali parole, non solamente si perde il D, ma di più I, che ne l’origine era vocale, diventa consonante, conciosiacosa l’integro d’auias sia audias, ciò è “udiate”, et enveggia 65 da invidia latino sia disceso 66 . La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago 219 67 Il copista aveva scritto qualcos’altro, ma il Revisore interviene a correggere: scrive la o, la n e la u, sopra la quale mette il titulus; inoltre cancella una lettera tra la o e la n. 68 Il pezzo da se S solamente fino a qui è rimasto nella penna del copista, evidentemente per un saut du même au même; il Revisore l’aggiunge sul margine inferiore della pagina, con un segno di richiamo a testo. 69 Rajna stampa discierne. 70 Il copista aveva scritto talhora. L’intervento è del Revisore. 71 Come già avverte Rajna in nota, il ms. ha cio e, «che nulla ci dà il diritto di riunire in cioe, vale a dir ciò con strascico». 72 Anche in questo caso talhotta è correzione da un originario talhora. 73 al suo manca in Rajna. 74 Come già avverte Rajna, il copista aveva scritto ne, poi corretto in et dal Revisore. 75 Il copista qui va a capo, e in concomitanza con l’inizio del nuovo capoverso, sul margine sinistro, c’è la seguente nota: «No credo che ciò sia vero; et specialmente ne i diphtongi». Si noti che l’ignoto postillatore dell’operetta usa diphtongo al maschile, mentre per Onorato Drago la parola è sempre femminile, come in francese. 76 La i iniziale corregge una s. 77 La c è soprascritta a una t sottolineata (Revisore); il copista aveva scritto unita. 78 Il copista aveva chiuso qui la parentesi, che il Revisore cancella, senza però aggiungerla più avanti. 79 Prima di il c’è un altro il cancellato. 80 Così nel ms.; Rajna: un altro. 7. TZ nella pronuncia 67 provenzale non servano il suono che nelle parole latine hanno, come che non così la lingua latina queste lettere insieme ponga; onde in totz, lutz, grantz et mentz quasi tal suono si sente come se S solamente dopo la vocale, o dopo la consonante, fosse, quantunque qualche poco più duro che 68 S latino, quantunque doppio. Z dunque tanta vicinità ha co ’l S, che a pena l’un dell’altro si discerne 69 appo provenzali; anzi, così si confondono nella scrittura come nella pronuncia. 8. La quale S, come che in ogni lingua molto spesse volte e più che altra venga posta, usala però vie più sovente la provenzale; né solamente nel suo luogo la ritiene, ma talhotta 70 nel luogo del C la alloga, come in aussire in vece di aucire. 9. Ove, quell’è da ricordare, che ’n questa parola, aussire, O vien cangiato in AU, ben [f.259v°] che ciò rade volte adviene. Ma che AU in O si converta, sì come spesse volte e quasi sempre nel taliano et francesco si vede, ciò 71 nel provenzale malagevole è di trovare, come che sovente questa diphtongo AU in vece di AL, et EU in luogo di EL talhotta 72 dica: onde Auda et Mateuda in questo linguaggio altro non è che Alda et Matelda nel italiano, di maniera che notar si può che U vocale al L socceda sovente. Così mout dice quello che molto è appo italiani, così infinite dictioni del latino et altri idiomi al suo 73 traducendo scrive; et come scrive, pronuntia. 10. Alla qual pronuntia vuol questa lingua che la scrittura sia conforme: il che così nella francesca et 74 altre non adviene, che spesse volte in queste altrimente si scrive che non si pronuntia, et molte lettere usano nello scrivere che leggendo tralasciano, et nella pronuntia, come se di soverchio fossero, non toccano. 11. Et 75 perché ciò nella provenzale è generale, che la scrittura alla pronuntia serve, amando cotal pronuntia d’esser delicata et ispedita 76 , fuggerà lo scrittore il geminar delle medesime consonanti, anchora che l’origine delle dictioni, o la compositione, tal doppiezza paia che richeggia. Di che aflamar, unica 77 parola fatta di due, ci sia essempio (a ciò che etiandio 78 negli essempi io guardi la brevità): ché ’n quella dittione il provenzale non raddoppia F né M, quantunque da ad et flamma nel latino si conosca composta, per le cui regole et osservationi il 79 D per lo seguente F si mutarebbe in un’altro 80 F, et M esser doverebbe geminato. La consonante Paolo Gresti 220 81 Così nel ms.; Rajna corregge in raddoppiato. Ugualmente, poco sotto, radoppi è corretto in raddoppi. 82 In Rajna spagnuola. 83 Corretto da dal. 84 Scritto dal Revisore nell’interlinea. 85 Dopo del c’è de depennato dal copista. 86 Rajna ha sulla. 