Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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2016
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Kristol De StefaniAndrea Canova (ed.), Tra filologia e storia della lingua italiana. Per Franca Brambilla Ageno, Roma (Edizioni di Storia e Letteratura) 2015, xii + 133 p. (Temi e testi 133)
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Maria Antonietta Marogna
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Besprechungen - Comptes rendus 264 Italoromania Andrea Canova (ed.), Tra filologia e storia della lingua italiana. Per Franca Brambilla Ageno, Roma (Edizioni di Storia e Letteratura) 2015, xii + 133 p. (Temi e testi 133) Dobbiamo ad Andrea Canova l’organizzazione della giornata di studi e la raccolta delle relazioni pronunciate allora in un volume i cui motivi d’interesse si moltiplicano nella lettura, superando la felicemente sobria quantità delle pagine. La «Giornata di studi Franca Brambilla Ageno» prosegue nell’Università Cattolica di Brescia (nel 2016 il tema è stato Dante e i suoi primi imitatori. Origini e fortuna della terzina nella poesia italiana del Trecento); ma la prima, nel 2013, era dedicata al ricordo della studiosa nel centenario della nascita, e insieme raccontava della sua biblioteca, donata dagli eredi Elena e Marco Brambilla alla Sede bresciana della Cattolica. Franca Brambilla Ageno insegnò a lungo nel Liceo «Cesare Beccaria» di Milano; tenne, su invito di Franceschini, il corso di Filologia italiana e in séguito, su invito di Giuseppe Billanovich, il corso di Filologia dantesca all’Università Cattolica; la sua carriera accademica si svolse poi tutta nell’Università degli Studi di Parma. La Presentazione del preside di Facoltà Angelo Bianchi (vii-viii) e il Saluto del direttore di Dipartimento di Brescia Mario Taccolini (ix), con la Prefazione di Andrea Canova (xi-xii), aprono il volume. Gabriele Signorini, «Il fondo librario Franca Brambilla Ageno» (3-5), rievoca l’anno della donazione - il 1997 - e i problemi materiali di sistemazione e catalogazione dei libri. Un tempo diverso da quello presente, certo; eppure, anche per allora, quasi eroica la volontà di far posto nella biblioteca a questa «grande occasione di arricchimento. Lo spazio si sarebbe comunque trovato» (3). Carlo Paolazzi, «Franca Brambilla Ageno, ‹maestra› di filologia» (7-16), tratteggia il suo ricordo insieme umano, accademico e scientifico della professoressa. Richiesto di assistenza nel lungo lavoro preparatorio all’edizione del Convivio, di «un grande impegno ‹ascetico›» parlò padre Paolazzi dopo aver letto la ponderosa introduzione. «‹Ma io sono laica! ›, ribatté subito. E io: ‹Signora, per fare indagini filologiche come questa, ci vuole un ascetismo pari a quello degli anacoreti›» (12). Poi, visto «da dentro», il difficile cammino del Convivio, dopo l’incontro a Domodossola, nel 1987, della signora, accompagnata da Carlo Paolazzi, con Francesco Mazzoni e Gianfranco Contini (membri della commissione, con Domenico De Robertis e Cesare Vasoli, alla quale era affidato il «parere tecnico» sulla pubblicazione nell’Edizione Nazionale delle Opere di Dante) per presentare il lavoro. Gli «apprezzamenti» che Contini, da lungo tempo malato, non poté «trasmettere né a Lei, né alla signora Ageno» - così nella lettera del figlio Riccardo, in risposta a una richiesta di Paolazzi, del 7 gennaio 1990, di poco precedente la morte di Contini il primo febbraio (14). Il lungo silenzio (tre anni) della Società Dantesca; quando, nell’estate 1990, Mazzoni rimandò a Brambilla Ageno l’edizione con le abbondanti note su «‹discordanze› fra introduzione, testo e apparato» apposte da coloro ai quali egli aveva delegato la revisione, l’autrice ne fu irritata tanto da meditare di stampare