Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2016
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Kristol De StefaniSabine Heinemann / Luca Melchior (ed.), Manuale di linguistica friulana, Berlin (De Gruyter) 2015, ix + 607 p. (Manuals of Romance Linguistics 3)
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2016
Giampaolo Salvi
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Besprechungen - Comptes rendus 280 manca la lettera (a, b ...) necessaria all’identificazione; uno stesso lavoro è citato da due sedi diverse; la numerazione degli esempi o il testo stesso non sono sempre stati adattati; a p. 69 cinque righe sono ripetute pari pari. Qualche svista può causare problemi di comprensione: a p. 88 «partitive-accusative» sta per «dative-partitive»; alla N6 di p. 348 si parla di «French pas», ma sarebbe stato più corretto dire «Valdôtain pa», come alla N47 (355), perché la differenza notata è visibile solo in valdostano; alla N36 di p. 352 si parla di proclisi con i tempi composti in galego-portoghese, ma si dovrà intendere che i clitici si attaccano all’ausiliare e non al participio; alla N7 di p. 364-65 al posto di «Lugano» leggi «Cosseria» e al posto di «Cosseria» leggi «Carcare»; alla N28 di p. 368 «third-person plural» è da correggere in «third-person singular»; a p. 387, sotto Wanner 1983, al posto di «Martinotti» leggi «Martinoni». Conclusione. Lo studio di Christina Tortora è un libro che vale la pena di leggere. Chi si occupa di sintassi teorica, ci troverà problemi e soluzioni stimolanti, chi si occupa di sintassi delle lingue romanze o dei dialetti italiani settentrionali, ci troverà una grande quantità di dati finora poco o per niente documentati, ma anche chi si occupa di morfologia o fonologia troverà dati (e analisi) di grande interesse. Vale la pena leggerlo anche perché è un libro pieno di questioni aperte - non solo perché si può, come sempre, non essere d’accordo con le soluzioni proposte dall’A, ma soprattutto perché è CT stessa a segnalare quali sono i punti in cui la sua analisi può o deve essere migliorata, o quali sono i dati che mancano per decidere una questione. Un libro insomma che fa avanzare la ricerca. Giampaolo Salvi Raetoromania Paul Videsott/ Rut Bernardi/ Chiara Marcocci, Bibliografia ladina. Bibliografie des ladinischen Schrifttums. Bibliografia degli scritti in ladino, Bozen-Bolzano (University Press) 2014, 198 p. (Scripta Ladina Brixinensia 4) Paul Videsott hat eine lange Erfahrung in der Arbeit an Bibliographien. Es sei nur an seine 2011 erschienene Rätoromanische Bibliographie erinnert, die inzwischen für die Rätoromanistik unverzichtbar ist (cf. VRom. 73: 317 s.). Die Bibliografia ladina, die er zusammen mit Rut Bernardi und Chiara Marcocci erarbeitet hat, ist dem Schrifttum des Dolomitenladinischen gewidmet. Der erste Band enthält die schriftlichen Zeugnisse von den Anfängen bis 1945. Ein zweiter Band, der die folgende Zeit umfassen wird, ist geplant. Die Bibliographie stellt ein nützliches Instrument für die Forschung zum Dolomitenladinischen dar. Sie ergänzt die 2013 erschienene Geschichte der ladinischen Literatur von Rut Bernardi und Paul Videsott (cf. VRom. 73: 318-21). Die eigentliche Bibliographie (29-151) wird von einer Einleitung (16-28) und verschiedenen Indizes (152-98) umrahmt. Ricarda Liver H Sabine Heinemann/ Luca Melchior (ed.), Manuale di linguistica friulana, Berlin (De Gruyter) 2015, ix + 607 p. (Manuals of Romance Linguistics 3) Il Manuale di linguistica friulana curato da Sabine Heinemann e Luca Melchior è il terzo volume