Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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2016
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Kristol De StefaniDorothea Kullmann / Shaun Lalonde (ed.), Réécritures. Regards nouveaux sur la reprise et le remaniement de textes, dans la littérature française et au-delà, du Moyen Âge à la Renaissance, Toronto (Pontifical Institute of Mediaeval Studies) 2015 (Studies and Texts 190)
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2016
Gerardo Larghi
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Besprechungen - Comptes rendus 329 29 Chose surprenante: Y. G. paraît ignorer l’édition du ms. F, pourtant mis au même niveau que A(2): voir sa conclusion (sect. 14 du CR). 30 L’exemple allégué en conclusion de la section 11 du CR, un cas de répétition de segment de texte (II.A.198.27), me paraît relever d’un effet de style et doit être laissé. 31 Je relève, à ce sujet, que G. Roussineau, un éditeur chevronné, écrit a tout ‘avec’ en deux mots; voir La Suite du roman de Merlin, vol. 2, glossaire. 6. M. G. a passé au crible mon édition du texte de la Suite Guiron 29 , et la liste de ses remarques peut paraître longue (CR, sect. 11). Les faits de celle-ci n’étant pas classés, elle juxtapose, à côté des «trouvailles», des faits de ponctuation, sans porter atteinte à l’intelligence du texte édité; bourdons d’imprimeur, parfois pris pour des fautes de lecture ou mises sur le compte de mon «conservatisme» 30 ; la manière d’écrire les mots ensemble ou séparément 31 ; ou encore de ne pas corriger certains faits phonétiques, comme la dénasalisation, faits que j’étudie dans la partie réservée à la langue et auxquels je renvoie dans mes notes. Il y a, aussi, un certain nombre de problèmes que l’auteur du présent CR laisse sans solution. À la lecture de ce texte long, on se pose nécessairement la question de la finalité d’un travail aussi détaillé que celui que Yan Greub vient d’effectuer. En présence d’une «jeune équipe» s’occupant de Guiron, la réponse ne saurait être qu’univoque: tout reste à faire en matière d’études guironiennes ...! Venceslas Bubenicek H Dorothea Kullmann/ Shaun Lalonde (ed.), Réécritures. Regards nouveaux sur la reprise et le remaniement de textes, dans la littérature française et au-delà, du Moyen Âge à la Renaissance, Toronto (Pontifical Institute of Mediaeval Studies) 2015 (Studies and Texts 190) Dalle varianti manoscritte alle traduzione, dagli adattamenti ideologici alle metamorfosi strutturali o di genere, il Medioevo, e quello tardo in particolare, fu l’epoca che, più di ogni altra, mise al centro del proprio modus operandi la variatio, figura retorica che si situa al cuore stesso della sua concezione ideologica, ma anche e soprattutto letteraria. Scrivere trasformando i contenuti, modificando la forma, adattando ad un nuovo genere, ma anche recuperare espressioni, personaggi, caratteri per meglio situarli in una nuova temperie culturale e storica, furono, in quei secoli che ormai sappiamo essere stati tutt’altro che bui e per nulla incivili o «di ferro», ma anzi raffinatissimi e robustamente colti, operazioni che videro coinvolti non solo artisti dal dubbio carisma, ma anche veri e propri geni della creazione poetica o della scrittura in prosa. Il volume che qui recensiamo raduna quindici articoli che fanno luce su singole vicende testuali, ma che insieme fanno il punto delle nostre attuali conoscenze su queste prassi e sul loro sottofondo culturale e ideologico. Il contesto preso in esame dall’elegante volume curato da Dorothea Kullmann e Shaun Lalonde, è soprattutto di ambito e lingua francese, per quanto non manchino - ed anzi sono alcuni tra i più significativi interventi che vi possiamo leggere - scorribande in altri e diversi domini, fino a qualche articolo nel quale non manca neppure il taglio comparatistico che coinvolge le letterature portoghese, occitana e italiana, a dimostrazione di come la Romania fosse intesa come una grande unità culturale ben oltre quelli che siamo abituati a considerare i confini dell’epoca medievale e delle origini. Le specole da cui questa galassia è stata osservata sono state soprattutto quello delle tecniche di adattamento impiegate e della