il lavoro fuori dall’Edizione Nazionale - e Paolazzi registra le parole che ascoltò da lei allora: «Chi ha fatto il controllo del mio lavoro si intende di filologia come io mi intendo di elettronica! ... non hanno capito che le oscillazioni del testo in rapporto a introduzione e apparato dipendono dai manoscritti ai quali mi sono affidata per la veste linguistica» (14). Finalmente, agli inizi del 1991, le bozze da correggere, ma con troppi refusi; e nei mesi estivi l’artrosi che afflisse Brambilla Ageno, rallentandone il lavoro. L’apprezzamento senza riserve di Mazzoni e De Robertis, testimoniato in una lettera che Paolazzi vide durante la visita che egli le fece alla fine del 1992, confortò la signora. L’ultima visita di Carlo Paolazzi fu nell’autunno del 1994: era tanto attesa la stampa del Convivio. L’edizione apparve nel novembre 1995, appena troppo tardi perché l’autrice, morta il Besprechungen - Comptes rendus 265 14 ottobre, riuscisse a vederla; ed è storia nota. Nel 1997 Elena Brambilla donò, per il tramite di Paolazzi, i libri della madre all’Università Cattolica: Milano avrebbe potuto ricevere solo i volumi che già non possedeva; Brescia accolse il fondo librario intero. Carlo Delcorno, «Dante e Boccaccio negli studi di Franca Brambilla Ageno» (17-33), citando le numerosissime recensioni, su testi e studi romanzi, della giovane Ageno nella rivista La Rassegna (negli anni Trenta e primi Quaranta), individua «già in questi primi esercizi le due direttive dei suoi studi su Dante: da una parte l’interpretazione esatta e linguisticamente fondata dei testi; dall’altra l’interesse particolare per il Convivio» (17). Poi, dopo la guerra, gli studi su Iacopone, Pulci, Sacchetti, Boccaccio; gli studi linguistici, prevalentemente in Lingua nostra; gli articoli negli Studi danteschi, tra il 1957 e il 1966, che «rivelano quasi una predilezione per ciò che è difficile, per le cruces dantesche» (18), non solo testuali; intanto era stato pubblicato Il verbo nell’italiano antico. Ricerche di sintassi (1964) - volume cui tutti, per i nostri studi di filologia e di storia della lingua, siamo ricorsi e ricorriamo, e per il quale non pare ancora oggi eccessivo l’attributo «impressionante». E sono del 1966 e del 1967 i primi articoli sul Convivio: il lavoro sui testimoni era stato già avviato da tempo. Delcorno entra nel merito dell’edizione critica: l’accidentata trasmissione del testo, con il drappello dei codici interpolati, «e all’interpolazione si aggiunge la contaminazione, o per dir meglio ‹l’interpolazione ha l’aria di essere stata un’operazione complementare alla contaminazione›» (23); la posizione di questi codici nello stemma, e il loro valore nella ricostruzione dell’archetipo: lungo lavoro di analisi che occuperà gran parte del tomo ii dell’Introduzione al Convivio, e che porterà l’autrice ad affermare, nei Criteri dell’edizione: «Andranno scartati intanto tutti gli interpolati, perché il loro capostipite f è stato sottoposto a una revisione minuta e irragionevole, che ha alterato profondamente il tessuto della prosa dantesca» (23). La correzione, con il ricorso al luogo parallelo di Cv. IV xxviii 7, della lezione del v. 138 della canzone Le dolci rime d’amor ch’ì’ solia, già prospettata negli studi dei primi anni - e accolta da Domenico De Robertis nell’edizione critica delle Rime di Dante [4 (lxxxii) Le dolci rime d’amor ch’io solea, 138 contemplando la fine ch’ell’aspetta] -: «non dev’essere: contemplando la fine che l’aspetta, ma: contemplando la fine ch’ella [l’anima] aspetta» (24). E, con i luoghi paralleli, le fonti che permettono di emendare il testo. Delcorno scandisce le tappe del lungo percorso, indicando le acquisizioni registrate nei vari studi, con le riflessioni teoriche e metodologiche che condurranno