della collana Manuals of Romance Linguistics, diretta da Günter Holtus e Fernando Sánchez Miret, collana che si propone di fornire, in una sessantina di volumi, un aggiornamento e un ampliamento delle due grosse enciclopedie di linguistica romanza Besprechungen - Comptes rendus 281 pubblicate in Germania tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale: il Lexikon der Romanistischen Linguistik, a cura di G. Holtus, M. Metzeltin e C. Schmitt (Tübingen 1988- 2005), e la Romanische Sprachgeschichte, a cura di G. Ernst et al. (Berlin 2003-08). La collana comprenderà sia volumi dedicati a problemi di carattere generale, sia volumi dedicati alle singole lingue romanze. Una delle novità rispetto alle imprese precedenti è che anche le lingue minori saranno trattate sullo stesso piano delle lingue maggiori (mentre per es. nel Lexikon alle lingue minori venivano dedicati solo dai 3 ai 10 capitoli, contro i 40-50 delle lingue maggiori). Così anche il friulano ha un volume indipendente, tutto redatto in italiano (un’altra novità rispetto alle opere precedenti, che utilizzavano più lingue). Il Manuale, a cui hanno contribuito ventun studiosi, dopo l’introduzione dei curatori (1-18), si divide in tre parti maggiori. La prima (Il friulano nella storia e nel presente, 19-363), suddivisa in sette capitoli, è dedicata alla storia (in senso lato) del friulano: dopo la presentazione delle caratteristiche generali del friulano ad opera di Federico Vicario (1. «Friulano», 21-40), Maria Iliescu colloca il friulano all’interno del mondo romanzo (2. «La posizione del friulano nella Romania», 41-56) e Sabine Heinemann tratta dei suoi rapporti con le altre varietà tradizionalmente classificate come reto-romanze o ladine (3. «Questione ladina», 57-72). Il quarto capitolo, dedicato allo Sviluppo storico del friulano (73-154), è suddiviso in quattro sezioni: 4.1. «Storia linguistica esterna» (73-93) e 4.2. «Grammaticografia e lessicografia (dal XVII agli inizi del XX secolo)» (94-114) di Giovanni Frau, 4.3. «Storia linguistica interna» (115-35) di Paola Benincà, 4.4. «Testi antichi» (136-54) di Federico Vicario. Il quinto capitolo è dedicato ai Dialetti (155-244), anche questo in quattro sezioni: Paolo Roseano ci offre la 5.1. «Suddivisione dialettale del friulano» (155-86), mentre le altre tre sezioni sono dedicate alle varietà marginali del friulano e alle varietà venete parlate nel territorio friulano (5.2. «Ertano e cassano; bisiaco; fascia di transizione veneto-friulana», di Sabine Heinemann e Luca Melchior, 187-208, 5.3. «Lingue urbane», di Fabiana Fusco, 209-25) e alle varietà estinte del friulano (5.4. «Tergestino/ Muglisano», di Sabine Heinemann, 226-44). Anche il sesto capitolo, su Plurilinguismo e contatto linguistico (245-337), è suddiviso in quattro sezioni, dedicate ai diversi idiomi con cui il friulano è in contatto diretto: 6.1. «Sloveno», di Liliana Spinozzi Monai (245-73), 6.2. «Tedesco», di Giovanni Frau (274- 95), 6.3. «Veneto», di Fabiana Fusco (296-315), e al complesso trilinguismo della tradizione scritta: 6.4. «Friulano, veneto e toscano nella storia del Friuli», di Giorgio Cadorini (316-37). La prima parte si conclude con un capitolo di Maria Iliescu e Luca Melchior sugli aspetti linguistici dell’emigrazione (7. «Friulano nel mondo», 338-63). La seconda parte offre uno schizzo sincronico del sistema linguistico (Il friulano come sistema linguistico, 365-450), con capitoli su 8. «Fonetica e fonologia», di Renzo Miotti (367- 89), 9. «Morfologia e sintassi», di Paola Benincà e Laura Vanelli (390-412), 