intertestualità, ma non mancano le indagini sui casi Besprechungen - Comptes rendus 330 di traduzioni multiple e sulle redazioni successive di un medesimo testo. Gli ambiti presi in considerazione sono soprattutto, invece, quelli romanzeschi ed epici, con un occhio di attenzione particolare rivolto alla letteratura narrativa, per quanto sia presente una intera sezione nella quale siano affrontate questioni inerenti alla storiografia, e perfino un contributo sulla preghiera religiosa. Il volume, raffinato e curato, raccoglie studi che furono presentati nel 2010 in occasione di un convegno tenutosi alla University of Toronto. Gli apporti sono raggruppati in tre sezioni: riscritture di romanzi cortesi in lingua d’oïl; réécritures di opere storiografiche e di canzoni di gesta nella tradizione francese; e infine la rielaborazione di materiale di provenienza originariamente oitanica o occitanica in contesto italiano o portoghese. La sola, felice, eccezione, a questo piano di lavoro è l’appassionante e informato studio che Franco Pierno dedica alle «Riscritture del Padre nostro in lingua italiana prima del Concilio di Trento nei volgarizzamenti biblici e in testi liturgici» (285-98). Nel corso del suo articolo lo studioso isola e identifica due diversi modi di volgarizzamento per un testo capitale come quello preso in esame. Accanto, infatti, ad un filone di pensiero, e di azione, di stampo più popolare, quale si evidenzia, ad esempio, nelle farciture presenti nei duecenteschi Memoriali bolognesi, e che tende a imporre espressioni e formule di uso corrente, che coinvolgono direttamente l’orante, si precisa anche l’esistenza di un filone più conservatore, che nelle sue réécritures preferisce ripercorrere con attenzione e precisione i moduli espressivi della Vulgata. La sola aggiunta che possiamo fare a questa encomiabile indagine è che ci si poteva augurare una scorribanda in territori extraitaliani, ricchi di farciture e di riscritture. Magari con qualche puntatina anche in terreni meno ortodossi di quelli prescelti (si pensi ad esempio, ai Padre Nostri eretici di cui abbiamo testimonianza tra Due e Quattrocento). La prima sezione del libro è dedicata all’evoluzione subita dai romanzi cortesi oitanici. Essa è aperta dall’articolo di Francis Gingras, «Les réécritures de Lancelot du Lac dans la longue durée: de la tradition manuscrite aux premiers imprimés», nel quale il percorso dell’autore si sviluppa lungo il filo che si dipana tra la consegna nei grandi manoscritti che conservano le versioni duecentesche del ciclo del Lancelot-Graal e le prime edizioni a stampa che ne vengono date nel XV secolo. Il risultato è lo svanire della figura di Lancelot e l’emergere di quella, ben meno romanzesca ma forse proprio perciò più adatta ai nuovi tempi, di Galaad. Non per caso queste avventure finirono per lungo tempo nel dimenticatoio, prima di essere ripescate nel XVIII e soprattutto nel XIX secolo. A sua volta Corinne Denoyelle, «Les dialogues dans la réécriture en prose d’Érec et Énide (XV e )», (28-52), si è chinata sul successo ottenuto dalla celebre opera di Chrétien de Troyes e dalle metamorfosi che essa ha subito dalle sue origini fino al Cinquecento. Partendo dalla considerazione che, di norma, queste riscritture si sono caratterizzate soprattutto perché «de l’ordre de la réduction et de la simplification» (28), l’autrice analizza nel dettaglio i cambiamenti che hanno interessato i dialoghi. Appoggiandosi su ricerche di ordine statistico-lessicale, evidenzia come nelle versioni in prosa del romanzo, il discorso indiretto lasci il posto a quello diretto, come spariscano vieppiù le repliche brevi, in una generale tendenza alla semplificazione e alla polarizzazione delle posizioni ideologiche, assai meno contrastanti nell’originale rispetto alle repliche e alle versioni successive, fino a concludere che «la relation du couple aux autres est ramenée à une simple opposition binaire du bien contre le mal» (51). I due successivi contributi sono dedicati ai romanzi cortesi di materia non arturiana. Annie Combes, «Entre déférence et différence, les ambiguïtés de la mise en prose dans Le livre des amours du châtelain de Coucy et de la dame de Fayel» (53-72), esamina la cinquecentesca