nel 1975 alla prima ed. del manuale L’edizione critica dei testi volgari (la Seconda edizione riveduta e ampliata sarà del 1984). E ricorda che la presenza di esempi dalla Fiammetta di Boccaccio nella prima ed. del manuale si riduce in favore di quelli dal Convivio nella seconda; ma che del testo della Fiammetta Brambilla Ageno si occupò sempre. E studiò la lingua del Decameron, con la pubblicazione delle «Annotazioni sintattiche sul Decameron» nella rivista Studi sul Boccaccio, nello stesso 1964 in cui si pubblicava Il verbo nell’italiano antico che accoglieva le ricerche sull’opera. Poi, nel 1974, ancora negli Studi sul Boccaccio, «Errori d’autore nel Decameron? » e, nel 1980, nella stessa sede, «Ancora sugli errori d’autore nel Decameron», con «Il problema dei rapporti fra il codice Berlinese e il codice Mannelli del Decameron»: lavori fondamentali per il caso particolare (con l’indicazione - 33, N67 - degli attuali studi di Maurizio Fiorilla sul testo del Decameron) e per l’enunciazione del metodo in generale. Aggiungiamo una sola, ovvia ma necessaria considerazione. Il travaso continuo delle competenze (straordinarie) nella storia della lingua e nella filologia dall’una all’altra disciplina, che è la sostanza dell’opera di Franca Brambilla Ageno, è la dimostrazione in re di una lunga fedeltà al testo, e si traduce nell’insegnamento pratico, teorico, e prima di tutto etico su come dal lavoro filologico sia bandita ogni improvvisazione. Paolo Bongrani, «I libri di Franca Brambilla Ageno con un contributo alla sua bibliografia» (35-50), esprime innanzitutto il suo rammarico di allora e di oggi per la non-accoglienza del «fondo filologico della biblioteca» della professoressa da parte dell’Università di Parma, «sede naturale di questi libri» (35), per fortuna non dispersi e degnamente ospitati a Brescia. Besprechungen - Comptes rendus 266 I libri di cui tratta in queste pagine sono quelli pubblicati da Brambilla Ageno: dieci, cui si aggiunge la raccolta degli Studi lessicali (da lui curata con Franca Magnani e Domizia Trolli, e l’Introduzione di Ghino Ghinassi) nel 2000. Dunque, dalla stampa della tesi di laurea, nel 1939: Il Bianco da Siena. Notizie e testi inediti, a quella del Convivio. In mezzo, le edizioni dei testi criticamente rivisti e commentati di Iacopone, Pulci, Sacchetti, Panuccio dal Bagno, con Boccaccio, per un’edizione dell’Elegia di Madonna Fiammetta uscita a Parigi nel 1954 per i tipi di Alberto Tallone in duecento copie fuori commercio: una pubblicazione per nozze (d’oro). Bongrani arricchisce di notizie esterne ai libri e interne ai lavori l’elenco, citando anche le recensioni e i giudizi (di Contini, Segre, Stussi, Gorni, De Robertis) che accompagnarono le edizioni di antichi testi e le altre pubblicazioni di Franca Brambilla Ageno (cui aggiunge, necessariamente, il grande - in tutti i sensi: oltre cento pagine di testo stampato in carattere minuto su due colonne - contributo sulla sintassi nell’Appendice all’Enciclopedia Dantesca). A proposito del Morgante di Pulci, pubblicato (1955) nella collana «La letteratura italiana - Storia e Testi» di Ricciardi, Bongrani ricorda la relazione di Domenico De Robertis, negli Atti della giornata di studi dedicata dall’Università di Parma alla sua docente nel 1996, a un anno dalla morte. «De Robertis seppe cogliere» anche la novità editoriale rappresentata da «quel volume, che non si affidava a testi vulgati ma presentava un testo nuovo, fondato sul riesame storico-critico della tradizione, che non si accontentava di sobrie chiose e non si ritirava davanti a nessuna difficoltà interpretativa; quel volume, secondo De Robertis, determinò col suo esempio una svolta nella storia editoriale dei Classici Ricciardi. Una svolta che si sarebbe pienamente manifestata poco dopo