87 Così nel ms.; Rajna stampa sul. 88 Prima di capo c’è principio cancellato (copista); dopo capo c’è il, pure cancellato (sembra dal Revisore). In concomitanza con l’inizio di questo paragrafo c’è la seguente nota marginale: «Fa l’officio che fa il d in italiano, quando diciamo ed, ched, ned, od; et in altri anchora si pone per lo d, come in gazardon, gazanh». Rajna osserva che in gazardon la sillaba ar «è aggiunta dal correttore»; va inoltre detto che la h di gazanh è frutto di un intervento del Revisore, il quale però ha sottolineato la stessa h scrivendo sopra una cosa che sembra li. 89 Come avverte già Rajna, il ms. ha star. 90 Il testo è sottolineato da U a Q, e c’è la seguente nota marginale: «Alcuni testi servano questa scrittura, ma li buoni non, ché dicono que et guera». Rajna osserva: «S’era scritto terti; testi si deve al correttore, che ha pur tolto un r dov’era detto guerra»; in verità è possibile che il copista abbia scritto terzi, giacché la lettera che segue la r ha uno svolazzo verso l’alto piuttosto accentuato, che ricorda la legatura del nesso rz. 91 Così nel ms.; Rajna corregge in provenzali, ma non mi pare sia necessario. 92 La e finale è corretta da i (Revisore). 93 Il Revisore ha ripassato la u, perché l’inchiostro si era sbavato, rendendo poco chiara la lettera. 94 Sembra che il copista abbia scritto truopo, ma il Revisore ha corretto tr con h. 95 La prima i è correzione da e (forse del copista). che più vi si vegga radoppiata 81 è S et L; il quale L non solamente nel mezzo delle dictioni, ma nel fine ancora truovo io geminato in questa lingua, come che nella spagniuola 82 parimente nel principio si radoppi talhotta. 12. Tornando all’affinità del 83 S et del 84 Z, è d’advertire che S, così co[f.260r°]me l’altra sua affina, talvolta nel luogo soccede del 85 D: il che acaser in vece d’accadere detto ci accenna. 13. Il Z alcuna fiata par che di soverchio sia posto nella 86 scrittura provenzale, se non che insegna che collisione di sillaba né perdita di vocale nel 87 verso non si faccia, quantunque da vocale alcuna dittione sia terminata et la seguente parimente da vocale habbia il suo capo 88 , che az home dirà ciò che altrove, quando non vuole schiffar la collisione, dice a home. Ma ciò però non accade troppo sovente, anzi in poche dittioni si truova, fuori che ’n questa coniunctione copulativa et in alcuni articoli relativi, qi et qe, et simili pochi. 14. Quando alcuna dittione latina o greca comincia da S con alcun’altra consonante congiunta, quella parola, provenzale fatta, receve E dinanzi del S: escrit è provenzale da scribo, et estar da stare 89 latino. Il che la lingua spagniuola usa sempre di fare, ma la taliana di rado, e quasi non mai, se non dove la precedente dittione in una o più consonanti si terminasse, per schiffar la durezza che le troppe consonanti continuate senza interpositione di vocale render sogliono nel pronuntiare. 15. La soprascripta regola della pronuntia fa che ’l provenzale non ponga U doppo il G né il Q 90 , come il latino usa di fare. Per la qual cosa non si maravigli alcuno se non vedrà nelli scritti provensali 91 l’osservanza delle regole dello scrivere latino o greco, massimamente nella combinatione 92 delle consonanti, come sarebbe a dire MS et altre tali; ch’essendo le parole di questa lingua molto trunche 93 , huopo 94 è che più attenda alla conservatione delle lettere, che l’integro della dictione rappresentano, che a cotal regole, pur che la scrittura alla pronuntia non ripugni 95 . La fonetica provenzale di Luigi Onorato Drago 221 96 Come già osservato da Rajna, il copista aveva scritto paia, il Revisore aggiunge la prima sillaba. 97 insieme manca in Rajna. 98 Come osserva Rajna, il copista aveva scritto non, corretto in ne dal Revisore. 99 Dopo assai, a fine rigo, c’è sia cancellato, e poi riscritto all’inizio del rigo seguente. 100 Prima di s’ieus (l’apostrofo è già nel ms.) c’era s’eus in poi cancellato (copista). 101 Rajna legge sulle. 102 Prima di integre c’è in treg cancellato (copista). 103 Il copista aveva scritto fare, ma la e finale è stata cancellata dal Revisore. 104 Rajna ha, per semplice errore di stampa, sequente. 105 Dopo onde c’è a ante [o aute] home cancellato. 106 le è aggiunto nell’interlinea dal copista stesso. 107 Dopo dittioni c’è deri cancellato dal copista. 108 Il copista scrive stranie, poi corretto dal Revisore; Rajna lascia a testo stranie, e commenta: «non vedo motivo per mutare col correttore stranie in straniere»; ho preferito, per coerenza, accogliere anche questo intervento del Revisore. 109 Il copista aveva scritto prima, ma il Revisore ha cancellato la m. Et però rams scrive il provenzale, non rans, [f.260v°] acciò che, conservandosi la M, appaia 96 che tal parola di ramus latina sia formata. 