versione borgognona in prosa (e cioè il Livre des amours du châtelain de Coucy et de la dame de Fayel) del modello poetico duecentesco nel quale sono narrate gli amori Besprechungen - Comptes rendus 331 adulteri dei due protagonisti. Per quanto segua fedelmente il suo modello (58), Combes nota nel comportamento del rimaneggiatore un cambio evidente nell’orientamento ideologico, come essa stessa evidenzia attraverso un minuzioso paragone tra i rispettivi prologhi delle due opere. Il romanzo non è più quella apologie de la fin’amor (60) che era l’opera in versi, ma l’autore borgognone sembra piuttosto interessato ad amplificare, approfondire, sviluppare gli aspetti psicologici, emotivi e caratteriali dei personaggi, fino a creare quello che l’autrice del contributo definisce une écriture de l’empathie (69). Si forma così una versione nella quale l’amore e le vicende militari sono surrogate dalla più potente e decisiva azione di Fortuna. L’altro lavoro in cui si esaminano materie non arturiane, è quello di Richard Trachsler, «Du Cléomadés au Clamadés. Les mises en prose du roman d’Adenet le Roi» (73-82), nel quale lo studioso compara due distinte riscritture in prosa del Cléomadés di Adenet le Roi: una prima fatta in ambiente borgognone, una seconda invece presumibilmente messa insieme in area lionese. Ne emerge il comportamento ambiguo di entrambi gli autori, i quali tendono in genere ad accorciare e semplificare la trama del racconto, pur non rinunciando a intervenire sul testo per renderlo coerente: essi, infatti, «réinventent les événements à leur propre guise et recréent en surface un texte qui reste cohérent malgré sa concision» (81). La sezione è conclusa da Jane H. M.Taylor, «From courtoisie to galanterie: What becomes of Tristan in the Renaissance? » (83-94), la quale mette a confronto due distinti adattamenti del materiale tristaniano che in Francia e in epoca rinascimentale conobbe un successo decisamente superiore a quello del ciclo di Lancelot. La prima versione presa in esame è quella di Pierre Sala, il Roman de Tristan Leonnois et de la belle Reine Yseulte (composto tra 1525 e 1529): in esso il Sala insiste sui dettagli erotici della vicenda, fino quasi a trasformare il testo in una farsa licenziosa, che rifletterebbe un ethos of the louche affair che Taylor designa con l’espressione di galanterie licencieuse (84). Diverso invece il comportamento del secondo testo il Nouveau Tristanroy de Leonnois, chevalier de la Table Ronde, et d’Yseulte pricesse d’Yrlande, royne de Cornouaille, scritto da Jean Maugin, e stampato per la prima volta nel 1554, il quale sottopone il romanzo ad un vero e proprio riadattamento retorico, amplificandone i passaggi dialogici, riscrivendolo alla luce del «linguistic turn that was, in seventeenth-century France, to become an admired facility in graceful compliment» (93). La seconda sezione del libro ruota intorno alle Réécritures françaises: historiographie et chanson de geste, e si apre con il lavoro di Dorothea Kullmann su «Le métadiscours sur la réécriture dans les prologues épiques» (97-133), nel quale sono passati in rassegna tutti i prologhi epici dal XII al XV secolo nei quali siano stati inseriti riferimenti ai riadattamenti. Nelle sue pagine la Kullmann dimostra che l’inserimento di motivi epici quali la critica al giullare, la scoperta di un vecchio manoscritto che conterrebbe la vera storia fin lì ignota, lo shifting metrico verso nuove strutture prosodiche, era strettamente connesso al rinnovamento che alcune figure, o storie, avrebbero subito. Queste referenze, sia che si ascrivessero a concreti interventi dell’autore (quali ad esempio le riscritture metriche dal decasillabo all’alessandrino), o a opere fittizie (la classica opera rimasta fin lì sepolta in un «manoscritto» che emerge all’improvviso e giustifica la nuova versione della vicenda) implicavano comunque l’esistenza di una metaforica «preistoria» delle chanson de geste in questione, e quindi suggerivano l’immagine di un processo di riscrittura, processo che, alla fine del periodo esaminato, rifletté une image changée de la littérature (133). Ad un testo più prettamente storiografico sono invece dedicate le riflessioni di Nathalie Bragantini-Maillard, «Les