con i Poeti del Duecento curati da Contini nel 1960» (38). Alla Bibliografia degli scritti di Brambilla Ageno fino al 1985 («oltre trecento voci che rendono testimonianza di un’operosità indefessa», 41) contenuta nella raccolta dei suoi Studi danteschi, che fu pubblicata da Antenore nel 1990, Bongrani aggiunge infine i titoli degli anni successivi, con l’integrazione di diverse voci mancanti nell’elenco di allora (Contributo bibliografico, 46-50). Fra i tanti lavori, una nota personale su due pubblicazioni per così dire minori. Chi si occupa di Trecento conosce la straordinaria utilità delle recensioni di Franca Brambilla Ageno alle antologie di Giuseppe Corsi: «Poesie musicali del Trecento», RomPhil. 28/ 4 (1975): 696-706; «Osservazioni sul testo di poeti minori del Trecento», RomPhil. 31/ 1 (1977): 91-111. Citiamo da quest’ultima la breve dichiarazione programmatica: «tenteremo di mostrare, in forma necessariamente parziale e solo indicativa, quanto e quale materiale si possa estrarre da queste pagine per lo studio della lingua antica» (91). Appunto. Pierangelo Goffi/ Alessandra Malanca, «Dalla biblioteca di Franca Brambilla Ageno al Fondo FAB: storia e illustrazione della raccolta» (51-76). Goffi ricorda l’arrivo del materiale nella biblioteca della Cattolica di Brescia, già diviso in due parti - monografie, volumi di periodici, qualche estratto e qualche testo in fotocopia; opuscoli -, e inventariato: la classificazione fatta preparare da Elena Brambilla rese il fondo sùbito consultabile, prima che i titoli fossero inseriti nel catalogo elettronico. Dal 2001 al 2003 il materiale fu catalogato, e reso disponibile alla consultazione elettronica; poi la revisione e il recupero dei dati perduti nel passaggio attraverso diversi sistemi operativi, e la presentazione del lavoro concluso nella giornata del 2013. Più di 1800 volumi e ca. 800 opuscoli la consistenza del blocco iniziale; 400 i volumi, ancora conservati presso la famiglia, che lo incrementarono con la nuova donazione del 2013. Malanca esamina le non abbondanti informazioni - date, dediche, note di possesso - rintracciabili su libri ed estratti per dare un ordine cronologico di provenienza agli elementi della raccolta. Il Novecento degli studi è ben rappresentato già nella parca (e qui ancora più parca) scelta di nomi che Malanca fa tra i tanti di coloro che inviarono i loro lavori a Franca Brambilla Ageno: Schiaffini, Billanovich, Contini, Dionisotti ... «Nella biblioteca [di F.B.A.] emergono ... con forza alcuni centri di interesse precisi, che rispecchiano da vicino l’attività di ricerca svolta dalla Ageno: l’edizione critica dei testi, la letteratura e la Besprechungen - Comptes rendus 267 lingua italiana antica (in particolare il lessico, la sintassi, il linguaggio popolaresco, il gergo, i proverbi, i modi di dire, i detti e i motti), infine ... Dante» (65 e N13). E sui suoi lavori stampati la studiosa annotava, correggeva, aggiungendo talvolta tra le pagine foglietti di appunti: non solo per nuove edizioni previste e che poi non furono realizzate (Il verbo nell’italiano antico, il Morgante), ma comunque per registrare a loro luogo le integrazioni che venivano dalle sue ricerche che su nessun argomento, evidentemente, s’interrompevano. Ad alto tasso filologico è l’intervento di Andrea Canova, «Dal laboratorio di Franca Brambilla Ageno. Annotazioni per il metodo e una corrispondenza con Sebastiano Timpanaro» (77-109): per la materia trattata e per l’analisi che egli conduce su parte del «ricco materiale» che «renderebbe quasi possibile una ‹biografia per postillati›» della studiosa (78). Dunque le sottolineature e i segni a margine dei libri dei maestri: l’Introduzione alla Nuova filologia di Barbi, volume che Brambilla Ageno anche recensì per La Rassegna, offrì