16. Usa questa lingua due o tre dictioni insieme 97 , scrivendo o proferendo, comporre, quantunque alcune lettere di esse dictioni ne 98 toglia. Il quale uso di compositione, come che nell’hebrea assai 99 sia frequente, è nondimento più spesso in questa. Dicesi adunque s’ieus 100 in una sola parola, che disciogliendo nelle 101 sue dittioni integre 102 si direbbe si ieu vos; come sarebbe a dire s’ieus am, che tanto vale quanto se io vi amo. 17. Queste dittioni, me, te, se, spesse fiate nel verso trunche et prive della loro vocale si trovano, componendo le consonanti con la dittione precedente o seguente, se vi si truova vocale. Dice adunque dam’ per dame, ciò è dammi, et fat’ per fate, ciò è fatti, et fas’ per fase, ciò è fassi, mal aus per mal a vos. Il simile si truova in cotali altre monosillabe, come sarebbe a dire no ’l far 103 per non lo far, noil po far per non lo li po far, pels pels in vece di dire per los pels, ciò è per li peli; et infiniti tali. 18. La collisione, che sempre si fa nel verso latino, et rade volte si lascia nel toscano, quando alcuna dittione finisce in vocale e la seguente 104 parimente da vocale incomincia, nel verso provenzale, non altrimente che nel greco, alhora solamente si fa, quando dalla scrittura appare la vocale esser sottratta. Onde 105 a autre home et donas a donna verso è di xi sillabe senza collisione alcuna; autr’hom’es el, autra cur’ha de s’arma molte collisioni riceve, per essere mozzate le parole nello scrivere et dileguate molte delle vocali nel fine di quelle. 19. Due vocali continue l’una dopo l’altra, ben che in una sola dittione siano, due sillabe fanno, se diphtongo non costituiscono, com’è questa, sia, quantunque non così sia nel verso del [f.261r°] toscano et francese, dove il più delle volte due in una syllaba si constringono. 20. Dell’affinità che fra esso loro le 106 vocali s’hanno, et come l’una nel luogo dell’altra si ponga nelle dittioni 107 dirivate e composte, soverchio quasi fora a trattare, possendosi ciò agevolmente nell’essercitio della lingua comprendere a bastanza. Il medesimo aviso che sia di quelle vocali, ch’alle naturali apposte si trovano, come in queste dictioni, bais et creis, si vede I dopo A et dopo E scritto, come che l’origine sua non vi l’habbia, ciò è nel latino. 21. Dal quale questa lingua, sì come la maggior parte delle volgari, massimamente d’Italia, è derivata, come che ogni linguaggio, et questo ancora, da altre più straniere 108 lingue alcune parole abbia tolte, per la vicinità delle genti, o per le corti, o altre cagioni. Onde adviene che di giorno in giorno si truovi ogni linguaggio da quello variato, che egli si trovava pria 109 , di maniera che essa lingua provenzale, dopo che la Provenza ha corte e signoria di Franza rice- Paolo Gresti 222 110 La v è aggiunta in un secondo momento dal copista; Rajna stampa riceuuto. 111 Rajna 1880: 45. Debenedetti 1995 definisce il lavoro di Drago «mirabile per i tempi» (p. 27), caratterizzato da «una perizia, un discernimento quasi unici» (p. 37). 112 Si veda Gresti 2004 e 2016; altri contributi sull’argomento sono in corso di stampa. vute 110 , tanto s’è fatta dissimile da quella che ella era ducento o trecento anni fa, che gli huomini presenti a pena gli scritti intendono de’ compositori di quei tempi. Conclusione Il giudizio di Rajna sul trattatello è ampiamente positivo: per lo studioso, esso, fatta ragione dei tempi, è incontestabilmente una bella prova di acume e criterio. Si osservano ordinatamente molte cose, e in generale se ne giudica in modo retto. Tanto le osservazioni quanto le spiegazioni riescono certamente incomplete; erronee, assai di rado 111 . Rajna ha senz’altro ragione, ma ritengo che l’importanza principale di questo trattatello sia storico-culturale, più che propriamente linguistica; esso infatti è uno dei testimoni dell’interesse da parte degli eruditi italiani, o che vivevano e lavoravano in Italia, nei confronti della langue d’oc e della letteratura che in quella lingua fu scritta nei secoli precedenti. Si tratta, nel caso del trattatello di Drago, di una testimonianza modesta, ma non è un caso se, nella vasta biblioteca pinelliana, questo fascicolo sia solidale con quello che trasmette una delle due traduzioni del Donat poensal, opera di ben altro respiro. Chi aveva questi materiali? Come sono giunti a Pinelli? Quale canzoniere possedeva Alfonso d’Avalos? E soprattutto: chi è l’autore della (o delle) traduzoni del Donat? Qualche ipotesi è stata fatta, ma molta nebbia rimane ancora da dissipare 112 . 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