réécritures de dialogues dans le Livre I des Chroniques de Jean Froissart» (134-61), nel quale la ricercatrice francese evidenzia il percorso seguito da Jean Froissart per inserire e adattare il materiale storico che desunse dalla Chronique di Jean le Bel, e il cammino attraverso cui in ognuna delle grandi redazioni del suo lavoro, intervenne per modificare le parti dialogiche relative ai borghesi di Calais ed all’esilio di Roberto d’Artois. Besprechungen - Comptes rendus 332 Torna sui poemi epici il corposo contributo di Bernard Guidot, «La réécriture des Enfances Vivien dans le Roman de Guillaume d’Orange» (162-98), nel quale investiga sulle variazioni subite dalle Enfances Vivien nel vasto complesso borgognone denominato Roman de Guillaume d’Orange. La prima e la seconda parte del lavoro sono consacrate dal docente lorenese a questioni di ordine narrativo, come gli interventi della voce narrante che si fanno vieppiù moralistici (165); o le tre felici aggiunte alla trama originale; o le innovazioni stilistiche, in specie relative al ruolo della retorica che diventa preponderante: complessivamente queste variazioni sembrano rispondere al desiderio di ampliare le parti che più potrebbero andare incontro ai nuovi, e popolari, gusti e che traduisent une nouvelle vision du monde (183). La terza parte del corposo intervento, invece, riguarda il modo con cui l’autore tratteggia la sociabilité, adattando l’antico modello feudale alle nuove, e più moderne, condizioni, ponendo particolare attenzione a dipingere l’attivo e positivo ruolo della borghesia, cui sono attribuiti sensibilità e buon senso, oltre che fare di una esponente di questo gruppo sociale, la madre del protagonista (173). Complementare a questo è il contributo di Madeleine Elson «Maldite soit tex ordre: re-written criticism of monasticism and religious ideology in the Moniage Guillaume » (199- 212), nel quale viene sezionata la parte del Roman de Guillaume d’Orange che riprende il Moniage Guillaume. Elson segue l’evoluzione di un singolo episodio (quello del ritorno di Guglielmo al monastero dopo la sua vittoria sui briganti, e la sua decisione di ritirarsi in un romitorio) attraverso le sue diverse redazioni, dal Moniage I al Moniage II fino al Roman, segnalando in esse una lenta ma inesorabile metamorfosi delle convinzioni religiose, sempre meno aderenti al concetto post-gregoriano e monastico proprio dell’originale e sempre più e meglio, invece, aderenti alle rinnovate ideologie spirituali, in particolare quella della Devotio Moderna. La terza e ultima parte di questo bel volume rivolge lo sguardo al di fuori dei confini linguistici dell’Hexagone. Avendo già detto del lavoro di Pierno, passiamo alle pagine che Eugénia Neves dos Santos, dedica a «De la Demanda do santo Graal: les enjeux de la translatio» (215-28), nelle quali viene esaminato il transito dal clima oitanico a quello portoghese dei materiali graaliani, in particolare di un originale che doveva far parte di un ciclo post-vulgata. L’autrice si dedica ad un lavoro di comparazione assai spinta sul livello lessicale e semasiologico, in relazione alla polisemia del lemma coita, nel quale sono condensati, in un unico contesto, il campi semantici della mancanza, del desiderio, e del dolore, centrali nella ideologia del romanzo; Neves dos Santos passa poi ad indagare il neologismo laido, e lo shift semantico di sina. Se una chiosa possiamo fare a questo studio è forse l’ombra che essa stende sulla questione della stesura in due diverse redazioni della Demanda, questione che, per quanto direttamente estranea al tema che la studiosa si è posta, non di meno avrebbe meritato di essere presa in considerazione, se non altro per comprendere come la lingua del traduttore abbia cercato di rendere i caratteri, diversi ed evolventi, dei personaggi. Non ci pare neppure che l’autrice sia nel giusto quando afferma (218 N15) che solo con l’opera di Robert de Boron il Graal fu cristianizzato: la polisemia, la pluralità di livelli di lettura, compreso quello religioso, erano già parte del lavoro di Chrétien de Troyes, i cui romanzi non sono comprensibili senza il ricorso al metodo esegetico in vigore in quei secoli e nella cerchia che produsse le opere del grande