le riflessioni che sarebbero state sostanza dei principi teorici nell’Edizione critica dei testi volgari, immutati dalla prima alla seconda stampa del manuale; con le annotazioni che si fanno più fitte (collazioni, estrazione di forme linguistiche notevoli, messe in evidenza; anche qualche correzione a Barbi) sui saggi di letteratura antica contenuti nel volume: «Sul testo del Decameron», «Per una nuova edizione delle Novelle del Sacchetti», «D’un antico codice pisano-lucchese di trattati morali». «L’uso del testo come ‹riserva di caccia›, adibita a un’inesausta specillatura, è tipico di Franca Brambilla Ageno: l’esame dei suoi libri conferma in pieno ciò che la lettura della sua bibliografia rende già manifesto. Da questo punto di vista ci si augura che gli archivi della studiosa, a suo tempo donati all’Accademia della Crusca e alla Società Dantesca Italiana di Firenze, possano essere presto resi consultabili, perché certamente molto materiale elaborato per progetti editoriali, portati a termine e no, tornerebbe utile». Dunque le «bozze delle opere di Sacchetti» e «quanto era stato preparato per il Pataffio o per le Rime del Pistoia» (82). Del materiale giunto a Brescia Andrea Canova studia quattro schede manoscritte ritrovate nell’edizione Bellucci delle Rime di Antonio da Ferrara, nelle quali i vocaboli «barattero», «contemplo», «fracasso», «lupardo», estratti dai testi, ricevono il commento che corregge quello di Bellucci. Solo una parte di questo lavoro, informa Canova (che accompagna tutti i suoi studi nell’articolo con un’ampia documentazione bibliografica), fu pubblicata; gli altri, utili, dati si recuperano soltanto qui. Poi, scegliendo necessariamente tra i percorsi che Canova ricostruisce, Iacopone: i «materiali - purtroppo oggi non consultabili - fanno ora parte del suo archivio presso l’Accademia della Crusca» (88), ma già la copia di lavoro della sua edizione per Le Monnier del 1953 conservata a Brescia (FAB-2206) mostra gli interventi che da sùbito Franca Brambilla Ageno fece in preparazione della seconda edizione, critica, delle laudi (che poi non arrivò alla stampa; e un’edizione effettivamente critica manca ancora: sulla questione testuale del laudario iacoponico informa la bibliografia citata da Canova, 89 N32). Dunque, l’ordine dei testi; la segmentazione dei versi - con i riflessi sul problema dell’anisosillabismo -, seguendo (ma con qualche ripensamento per O vita de Iesù, specchio de veretate e Lo pastor per mio peccato) le indicazioni di Contini sullo statuto della rima nelle laudi iacoponiche: non rima interna nei versi lunghi ma rima effettiva, quindi di fine verso, e indipendentemente dalla situazione testimoniale; lo spostamento di una strofe in Anema, che desideri d’andare a paradiso, non suffragato dalla tradizione, concorde nel trasmettere il testo nella successione di strofi vulgata, ma necessario alla coerenza interna (la corrispondenza dell’ordine delle virtù tra prima e seconda parte della lauda): «questo fu plausibilmente giudicato dall’editrice un errore d’archetipo» (90 e N34); gl’interventi su alcune lezioni, e, per il commento, l’aggiunta di nuove fonti; e l’arricchimento del glossario. La terza donazione di Elena Brambilla alla Cattolica di Brescia, nel 2014: l’archivio epistolare della madre, permette ad Andrea Canova d’incrociare i dati a proposito dello Iacopone latino. L’annotazione di Brambilla Ageno, ancora sulla sua copia di lavoro, indica la fonte del quinto Detto iacoponico nei Gesta Romanorum: Besprechungen - Comptes rendus 268 ritrovamento importante, che non fu reso noto, ma che a qualcuno fu comunicato, se in due cartoline postali (novembre 1958 e gennaio 1959) Giuseppe Billanovich chiedeva a Franca Brambilla Ageno l’articolo «Iacopone - Gesta» per Italia medioevale