10. «Stratificazione lessicale e formazione delle parole», di Carla Marcato (413-27) e 11. «Toponomastica e antroponimia», di Franco Finco (428-50). I sette capitoli della terza parte riguardano i problemi sociolinguistici, giuridici e di normalizzazione e pianificazione del friulano (Il friulano lingua minoritaria - politica linguistica, 451-598): 12. «La situazione sociolinguistica» è descritta da Gabriele Iannàccaro e Vittorio Dell’Aquila (453-74) e 13. «Il quadro giuridico» da William Cisilino (475-91), mentre Paolo Coluzzi confronta la situazione del friulano con quella di altre lingue minori (14. «Il friulano: confronto con altre lingue minoritarie», 492-510). I capitoli seguenti trattano della normalizzazione e della pianificazione ed eleborazione linguistica (15. «Normalizzazione: grafia, grammaticografia e lessicografia», di Davide Turello, 511-32, e 16. «Pianificazione linguistica ed elaborazione», di Federica Angeli, 533-52), mentre i due ultimi capitoli del volume studiano la presenza del friulano nei mass media e nella scuola (17. «Friulano nei mass media», di Luca Melchior, 553-74, e 18. «Friulano nella scuola (e nell’università)», di Alessandra Burelli, 575-98). Il libro si chiude con un indice degli argomenti (599-607). Besprechungen - Comptes rendus 282 Come si può osservare anche solo da questa breve esposizione dei contenuti del volume, il manuale abbraccia una gamma di argomenti più ampia e permette in molti casi una trattazione più approfondita di quella che troviamo per es. nel Lexikon. Questo è dovuto al maggior spazio che gli autori hanno avuto a disposizione (ca. tre volte tanto), il che ha permesso trattazioni più dettagliate di argomenti che nel Lexikon erano descritti solo sommariamente, e ha consentito di allargare la trattazione anche ad argomenti che là non avevano ricevuto attenzione. Questo allargamento/ approfondimento è anche legato a due altri fattori: da una parte ai nuovi studi che nel quarto di secolo intercorso tra le due opere hanno visto la luce e arricchito di nuovi dati e prospettive la ricerca sul friulano, dall’altra ai cambiamenti intervenuti a livello istituzionale che hanno fatto del friulano una lingua di minoranza ufficialmente riconosciuta e quindi sostenuta dallo stato e dai suoi organi, con le conseguenze che questo nuovo statuto comporta (studiate soprattutto nella terza parte del Manuale). Tra il volume del Lexikon (1989) e la pubblicazione del Manuale erano uscite del resto alcune altre opere con finalità analoghe, ma di estensione minore, dei cui risultati ha potuto profittare anche questo volume: C. Marcato, Friuli-Venezia Giulia, Bari 2001 (Profili linguistici delle regioni); F.Vicario, Lezioni di linguistica friulana, Udine 2005 (anche in trad. inglese: Udine 2007); F. Fari (= F. Fabbro) (ed.), Manuâl di lenghistiche furlane, Udin 2007 (anche in ingl.: a cura di F. Fabbro e C. Crescentini, Udine 2015); S. Heinemann, Studi di linguistica friulana, Udine 2007 (ed. orig. tedesca: Bonn 2003). Il Manuale offre dunque un quadro più che mai completo e aggiornato degli studi sul friulano, con contributi sempre ben informati, dove non mancano le idee originali. Leggendo il volume dall’inizio alla fine non ho potuto però sottrarmi all’impressione che i curatori si siano trovati un po’ in imbarazzo su come occupare le 600 pagine che avevano a disposizione. Non si tratta tanto del fatto che ci sono varie sovrapposizioni tra i capitoli (per es. di germanismi si parla, molto spesso con gli stessi esempi, nei cap. 1, 4.1, 6.2 e 10; analogamente per le varietà