Champenois. L’articolo che un maestro come Peter Wunderli, dedica a «De Berte as grans piés à Berta da li pe grandi. Textes et contextes» (229-53), si incentra invece sulla letteratura franco-italiana, comparando la versione di Berte as grans pies che si rinviene nel manoscritto veneziano V13 e la versione della chanson opera di Adenet le Roi. Il raffronto tra le due redazioni fa da premessa ad una serie di riflessioni sul ruolo e il profilo assunto dalle donne nel testo franco-italiano. Anche Maria Predelli, «Réécriture de la matière chevaleresque: du grand roman courtois de France au cantare populaire d’Italie» (254-74), si china sulla Besprechungen - Comptes rendus 333 1 On peut aussi télécharger la version pdf sur academie-editions.be/ catalogue/ 63-jeanfroissart. html pour la modique somme de 3,99 € . 2 Œuvres de Froissart: Chroniques, publiées par M. le baron Kervyn de Lettenhove, 26 vol., Bruxelles 1867-1877 (réimpression: Osnabrück 1967). 3 Chroniques de J. Froissart, publiées pour la Société de l’Histoire de France par S. Luce, 8 vol., Paris 1869-79. 4 www.hrionline.ac.uk/ onlinefroissart/ index.jsp. letteratura italiana delle origini, paragonando i cantari con il materiale della tradizione arturiana da cui essi potrebbero derivare, per concluderne che le probabili fonti potrebbero essere traduzioni in volgare di sì in prosa di quei romanzi francesi che cominciavano, a metà del XIII secolo, a circolare per la penisola. Destinatario sarebbe stato quel pubblico borghese che avrebbe assistito a pubbliche performances teatrali (273). Più innovativo (per quanto anch’esso orientato verso una pura ricerca sulle fonti che oggi forse è un po’ metodologicamente datata), ci sembra invece l’intervento di Shaun Lalonde, «La réécriture des vidas et des razos provençales dans la nouvelle italienne: une source de la quatrième nouvelle du cinquième jour du Décameron» (274-84), che esplora i debiti contratti dal Boccaccio con le vidas e le razos provenzali nella stesura della quarta novella del quinto giorno del Decameron. Lalonde propone di riconoscervi una parodia del linguaggio della fin’amors, parodia di cui si intravvedono i contorni anche nella ironia che tappezzerebbe la razo della canzone di Bernart de Ventadorn «Quan vei la lauzata mover», di cui sono ben noti i rapporti con i canzonieri di Chretien de Troyes e di Raimbaut d’Aurenga (283). Un articolo di Nicholas Arrigo sulla bibliografia dedicata al tema delle réécritures (319- 58), conclude i contributi raccolti in questo volume dedicato a un tema, e a opere, di solito denegate o sottovalutate, mentre una bibliografia completa delle opere citate negli articoli, i profili biografici dei contributors, e un indice delle cose, dei personaggi storici e delle nozioni, aiuta a percorrere le pagine di questo utile contributo. Il risultato è un utile contributo alla migliore comprensione della evoluzione del fatto letterario lungo i secoli del maturo e tardo medioevo. Gerardo Larghi H Jean Froissart, Chroniques de France et d’Angleterre. Livre quatrième. Édition critique par Alberto Varvaro, Bruxelles (Académie royale de Belgique) 2015, xxx-758 p. 1 Les chroniques de Jean Froissart ont connu plusieurs éditions depuis l’édition incunable d’A.Vérard à la fin du XV e siècle, mais celle du baron Kervyn de Lettenhove, parue entre 1867 et 1877 2 , est restée jusqu’à nos jours la dernière édition complète. Dans son introduction, Kervyn décrit un nombre important de manuscrits, mais son choix des manuscrits de base pour son édition, notamment celle du manuscrit d’Amiens pour le premier livre, n’était souvent pas très judicieux. En plus, il ne justifie jamais les corrections apportées au texte. En ce qui concerne les différentes versions du premier livre, c’est le classement proposé par Siméon Luce dans son édition pour la Société de l’Histoire de France 3 qui fait autorité jusqu’à nos jours. Pour les livres II et III, il existe des éditions valables dans la même collection; elles sont dues à Gaston Raynaud, Léon et Albert Mirot. Cependant, le livre IV n’a jamais vu le jour. The Online Froissart, édité par Peter Ainsworth et Godfried Croenen 4 , rend accessible le texte de certains manuscrits, mais d’aucun manuscrit complet du livre IV.