e umanistica, atteso «con tanta speranza» (92). Speranza che rimase delusa, e la notizia della fonte si recupera qui. Canova pubblica infine (104-9) una lettera di Brambilla Ageno a Timpanaro del 4 gennaio 1975 (conservata nell’Archivio Sebastiano Timpanaro presso la Scuola Normale Superiore di Pisa); la risposta di Timpanaro del 7 gennaio, e la lettera del 22 novembre dello stesso anno nella quale Timpanaro ringrazia l’autrice per l’invio dell’Edizione critica dei testi volgari e si complimenta per il lavoro «eccellente per il rigore dei principii teorici e metodologici (tale da superare anche il Maas)» (108), con qualche puntuale osservazione (conservate a Brescia, nel costituendo Fondo archivistico Franca Brambilla Ageno). Su alcune formulazioni di Paul Maas nella Textkritik (più la differenza nella definizione di «variante adiafora» tra Avalle e Contini) verteva la corrispondenza del mese di gennaio: i dubbi che la curatrice del manuale di filologia esponeva a Timpanaro sull’accordo dei testimoni (quando siano tre o più) per la ricostruzione del testo di ß, e sulle varianti da accogliere in apparato; e la conferma da parte di Timpanaro della bontà delle soluzioni, teoriche e pratiche, di Brambilla Ageno contro quelle di Maas - verso il quale Timpanaro si mostra assai severo (e non propriamente tenero risulta il suo giudizio su Avalle): sui problemi di critica testuale, e sui rapporti tra i filologi coinvolti nella vicenda, informa lo studio con cui Canova accompagna la pubblicazione della corrispondenza. Domenico De Robertis, «Presentazione dell’edizione critica del Convivio di Dante curata da Franca Brambilla Ageno» (113-27): in Appendice, e prima dell’Indice dei nomi (129-33), il «testo della presentazione» tenuta a Parma nel febbraio 1996, «allora registrato e mai pubblicato dall’Autore ... qui trascritto, con piccoli adattamenti e qualche aggiunta bibliografica» (113 N) da Paolo Bongrani. Non agiografico (come non è agiografico, d’altronde, questo volume che lo contiene), anche se altamente, e dettagliatamente, elogiativo il discorso di De Robertis, dal quale estraiamo un passo che mette in rilievo una questione affascinante: «Non si può escludere questo di Dante, che certe cose le avesse lasciate in sospeso, su certe cose fosse tornato dopo. Bene: non c’è nessun indizio serio che un’eventuale situazione del genere sia la causa della corruzione ... Quindi nessuna speranza di vedere trasparire l’autografo e meglio ancora di penetrare, sia pure per un momento, nell’officina dantesca ... Ma quando l’Ageno, a p. 144 dell’Introduzione, integra la frase ‹La quale cosa anco fare si conviene, ché› (dove fare si conviene, ché manca nell’archetipo) e opera l’integrazione presupponendo un precedente anche invece di anco (da cui il salto: anche - ché), parla dell’‹antigrafo di X›. L’Ageno lo dice senza battere ciglio, ma l’antigrafo di X che cos’è? Non può essere che l’autografo. L’antigrafo vuol dire il testo da cui X copiava e che non è detto debba essere l’archetipo con qualche errore in meno; visto che l’antigrafo non è individuabile altrimenti, a monte di X, cioè dell’archetipo, non c’è che, a una distanza anche abissale, l’autografo ... Può darsi benissimo che all’Ageno battesse il cuore in quel momento, nel dirlo: però non l’ha fatto vedere» (122-23). Maria Antonietta Marogna H Andrea Giannetti (ed.), Libro dei sette savi di Roma. Versione in prosa F, Alessandria (Edizioni Dell’Orso) 2012, vi + 186 p. (Scrittura e scrittori Serie Miscellanea 25) Andrea Giannetti ha pubblicato nel 2014 una benemerita edizione del Libro dei sette savi di Roma, la cui fortuna in Italia è stata piuttosto scarsa. Non mi riferisco già alla materia dei Sette savi, che ha trovato un fertile humus per la sua crescita: qui infatti si è sviluppato