venete, per cui si veda subito sotto) - i vari capitoli monografici sono infatti concepiti per essere letti anche indipendentemente l’uno dall’altro. Si tratta piuttosto del fatto che il novero degli argomenti trattati è anche a prima vista più ampio di quello che ci si aspetterebbe in un libro sul friulano: vi si accenna infatti diffusamente anche alle diverse varietà venete parlate nel territorio friulano (cap. 5.2, 5.3, 5.4, 6.3 e 6.4, con varie sovrapposizioni), nonché di quelle slovene (cap. 6.1; il cap. 6.2 sul tedesco è invece dedicato, nonostante il titolo, ai prestiti germanici in friulano). Non che questa scelta non sia giustificabile: si tratta di idiomi che vivono a stretto contatto con il friulano e che lo hanno influenzato e/ o ne sono stati influenzati. Ma è un po’ come se il libro fosse dedicato non tanto al friulano, quanto piuttosto al Friuli come regione storica, anzi alla regione amministrativa Friuli-Venezia Giulia e alla sua situazione linguistica (e spesso gli autori parlano proprio della «nostra regione»). Un errore di prospettiva, in un manuale di linguistica romanza - anche se è vero che la stragrande maggioranza dei friulani si trovano nel Friuli-Venezia Giulia e questa regione è l’unica a svolgere un’azione mirata alla tutela e alla pianificazione del friulano (come va anche riconosciuto che nella trattazione non vengono trascurate le ormai poche varietà parlate fuori dai confini regionali). Inoltre la libertà verosimilmente concessa dai curatori agli autori ha avuto come conseguenza che non tutto si trovi dove uno si aspetterebbe di trovarlo, o, più spesso, che lo stesso tipo di informazione si trovi in due posti: così ci si aspetterebbe che nel capitolo 5, dedicato ai dialetti, si trovino descrizioni dei dialetti e nel cap. 6, dedicato al contatto linguistico, si trovino informazioni sul contatto linguistico - ma non è sempre così: delle quattro sezioni del cap. 5 solo tre sono articolate su descrizioni delle caratteristiche dei dialetti trattati, mentre quella dedicata alle lingue urbane (5.3) ha piuttosto carattere sociolinguistico (che spetterebbe alla terza parte del Manuale); la descrizione linguistica di queste varietà si trova invece nel cap. 6, assieme alla trattazione dei contatti linguistici (6.3), che a loro volta trovano posto anche in varie parti del cap. 5 (in particolare in 5.2 e in 5.4). Besprechungen - Comptes rendus 283 Facciamo seguire qui alcune osservazioni su alcuni punti specifici: - p. 23: la «data di nascita» del friulano e delle lingue neolatine, posta al X-XI sec., è senz’altro troppo tarda (cf. J. Herman, «La chronologie de la transition: un essai», in: J. Herman (ed.), La transizione dal latino alle lingue romanze, Tübingen 1998: 5-26), anche se nel caso del friulano coinciderebbe con la separazione politica del Friuli dal resto dell’Italia settentrionale; - p. 25: è una forzatura interpretare il passo di San Girolamo come la prima testimonianza «dell’esistenza di un idioma particolare in Friuli». Il testo parla solo di «lingua semplice e popolare», quindi non-letteraria, non della lingua specifica della regione aquileiese; - p. 35: la regressione della palatalizzazione incipiente di ca e ga in Italia settentrionale, piuttosto che con «la pressione culturale del volgare tosco-fiorentino» (che pare troppo precoce), può essere spiegata con cause interne (concorrenza con la palatalizzazione dei nessi cl e gl - cf. H. Schmid, «Über Randgebiete und Sprachgrenzen», VRom. 15/ 2 (1956): 19-80, III: Über die Palatalisierung von C, G vor A im Romanischen (Zur sprachlichen Stellung Oberitaliens)); un esempio più chiaro di sonorizzazione di c intervocalico, invece di precare . preâ ‘pregare’ (che comporta anche palatalizzazione e dileguo), poteva essere per es. foculare . fogolar ‘focolare’; - p. 48-49: stupisce trovare un intero paragrafo dedicato ai «Fenomeni comuni al friulano e al rumeno», dove però vengono descritti fenomeni sempre comuni anche con altre lingue, con l’eccezione di alcuni vocaboli che sarebbero attribuibili a «un sostrato comune preromanzo che si estendeva dalle Alpi fino alla Penisola Balcanica» - di questi se ne citano due come comuni ai soli friulano, albanese e rumeno: çore ‘cornacchia’ (che però il DESF associa a forme venete settentrionali) e raze ‘anatra’ (ampiamente diffuso nelle lingue slave meridionali); - p. 49: alle lingue che formano l’imperativo negativo con stare andrebbero aggiunti i dialetti veneti, lombardi ed emiliani; il ladino è erroneamente elencato tra le varietà che non utilizzano il suffisso -idio (ma a p. 51 si dice correttamente che lo utilizza); - p. 50: la presenza di opposizioni fonologiche di lunghezza nel sistema vocalico non è una prerogativa del friulano, ma si trova in molte altre varietà italiane settentrionali (cf. M. Loporcaro 2015: Vowel length from Latin to Romance, Oxford); - p. 62: non abbiamo prove di un «impegno irredentistico» di Carlo Battisti (che a volte gli viene attribuito per confusione con Cesare Battisti) - prima della Grande Guerra Battisti era un funzionario dello stato austriaco e durante la guerra servì come ufficiale nell’esercito austro-ungarico; - p. 81: bearç ‘orto, cortile’ è attribuito al tedesco, mentre a p. 78 era stato attribuito al gotico o al longobardo (quest’ultima origine anche a p. 417); - p. 128: romans ‘rimase’ non può considerarsi una forma pienamente etimologica (ci aspetteremmo **romas), ma piuttosto una forma analogica basata sul tema del presente romanzo; - p. 147: in realia ‘regalia, dono’ ( , regalia) non abbiamo «lenizione e ... dileguo», ma palatalizzazione e dileguo di g; - mentre a p. 164 si afferma che la realizzazione normale di / r/ in friulano è monovibrante [ ɾ ], a p. 387 si dice che la realizzazione tipica è [r]; - p. 233: aulíu ‘olivo’ non appartiene alle parole con vocale tonica dittongabile; - p. 234: non mi è chiaro come tergestino hau ‘ha’, stau ‘sta’ e fau ‘fa’ possano testimoniare della perdita di -bintervocalica (se, come generalmente in Italia settentrionale, si parte da stat e dagli analogici *(h)at e *fat); - p. 236: gli esempi di forme verbali di 1. pers. terminanti in -i grafica del tergestino non rientrano nei casi di -i desinenziale: in due delle forme si tratta di j finale del tema verbale: ai Besprechungen - Comptes rendus 284 ‘ho’ , *(h)aio, uoi ‘voglio’ , *voleo, e anche per prei ‘prego’ si tratterà probabilmente della j di prejà, frutto della palatalizzazione da precare; - p. 257: mi sembra azzardato attribuire la caduta di g dei dialetti sloveni a un influsso del friulano - in friulano infatti questa è limitata alla posizione intervocalica, mentre in sloveno si ha anche in posizione iniziale; inoltre, sempre contrariamente allo sloveno, il passaggio g . j in friulano si ha solo davanti ad a, mentre davanti a o e u -gè spesso conservato e, quando è caduto, non è passato per una fase -j-; - p. 321: non tutti i fenomeni elencati come tipici del friulano medievale rispetto al veneto medievale sono veramente tali: anche in veneto i pronomi soggetto continuavano la forma del nominativo, la 2sg. dei verbi poteva avere la desinenza -s e wgermanico dava v-; - p. 322: i casi di e per a tonica del Rainaldo e Lesengrino sono certamente francesismi (cf. A. Lomazzi, Rainaldo e Lesengrino, Firenze 1972: 94), e non tratti del trevisano rustico; - p. 322-23: l’opposizione tra un geotipo ladino e uno italiano non appare felice, tanto più che a Venezia, e quindi nella formazione del veneziano, sono probabilmente confluite sia correnti migratorie occidentali (padovano-polesane) sia correnti migratorie nord-orientali (trevisane) - cf. E.Tuttle, «The Veneto», in: M. Maiden/ M. Parry (ed.), The dialects of Italy, London 1997: 263-70 (264); - p. 325: non ci sono ragioni per attribuire al toscano e non al veneto le forme ducati, soldi, marche, pegno, salvo (tutte presenti nel glossario dei Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, ed. A. Stussi, Pisa 1965); - p. 329: la -o finale di çogulo ‘capretto’ non è necessariamente di influsso toscano, perché anche il veneziano mantiene -o finale dopo -l- (cf. Stussi, cit.: xxxiii); - p. 348: specjo ‘specchio’ sarà piuttosto venetismo che non italianismo; - p. 497-504: nel confronto tra friulano e galego l’autore non ha tenuto conto di un fatto che influisce in maniera determinante sui dati studiati, e cioè che mentre tra galego e spagnolo ci sono differenze minime, per cui uno spagnolo capisce senza troppe difficoltà il galego, tra friulano e italiano queste differenze sono molto grandi, per cui il friulano è praticamente incomprensibile per chi sappia solo l’italiano - questo naturalmente ostacola l’uso del friulano in molti contesti. Alcune formulazioni sono poco felici: a p. 37 dei pronomi clitici soggetto si dice che «accompagnano obbligatoriamente l’espressione del soggetto che compie l’azione» - ma i clitici soggetto non fanno distinzioni tra azioni e non-azioni; a p. 105 «palatalizzazione di i semivocale» sarà da intendere come fortizione/ indurimento (j . ž) - infatti j è già palatale. Ci sono poi varie sviste: a p. 11 «una corrispondenza italiana», recte: «friulana»; a p. 96 «esercizi di versione dal latino al friulano», recte: «dal friulano al latino»; a p. 97 «Poligrafico», recte: «Politecnico»; a p. 120, nell’ultimo capoverso di 2.1.2, dall’elenco delle vocali mancano ĭ e ŭ ; a p. 121 antico bergamasco «tug ‘tutti’ / tuc/ », recte: «/ tyc/ » (ma più probabilmente: / tyt ʃ / , come in milanese antico); a p. 151 curavo «condizionale semplice», recte: «indicativo imperfetto»; a p. 193 «epitesi di -i invece che -e», recte: «di -e invece che -i»; a p. 204 «ras ‘rape’, ‘rapi’», recte: «‘rapa’, ‘rape’»; a p. 231 «Statuti o... Camerari triestini», recte: «friulani»; p. 233 «[e] e [o] del latino volgare», recte: «[ ɛ ] e [ ɔ ]»; a p. 235 «sviluppo di -mp-/ -mba -np-/ -nd-», recte: «-np-/ -nb-»; a p. 140 «la -i del presente congiuntivo si estende alla I coniugazione», recte: «anche alle coniugazioni diverse dalla I»; a p. 330 «alla fine del XVII secolo», recte: «XVI secolo» (Menocchio visse dal 1532 al 1600 ca.); a p. 345 «negli anni sessanta del XVIII secolo», recte: «del XIX secolo»; a p. 409 fassano «la bela fèminis», recte: «fémenes»; a p. 477 il commissario ungherese Tibor Navracsics diventa nella frase seguente «la nuova commissaria»; Cescutti 2008, cit. a p. 523, manca dalla bibliografia alla fine del capitolo. Non elenco gli errori di battitura, attribuibili alle attuali pratiche editoriali (che non utilizzano Besprechungen - Comptes rendus 285 1 Quelques titres seulement: Galien le Restoré en prose, ed. H.-E. Keller et N. L. Kaltenbach, Paris 1998; le Roman de Guillaume d’Orange, ed. M.Tyssens, N. Henrard et L. Gemenne, 3 vol., Paris 2000-06; Jean Wauquelin, La belle Hélène de Constantinople, ed. M.-Cl. de Crécy, Genève 2002; Messire Gilles de Chin (en prose), ed. A.-M. Liétard-Rouzé, Villeneuve d’Ascq 2010; Le roman de Gillion de Trazegnies, ed. S.Vincent, Turnhout 2010; La Fleur des batailles Doolin de Maience, ed. M.-J. Pinvidic, Paris 2011; Histoire de Gérard de Nevers en prose, ed. M. Marchal, Villeneuve d’Ascq 2013. correttori di bozze) e di cui gli autori sono scusati. Qua e là gli esempi non sono stati tradotti, anche in casi tutt’altro che evidenti (come per es. alle p. 241-42). Nonostante i problemi notati, il Manuale offre un quadro ampio e ben informato degli studi sul friulano, nonché un’ottima e approfondita introduzione alla storia linguistica, alla descrizione sincronica e alla situazione sociolinguistica e giuridica (oltre che alla normalizzazione e pianificazione) di questa lingua minore. Giampaolo Salvi Galloromania Giuseppe Di Stefano, Nouveau dictionnaire historique des locutions. Ancien Français - Moyen Français - Renaissance, 2 vol. (A-K, L-Z), Turnhout (Brepols) 2015, 1855 p. Ce dictionnaire est l’œuvre d’une vie de chercheur: après le Dictionnaire des locutions en moyen français (Montréal, 1991) et sa version réduite Toutes les herbes de la Saint-Jean. Les locutions en moyen français (avec Rose M. Bidler, Montréal, 1992), Giuseppe Di Stefano achève et complète son répertoire en l’élargissant en amont, vers l’ancienne langue, et en aval, vers ce français «de la Renaissance» que l’on hésite toujours à considérer comme un état de langue à part. Il est vrai que ni l’ancien français ni le français du XVI e siècle n’étaient entièrement absents dans le répertoire de 1991: on n’a qu’à parcourir la bibliographie finale pour y déceler des titres comme le Roman de la Rose ou le Roman de Renart d’une part, les Contes amoureux de Jeanne Flore ou les pièces de Jacques Grévin de l’autre; mais il est tout aussi vrai que cette nouvelle entreprise intègre systématiquement les œuvres françaises allant des origines aux dictionnaires de la langue classique (Oudin, Richelet et Furetière ont aussi été exploités, outre les dictionnaires historiques modernes). Quelques données quantitatives donneront une idée de l’enrichissement opéré: la bibliographie, qui comptait plus de 600 titres en 1991, en dénombre maintenant plus de 1000; les retombées à l’intérieur du Dictionnaire sont tout aussi voyantes, comme le montrerait n’importe quel sondage: pour la lettre Q, on passe par exemple de 42 entrées à 75; pour l’entrée Nature de 32 «locutions» à 68. Malheureusement - tout comme dans l’édition de 1991 - les textes n’étant pas datés, ne fût-ce qu’approximativement, il revient au lecteur de situer dans le temps les citations, souvent nombreuses, parfois uniques, proposées dans les articles. Toujours au sujet de la bibliographie, notamment pour la section «moyen français», on comprend bien que Di Stefano n’ait pas refait le dépouillement sur la base des nouvelles éditions critiques parues ces 25 dernières années: on peut cependant le regretter, car celles-ci sont nombreuses et la cueillette en aurait été sans doute enrichie 1 . La Préface, aussi parcimonieuse que le répertoire est riche (une vingtaine de lignes), met néanmoins l’accent sur trois questions fondamentales: la nécessité de ne pas considérer les catégories historiques comme étanches, et par ricochet l’inévitable continuité linguistique, la difficulté terminologique, résolue ici comme en 1991 par le mot «locution», et surtout la
